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Autore: Comatose_    25/08/2015    1 recensioni
Qualche tempo dopo, rintanata in casa da quell’avvenimento, decisi che il momento di riprovare quella scuola era arrivato. Dopo aver passato un periodo di stallo tra la vegetazione e la voglia di morire, giustamente pensavo fosse giunto il momento di arricchire il mio curriculum vitae e far sì che nelle possibili opportunità lavorative che mi si sarebbero presentate, non sarebbe in alcun modo uscita la voce “mantenuta, scansafatiche e nullafacente a tempo pieno”.
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Dopo anni ho deciso di ripubblicare una fanfiction, da un altro account, con pochi capitoli, magari scritta male BUT WHO CARES.
Hope you like it, people!
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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[1]
Normal day for normal people in a normal school. Or not?




“EHI. EEEEEEEEEEHI.”
Saltai in piedi, urlando un sonoro: “CI SONO, LO GIURO.”
“E quindi tu sei quella nuova? Tu sei quella che mi ha rubato la scena!”, urlava ancora.
Un tipetto coi capelli azzurri, vestito da clown e molto incazzato mi fissava truce. Dietro di lui, silenziosa e sorridente, c’era la ragazza del market.
Sorrisi ad entrambi.
“Beh, non era mia intenzione.”
L’azzurrino parve sorpreso, ma poi riprese la sua parte da super-boss.
“Che non si ripeta! Qui me la comando io!”, disse indicandosi. Urlava, ed io non ho mai sopportato chi urla.
Cercai di cambiare argomento, anche per farlo stare zitto.
“Sono Catherine.” E gli porsi la mano. Lui la snobbò e, continuando ad urlare, disse “Io sono Black Star, il più forte fra gli Dei!”
Fui io ad ignorare lui e guardai la ragazza.
“Io sono T-tsubaki.”, mi salutò con la mano ed io le sorrisi.
“Almeno  c’è qualcuno che sembra sano!”, esclamai ridendo. Lei rise con me.
Mi propose di andare con loro e di conoscere il resto del gruppo, così li seguii. Ero in quella città da meno di un giorno e già conoscevo delle persone, era un record. Ma ne ero felice.
Più che altro, conoscendo il resto del gruppo, fu abbastanza facile ricordare perché mi piaceva starmene per i fatti miei. Erano casinisti, troppo casinisti per i miei gusti. Ridevano, schiamazzavano, si picchiavano con libroni ed urlavano.
La confusione mi ha sempre dato sui nervi.
Provai svariate volte a liberarmi di loro, nel corso delle due ore passate assieme, ma in un modo o in un altro riuscivano ad incastrarmi lì. Poi, esausta, decisi di fumare, mandando a quel paese tutti i propositi sulla buona intenzione che avrei dovuto/voluto dare agli altri.
Presi il tabacco, le cartine ed i filtri e rollai, sotto lo sguardo curioso di alcuni di loro.
Specialmente di una delle tre biondine. Tipo quella tettona, bassa e con la pancia scoperta. Mi chiese cosa stessi facendo e, con nonchalance, accesi il drum e la guardai negli occhi.
“Fumo”, dissi guardando la brace della sigaretta.
“Uooooohhh, ed è divertente?”, chiese con un’innocenza quasi surreale.
“Beh, no”
“E perché lo fai se non è diverteeente?”, domandò, invadente.
Effettivamente non c’avevo mai pensato. Fumare mi è sempre stato indifferente, e probabilmente avevo iniziato per seguire una moda impostami dal gruppo con cui uscivo nella mia città. Ma andava bene così, e quindi preferii alzare le spalle e sorriderle.
“CHE SCHIFO!”, urlò Maka, mi pare. “Il fumo fa male, puzza ed è cancerogeno per chi ti sta intorno!”
Già non la sopportavo, e conoscendola da una cosa come due ore e tre minuti, la cosa aveva dell’incredibile.
“Che peccato!”, esclamai sorridendo. “Tranquilla, ti ci abituerai!”.
Era come se l’avessi sfidata, e la cosa effettivamente non le piacque.
Si sedette sulla panchina, prese un libro e si estraniò dal gruppo, quasi fosse per ripicca. Risi.
“Fa sempre così, fra un po’ ti sembrerà quasi normale.”
Guardai il ragazzo albino, gli rivolsi lo stesso sguardo complice e lui ghignò, per poi andarsi a sedere vicino alla ragazzina magra ed imbronciata.
Finito il mio drum, infilai le cuffie nelle orecchie, esasperata.
Mi alzai da terra, e chiaro e tondo dissi agli altri che sarei tornata a casa, dato che ero stanca, affamata e tremendamente sudaticcia e puzzolente.
A ritmo di Feel Good Drag, tornai a casa.
E la prima cosa che feci fu tuffarmi nella vasca da bagno, per poi addormentarmici inesorabilmente dentro.
E così si concluse la mia prima, fantastica giornata a Death City.
Direi che come inizio della mia carriera da maestra d’armi, fu abbastanza penoso.
Ma vabbè.






Death City, Arizona, 2009

“OOOOOOHH SVEGLIA”
Saltai dalla vasca da bagno, ricadendoci dentro e bevendo un’ingente quantità d’acqua.
“OMMIODDIO”, gridai, tossendo e sbraitando vari insulti/parole non comprensibili agli umani.
“Eh, finalmente sei sveglia. Eh.”, l’individuo posò le mani sui fianchi, guardandomi con alterazione. “Aspetto di poter usare il bagno da ieri sera, ma a quanto pare a qualcuno piace addormentarsi in vasca.”
“Oh, ti chiedo scu…”
Poi ragionai su cosa stesse succedendo.
Chi cazzo era quell’individuo? Perché era nel mio bagno e perché NON ERA USCITO, VEDENDOMI NUDA?
“MA CHI CAZZO SEI TU.”
Sbraitai, coprendomi alla bell’è meglio con un accappatoio. Sì, lo trascinai nella vasca, bagnandolo completamente.
Il mio interlocutore parve scocciato.
“Il tuo coinquilino.”, si voltò. “Adesso copriti ed esci, per cortesia.”
Coinquilino? Ma c’era solo una camera in casa.
Domandai.
“No, ce ne sono due. Sei tu a non aver guardato nel corridoio, oltre al bagno ci sono due porte. Altre due stanze. Una mia, ed una dell’altro coinquilino.”
Era un soggetto stoico, che andava dritto al sodo e non perdeva tempo. Mi piacque subito.
Senza fiatare, misi l’accappatoio fradicio ed uscii, facendogli un cenno con la mano che lui ricambiò.
Fui davvero così stupida da non notare altre due porte?
Non posso rispondere, perché ora come ora nemmeno io ne sono certa. Ma posso assicurarvi che lì, oltre al bagno, non c’era alcun corridoio.
Dopo essermi asciugata i capelli e vestita –fortunatamente non sono mai stata una di quelle ragazze tutte “ommioddio come mi vesto oggi”, uscii di casa.
Pensai a fondo alla questione “coinquilini”, avviandomi verso scuola. Mio padre non mi aveva detto nulla sulla cosa, così decisi che di lì a poco lo avrei chiamato per chiedergli spiegazioni.
Prima, però, fui scaraventata a terra da una figura bassina, bionda e tettona: Patty.
“Ciao Caaatth!”, ululò, alzandosi.
Troppa. Euforia. Per. Questa. Vita.
“Ehi, Patth!”, salutai cordialmente, mentre mi spolveravo i pantaloni.
Dopo un po’ di chiacchiere con Patty, Kid e Liz –“chiacchiere”, arrivammo all’ingresso della Shibusen.
Cartine, filtri e tabacco. Guardai gli altri e gli assicurai che li avrei raggiunti dentro, dopo aver fumato.
Fu una semplicissima scusa per riuscire a rilassarmi prima d’iniziare il mio primo, vero giorno di scuola.
Soppressi l’impulso di scappare e fare altro per tutto il giorno, finii di fumare ed entrai.
I soliti sguardi su di me, questa volta, furono quasi più insistenti. Così, infilai le mani in tasca, abbassai lo sguardo e raggiunsi la classe “New Moon”.
La lezione del giorno fu quasi interessante, si trattava di concentrare e fare della propria anima un’arma ad onda d’urto. Fu Black Star a fare la dimostrazione, e fu strano scoprire che oltre ad essere un pagliaccio aveva anche qualche capacità.
Fortunatamente, non mi addormentai durante il resto delle lezioni.
“Catherine”, una voce mi ridestò dalla ricapitolazione mentale della giornata, mentre mi alzavo per andar via. “Dovrei parlarti.”
Era il Prof.
Avvicinatami alla cattedra, domandai cosa volesse.
“Sai bene che in questo istituto c’è bisogno di talento e capacità –ruotò la vite sulla tempia-, per questo ho bisogno di testare cosa tu sappia fare o meno”, mi guardò, cercando il mio sguardo per assicurarsi che io avessi capito, “vorrei convocarti nel corso di recupero.”
Alzai un sopracciglio.










That's right, second chapter is on! 
Salvieee people! Benvenuti nel secondo capitolo di Keeping Me Alive, dove, fondamentalmente, non succede nulla! 
Well, non temete, essendo una storia che prevede un bel po' di capitoli, spiegherà più cose man mano.
Hope you like it! 
Chaaaoo!!
  
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