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Autore: Jupiter_    27/08/2015    0 recensioni
Aleda, giovane giornalista con la passione per la cucina, cerca incessantemente un lavoro inviando curriculum ovunque. Approda in una rivista dedicata alla pesca di cui non conosce assolutamente nulla e grazie a questo nuovo impiego, conosce Andrea, un ragazzo di origini italiane con la passione per la pesca che la aiuterà nel suo nuovo incarico.
Aleda riuscirà a trovare la felicità o il passato continuerà a tormentarla trascinandola ancora una volta nel buio dell'inadeguatezza e della solitudine?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Non so esattamente per quanto tempo i bambinoni si sganasciano dalle risate.
Non riesco proprio a capire quale sia il motivo di tanta ilarità. Ormai scocciata e spazientita decido di mettere fine al teatrino.
«Per caso vi faccio ridere?» sibilo a denti stretti guardando tutti uno per uno. Si decidono a ritornare seri a fatica e riprendono i menù esaminandoli come veri esperti. Illusi.
Il primo a parlare è un ragazzo dai grandi occhi blu che si affretta a precisare subito che vogliono tante birre, almeno due a testa e si accerta con grande premura che siano fredde al punto giusto.
Ognuno fa la sua ordinazione ed io sono felice di potermi congedare e subito ricominciano a parlare di calcio.
Gli uomini sono dei bambini. Gli uomini sono dei bambini. Gli uomini sono dei bambini.
Lo ripeto come un mantra mentre impilo l’ordine tra gli altri e raggiungo i miei colleghi.
Appena mi vedono ridono anche loro e la mia pazienza raggiunge il livello minimo consentito.
«Si può sapere cosa avete tutti da ridere?» sbotto portando le mani sui fianchi.
«Vedi tesoro…» interviene Lucas avvicinandosi con un fazzolettino e pulendomi qualcosa tra l’occhio e la tempia «Il fatto è che il ketchup non è ancora stato collaudato come eye-liner. E poi…» ridacchia dandomi delle gomitate sulle costole «la patatina non ce l’hai mica lì.» Mi dice poi facendomi l’occhiolino e allontanandosi in cucina. Lui lo adoro, è un amico davvero sincero e molto pungente e non ha peli sulla lingua. Di giorno fa il truccatore e di sera il cameriere. E’ gay dichiarato e non ha paura ad ostentare la sua omosessualità.
«Potevi anche dirmelo prima!» dico rivolgendomi a Jennifer che mi guarda scuotendo la testa.
«Che colpa ne ho io se tu sei così maledettamente distratta? E poi… ti è capitato un bel tavolo, non lamentarti!» Jenny è la classica donna sposata che non si sottrae nel fare apprezzamenti ad altri uomini. E’ paffuta, bassina e ha sempre i capelli legati in una coda alta. Lo fa sempre, ma alla fine non tradirebbe mai suo marito, si amano troppo per poter star lontani.
«Miss ketchup!» una voce si eleva dal tavolo 8 e so esattamente chi è il destinatario di quell’esclamazione.
«Ricordami perché l’omicidio è illegale.» dico più rivolta a me stessa che alla mia collega e controvoglia le mie gambe mi riportano alla mandria.
«Ha bisogno di qualcosa?» dico rivolta al simpaticone visibilmente divertito e per un attimo immagino a come reagirebbe se gli sferrassi un pugno in faccia. Vorrei vedere se riderebbe ancora senza un dente.
«Si, portaci altre quattro birre e se vuoi aggiungi una sedia e cena con noi.»
«Preferirei essere rinchiusa nel forno.» affermo tirandomela più del dovuto e mi affretto a concludere quel servizio infernale.
Alle due del mattino circa, ritorno nel mio accogliente - quanto familiare - appartamento, grata di essere tornata a casa e di essere riuscita ad evitare più volte di commettere gesti che, invece, mi avrebbero portata alla galera.
Getto le scarpe in un angolo a caso e stramazzo sul letto, esausta. Nelle orecchie ancora le voci dei bamboccioni che mi chiedevano che squadra tifassi, quali tra due giocatori sceglierei e se volessi “scolarmi una birra con loro”.
Mi rannicchio nella mia parte di letto, lasciando intatta l’altra metà. Il letto matrimoniale non fa più per me o almeno non questo. Racchiude troppe discussioni, troppe delusioni, troppi ricordi dolorosi, belli o brutti che siano. Infilo la mano sotto il cuscino e controllo che quella “fotografia” sia ancora lì. Chiudo gli occhi accarezzandola appena con due dita e scivolo in un sonno profondo.
 
Gli esseri umani hanno bisogni e desideri differenti e mi sembra una cosa più che sensata. Insomma, c’è un sacco di gente su questo pianeta e non possiamo volere tutti una sola cosa.
Però almeno una ci accomuna tutti, indiscutibilmente: il risveglio la mattina. Vogliamo restare a letto tutta la mattinata, risvegliandoci molto lentamente e con i tempi giusti. E’ una cosa normale, ma non per chi – come me – ha una sorella in possesso delle chiavi di casa propria.
Si precipita in casa urlando, spalancando finestre e imprecando. Apro un solo occhio e sbircio la sveglia: 8:00. Mi convinco che è solo un sogno e che non sta accadendo realmente, così richiudo l’occhio e sistemo la testa sul cuscino.
«Oh ma non ci senti?» l’incubo è in piedi accanto al mio letto e mi sta scuotendo.
«Scusa, ma hai visto che ore sono? Tu devi essere completamente impazzita.» bofonchio rigirandomi dall’altra parte. Silenzio. Prego che finalmente se ne vada e invece mi afferra per le caviglie trascinandomi sul pavimento, costringendomi ad aprire gli occhi.
«Merda!» impreco rimettendomi in piedi e guardando il mio riflesso allo specchio.
Sono spaventosa, ho degli aloni neri intorno agli occhi, la maggior parte dei capelli è sfuggita alla treccia e le borse sotto gli occhi sono più simili a delle valige. Per un breve istante mi chiedo perché anch’io non mi “desti dal mio sonno” come le principesse Disney. Grazie Walt Disney per aver creato un esercito di illuse.
«Stai dormendo in piedi?» mia sorella mi riporta alla realtà piazzandosi tra me e il mio riflesso.
Le lancio un’occhiataccia e mi dirigo in bagno per ripulirmi il viso mentre la sento trafficare con la Moka. Almeno ha capito che ho bisogno di un caffè.
Mi trascino in cucina piazzandomi su una sedia e rannicchio le gambe al torace, osservandola in silenzio. Sa perfettamente che di prima mattina detesto parlare e soprattutto ascoltare il suo continuo blaterale, ma fingo di starla a sentire annuendo di tanto in tanto e cogliendo strascichi di quel monologo infinito.
«E come ti dicevo, abbiamo bisogno di pizzette, digestivi fatti in casa, biscotti, ciambelle, pizze salate, rustici… insomma un vero e proprio buffet. Ci saranno tutte le sue amichette e qualche genitore» dice porgendomi la tazza prima di proseguire «alcuni sono davvero altezzosi e superficiali, perciò voglio fare bella figura e metterli nell’ombra per un po’.»
Annuisco ancora con convinzione come se la cosa mi importasse realmente e sorseggio il mio caffè stringendo tra le mani la tazza, faccio roteare il liquido al suo interno ripensando al tavolo 8.
Distrattamente avevo notato un ragazzo seduto a capotavola con un sorriso meraviglioso, i denti perfettamente dritti e con i canini un tantino più lunghi rispetto agli altri e molto affilati. Era quel genere di sorriso che coinvolge anche gli occhi e sorrido pensando che tra tutto, mi ero soffermata a guardargli i denti.
«Ma mi stai ascoltando?» mia sorella mi scuote per attirare la mia attenzione su di se.
«Certo che ti sto ascoltando, ho per caso altre alternative?» inarco un sopracciglio finendo il mio caffè e posando la tazza sul tavolo, continuo «perché quest’irruzione in casa mia di PRIMA MATTINA?» calco il tono di voce sulle ultime due parole.
Mi guarda visibilmente spazientita e per un secondo mi chiedo se sono io la scema.
«Che giorno è oggi?» mette le mani sui fianchi battendo un piede per terra.
«E’ domenica!» ribatto convinta per averla fregata.
«E?...» fa lei con quell’aria da saputella.
«E di solito a quest’ora io sto ancora dormendo!» dico imitandola nei gesti e nei modi.
«E domani è il compleanno di tua nipote, genio! Quando hai intenzione di finire la torta? Martedì?»
Faccio un rapido ripasso dei giorni e vorrei sprofondare. Lancio un’occhiata al calendario e mi rendo conto che è ancora fermo su Luglio e non aggiornato ad Agosto. Maledetta testa bacata. Impreco mentalmente assumendo un’aria colpevole e facendo gli occhi dolci a mia sorella. L’espressione angelica maschera l’inferno che ho nel cervello.
«Questo succede perché sei la solita distratta disordinata.» continua Ellis con la sua aria da maestrina. Ho sempre sostenuto che sarebbe stata perfetta come insegnante, ma lei ha sempre dichiarato di non avere pazienza con i bambini, che non le piacciono a meno che non si tratta dei suoi figli.
«Giuro che oggi stesso mi metto all’opera. La maggior parte delle statuette sono completate, mi manca solo la base, i fiori, gli alberelli e qualche animaletto.» affermo convinta di quanto appena detto.
La mattinata continua con me e mia sorella che ci dilettiamo nella realizzazione dei dettagli mancanti della torta. Le do delle dritte semplici, visto la sua totale incapacità con la pasta di zucchero ed io mi concentro sugli aspetti più complicati dove ci vuole un lavoro di precisione e accuratezza. A mezzogiorno abbiamo finito tutto e ogni spazio libero delle superfici circostanti è ricoperto di fiori di pasta di zucchero.
«Secondo me abbiamo un tantino esagerato. O meglio hai. Non ti sembra troppo regalare anche dei pacchetti con i fiori in cima? Non è mica un ricevimento!»
Ellis sbuffa sistemando accuratamente le “sue” creazioni. «Ti dico di no, è perfetto. Vieni a pranzo da noi?» l’espressione raggiante.
«No grazie, ho un appuntamento con Tiffany tra mezz’ora. Pranziamo in un centro commerciale.»
«Come vuoi» replica soddisfatta guardandosi intorno «ci vediamo domani e scusa per l’invasione.» ovviamente il suo scusarsi è solo una formalità, so che non se ne pente affatto.
 
Tre quarti d’ora più tardi raggiungo la mia amica a casa sua e insieme ci dirigiamo al centro commerciale. Quando ci conoscemmo le chiesi il perché i suoi le avevano dato proprio quel nome. Insomma, sappiamo tutti che “Tiffany” è la nota gioielleria che tutte le donne amano e lei mi spiegò che fu proprio nella gioielleria Parigina che suo padre chiese a sua madre di sposarlo tra gli applausi e i fischi dei presenti. E in quello stesso istante lei le disse di si e gli annunciò di essere incinta. Ho sempre pensato che fosse una delle storie più romantiche del mondo e – inevitabilmente – mi sono sempre chiesta se un giorno dovesse ricapitarmi di ricevere una proposta del genere se sarà cosi. Durante il viaggio in macchina, non c’è mai stato un minuto di silenzio e siamo saltate da un argomento all’altro come se nulla fosse. Superate le domande di circostanza, le racconto dell’accaduto di ieri sera e di come mi fossi sorpresa che gli unici argomenti di conversazione del tavolo 8 furono il calcio e i motori.
Lei scoppia in una risata che sovrasta la musica.
«Tesoro, il calcio sta agli uomini come lo shopping sta alle donne. Non ti saresti sorpresa se a quel tavolo ci fossero tredici donne e discutessero di borse, abiti, trucchi, rossetti e scarpe. No?»
Mi acciglio guardando la strada davanti a me «Mmmh presumo di no.»
«Non ci sei abituata perché l’unico uomo con il quale sei stata odiava il calcio e i motori. Era un appassionato di bricolage, fai-da-te, bici. Ovviamente una categoria di uomo totalmente distinta. Ma a ognuno il suo.» Ed ha ragione. I dieci anni passati con Ben erano fatti di escursioni, di ambientalisti, di visite ai più improbabili negozi dedicati al bricolage, di seminari con gli animalisti e chi più ne ha più ne metta. Tutti non facevano altro che dirmi quanto fosse noioso, quanto poco appropriato fosse per me, ma lo amavo davvero e non facevo altro che ripetere che mio marito dovesse piacere a me e non a loro. Nonostante tutto quello che era accaduto, non avevo rimpianto un singolo giorno passato con lui, lo avevo voluto fortemente, lo avevo amato con tutta me stessa. Con lui correvo veloce, finché al primo ostacolo non aveva lasciato la mia mano e mi ero schiantata da sola contro quel muro.
Sospiro ritornando alla macchina rendendomi conto, solo in quel momento, che ci siamo fermate nel parcheggio e che Tiffany mi sta guardando.
«Mi dispiace, non avrei dovuto parlare di lui. So che non appena lo fanno ti tornano in mente tante cose. Soprattutto quella cosa. Sono stata sciocca.» dice afferrandomi la mano e stringendola nella sua.
Le sorrido rassicurante. «Non preoccuparti è tutto okay, le ferite si stanno rimarginando. E’ normale che brucino, fanno parte del processo di guarigione. Ma non pensiamoci più e godiamoci questo sano pomeriggio di shopping!» esclamo precipitandomi fuori dall’abitacolo mettendo un punto definitivo all’argomento intenzionata a non ritornarci più.
 
 

Angolo Autrice:
Scusate il ritardo per la pubblicazione del nuovo capitolo, sono stati giorni intensi e ho avuto molto poco tempo per scrivere.
Nel nuovo capitolo ci sono delle rivelazioni (quasi) importanti sul passato della protagonista e l'introduzione di quello che avverrà nei prossimi capitoli.
Ringrazio chi ha speso del tempo per leggere e soprattutto chi ha recensito:
- Lohel

Alla prossima!
   
 
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