Era coricata sul letto. Si piegò, cingendo le proprie ginocchia al petto. I suoi lunghi capelli erano sparsi disordinatamente sul materasso, alcune ciocche erano sul suo viso. La luce filtrava fioca attraverso le tende.
Piangeva.
Non lo vedeva esattamente dal 3 ottobre 1990. Lo ricordava benissimo.
Eppure quel giorno lui sorrideva, mettendo da parte tutta la sua debolezza. Stava per piangere, ma prima di poterlo fare chiuse gli occhi…
Ti ricordo perfettamente in quel giorno.
Basta.
Non sorridere in quel modo.
Basta.
Non sorridere in quel modo.
Gli occhi di Elizabeta si riempirono nuovamente di lacrime. Il lenzuolo sotto il suo viso era ormai fradicio. L’immagine di Gilbert quel giorno d’ottobre le appariva continuamente dinanzi i suoi occhi. Impotente.
«Ehi Ungheria! Guarda! Queste mani proteggeranno tutti! »
Non potrai più reggere una spada con entrambe le mani, non sarai più capace di proteggere chi vorrai. Ti va bene questo?
Non potrai più guidare nessuno.
Quelle mani ferite non potranno più stringere le mie.
Elizabeta si lasciò allora andare, portandosi le mani sul viso.Non potrai più reggere una spada con entrambe le mani, non sarai più capace di proteggere chi vorrai. Ti va bene questo?
Non potrai più guidare nessuno.
Quelle mani ferite non potranno più stringere le mie.
«Sai, sono felice di essere nato come Nazione.»
Ed ora?
Ora non sei più nulla se non un ricordo.
Quel giorno non poté far nulla per salvarlo, spirò davanti ai suoi occhi.Ed ora?
Ora non sei più nulla se non un ricordo.
Vide Gilbird volare in fretta e furia tra gli alberi della foresta e lo seguì. Si fermò all’improvviso.
Non si sarebbe mai aspettata di vederlo in quello stato. Ma non avrebbe mai immaginato di vedere lui.
Si accasciò al suolo, ferendosi le ginocchia con i cocci della bottiglia di Roggen e macchiandosi il grembiule del suo sangue.
Prese il suo viso tra le mani. Lo guardò per un momento: non poteva più fare nulla. Il sangue fluiva abbondantemente e sul suolo si era già formata una pozza. Gli prese la mano destra e la osservò: tremendamente ferita, mutilata. Premette col pollice sul polso: il battito era fioco, si stava lentamente spegnendo.
Prese nuovamente il viso tra le mani e poggiò la fronte contro la sua.
Pianse e, nonostante le lacrime le offuscassero la vista, lo vide sorridere. Le labbra insanguinate incorniciavano i denti bianchi come la luce cristallina della luna.
Strinse per un’ultima volta la sua mano, portandosela sulla guancia.
Continuò a piangere senza avere la forza di alzarsi. Per quanto pianse? Minuti, ore o giorni?
Sapeva solo che Ludwig l’aveva trovata ed accompagnata a casa. Le disse di riposare.
«Ehi Ungheria!»
Non lasciarmi sola.
Non lasciarmi sola.