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Autore: Gigli neri e ombre    26/08/2015    3 recensioni
Dal Capitolo 13:
"[...]Notò subito però che quei Veliant invece di essere rossi come i soliti, erano rosa. Puntandola sullo scherzoso pensò fossero Veliant di tipo folletto, ma analizzando meglio lo scenario che lo circondava si accorse che non avevano armi e che inoltre uno di loro aveva un gioiello grazioso e brillante a forma di rosa rossa che evidentemente doveva essere una spilla. Il suo primo pensiero fu quello di portarselo per venderlo eventualmente, al fine di fare qualche soldo valido. Tornò a casa incurante di ciò che si lasciava dietro senza farsi troppe domande riguardo le particolarità notate. Menefreghismo assoluto ben previsto da parte sua.[...]"
Presenza di un linguaggio scurrile.
Genere: Azione, Science-fiction, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale
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– Third Chapter –




Turquoise Light








Scott dormiva tranquillamente e beatamente nella sua stanza finché un raggio di sole non irruppe brutalmente attraverso la finestra. Aprì lentamente i suoi occhi coprendoseli con l'avambraccio, il tutto chiaramente accompagnato da sonore parolacce. Si mise a pancia in su, era a petto nudo e le coperte arrivavano fino al bacino mostrando una striscia grigiastra che sicuramente era l'indumento che indossava. Non pensava a nulla: il sonno ancora scorreva nelle sue vene e probabilmente c'era il rischio che si riaddormentasse dal momento che gli occhi si chiudevano soli senza dare criterio ai comandi del lentigginoso.
È tutto un copione, la classica routine mattutina” pensò. “Il protagonista dorme ma un raggio di sole rompe i coglioni”
Fu una questione di secondi: si levò quelle lenzuola, che tanto adorava, con l'amaro gusto che provava ogni qualvolta che doveva alzarsi da letto. Si sedette sul bordo del materasso passandosi svogliato una mano sulla faccia. Passarono una decina di minuti nei quali decise che era arrivata l'ora di alzarsi e benché il suo corpo fosse coperto solo da un paio di boxer vestirsi non rientrò nel suo programma, almeno in quella frazione di tempo. Accendendo prima lo smartphone dimenticato casualmente sul mobile, si diresse verso la cucina con l'intento di preparare un caffè. Prese quindi la moka e il caffè in polvere attivando in seguito il gas poi rimase lì immobile e aspettando che la caffettiera compiesse il suo dovere, ascoltava il silenzio di casa sua. Come tanti altri abitava solo e, per carità, gli piaceva, ma lui aveva una lunga storia dietro. Mosse gli occhi e vide lei, sua madre, in una foto che ritraeva solamente il volto: una signorina –era una fotografia vecchiotta nella quale poteva avere apparentemente 20 anni circa– con dei lunghi capelli dello stesso colore di quelli del figlio e occhi neri. Qualche lentiggine sparsa qua e la. Tuttavia, i colori si distinguevano a stento.
Abitava con lui in un'altra casa tempo fa.

Prima che sparisse.

Sì, sparì nel nulla senza lasciare tracce, messaggi, o comunque qualcosa che non per forza dicesse dove sarebbe andata. A lui bastava qualcosa che lasciasse intuire che se la passava bene ovunque fosse. Due voci nella sua mente parlavano confondendolo totalmente e facendolo sprofondare delle volte nella tristezza totale. Tali parlavano opponendosi l'una all'altra: una diceva che sicuramente lei non era scappata volontariamente e che quindi qualcosa o qualcuno l'aveva costretta e poteva avere ragione, considerando che sua madre lo adorava, ma l'altra... ah, l'altra era quella più ferita, probabilmente. Suggeriva a Scott che lei non era scappata, ma fuggita via senza lasciare nulla solo per rifarsi una nuova vita, logicamente, liberandosi anche di suo figlio.

Questo era tutto quello che ricordava:

Lui, un piccolo ragazzino dai capelli rossi e dalla faccina coperta di lentiggini.
Lui, l'amore di sua madre.

Allora era con lei, erano senza un mezzo e quindi camminavano percorrendo una strada che Scott riconobbe difficilmente. Tenendole la mano con una presa solida, si rivolse verso la donna. «Mammina...»
Aveva lo sguardo malinconico e lui, per quanto fosse piccolo, lo intese alla perfezione. «Dimmi, tesoro» Rispose con un tono di voce diverso dal solito. Non era la voce piena di gioia e amore che conosceva Scott, anzi, era totalmente il contrario.
«Stiamo andando dal nonnino?» Fece quella domanda basandosi su quei pochi ricordi che aveva riguardo quella stradina. «Sì...» Confermò la madre con un fil di voce.
Dentro di sé, Scott era contento ed era pronto a fare i salti di gioia ma rimase lì immobile. Concentrò le sue energie nel capire perché sua madre era così malinconica.
Arrivarono da suo nonno materno, il quale li accolse. O meglio, lo accolse.
«Scott... amore mio...» gli occhi lucidi «Da oggi vivrai con il nonno. Io devo andare» E lì, al povero rosso venne come un colpo «So che ti sto lasciando in buone mani ma...» Cominciò a piangere e ad abbracciarlo «Ma ti prego... si forte. Ti amo tanto» Abbracciò più forte che poteva suo figlio che a quel punto scoppiò in lacrime. Tornò da suo padre, lo guardo negli occhi. Lui invece non mostrava i suoi sentimenti, ricambiò comunque l'abbraccio e le disse di farsi forza e di tenere duro. Lei annuì e prima di uscire prese una boccata d'aria abbondante. «In bocca al lupo, figliola»”

Questo era tutto quello che ricordava. Eppure non sapeva spiegare, dopo tutto quel tempo, perché suo nonno era impassibile a quell'evento.
Per descriverlo bastava descrivere Scott. Erano uguali sotto numerosi punti di vista, dove rientrava anche l'aspetto fisico. Quel vecchio boscaiolo –soprannome datogli dal nipote– assomigliava a lui alla sua età.
Poi però morì e quella casa passò a tutti gli effetti nella proprietà della Iena –morì quando lui era già maggiorenne.
È vero. Scott non ha passato una vita molto facile.
La moka segnalò al lentigginoso che il caffè era pronto con un fischio, lo stesso che lo fece tornare con i piedi per terra –era totalmente sommerso nei suoi pensieri. Scosse la testa e prese la caffettiera versando il contenuto dentro una tazzina blu. Si sedette davanti al tavolo che in cucina e cominciò a sorseggiare il caffè sperando di colmare quell'aspra sensazione che si ritrovò subito dopo aver aperto gli occhi con un altro gusto amaro ma voluto, a differenza del primo.
Non gli piaceva pensare al suo passato, lo rendeva triste, e ancor di più, una cosa importante, nessuno aveva un'idea chiara su quest'ultimo. Nessuno. Nemmeno gli amici più stretti, che oltretutto erano pochi.
Ma lui era Scott il grande. Non permetteva in nessuna maniera che i suoi pensieri o chiunque altro potesse intaccare la sua maestosità e la sua grandezza. Questo era quello che credeva.
Finito il caffè, sempre con la stessa voglia di fare di un bradipo in letargo, uscì dalla cucina, dimenticando di rimettere in ordine gli utensili utilizzati. Questa volta andò in bagno, si tolse i boxer di dosso per entrare sotto la doccia. Una lunga, tiepida e rilassante doccia. Era sicuramente un po' più sveglio grazie al caffè e all'acqua che gentilmente picchiettava su di lui, partendo dai suoi capelli fino ad arrivare ai piedi. Il capo era rivolto verso il basso facendo sì che anche da diverse ciocche color arancio scorresse un filo d'acqua. Lo orientò poi verso l'alto –i suoi occhi erano chiusi–, abbandonando i suoi pensieri al tocco cordiale di quella pioggerella fuoriuscente dalla cornetta riservata solo per lui. Li aprì non appena riemerse dalla sua memoria l'avvenimento di qualche notte fa. La lite tra Duncan e Heather. A lui non importava nulla, ma era il motivo di quella lite a farlo meditare e non si riferiva completamente al carattere di Heather o a quello di Duncan. No, era la fantomatica informatrice. Era curioso e allo stesso tempo sospettoso. Quelle informazioni non facevano una piega ma anche Heather aveva un fondo di ragione, secondo lui.
Prese la bottiglietta di bagnoschiuma. Fragranza “Cocco e Cacao”. Ne prese una minima parte e cominciò a spalmarla sul corpo bagnato.
Ascoltare una voce oppure un'altra? Nonostante ciò, era un tipo con le idee chiare e che sapeva prendere le sue decisioni, ma delle volte era troppo scettico. Viveva con la filosofia di vita del menefreghismo perché già sapeva del rischio di ritrovarsi in quei bivi.
Usci dalla doccia prendendo un asciugamano che avvolse sulla sua vita e tornò in camera accorgendosi che il suo smartphone lampeggiava.

Il Marcio ti ha mandato un messaggio

Il Marcio ti ha mandato un messaggio

A prima occhiata si chiese cosa volesse il Punk per mandare due messaggi di seguito. Lo conosceva bene, non faceva mai una cosa simile anche perché a Scott davano fastidio i messaggi separati.
Dunque, seduto sul suo letto, li lesse.
 
  • Ehi, testa rossa!
    Ti informo che stasera dovrebbe venire “quella persona”. Non ti do un orario sparato a cazzo perché sbaglierei sicuramente.
    Cerca di venire prima che lei arrivi, anche se nel caso dovesse mancare qualcuno ovviamente lo chiamerei.
    Sii presente e puntuale!
     
 
  • Ah, dimenticavo! Stasera potrebbe toccare a te fare da guardia al ritrovo, ma forse, per la tua gioia, crediamo che non ne valga la pena.
     

Crediamo”

Sbuffò e pronunciò con un tono rassegnato e lieve solo un «Vabbeh». Preferì non farsi il sangue acido anche per delle cose banali, quali anche quei due messaggi vaghi. Vaghezza... una cosa che odiava.
Bestemmiò solo a pensare di fare la guardia.






Dawn aveva quasi finito di meditare. Si trovava nel giardino di casa sua, illuminata dalla luna e da qualche stella che si trovava lontana dalle altre e così via.
Era una ragazza che viveva in sintonia e armonia con la natura, meditava ogni volta possibile. Credeva nel mistico e adorava la cultura nativa americana –cosa dimostrata dal acchiappasogni che utilizzava come collana e lo indossava non solo perché ci credeva.
Il motivo per il quale meditava costantemente? Risposta semplice: il motivo era semplicemente lo stare in pace con se stessa, lo stesso che la portava a mantenere la calma in qualsiasi situazione sostenuta da una solida tranquillità. Rabbia, troppa gioia e tristezza non erano ammesse. La sua parola d'ordine era: “Mantieni la calma”.
La sua routine quotidiana prevedeva una tazza di tè durante le mattine e i pomeriggi – e se le girava si faceva pure la terza– ed era anche una tasseomante, tant'è che leggeva ciò che questi aveva da dirle riguardo il futuro. Non solo con il tè ma anche con il caffè.
L'ultima lettura illustrò quattro simboli che parlavano chiaramente:

Croce – Leone – Nido – Ramo.

Guai – Amici cari – Protezione – Nuova amicizia.

Sensorialmente sentiva a prescindere che parlavano di quel sogno fatto notti indietro a casa di Zoey, che oltretutto immaginava si sarebbe anche avverata il più presto possibile. Ma si fece coraggio dal momento che non era sola, dal momento che Zoey conosceva tutta la situazione e che certamente non si tirerebbe indietro nell'aiutare l'amica in caso di pericolo, in più era convinta che anche gli altri non sarebbero stati da meno. Infondo, anche quelli più duri avevano un cuore e lei lo sapeva eccellentemente. E tutto questo era stato ulteriormente confermato dall'ultima lettura del tè. Quei quattro simboli erano posizionati in prossimità del bordo della tazza e quella posizione prevedeva che, appunto, sarebbe accaduto non tardi. Se fossero situati nel fondo divinerebbero l'opposto.
Anche lei sapeva di chi sarebbe venuto quella sera, tuttavia fece con la sua calma. Non aveva premura. Sapeva che Duncan, innanzitutto, era sincero e che si fidava ciecamente del suo “reporter”.
Era curiosa e aveva voglia di conoscerlo, sicura che fosse una buona persona. Lo credeva perché Duncan si fidava di costui ciecamente e le voleva bene, e ce ne voleva perché che esso provasse sentimenti simili verso una persona.
Per questa sua voglia e curiosità, si alzò dal suo ben curato prato e si stirò per bene. Era pronta. Uscì di casa chiudendo saldamente il cancello e cominciò a camminare lasciandoselo indietro. Sola, calcolando il fatto che non abitava in città.
Zoey non era con lei perché passò quella giornata stando con Dj e Duncan nel loro luogo di incontri e a mandare messaggi a destra e a manca.
Il cielo aveva una luna stupenda che cominciava ad accendere un cielo nel quale era ancora presente qualche tonalità di celeste –scura– che sfumava via via in blu più scuro fino ad arrivare al nero dopo qualche manciata di minuti, il tutto avente come contorno una brezza fresca che accarezzava amorevolmente la pelle di Dawn. Con i capelli ondulati dal vento, gradì pure il silenzio che vi era per le strade.
Sicuramente camminare da sola in qualsiasi situazione –specie per lei– equivaleva all'essere in pericolo costante, ragion per cui c'era sempre una delle sue barriere a proteggerla. Fino a che punto poteva tornarle utile, non lo sapeva dire.
Utile come l'oggetto che trovò insieme a Scott e Zoey: quel tubo con quei frammenti.
Si faceva molte domande a riguardo e credeva che da quelle parti ci fosse stato uno scontro, ciò poteva allora condurre da un altro o altra come loro.
Un oggetto simile poteva appartenere solo ad un Veliant.
Ma per quale motivo lasciarlo lì?
Erano sufficienti codesti quesiti per annullare la preoccupazione, ma non scartava comunque la possibilità.
Smise di pensare per via di diverse luci che lampeggiavano in lontananza attirando la sua attenzione. Era tutto opera di un'autovettura che sfrecciava alla velocità della luce magari violando anche i limiti di velocità consentiti. Lei marciava sul marciapiede quindi non angosciava e continuò verso la sua via. Però era un atteggiamento che non tollerava perché per colpa di tali spericolati che guidavano troppo velocemente –ubriachi o meno– c'erano stati tanti, forse troppi, incidenti nella maggior parte dei quali sicuramente ci saranno stati dei morti.
Non passò molto tempo e non ci vollero neppure troppi passi per poter quanto meno sospettare il motivo di una corsa così spensierata a cento all'ora. Sentiva dei botti.
Pensò solo a una cosa:

Veliant.

Avrebbe dovuto immaginarlo.
Ispirò profondamente.
O faceva da sé, o era fottuta alla grande.
Non voleva combattere, sperava di evitarlo, ma non era detto che avrebbe dovuto per forza farlo. Lei sapeva fare cose che non avevano a che vedere con le sue capacità paranormali. Per esempio, oltre a leggere le aure e creare barriere, sapeva levitare.
Proseguì con tranquillità, impedendo alla paura di alterarle lo stato d'animo altrimenti le cose sarebbero peggiorate oltremodo. Non fece nulla, se non rafforzare la sua barriera protettiva prima di proseguire né troppo lentamente né troppo velocemente. Sentiva gli stessi rumori, ogni tanto botti o spari, qualche flash dovuto da armi laser e qualche nuvola di smog – che per una volta avrebbe preferito fosse fumo di sigaretta piuttosto che Veliant.
Era ufficialmente diventata una corsa contro il tempo mentre i rumori si facevano più vicini. Fu esattamente in quel momento che intravide delle lucine rosse. Si stavano avvicinando rapidamente e fu sempre lì che pregò intensamente perché qualcuno venisse a salvarla o almeno che in qualche modo, anche misero, ci fosse riuscita da sola a salvarsi la pelle.

Ma a chi voleva prendere in giro? Lei? Da sola? Salvarsi? C'era da ridere e da piangere.

Solo un miracolo poteva riuscirci. Miracolo che aspettava continuamente che accadesse ma mai un risultato valido.

I robot si avvicinarono sempre di più eppure la bionda era pronta. Puntò tutto sulla difesa e sulla sua barriera protettiva, uniche cose che ebbe dalla sua parte. I robot, arrivati dinanzi a lei, cominciarono a sparare proiettili laser senza sosta benché la barriera li assorbiva puntualmente uno ad uno mettendo a dura prova la forza di Dawn la quale sapeva che in una frazione d'ora o pressapoco non avrebbe più resistito. Diede il meglio di sé, tuttavia, poco prima che cedesse, diversi getti d'acqua potenti lanciati visibilmente a grande pressione colpirono i Veliant uno ad uno. Era davvero potenti dal momento che i robot vennero messi K.O. senza la minima fatica. La bionda si girò pronta a ringraziare l'artefice dei getti d'acqua o, almeno, l'avrebbe fatto se non fosse stato un'idrante guasto che insisteva nel gettare acqua.
No, la ragazza non ci credeva certa del fatto che c'era altro sotto. Tuttavia non ci meditò oltre e lasciò quell'idrante ma, automaticamente, altri Veliant spuntarono dal nulla.
Più ne annientava, più se ne facevano vivi. Non ce la faceva più.
Decise dunque di non puntare tutto sulla difesa e cercò anche di raggirarli in qualche modo, con la consapevolezza che le probabilità di fallire erano alte. Prese a levitare e non appena constatò che era abbastanza in alto creò una stanza cubica intorno ai Veliant che, con un laser sparato senza attenzione, si colpirono da soli perché quest'ultimo rimbalzò contro le pareti.
Sì, i raggi laser colpirono i loro padroni ma non recarono alcun danno. Inoltre, i Veliant si liberarono facilmente della loro prigione senza nemmeno lasciare a Raggio di luna apprendere il perché di tutto ciò –aggiungendo anche il fatto che non sapeva di essere in grado di creare camere di quel tipo.
Non ebbe altra scelta: si affidò all'ennesima barriera, ascendendo lentamente.
Doveva resistere.
Un respiro profondo, chiuse gli occhi, si concentrò...

Concentrò...

Ancora...

Un altro po' e...

Aprì gli occhi e violentemente respinse la barriera, che divenne sempre più grande, investendo i Veliant. Non recò un elevato numero di danni ma sicuramente il risultato fu più soddisfacente di quanto si aspettasse. Però era arrivata apertamente alla fine delle sue forze. Non poteva fare nient'altro.
I Veliant non si fecero aspettare neanche un po' e si reindirizzarono verso la ragazza questa volta unendo le forze e rilasciando il raggio laser più grande che Dawn avesse mai visto prima.
Lì ebbe seriamente paura .
Preparò un nuovo scudo, il più solido possibile, ma altre luci giunsero incontro al laser divorandolo letteralmente. La fonte era un motociclo blu notte, del quale il pilota lasciò per un breve periodo il manubrio stendendo le braccia, che si illuminarono di turchese, sparando raggi enormi del medesimo colore. I Veliant si fusero grazie al lampo luminoso riducendoli da robot combattenti a carcasse metalliche bruciate. Quella persona, arrivata vicino a Dawn, si fermò. «Salta su!» Ordinò, senza togliersi il casco ma porgendone allo stesso tempo un altro alla Principessa delle fate.
La sua aura era verde giallastro.

Tranquillità ; ci si può fidare

Alla luce dell'aura che trasmetteva affidabilità a 360° la bionda indossò il casco e salì in sella al veicolo notando prima un particolare. La moto era priva di ruote. Al posto di esse nulla, se non dei fasci di luce. Chi la guidava invece indossava un casco nero, seguito da una giacca lunga totalmente nera se non fosse per una rosa blu disegnata sulla schiena di esso. Il colletto era agghindato da una pelliccia argentea; poi una maglietta bianca con una croce turchese neon; un pantaloncino di jeans azzurrino seguito da dei collant neri quasi strappati e delle scarpe dello stesso colore e dei guanti di velluto turchese scuro. Era una ragazza.

Dopo che Raggio di luna salpò sul veicolo, la ragazza accelerò a tutta velocità, una velocità tale da far perdere a Raggio di luna la cognizione del tempo. Ci pensò su un secondo a quella ragazza misteriosa. Aveva il potere di sparare luci turchesi esattamente come quelle del suo sogno.
Non sapeva se era precisamente questo ciò che significava, ma in ogni caso era felice di sapere che quella ragazza, chiunque essa fosse, l'aveva salvata. Avrebbe ricambiato il favore con il suo potere se solo avesse avuto forze a sufficienza.
Arrivate in città la moto rallentò con leggerezza per poi fermarsi un attimo, di nuovo. Entrambe notarono che intorno a loro vi era una zona bagnata illuminata dai fari abbaglianti del veicolo: gli idranti non erano quasi tutti impazziti come quello che Dawn aveva visto precedentemente. Quelli erano molto più calmi, anzi, zampillavano senza veemenza alcuna e più che idranti sembravano fontanelle per uccelli ma precedentemente avranno assunto lo stesso atteggiamento del primo. Oltre l'acqua, dei Veliant immobili, stesi a terra. Le parti che normalmente emanavano luci rosse erano spente, mostrando un rosso scuro quasi nero. La motociclista non si fece troppe domande e rimise in moto il mezzo. La strada era bagnata ma il vantaggio nell'essere privi di ruote è questo: poter camminare con la velocità che più si preferisce dal momento che il pericolo di sbandamento è assente.
In seguito a qualche chilometro percorso in una strada che a Dawn era terribilmente famigliare, arrivarono a destinazione. Senza sorpresa essa aveva notato che si ritrovarono nello stesso punto dove situava il vicolo cieco che portava di conseguenza nel ritrovo. Le due scesero dalla moto sostata e successivamente la Leggi Aure ridiede il casco alla ragazza guardandosi intorno. Niente acqua e niente Veliant.
«Come mai eri da sola per le strade?» La voce della ciclista fece voltare la bionda verso di sé. Si tolse il casco rivelando il suo volto pallido decorato da un rossetto rosso scuro, un eyeliner e un mascara neri e un ombretto leggermente più scuro della sua pelle che nascondeva delle occhiaie. I capelli neri, legati in una coda di cavallo che arrivava a toccare la fine del suo collo, erano accompagnati da delle ciocche color verde petrolio. Ricambiò l'occhiata della ragazza minuta. «Dal momento che i tuoi poteri non sono del tutto maturi, non dovresti imbatterti in scontri simili, Dawn» rimproverò. Viso pallido non fu sorpresa neppure nel sentirle pronunciare il suo nome.
«Mi hanno colta alla sprovvista. Di solito non mi muovo da sola, Gwen»
Fu invece la ciclista a sorprendersi. «E così conosci il mio nome. Ducnan deve averti parlato di me»
«Duncan non mi ha detto nulla di te» Corresse Dawn.
Gwen posò il suo casco per poi riprendere a guardarla perplessa. «Dunque come fai a sapere il mio nome?»
«La tua aura ha parlato per te»
Inizialmente, la Darkettona fece una smorfia stranita sostituita poco dopo da un sorriso «Sei strana... devi essere simpatica» Finì la discussione Gwen con quella frase.
La notte era ancora giovane e le due si diressero verso il ritrovo, pronte a dialogare con gli altri, sopratutto Gwen. Lei era quella più che pronta.
Dawn era al contrario volenterosa nel sentir dire tutto quello che già aveva intuito, indipendentemente dalla lettura delle aure.
 
 


 


Kuroi Ikkaku:

Grandissimi, rieccomi!
Sono passate, sì, due settimane dall'ultimo aggiornamento.
Considerando che nel momento in cui cliccherò "pubblica capitolo" sarà tipo 00:00, diciamo due settimane e un giorno.
Ma fregacazzi. 
Tenetevi il III capitolo simile al I. Ma... meh.
E' una merda.
Peggio dei precedenti. Ho paura...
Vi dico, la parte di Scott l'ho scritta senza problemi. Minchia vi giuro, ho scritto la prima parte con le dita che andavano più veloci di Usain Bolt. 
Quanto a quella di Dawn, invece, dev'essermi venuta una specie di blocco.
Non sapevo più come continuare.

Avete notato gli idranti schizofrenici? Di quello parleremo nel prossimo capitolo. Con una frase demenziale capirete tutto.
E abbiamo una New Entry. Sicuramente, vi aspettavate di trovarla.
Lo so, questa storia diventa sempre più scontata ogni giorno che passa....

Ma, vi devo ringraziare, nel bene e nel male.
Voi nonostante tutto continuate a incoraggiarmi a continuare. 
Non ho parole. Siete dei grandissimi.

Non so quante recensioni avrà stavolta.
Ma a me principalmente basta vedervi soddisfatti o comunque sapere che vi ho intrattenuto in qualche modo, anche nello scrivere quattro babbarie, a me interessa sapere che non vi ho fatto perdere tempo prezioso che magari avreste potuto spendere a spaparanzarvi nel divano o nel letto.

Benissimo, ovviamente vi invito a recensire se ne avete voglia. Mi fa piacere leggere le vostre opinioni, davvero.
Chiaramente, vi invito anche a segnalarmi gli errori e se qualcuno in questo capitolo lo avete notato OOC oltre tutto il resto.

Spero di avervi... non dico fatto emozionare perché non c'è nulla di emozionante.
Spero di aver catturato la vostra attenzione e di non aver buttato tutto all'aria.

Au revoir!

*Sprofonda nelle tenebre*

Nero


 

 
   
 
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