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Autore: Giulia K Monroe    31/01/2009    10 recensioni
E se Harry Potter avesse avuto una sorella minore?
E se Sirius Black non fosse stato catturato e portato ad Azkaban?
Cosa sarebbe successo alla storia più amata di tutti i tempi? Scopritelo leggendo!
***
All'improvviso lo sguardo opaco, grigio metallo sporco, si accese. Luminoso e carico di rabbioso odio, si riversò su quello della ragazza, che trasalì spaventata.
Alexis fece per indietreggiare, ma lui non glielo permise: lasciata scivolare la mano da sotto le sue, le aveva artigliato le spalle con una presa tanto violenta da farla gemere per il dolore; l'aveva quindi trascinata contro l'armadio e l'aveva sbattuta furibondo contro lo specchio, facendole mancare il respiro.
«Perché non ti sei fidata di me?!» ruggì Draco e alzò il braccio con una mossa così repentina che lei, per un attimo, temette che stesse per colpirla; lui invece scaraventò il pugno al di sopra della sua spalla e il suo viso venne sfiorato solo dall'aria smossa: le nocche pallide avevano cozzato con lo specchio al quale era poggiata, incrinandolo.

[IN FASE DI REVISIONE]
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Nuovo personaggio, Sirius Black | Coppie: Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Ron/Hermione
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
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Capitolo X - Tranquilla tra le sue braccia
 
 
 
 
E poi, dall’altra parte di quell’uscio magico, di nuovo quella voce.
«Vieni… vieni da me… entra… diventa…»sussurrava.
Ancora una volta, senza controllo, la mano si mosse da sola e andò a sfiorare la maniglia, timorosa.
Era calda al tatto e morbida.
La girò lentamente e….
 
 
 
 
“AAAAAAAAAAAAH!!!!!”

 
 
 
 
 
 
Un’improvvisa luce bianca, così forte e abbagliante da far male agli occhi, la costrinse a ripararsi lo sguardo, mentre una raffica di potente vento la investiva prepotente, ferendola con lame acuminate. Sentiva le braccia, le gambe, l’addome, il torace, il viso, ogni parte del corpo, dolerle sotto quei colpi precisi e affilati, e poteva quasi sentire del sangue caldo scivolarle giù dagli innumerevoli graffi e macchiare la sua pelle.
Il suo sangue.
E poi, più nulla. Di nuovo.
L’oblio più totale l’avvolse, levandole ogni sensazione.
Non sentiva più dolore.
Non sentiva più rumore.
Non sentiva più niente.
Solo una voce, in lontananza, che riecheggiava in quell’oscurità e che ripeteva:
Troppo presto…Ma tornerò,
Poi, piano piano, tutti i sensi tornarono.
Prima il tatto, che le fece avvertire il pavimento duro sotto di sé.
Poi l’olfatto, che le fece sentire un fresco profumo di gelida aria invernale, che si divertiva a sferzarle il viso ancora inerme, che ciondolava di lato, su di una spalla.
Poi l’udito, grazie al quale riusciva ad ascoltare i battiti accellerati di un cuore – il suo cuore – che rimbombava nel petto ad una velocità fuori dall’ordinario.
Infine, quel battito venne sovrastato da un urlo spaventato, agghiacciato, che spezzò il silenzio di quella che era ancora una fredda serata.
Il suo grido di paura.
Il corpo scattò in avanti, come se una potente scossa elettrica lo avesse attraversato. Gli occhi si spalancarono, terrorizzati, senza riacquistare immediatamente la vista.
Il respiro affannato.
La fronte sudata.
Il corpo tremante.
Solo quando strinse gli occhi e poi li riaprì lentamente, guardandosi intorno, Alexis Lily Potter si rese conto che era stato tutto solo un sogno.
Un terribile incubo.
Respirava a fatica, come se qualcuno le avesse premuto un cuscino sul viso fino a quel momento. Sentiva il corpo tremarle con violenza e non riusciva a farlo smettere.
Si appollottolò su se stessa, stringendo le gambe al petto e circondandole con le braccia. Nascose poi il viso sulle ginocchia e chiuse gli occhi, ma non fu una mossa molto intelligente, perché non appena la vista le si oscurò, nella mente sentì chiaro il rimbombare di una voce.
Quella voce.
E rivisse tutta la scena.
La luce bianca.
Il vento.
Le lame acuminate che la ferivano e la facevano sanguinare.
Alzò di scatto il viso, di nuovo terrorizzata, e si affrettò ad abbassare lo sguardo sul proprio corpo. Esaminò con fretta le gambe, coperte fin sopra al ginocchio dalla gonna della divisa, e poi passò alle braccia: sotto la luce della luna, risplendevano di un bagliore candido, quasi fossero trasparenti… ma non c’era alcuna traccia di ferite né di sangue.
Quindi, era stato veramente solo un sogno?
Ripresa coscienza di sé, alzò il viso e si guardò attorno, con più calma: si trovava ancora nel giardino della scuola.
Il sole ormai era tramontato da un bel pezzo e aveva lasciato spazio alla luna, che pallida ed elegante, illuminava la superficie cristallina del Lago Nero, creando favolosi giochi di luce, ma lei, in quel momento, non era dell’umore adatto per perdersi nelle meraviglie che la natura notturna le stava offrendo. Si voltò di scatto per incontrare la figura possente e calorosa del castello.
E questa volta, la trovò.
Magnifica, come la prima volta che l’aveva osservata, con le finestre illuminate da un caldo bagliore e la superfice baciata dai pallidi raggi di luna.
Era lì e l’aspettava, in attesa di avvolgerla tra le sue braccia e di rassicurarla.
Non se lo fece ripetere due volte, mentre sentiva le lacrime bussare alla soglia degli occhi, e cominciare a scendere lungo le guancie, imperterrite. Ancora tremante, balzò in piedi e cominciò a correre.
Correva. Correva. Correva.
Correva nel modo più veloce che le sue gambe le consentissero di fare.
E non le importava del bruciore che avvertiva ai polpacci.
Né della milza che le doleva in modo atroce.
Né del cuore che martellava frenetico contro in petto.
Né dell’aria fredda che entrava e usciva dalla sua bocca aperta e le raschiava la gola.
Non le importava di nulla.
Voleva solo raggiungere l’interno del castello e vedere qualcuno.
Chiunque.
Le sarebbe andato bene anche vedere lo sguardo malizioso di Draco Malfoy in quel momento.
Le bastava solo vedere qualcuno e assicurarsi di non essere veramente sola.
 
*
 
Quella sera, Blaise Zabini passeggiava da solo per i corridoi di Hogwarts, risalendo la scalinata che dal sotterraneo portava alla Sala Grande, dove lo aspettava un laudo banchetto… o almeno, così sperava.
Erano quasi le nove e non era sicuro di trovare ancora qualcosa sulla tavola.
Era tutta colpa di quell’idiota di Draco, se non era riuscito a salire in tempo per la cena!
Lui e i suoi strani balzi d’umore!
Prima, era entrato nella Sala Comune tutto ghignante e soddisfatto. Poi, appena aveva udito in lontananza il nome “Potter”, era diventato una furia. Aveva sgritato con fervore i primini che avevano osato pronunciare quel nome e poi era sparito alla velocità della luce.
Da buon amico qual era – e temendo il peggio – Blaise lo aveva seguito, cercando di calmarlo.
Quando l’aveva trovato, era in corso, ovviamente, una schermaglia tra lui e il famoso Grifondoro. Era riuscito a portarlo via, prima che la McGranitt, o qualsiasi altro professore, avesse potuto vederli e metterli in punizioni.
Quando poi gli aveva chiesto che diamine fosse successo, Draco si era limitato a fare spallucce e ad uscirsene con una frase del tipo: “E’ Potter. Non ho bisogno di un motivo per attaccar briga con lui!” E poi se ne era andato, lasciandolo nel bel mezzo del corridoio come un povero demente.
Ah, se lo beccava, non l’avrebbe passata liscia stavolta!
Doveva smetterla di comportarsi da idiota!
E lui, che perdeva ancora tempo a preoccuparsi!
Che razza di ingrato.
La prossima volta col cavolo che perdeva la cena per lui!
Così, con un diavolo per capello ed un passo piuttosto affrettato, la testa concentrata su pensieri di vendetta, non si accorse, mentre metteva piede sull’ultimo gradino, della figura che correva verso di lui e che lo travolse in pieno.
«AAAAAAAAAAAAH!»
L’urto fu così violento e inaspettato, che entrambi rotolarono giù per le scale, finendo sdraiati sul freddo e umido pavimento dei sotterranei.
«Ma che cazzo…!» borbottò il ragazzo, alzandosi a sedere e massaggiandosi la testa, dolorante. Si sentiva tutto acciaccato. «Vuoi guardare dove vai, quando cammini?!?» abbaiò infuriato, voltandosi a guardare la figura che avrebbe dovuto render conto di tutti i suoi dolori. Ma, quando lo sguardo blu si incastonò sulla figura accanto a lui, rimase pietrificato: era una ragazza, ancora sdraiata in terra, con il viso nascosto tra le braccia; lunghi capelli neri, sconvolti, le coprivano la schiena dalle spalle esili e tremolanti e, nel silenzio, un chiario singhiozzare riempì il corridoio. Era impossibile non riconoscerla. «Alexandra…?» domandò preoccupato, mentre quella alzava il viso di scatto, fino ad incrociare la figura del Serpeverde: gli occhioni verdi erano rossi di pianto, mentre le lacrime ancora scorrevano lungo quelle guance arrossate; il petto si alzava e abbassava frenetico, singhiozzando alla ricerca di aria.
«Bl-Blaise…»
«Porco Godric Grifondoro, che ti è successo?»
Blaise si rimise in piedi e le porse una mano, aiutandola a rialzarsi. Alexis scosse il capo e si pulì le guance con i dorsi delle mani, abbozzando un sorriso dimesso.
Solo vederlo era riuscita a calmarla e a non farla sentire più sola.
Era stato tutto davvero un incubo, e nessuno era sparito.
Erano ancora tutti lì, che continuavano la propria vita, come se nulla fosse accaduto.
Perché nulla era accaduto.
«Che ti è successo?» domandò ancora Blaise, scrutandola.
Non le piaceva vederla così, se qualcuno l’aveva fatta soffrire o le aveva fatto del male, ne avrebbe pagato care le conseguenze.
Blaise Zabini era un ragazzo posato e dai modi eleganti, ma se gli si toccavano delle persone che lui riteneva importanti, si trasformava in tutt’altra persona e allora dovevi solo sperare di non trovarti sulla sua strada; la piccola Alexandra Black, con la sua timidezza e la sua fragilità, lo aveva conquistato subito, per lui era come una specie di sorella minore, che si sentiva in dovere di proteggere. Ovviamente, non provava null’altro oltre l’affetto e poi non avrebbe mai voluto fare un torto del genere al suo caro Draco. Perché, anche se quest’ultimo non l’avrebbe mai ammesso, Blaise aveva già capito che la più piccola erede dei Black non gli era affatto indifferente, anzi.
Alexis scosse di nuovo la testa. «N-niente… niente… n-non preoccuparti…» cercò di rassicurarlo, respirando piano, per calmarsi. «T-tu stai b-bene? Ti sei… ti sei fatto male?» si affrettò a domandare, per cambiare discorso.
«No, non preoccuparti: ci vuole ben altro per mettere K.O. uno come me!» replicò, avvicinandolesi e prendendole le mani, che cercavano ancora di nascondere e di bloccare le lacrime. «Ma tu non stai bene, Alex. Dimmi la verità, che ti è successo?»
Lei scosse ancora la testa, chiudendo gli occhi. «Nulla, sul serio…» mentì di nuovo.
«Se non avessi nulla non continueresti a piangere così.» osservò Blaise.
Lei aprì la bocca per replicare, ma poi la richiuse e abbassò lo sguardo. Le lacrime continuavano a scenderle con velocità lungo il viso, tracciandone il profilo e andando a congiungersi sul mento, in una goccia unica che ricadeva con lentezza sul pavimento.
Zabini la guardò ansioso e poi sospirò. Le si avvicinò e la cinse in un abbraccio rassicurante. Alexis alzò il viso sorpresa, ma lui la strinse di più a sé, facendole poggiare il viso su di una spalla e prendendo ad accarezzarle morbidamente i capelli. «Su, basta piangere ora… Va tutto bene. Ci sono io qui con te».
Alexis annuì e si aggrappò alle sue spalle, come in cerca di sostegno. Il petto di Blaise era così caldo e accogliente, le ricordava tanto quello di Sirius, eanche quegli occhi scuri e magnetici gli facevano lo stesso effetto. Forse era proprio per quella somiglianza con il suo padrino che aveva stretto una così bella amicizia con lui.
Stringendola a sé, il giovane Serpeverde la sentì stranamente fredda. «Sei gelida, ma dove sei stata?»
«Ero fuori. Mi sono addormentata e poi…» rispose, ma si fermò a metà frase, chiudendo gli occhi e stringendosi ancora di più a lui, con il bisogno di sentirsi avvolta da quell’abbraccio protettivo.
«E poi?» la incitò lui con un sussurro delicato. Alexis scosse ancora una volta la testa, nascondendo il viso contro il suo petto. «Perché non vuoi parlarmene? Così non posso aiutarti.» domandò con tono quasi ferito, che le strinse in cuore in una morsa.
«Non è niente di importante, sul serio…»
«Se non lo fosse, non saresti così agitata, non trovi?» controbatté e lei tacque.
Blaise sospirò ancora. Perché mai non voleva dirgli che le era successo? Di solito, non si faceva problemi a confidarsi con lui. Che si trattasse di qualcosa che le aveva fatto Draco? Sì, se così fosse stato, si sarebbe spiegato perché non voleva parlargliene. Di certo, non li avrebbe mai voluti mettere uno contro l’altro. Però, Blaise conosceva bene i metodi di avanche dell’amico e, se questa volta aveva esagerato, non l’avrebbe passata liscia. Già aveva in mente di dirgliene quattro, ma se aveva fatto qualcosa ad Alexandra, una bella lezione non gliela avrebbe tolta nessuno.
«C’entra qualcosa Draco…?» azzardò.
Lei aprì gli occhi di scatto a sentire quel nome e un brivido le corse lungo tutta la schiena, al ricordo di ciò che era successo – o meglio, stava per succedere – solo qualche ora prima. Poi si affrettò a scuotere la testa, temendo che l’improvviso tremare del suo corpo fosse frainteso dall’amico. «No! No!» esclamò repentina, allontanandosi dal suo petto per poterlo guardare in viso. Finalmente le lacrime cominciavano a smettere di rigarle le guance.
«Sicura?» Alexis annuì energicamente, riuscendo finalmente a  sorridere, e la cosa parve tranquillizzarlo.  «Allora, non vuoi proprio dirmi che ti è successo?» tentò un’ultima volta, cercando di cavarle qualcosa dalla bocca.
Alexis, per tutta risposta, sospirò e abbassò lo sguardo. «E’ una cosa stupida…» ammise infine, un po’ in imbarazzo.
«Non deve essere così stupida, se ti ha fatto piangere.» constatò Blaise, asciugandole le guance con gesti lenti e carichi di affetto.
«Sì invece!» replicò lei testarda, mordendosi il labbro inferiore.
«Ascolta, qualsiasi cosa sia successa, per quanto stupida possa essere, sai che puoi parlarne con me. Ti farà sentire meglio». Alexis sospirò ancora una volta, guardandolo negli occhi, indecisa. «Ascolta, facciamo così: andiamo in Sala Grande, se troviamo ancora qualcosa da mangiare, e mi racconti tutto lì, okay? Se invece la troviamo vuota, come temo, ci facciamo spedire qualcosa da mangiare in Sala Comune e ne parliamo con calma davanti al camino, affare fatto?» propose Zabini, porgendole una mano.
Alexis sembrò pensarci su, ma alla fine annuì e strinse le dita attorno a quelle di Blaise
 
*
 
Come sospettava, la Sala Grande era ormai vuota e non c’era più alcuna traccia di piatti o deliziose pietanze. Così, si fecero recapitare qualcosa nella Sala Comune – Zabini aveva parecchie conoscenze – e, comodi su uno dei tanti divani verdi, cenarono in tranquillità.
La Sala Comune, quella sera, non era molto affollata. In effetti, erano già le undici passate e molti studenti erano andati a dormire, all’insegna di una nuova giornata scolastica. Gli unici ancora in piedi erano delle ragazze del quarto anno, che ridacchiavano eccitate da chissà quale argomento e che, di tanto in tanto, lanciavano occhiatine maliziose a Blaise, che fingeva di non vederle; un gruppetto di ragazzini del prima anno, che si sfidavano ad un gioco di carte magiche; e qualche studioso, che ancora non aveva concluso i compiti.
Quando i due amici ebbero finito di mangiare e i piatti sporchi furono magicamente spariti, Zabini riprese il discorso. «Allora, me lo dici che ti è successo o devo mettermi in ginocchio a pregarti?» le chiese e fece proprio per piegarsi di fronte a lei.
Alexis ridacchiò e scosse la testa, come a dire che non era necessario arrivare a tanto. Si fissò le mani per qualche minuto, poi si portò le gambe al petto, raggomitolandosi sul divano, e infine si decise a parlare, fissando lo sguardo di smeraldo in quello di zaffiro. «Piangevo… per colpa di un sogno…» confessò, abbassando di nuovo gli occhi e fissandosi i piedi con innaturale interesse.
«Un sogno?» ripetè lui sconcertato.
«Te l’aveva detto che era una cosa stupida.» Alexis sorrise debolmente, stringendosi in una spalla. «Però… sembrava tutto così reale.» continuò, facendosi improvvisamente seria, mentre un’ombra le oscurava quegli occhi, solitamente scintillanti e allegri. Fissò lo sguardo nel camino lì vicino, dove scoppiettava vivida una calda fiamma. Blaise la fissò, curioso e preoccupato al tempo stesso. «Ero nel giardino e… all’improvviso si alzava un forte vento… e Hogwarts… era come abbandonata… e cercavo di raggiungerla, solo che c’era questa specie di… barriera, non mi permetteva di farlo.» cominciò a raccontare, fermandosi di tanto in tanto, mentre una nuova angoscia le attanagliava il cuore al ricordo. «E poi… quella voce…»
«Quale voce?» la interruppe Blaise, avvicinandolesi e prendendole una mano, per rassicurarla.
Alexis quasi non sembrò sentirlo e rimase con lo sguardo fisso sul fuoco. «Sembrava così vera, così reale… e mi chiamava… continuava a chiamarmi con insistenza… e poi, c’era una porta… e… quella voce maledetta continuava a chiamarmi da lì dietro e quando finalmente l’ho aperta, una luce bianca mi ha avvolto e ho avvertito… un dolore atroce. Era come se… fossi stata attraversata… da un migliaio di cristalli appuntiti».
Blaise le strinse di più la mano tra le sue, quando la vide cominciare a tremare.
Questa volta, Alexis sembrò sentirlo, perché si voltò lentamente verso di lui, gli occhi di nuovo lucidi. Respirò lentamente, prima di abbassare lo sguardo e concludere il racconto. «Poi, quando mi sono svegliata, ho sentito quella voce rimbombarmi nella testa e… continuava a ripetermi “Troppo presto… ma tornerò…”». Prima che potesse aggiungere altro, o che quelle lacrime riprendessero a scorrerle su quel visino d’angelo, Blaise la strinse di nuovo a sé, in un abbraccio protettivo e rassicurante.
«E’ tutto a posto ora, Alex. E’ stato solo uno stupido incubo, non c’è niente di reale in quelle parole. Sta’ tranquilla.» le sussurrò, accarezzandole la testa e cullandola.
Alexis sembrò tranquillizzarsi di nuovo e si accoccollò contro il suo petto, chiudendo gli occhi. «Grazie…»
 
*
 
Erano passati circa una decina di minuti, quando il muro in pietra della Sala Comune si aprì, scivolando su di un lato per lasciar entrare la figura elegante di Draco Lucius Malfoy. I capelli scompigliati, la camicia aperta sul petto bianco, la cravatta verde-argento allentata fecero scoppiare dei gridolini eccitati da parte delle ragazze del quarto anno, sebbeno fossero più grandi di lui. Blaise le guardò in tralice, mentre Draco ammiccava nella loro direzione, esaltandole in modo vergognoso. Avvistato l’amico, si diresse poi vicino al camino, stravaccandosi stanco su di una poltrona lì vicino. Zabini lo fissò impassibile, mentre lo sguardo argenteo percorreva la sua figura e notava la ragazza accoccolata sulle sue gambe. Il suo viso si fece duro per un momento, mentre contraeva la mascella e stringeva leggermente gli occhi. Eppure, a Blaise, quel particolare che durò meno di un secondo, non sfuggì, facendolo sogghignare.
«Non sapevo che mi tradissi con quella ragazzina: amico, mi deludi!» lo schernì Draco, una volta che fu in grado di riprendere il controllo delle proprie reazioni.
Non era scoppiato solo perché sapeva che Blaise non gli avrebbe mai fatto un torto simile e perché sapeva che tra lui e la sua piccola preda c’era solo un profondo legame di amicizia, quasi fraterna.
Eppure, sebbene fosse il suo migliore amico, non poteva che provare una fitta di gelosia, nel vederla così tranquilla tra le sue braccia. Era sicuro che, se al posto di Zabini ci fosse stato lui, Alexandra si sarebbe agitata, preoccupata che lui avesse potuto farle qualche scherzo.
Ma, in fondo, era colpa sua e del suo modo di fare.
Non riusciva mai a dirle una parola carina, né a farla sentire al sicuro. Anzi, molte volte gli sembrava che il suo pericolo più grande fosse proprio lui stesso.
E questo gli stringeva il cuore con una morsa dolorosa che si spargeva per tutto il petto.
«E’ molto meglio di te!» ribatté Blaise, con tono sagace.
Draco si finse sorpreso e alzò un fine sopracciglio. «Allora sono vere le voci di corridoio…» quasi cantilenò.
«Che voci?»
«Quelle che parlano della tua relazione sessuale con la Black!» ghignò divertito Draco, che lo stava evidentemente prendendo in giro. Se fosse stato vero, al posto del sorriso compiaciuto, Blaise Zabini avrebbe visto un bel pugno.
«Ma cresci un po’, Draco.» sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Comunque, se era stanca, perché non è andata nella sua stanza, invece di usare te come letto?» non riuscì ad esimersi dal chiedere Malfoy, colto di nuovo da una fitta di gelosia.
«Smettila di fare il geloso, coglione. Lo sai che non c’è niente tra me e lei».
«Geloso io? Di quella là? Tu stai dando i numeri.» replicò Draco, scuotendo il capo.
«Sì, certo. Ad ogni modo, si è addormentata senza alcuna previsione. Prima, mentre salivo per andare a cena, mi ha travolto, ed era a dir poco sconvolta. Piangeva e non la smetteva di tremare.» cominciò a spiegare Blaise, ma si interruppe, quando notò che l’espressione dell’amico si era fatta evidentemente più dura e tesa.
«Che le è successo?» si informò guardingo, i suoi occhi argentei scesero a fissarsi sul volto dormirente di Alexandra.
Zabini ghignò di quella reazione e ne fu compiaciuto per due motivi: il primo, era che lui, fortunatamente, non c’entrava nulla; il secondo che, ancora una volta, Malfoy si stava dimostrando interessato alla Black.
«Mi ha detto che era sconvolta per un sogno e per una voce che ha sentito dentro di esso, ma la cosa non mi convince molto.» ammise e Draco asserì, concordando con lui.
«Hai idea di cosa possa essere successo?»
«No, non ha voluto parlarmene».
Rimasero qualche minuto in silenzio e fu Blaise a riaprire la conversazione.
«Comunque, non mi è piaciuto per niente il tuo comportamento di oggi.» lo accusò lapidario, fissandolo con aria severa.
Questa volta fu il turno di Malfoy di sbuffare. «Oh, avanti Blaise! Non rompere! Volevo solo sfogarmi un po’ e Potter si è trovato casualmente sulla mia strada».
«Sì, proprio casualmente. Ed io sono un nato Babbano.» ribatté Blaise, storcendo il naso in una smorfia insieme infastidita e disgustata.
Draco non rispose, si limitò a mostrargli un sorrisone che ricordava quello del gatto del Chashire. Non gli andava proprio di subirsi una paternale da Blaise e, fortuna delle fortune, fu salvato in estremis da una bella rossa del quarto anno che, spinta dalle sue amiche, si era decisa ad avvicinarsi. Tossicchiò, per richiamare la sua attenzione, e Draco voltò lo sguardo per studiarla: era una ragazza non molto alta, magra, con le forme al punto giusto, che il maglioncino aderente e la corta gonnellina mettevano in evidenza; la lunga fiamma di capelli boccolosi le ricadevano su di una spalla, incorniciandole quel viso dalla carnagione rosea e gli occhi di ghiaccio; un naso leggermente appuntito, sovrastato da qualche lentigine, e una bella bocca carnosa, coperta da un pesante rossetto rosso, aperta in un sorriso, completavano la sua figura.
«Ehm… scusa Malfoy, potrei parlarti?» chiese con tono concupiscente, dando voce allo sguardo accesso, mentre un lieve rossore le colorava le gote.
Il ragazzo ghignò, alzandosi dalla poltrona. Aveva proprio voglia di parlare, quella sera, e un’occhiata alla sua piccola preda, comodamente appollottolata sulla gambe del suo migliore amico, tutta tranquilla, gliene diede la conferma. «Cert-» cominciò, lanciandole un’occhiata che valeva più di mille parole, mentre le ragazze, amiche della rossa, lanciavano, ancora una volta, gridolini eccitati.
Ma non riuscì a concludere la frase, perché Blaise lo interruppe. «Mi dispiace, ma il signor Malfoy è occupato al momento».
Draco si voltò a lanciargli un’occhiataccia di monito: se intendeva privarlo di una notte di sana conversazione, solo per fargli una romanzina, aveva capito proprio male.
Ma, quando si voltò, lo vide avvicinarsi con Alexandra in braccio. Un gesto fulmineo, e la piccola Serpeverde era tra le sue di braccia, che si accoccolava al suo petto e gli stringeva le braccia dietro il collo.
«Ma che…?» sussurrò Draco disorientato.
«Fatti perdonare.» sibilò di risposta Blaise, trafiggendolo con un’occhiata penetrante. Poi, si voltò verso la rossa che, sconvolta, guardava la scena, accompagnata dal ringhiare basso delle sue amiche. «Hai visto?» sorrise improvvisamente bonario Zabini. «Per questa notte niente chiacchiere.» la congedò con una pacca sulla spalla, mentre, stiracchiandosi stanco, entrava nel dormitorio maschile, non prima di aver rifilato un’ulteriore occhiata a Malfoy.
La rossa tornò dalle sue amiche, sbalordita e con un diavolo per capello, e si mise a borbottare con quelle, che cominciarono a lanciare occhiate di fuoco al Principe di Serpeverde.
No, aspetta. Ora che lo notava, le occhiatacce omicide non erano per lui.
Erano per la piccola ragazza che teneva tra le braccia e che si stringeva contro di lui, affettuosa.
Il suo sguardo si fece cattivo e lanciò un’occhiata agghiacciante al gruppetto, che smise improvvisamente di parlare, spaventato.
Malfoy voltò loro le spalle, stringendo di più a sé la sua piccola preda, ed entrò nel dormitorio femminile.
Sbagliò più di una volta stanza, ritrovandosi sommerso da gridolini eccitati e urletti isterici come “Draco Malfoy è entrato nella nostra stanza!WOW!”, o da cuscinate in pieno viso.
Questa volta, Blaise non l’avrebbe passata liscia! Altro che farsi perdonare!
Percorrendo il corridoio, alla disperata ricerca della stanza giusta, si fermò più volte ad osservare Alexandra e a chiedersi come facesse a non svegliarsi, con tutto quel baccano. Certo però che, a guardarla ora, era ancora più carina del solito, ma si avvertiva la mancanza di quello sguardo di smeraldo che riusciva ad incantarlo. La strinse di più a sé, protettivo, come se dovesse difenderla da qualcosa che, per una volta, non era lui stesso e, per tutta risposta, lei gli strinse di più le braccia attorno al collo, come a comunicargli che si sentiva al sicuro, seppur inconsciamente.
A quel pensiero, un caldo bruciore piacevole gli accarezzò il petto, mentre sorpassava la porta ben conosciuta della stanza di Pansy Parkinson.
Augurandosi di beccare la camera giusta, abbassò la maniglia di un’altra porta, avvolta nel buio. Strinse gli occhi, cercando di abituarsi alla mancanza di luce, e, quando scorse due letti, di cui solo uno occupato, capì di aver finalmente azzeccato stanza. Si chiuse piano la porta alle spalle, per evitare di svegliare Diamond, che se la dormiva alla grande nel suo letto, solo la folta chioma bionda che spuntava dalle coperte. A confermagli che quella era la sua stanza, fu la cartella tracolla in jeans, che la Black portava sempre con sé.
Si avvicinò a passo felpato al letto e, stringendola a sé con un solo braccio, scostò le coperte.
Ma guarda tu cos’era costretto a fare!
La adagiò sul materasso, con gentilezza, per non svegliarla.
La sentì solo mugugnare e poi rilassare la testa su di un lato, mentre alcune ciocche di capelli corvini le ricadevano sullo sguardo. Le levò le scarpe e la coprì. Poi restò a guardarla, affascinato.
Una piccola luce lunare, magica, dal momento che nei sotterranei non arrivava alcuna illuminazione naturale, le baciava il viso, lasciandolo risplendere di dolcezza.
La vide corrugare la fronte e cominciare a mugolare, agitata.
Che stesse facendo quel sogno di cui parlava Blaise?
Senza controllo, la sua mano si mosse a sfiorarle il viso, con delicatezza, togliendole le ciocche dal viso, una carezza dopo l’altra e, quando si accorse che, non appena l’aveva toccata, il suo viso si era di nuovo rilassato, avvertì una nuova fitta scaldargli il cuore.
Era bastato un freddo tocco delle sue dita per farla tranquillizzare.
Ancora una volta, sentiva che stava per perdere il controllo delle sue azioni. La schiena si piegò lentamente, fino a che il suo viso si ritrovò ad un centimetro da quello della piccola Black. Le loro labbra, ancora una volta, lasciarono unire due respiri, uno caldo e dal sapore di albicocca, l’altro gelido e dal sapore di pioggia. Socchiuse gli occhi lentamente e si avvicinò, per eliminare la minima distanza tra le loro bocche.
All’improvviso, sentì un chiaro rimbombare di qualcosa che picchiava contro una dura superficie. Come una boccino d’oro impazzito, che continuava a colpire un muro, con velocità.
Si ritrasse di scatto, guardandosi intorno, guardingo e spaventato.
E, quando capì che il rumore proveniva dal proprio petto, Draco Malfoy fu ancora più terrorizzato.
Aveva il respiro corto, come se avesse corso per un miglio senza mai fermarmi, e delle goccie di sudore freddo gli procuravano brividi lungo tutta la schiena.
Cos’era quella improvvisa sensazione di benessere?
Quell’improvviso desiderio di stringerla a sé, senza volere nient’altro?
Che diavolo gli stava succedendo?
Arretrò, spaventato da se stesso, e poi si precipitò fuori dalla stanza.
Che Blaise avesse ragione?
Il cuore, che gli martellava nel petto, sembrava volerglielo confermare.
 
   
 
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