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Autore: Porsche    24/08/2015    1 recensioni
"Ok, ti dirò quello che ho capito di te dopo la discussione con tua madre. Ma se ci azzecco, allora devi essere sincera e dirmelo, d'accordo?".
Feci cenno di si con la testa, curiosa di sapere che cosa avrebbe detto riguardo la sottoscritta.
"Ho capito che sei una persona introversa, che difende il suo mondo interiore attraverso una corazza. Che preferisce restare nell'ombra, invisibile agli occhi degli altri, come se fossi soltanto anima e non corpo. Che non ha dei sogni nel cassetto per cui impiegare tutte le proprie forze, ma che si lascia trasportare dalla vita, come se non le appartenesse... E credo... di aver intravisto una ferita di molti anni fa che la corazza non è riuscita a rimarginare, ma che è ancora lì, ad attendere di essere guarita".
Non mi girai a guardarlo nemmeno una volta.
Ero stata sconfitta e ciò era umiliante.
Ma quello che volevo nascondere erano le lacrime che continuavano a scendere senza che niente e nessuno potesse fermarle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dietro ad un sorriso

Capitolo 4 – Lonely People

Part 3/3

 

 

 

È strano come il cervello umano riesca a formulare mille pensieri e progettare altrettante congetture in quello che potrebbe essere considerato davvero un piccolissimo spazio di tempo, come un millesimo di secondo.
L’abbraccio tra Michael e Katy si era sciolto nell’arco di qualche battito di ciglia, eppure io ero caduta in un vortice di emozioni e strane sensazioni difficili sia da decifrare per la loro complessità sia da elencare tutte senza rischiare di tralasciarne qualcuna.
La dolcezza di quell’immagine aveva avuto la stessa forza di uno schiaffo, ne portavo ancora i segni sul viso.
Ero addirittura riuscita ad andare indietro nel tempo, quando a 4 anni ero io ad essere stretta in quel modo da un uomo con gli stessi occhi scuri e grandi, che io chiamavo “papà”.
Non so perché mi venne in mente proprio quella scena, forse ci avevo trovato lo stesso livello di amore o forse la mia mente mi giocava brutti scherzi.
Ormai non sapevo più cosa pensare. Cominciavo a pentirmi di essere andata a quella benedetta festa.
Ancora con gli occhi distolti, sentii distrattamente la voce di Michael suggerire a Katy quanto fosse stata brava ad interpretare il suo personaggio nello spettacolo.
Cercai di riportare l’attenzione sulla scena che avevo di fronte.
La timidezza di Katy sembrava essersi dissolta nel nulla, era tornata ad essere la bambina testarda e coraggiosa che avevo imparato a conoscere e ad amare.
Sorrisi nel vederla finalmente ridere.
   << Tutto bene signorina? >>.
Mi girai in direzione di quel suono, non senza fare un piccolo saltello dalla sorpresa.
Il bodyguard di Michael si trovava al mio fianco, occhi puntati dritti nei miei, il capo leggermente piegato.
Da dove era saltato fuori? Sembrava avesse agito furtivamente perché non mi ero proprio accorta di nulla, ma la colpa doveva essere soltanto mia. In fondo, ero tornata in me solo qualche secondo prima.
   << Si, tutto bene. Perché? >>, chiesi, sulla difensiva.
   << Sembrava sovrappensiero ed anche turbata. Credevo stesse male >>.
Riflettei un attimo su quelle parole prima di rispondere. Non ci vedevo nulla di male in quell’interessamento, per cui tornai ad essere serena.
   << In effetti ero sovrappensiero. E parecchio direi. Ma sto bene, non si preoccupi >>, sorrisi del tutto sincera.
   << Oh bene. Comunque, mi scusi per non essermi presentato prima. Sono Bill >>.
Allungò la mano aspettando la mia. Gliela strinsi, cordiale ma anche rilassata, non scorgevo nessuna mal intenzione in quell’omone. Sembrava uno di quei personaggi che si vedono nei film, quelli che sono costretti a fare la parte dei duri esclusivamente a causa della loro stazza, ma che in verità è un ruolo che non ricoprono nella vita reale.
   << Salve Bill, io sono Isabella >>.
   << Lo so >>, disse ridendo.
   << Lo sa? E come? >>, chiesi, stupita.
   << Sua madre oggi non ha smesso di parlare di lei a Michael, ed io, standogli vicino visto che sono la sua guardia del corpo, ho sentito tutto >>, concluse a trentadue denti.
Oh, ma certo. Mia madre.

Giuro che se ha detto qualcosa che …

   << Non faccia quell’espressione >>, disse divertito. << Mi creda, non ha detto nulla di cui si debba preoccupare, anzi >>.
E invece no. Quando c’era di mezzo mia madre, c’era sempre qualcosa di cui mi dovevo preoccupare. Volente o nolente, quella donna era capace di catastrofi a livello globale. Non a caso il suo livello di pericolosità era inversamente proporzionato alla sua statura.  Ci trovavamo di fronte ad un’arma letale.
   << Non saprei, la conosco troppo bene per starmene tranquilla >>, dissi, visibilmente preoccupata.
   << Chi è che conosci troppo bene? >>.

Parli del diavolo …

La testa di mia madre fece capolino al di sopra della mia spalla, raggiante come solo lei poteva essere. Mi guardava come se sapesse già ogni cosa, come se lei avesse la risposta per ogni dilemma e il suo chiedere fosse solo un tentativo per rompere il ghiaccio.
Alternai gli occhi da lei a Bill, alla ricerca di una qualche fonte di ispirazione per architettare una bugia plausibile all’ultimo momento.
L’aiuto arrivò inaspettato, ma non per questo meno apprezzato.
   << Beth! >>, esordì una voce sottile.
   << Michael! Lascia che ti faccia i miei complimenti per il bellissimo discorso di poco fa. Come sempre sei di grande ispirazione sia per i grandi che per i piccoli, e grazie di cuore per la donazione. È il gesto più importante e significativo che questo orfanotrofio abbia mai ricevuto da un’unica persona. Grazie davvero >>.
Una volta finito di parlare si avvicinò a Jackson e lo abbracciò forte, non solo come fosse una fan, cosa che effettivamente era, ma soprattutto per esprimergli semplicemente tutta la sua gratitudine.
Mi ritrovai a sorridere nel guardarla abbracciare quello che poteva considerarsi il suo più grande idolo. Ero quasi certa che se fosse stata più giovane avrebbe cercato di sedurlo, tanto era perfetto ai suoi occhi.

Oddio, Michael Jackson come patrigno …

Sgranai gli occhi e risi apertamente, coprendomi subito dopo la bocca con una mano. Mi scusai imbarazzata con i presenti, intenti a guardarmi stranamente e riposi da parte qualsiasi pensiero surreale.
Sciolto l’abbraccio, Michael si girò verso noi ed altre persone che nel frattempo ci avevano raggiunto.
   << Per quanto strano possa sembrare, sono io che vi ringrazio di cuore. Stasera il più bel regalo l’ho ricevuto io stesso. Questo è il primo Natale che festeggio >>, disse piano, come imbarazzato, ma sorridendo di un’emozione che sembrava pronta per esplodere, tanto era potente.
Non parlò nessuno in quel momento, o almeno così parve alle mie orecchie.
In quell’istante capii parte di quella nota malinconica che avevo scorto qualche ora prima, e perché mentre parlavo della mia giornata di Natale i suoi occhi erano talmente interessati.
Per lui si trattava solo di un’idea, un’immaginazione, niente che realmente avesse vissuto.
Quando arrivai alla conclusione di quel pensiero, mi resi conto che il silenzio era da tempo stato spezzato da coloro che ora circondavano Michael propinandogli quante più domande riuscissero a formulargli.
Gli occhi di tutti, compresi i miei, erano puntati su di lui, che in quel momento sembrava essere diventato un essere a due teste, lontano da ogni comprensione umana, giudicato nella sua diversità.
Mi diedero fastidio quegli occhi indagatori, mi sembravano troppo giudiziosi e insistenti. E le domande martellanti non facevano che aumentare la tensione in quel viso delineato, accentuando il guizzo malinconico di cui si nutrivano le iridi castane.
Frustrata, mi decisi a zittire tutti.
   << Mamma mia, io sto morendo di fame, e voi? >>, quasi urlai.
Scatenai qualche risolino divertito e ci fu un’approvazione generale, in men che non si dica la maggior parte della folla si disperse davanti il lungo tavolo da buffet, portandosi dietro l’imbarazzo dal viso di Michael.
Sospirai come se io stessa mi fossi tolta un peso e accolsi il ringraziamento subliminale che lo sguardo di Michael mi rivolse, prima di essere trascinato via da Katy e altri bambini. Era riconoscente e sollevato.
Anche se nemmeno io sapevo bene perché lo avessi fatto, mi sentii allo stesso modo più serena. Non ero mai stata in confidenza con l’attenzione in generale, soprattutto quando non era per nulla desiderata né richiesta. E poi mi sembrava di stare ad indagare troppo a fondo nella vita privata di qualcun altro, avevo avuto l’impressione che gli stessimo facendo del male, noi e i nostri occhi.

Il resto della serata che seguì fu un susseguirsi di eventi tradizionali che venivano riproposti anno dopo anno. Presi parte come meglio potevo alle varie usanze, cercai di rimanere neutrale e concentrata, di impegnare la mente aiutando dove c’era bisogno, o semplicemente fermandomi a parlare di cose frivole con gli invitati, ma mi sembrava tutto inutile. Non facevo che ripercorrere i vari momenti di quella giornata, allo stesso modo di come si vedeva un film. Schiacciavo pausa quando ero arrivata ad una scena particolarmente intensa, e il cervello si fermava a riflettere, non volendone sapere di far scorrere le immagini.

Decisi fosse arrivato il momento di prendere una boccata d’aria, se non altro per raccogliere i pezzi di quella giornata e trovare un modo per non lasciarli ulteriormente ronzarmi in testa. 
Uscii dalla porta secondaria per non correre il rischio di trovarmi di fronte quell’orda schiamazzante di fan. Non avevo però fatto i conti con l’aria gelida di una notte d’inverno, il cui vento, seppur leggero, aveva la capacità di pungere la pelle come una moltitudine di aghi.
Chiusi bene il cappotto, avvolgendomi la parte alta intorno al collo, premurosa di non lasciarmi ammalare, visto che la maggior parte delle volte mi riusciva piuttosto bene. Trovai un angolo appartato dove appoggiare la schiena, abbastanza al riparo dallo sferzare del vento e rimasi lì, immobile, cercando di scovare una stella, una di quelle che d’inverno coraggiose sfidano il cielo terso e la loro luce si impone al buio della notte.
Seppure il buio non fosse più mio amico da molto tempo, amavo ancora la notte perché portava con sé le luci migliori.
C’erano molte stelle quella sera, per mia fortuna. Alla sola vista riuscii a rilassarmi, resettare la mente e bearmi di ciò che quel palcoscenico illuminato aveva da offrire.
Ad essere sincera era un mero tentativo di impegnare la mente, uno dei più banali anche, ma stava avendo i suoi frutti.
Se non che …

Prima ancora che me ne rendessi conto, il mio inconscio aveva alzato le barriere, allarmato, provocando l’incedere martellante dei battiti del cuore.
Nello stesso attimo in cui sentii quei colpi nel petto, avvertii il rumore cadenzato di passi lenti calpestare l’erba bagnata.
Trattenni il fiato, pregando di ritrovarmi davanti un viso familiare.
E, stranamente, così lo reputai.
Michael aveva un’espressione furbesca, di chi era appena diventato l’artefice di qualche marachella e una volta fuggito poteva finalmente godersi l’audacia delle sue gesta.
Ma cambiò non appena mi vide in viso, sgranando impercettibilmente gli occhi e schiudendo la bocca, prima tesa a formare un ghigno.
   << Isabella, tutto bene? >>, chiese forte e deciso.
Deglutii e presi un bel respiro. Dal di fuori dovevo essere sembrata parecchio agitata.
   << Si >>. La voce uscì roca, avvolta dalla paura che prima aveva saputo come prendere il controllo delle mie emozioni, ancora una volta.
   << Scusami, non volevo spaventarti >>.
Scossi la testa, se non altro per non aprire di nuovo bocca, ma quando vidi tornare a far capolino l’espressione birichina di poco prima, mi sentii costretta a muovere le labbra.
   << Che ci fai qui fuori? >>.
Si avvicinò di qualche passo, e solo allora mi accorsi di un pacchetto incartato in quello che sembrava essere un modo sbrigativo, tenuto insieme dalle sue mani.
   << Pensavo di farti compagnia. Ero andato in bagno, quando da quella finestra – alzò una mano per indicare la suddetta – ti ho vista qui da sola. Sono corso in sala, ho preso due pezzi di torta e me la sono svignata di nascosto >>, concluse, trionfante.
   << Sicuro che nessuno ti abbia visto? Nemmeno Bill? >>.
   << Bill sa fare molto bene il suo lavoro, ma io col tempo ho affinato la mia tecnica di fuggitivo >>, rise, ed io con lui.
Srotolò la carta che teneva tra le mani e mise in bella vista tutta la refurtiva che aveva portato con sé.
   << Tieni. Devi provare questa torta, è divina! Non avevo mai assaggiato l’accostamento mele e cocco, non sapevo nemmeno che potessero coesistere nella stessa torta, e invece mi sono dovuto ricredere. Ne ho già mangiati due pezzi >>.
Mi porse davanti agli occhi la protagonista di tanto clamore, quella che sembrava essere, da come ne aveva parlato, la torta più buona del mondo.
La mia.
Mi piegai in due, liberando la risata che era nata in me.
La situazione aveva un ché di surreale, mi sembrava di essere stata vittima di una candid camera e che da qualche parte qualcuno stesse ridendo del suo stesso scherzo. E invece era tutto reale, Michael aveva portato proprio la mia torta ed ora mi guardava con un sopracciglio alzato, confuso ma divertito.
Presi una fetta di torta e lo invitai a fare altrettanto con l’altra.
   << Sei molto gentile, riferirò alla cuoca i tuoi complimenti >>, dissi, prima di addentare un pezzo.
   << Aspetta … - rimase a guardarmi, mentre io me la ridevo sotto i baffi – l’hai fatta tu, non è vero? La torta è tua >>.
Sorrisi e annuii brevemente. Mise una mano davanti agli occhi e girò il viso da tutt’altra parte.
   << Non posso crederci, che figura! >>.
Ridemmo entrambi di quel momento buffo, mi servì per spezzare la tensione, non ancora sciolta dai muscoli del corpo.
   << Un giorno dovrai darmi la ricetta >>.
Aveva le sembianze di una promessa, non di una frase buttata lì da una Star.
   << È una ricetta segreta, mi spiace. Me l’ha tramandata mio padre ed io la tramanderò solo ai miei figli >>.
Non se la prese, anzi sorrise, con gli occhi e la bocca, guardandomi pensieroso dall’alto di quei pochi centimetri d’altezza che ci separavano.
Mangiammo in silenzio, in piedi una di fianco all’altro, infreddoliti e con il vento gelido che non aveva smesso un solo istante di soffiare, sempre più avido e arrabbiato nel colpire tutti i corpi animati e non, che ostacolavano il suo passaggio.
Michael aveva tenuto la testa alzata tutto il tempo, contemplando il fascino del cielo o forse immerso nei suoi stessi pensieri. Io invece lo guardavo di sottecchi, come presa da un’improvvisa esigenza di comprendere l’uomo al mio fianco e il suo strano modo d’essere, così fuori dal comune, così delicato.
Io e la delicatezza facevamo a pugni il più delle volte. Faticavo a trovarne anche un solo briciolo nelle persone, e quando poi me la ritrovavo davanti fuggivo via, disabituata a parole o gesti delicati. In verità, la paura era quella di essere “letta”, poiché solo chi possiede un animo sensibile è capace di vedere oltre, ma io mi nascondevo dietro il falso pensiero che scontrarsi contro la cruda realtà, contro l’arroganza di tutti i giorni era molto più facile per chi ogni giorno era costretto ad indossare una maschera come me.
La brutalità è un atteggiamento che ti permette di attaccare a tua volta, la sensibilità invece ti costringe ad abbassare la testa e a buttare le armi.

   << Quando è morto tuo padre? >>, chiese all’improvviso, senza dare un minimo di preavviso o lasciare un piccolo indizio.
Abbassai il capo, chiedendomi se valesse o meno la pena rispondere.
Non era un argomento che volevo affrontare, si scontrava troppo con ciò che ero diventata da qualche anno. Parlare di mio padre era causa di un’angoscia istantanea, di una consapevolezza che si presentava quando mi accorgevo per l’ennesima volta che non l’avrei più rivisto, che c’era stato ma che non c’era più e più ci sarebbe stato.
Avevo uno strano modo di affrontare il dolore, io. Quando me lo ritrovavo di fronte, invece di osservarlo, analizzarlo e lasciarlo confluire in me per comprenderlo e trovare un modo per andare avanti, gli voltavo le spalle testarda, risoluta nel non voler condividere il mio mondo con cose più grandi di me, come la morte di una persona cara.
Ancora adesso, parlarne mi costava caro. Preferivo pensare che non fosse mai successo, e che in fondo, non importasse poi tanto. Lasciare questi pensieri nella mia testa mi aiutava a non guardare negli occhi il dolore, perché dar loro voce significava parlare con il dolore stesso, dargli modo di esprimersi e di infiltrarsi in me, sbattendomi in faccia la realtà.
Ero quindi pronta a sviare quel discorso, a comportarmi dalla codarda che ero, ma le parole che uscirono sembrarono avere vita propria.
   << È successo il 13 aprile di diciotto anni fa. Io avevo all’incirca 7 anni >>.
Avevo sputato fuori quelle parole il più velocemente possibile, in modo da non lasciare il tempo al cervello di cambiare intenzione e tornare in modalità difesa. Sorprendentemente il tono era calmo e sereno, come il sole di inizio primavera, timido e un po’ fuori forma dopo essere stato tanto tempo in letargo.
   << Mio Dio, eri piccolissima >>, commentò aggrottando le sopracciglia.
   << Vero, ero solo una bambina >>.
   << Di cosa è morto? >>.
   << Oh, il termine scientifico sembra essere Leucemia mieloide acuta … ma questo l’ho imparato solo da qualche anno. Non mi è mai importato realmente di dare un nome alla malattia. Sapevo solo che qualcosa di cattivo stava facendo del male a mio padre e che quel qualcosa gli stava togliendo tutta la sua dignità – respirai, prima di continuare, bloccata da un improvviso macigno al petto - L’ho odiato! Avrei voluto affrontarlo faccia a faccia, intimargli di lasciar stare mio padre, ma combattere senza avere un avversario di fronte non ti farà mai vincere la partita. Per tanto tempo ho tirato pugni a vuoto, e alla fine, ho perso l’incontro >>.
Chiusi qualche attimo gli occhi, concentrandomi per rimanere controllata.
Dicono che basta poco per crollare, ma di solito a me bastava un niente.
   << Non c’era nulla che tu potessi fare realmente Isabella. Ma hai combattuto per lui, sei stata tenace per lui, e questo deve avergli dato molta forza fino all’ultimo istante della sua vita >>.
Era un pensiero quello che aveva lo stesso effetto di un balsamo lenitivo. 
   << Sono addolorato per la tua perdita. Eri troppo piccola. In tutto questo periodo deve esserti mancato molto >>.
   << Ci si abitua a tutto, Michael. Il tempo sa essere paziente con chi ha bisogno di guarire, alla fine lenisce qualsiasi dolore >>, risposi, atona.
   << Hai ragione – tornò a guardare davanti a sé, la voce divenuta flebile - è così che funziona. Purtroppo però, tu non sembri né abituata né guarita >>.
Strinsi i pugni, all’improvviso timorosa di uscire allo scoperto. Perché me lo diceva? Perché ciò che provavo doveva essere così tangibile solo a lui? Forse aveva qualche strano potere nascosto, forse riusciva ad intravedere al di là della facciata superficiale di chiunque, a scorgere ciò che si trovava nel profondo. O forse ero io che stavo abbassando le difese, che permettevo di far vedere oltre, di mettere a nudo qualsiasi cicatrice, stanca di quella serata troppo impegnativa a livello emotivo. 
Sentii l’impulso di coprirmi gli occhi con le mani, vergognosa di quello che mostravo, ma mi trattenni.
   << Lo ammetto, è vero, dentro di me sento ancora che avrei potuto fare di più, che sarebbe potuta andare diversamente. E che mi manca, molto … - dissi a fatica – Ma sono anche consapevole che se mi ci fermo a pensare torno ad essere la bambina di 7 anni che piangeva in ospedale, ed io non posso permettermelo, Michael, non adesso che ho altro su cui concentrarmi >>.

Altri dolori da nascondere.

Lo sentii annuire lentamente, come chi rimane sovrappensiero e non è più in pieno contatto con la realtà, ma con ciò che gli circola in testa.
Di sicuro, quella volta non avevo nascosto nulla, nulla che potesse trovarsi al riparo dentro la mia corazza. Alcune parti erano state lasciate libere apposta, alla mercé di un uomo che insisteva nel voler abbattere qualsiasi muro gli si ponesse sulla strada.
   << Concentrarsi su altro fa bene, lo so perché è una tecnica che uso anch’io - disse, qualche istante dopo – Vedi, a volte è l’unica cosa da fare, la più facile se vogliamo dirla tutta. Per quanto triste possa sembrare, ognuno ha i suoi problemi nel mondo, sono pochi quelli che li affrontano, molti preferiscono nascondersi >>.
Non gli dissi quanto avesse ragione dato che io per prima facevo parte dell'ultima categoria.
   << Tu dove ti nascondi? >>, chiese dopo un po’.
Aveva un tono che mi costrinse a girarmi. Non c'era accusa nei suoi occhi, anzi, era per la prima volta dopo quel lungo discorso, emozionato e curioso di scoprire qualcosa di nuovo e di importante, a giudicare dall'intensità dello sguardo.
Sorrisi inavvertitamente, posando l'attenzione sulle luci del cielo.
   << Dietro la lettura di un buon libro. Credo che le parole siano l’arte più preziosa e i libri lo strumento capace di rievocare e a volte addirittura creare immagini ed emozioni dal solo utilizzo di una parola o una frase ben formulata. Sono una via di fuga, un universo parallelo al nostro, inviolabile perché segreto ed intimo. È la solitudine di una compagna silenziosa che cura l’anima >>.
Mi rigirai verso di lui e lo trovai a guardarmi con il suo perenne sorriso sul volto. L’ombra di una qualche forma di emozione, forse l’empatia, a posarsi sul viso.

Chissà se anche lui è uno di quelli che si nascondono.

   << E tu ... tu anche ti nascondi? >>, azzardai, sentendomi subito dopo una stupida.
Lo guardai attentamente per osservare ogni sua reazione.
Mi sembrò di vederlo vacillare un attimo prima che la sua solita aria serena tornasse a far capolino sul suo viso.
Tuttavia non riuscii a scrollarmi di dosso la sensazione di aver oltrepassato un confine che doveva rimanere invalicato.
Mi sentii molto invadente, nonostante fosse stato lui il primo ad introdurre quell'argomento, spingendo il discorso in ambiti personali.
Come previsto non rispose, si limitò a sorridermi, forse indeciso se, per una volta, lasciare andare se stesso.

In preda alla più grande impazienza che avessi mai sperimentato, aspettavo di vederlo aprire bocca, di sentire quelle poche parole che, avevo come l’impressione, sarebbero state un tassello importante per spiegare il complesso puzzle che era quell’uomo.
E nel momento in cui stavo perdendo le speranze vidi schiudergli le labbra, lo sguardo più sereno, come avesse combattuto una grande battaglia e ne fosse uscito vincitore.
   << D… >>.
   << Michael! Eccoti, ti ho cercato dappertutto! >>.
Bill ci raggiunse con la stessa ferocia che la sua imponente mole era in grado di mostrare.
Michael si alzò all’istante. Avrei voluto vedere la sua espressione ma ciò non mi fu concesso perché mi diede le spalle ed io mi ritrovai a pensare che forse quel puzzle non sarei mai riuscita a completarlo. Non mi chiesi perché ne sentii il bisogno, preferii non farlo.
Tornammo insieme alla sala principale dove Jay era pronto ad intrattenere i bambini con il suo costume da Babbo Natale.

Michael era tornato a sorridere come se nulla fosse successo e la cosa mi infastidì parecchio.
Avevo rivelato molto di me stessa, più di quanto avessi mai fatto con estranei, e l’ultimo discorso era rimasto in un angolo piuttosto attivo della mia mente, esposto fin troppo da non lasciare spazio ad altri pensieri di intrufolarsi e permettermi di distrarmi.
Fu così per quasi tutta la serata, fino a quando, finito ogni spettacolo, incrociammo gli occhi e i suoi sembravano volessero rivelarmi qualcosa di segreto che non riuscii a comprendere, né trovai un qualche indizio nel sorriso che mi rivolse.
Tuttavia, il nero di quello sguardo mi parve più scuro del solito, e il sorriso, solitamente aperto a distendergli in pieno le labbra, adesso soltanto accennato, fermato da qualche forza invisibile che lo rendeva spento e in costante conflitto con se stesso.

 


*Spazio autrice:

Ci ho messo una vita a finire questo capitolo, ne sono a corrente.
E purtroppo devo dire che sarà così anche per i prossimi capitoli, non credo che riuscirò ad aggiornare con una certa regolarità a causa di impegni lavorativi che mi tolgono quel poco tempo libero che ho.
Mi sembrava giusto informarvi di ciò.
Per il resto, buona lettura e un bacio a tutti.
Martina <3

  
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