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Autore: Wendy96    31/08/2015    1 recensioni
C'è chi paragona l'amore all'amicizia considerandoli quasi dei pari, come fossero un'unica entità.
Perché no? Certo, si possono confondere, ma credetemi se vi dico che questi si trovano su due universi paralleli, due strisce di terra tenute insieme soltanto da un ponte che solo gli amici più intrepidi, quegli amanti sventurati legati ad una persona accanto a loro da sempre, tentano di attraversare fianco a fianco.
E Darcy aspetta su quel ponte da tutta la vita; avanza silenziosa lungo la via in cui amore e amicizia si fondono certa di essersi lasciata tutto alle spalle, di essere finalmente riuscita a dimenticare LUI.
Ma sarà proprio vero che il tempo cura le ferite e lenisce ogni pena di un cuore innamorato? E se quel fulmine a ciel sereno che ha squarciato le sue giornate felici fosse la scintilla capace di riunire due anime rimaste distanti troppo a lungo?
Nulla accade per caso, e Darcy lo capirà prima ancora che possa realizzarlo.
Questa è la storia di un'amicizia e una novità che cambierà per sempre due vite parallele.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oggi…


“Valige chiuse, la macchina carica e pronta per partire, … Dimentico qualcosa?”
Un miagolio sommesso mi fece ricordare che sì, stavo dimenticando qualcosa.
«Mel, hai visto Misfit?» domandai alla mia coinquilina uscendo dalla camera da letto.
«È qui con me. Vuoi che lo metta nella gabbietta?» mi urlò in risposta dal salone.
«Mi faresti un immenso piacere.»
Andai nella stessa stanza da dove proveniva la sua voce squillante e assistetti alla scena di lei che lottava contro il mio gatto grigio nel tentativo di infilarlo dentro il suo piccolo trasportino (Smith è un amante della libertà) e, una volta dopo esserci riuscita, me lo porse asciugandosi un rivolo di sudore dalla fronte.
«Mi mancherai, Day, lo sai vero?» disse con già gli occhi lucidi per l’imminente pianto che non si attardò ad arrivare, «E mi mancherà anche questo stupido gatto che mi odia» aggiunse dando un calcetto al trasportino.
«Ehi, sta’ tranquilla, sto solo tornando a Holmes Chapel per rivivere un po’ la mia infanzia, non vado mica in guerra!» la rassicurai col sorriso sulle labbra.
«Sicura di voler tornare nella tana del lupo proprio ora? Insomma, lì non è dove…»
«Ma che c’entra? Sono passati anni, Mel, sono cresciuta e le cose hanno preso una piega completamente diversa da quella di allora. Andrà tutto bene, vedrai.»
Come potevo sperare di rassicurarla? Lei sapeva davvero tutto di me e mi aveva tirata su di morale tante di quelle volte che ormai avevo perso il conto. Lo sapeva meglio di me che nemmeno io ero convinta che sarebbe andato tutto bene.
«Lo spero per te. Comunque vada, io ti aspetto qui» disse incrociando le braccia al petto.
«Tornerò, vedrai, ma fino ad allora mi farò sentire tutti i giorni, te lo prometto» dissi abbracciandola un’ultima volta.
«Allora, buon viaggio, Darcy»
Afferrai la gabbietta di Misfit che miagolò non appena si trovò a dondolare per aria e uscii dalla porta d’ingresso salendo poi sulla mia auto grigio metallizzato. Dopo un lungo sospiro misi in moto e partii.
La macchinina sfrecciava lungo la strada mangiando l’asfalto e lasciandosi alle spalle la città che mi aveva accompagnato durante quegli anni per riportarmi sul famigliare paesaggio di casa.
Certo che ne erano davvero passati anni dal giorno in cui ero stata costretta a lasciare la mia città natale per andare lì, a Liverpool, ed ero cambiata io in tutto quel tempo.
Chissà com’era diventata Holmes Chapel, chissà se qualcuno si ricordava ancora di me, chissà se avrei rincontrato Harry…
“No, Darcy, cancellati questo pensiero dalla mente! È praticamente impossibile che lui sia lì o che abbia voglia di vederti dopo che sei sparita all’improvviso e non hai più risposto a nessuna delle sue chiamate.”
Sapevo che quella mia scelta di tagliare del tutto i ponti tra di noi fosse stata ingiusta e meschina, ma quello era l’unico modo per voltare pagina. Tenermi legata a qualcuno che si trovava a chilometri di distanza non era certo un atteggiamento positivo per me e, soprattutto, non lo era per lui che ora era sulla vetta del mondo.
Riportai la mente all’interno dell’abitacolo dell’auto quando sentii suonare alla radio le prime note decise di Clocks dei Coldplay. Quella canzone faceva parte della colonna sonora della storia di una ragazzina e del suo migliore amico.
Un ricordo mi riportò indietro a quando avevo solo quattordici anni, in un pomeriggio passato con Harry in camera sua:
 
«Questa canzone è stupenda! Alza la radio, veloce!» strillai prendendo a spingerlo per incitarlo ad accontentarmi.
«Agli ordini…» rispose con tono lamentoso alzandosi dal letto e dirigendosi verso la stereo, poi tornò a stendersi accanto a me. Restammo spalla a spalla a fissare il soffitto avvolti dalla musica.
«Adoro i Coldplay, e Clocks è bellissima» dissi spezzando la contemplazione silenziosa.
«Te la dedico, Day.»
Mi voltai a guardarlo e, mettendosi a ridere, cominciò a cantare.
 
«Confusion never stops, closing walls and ticking clocks, gonna come back and take you home, I could not stop that you now know, singing» canticchiai conoscendo quel testo alla perfezione.
Che fosse un segno? Al momento l’unica cosa che m’importava era arrivare a destinazione il più in fretta possibile.
Ricordavo che il viaggio fosse più lungo, invece i verdi prati della mia città comparvero solo alcune ore dopo. Holmes Chapel era esattamente come la ricordavo, così tranquilla e accogliente, l’esatto opposto della movimentata Liverpool.
Parcheggiai l’auto davanti al vialetto che conduceva alla casa che i miei genitori avevano deciso di lasciarmi in affitto sapendo quanto amassi quella città e per me fu quasi un sollievo trovarmi lì davanti. Ero di nuovo a casa, finalmente.
Mi affrettai a scaricare almeno una delle valige e a prendere Misfit per recarmi davanti alla porta d’ingresso in legno lucido poi, dopo aver preso l’ennesimo lungo respiro della giornata, infilai la chiave nella toppa ed aprii. La casa era esattamente come me la ricordavo fatta eccezione per alcuni mobili spostati dagli ultimi inquilini, e l’odore, quell’odore inebriante che a Liverpool non c’era, m’invase le narici.
«Casa dolce casa» mi dissi dandomi una veloce occhiata intorno.
Lasciai cadere il trolley a terra e appoggiai la gabbia del gatto sopra un tavolo prima di tornare all’auto e svuotarla completamente, dopodiché mi dedicai a risistemare la casa. Aprii tutte le finestre cambiando l’aria, spazzai il pavimento, misi tutte le miei cose al loro posto e, ovviamente, liberai Misfit sicura che sarebbe rimasto chiuso in casa nei giorni avvenire per ambientarsi al nuovo luogo.
Quando finalmente finii tutti i miei compiti era ormai giunto il crepuscolo, così decisi di farmi una passeggiata nei dintorni ripercorrendo i luoghi a me cari incominciando da uno in particolare, il più “sacro” di tutti…
Era vuoto il mio parco giochi, non c’era anima viva a quell’ora seppur fosse estate inoltrata. I miei sensi mi guidarono verso la piccola altalena dove occupai il seggiolino nero sulla destra. Essere di nuovo lì mi riportò alla mente il giorno in cui un bambino dai capelli castani e gli occhi verdi era timidamente entrato a far parte della mia vita. Allora non sapevo quanto sarebbe stato importante per me.
Per un certo momento cominciai a sperare che lui arrivasse ad occupare il seggiolino vuoto al mio fianco, poi mi diedi della sciocca per averci pensato, ma mi era inevitabile farlo. Dio solo sa quanto mi fosse mancato ogni singolo giorno.
Tornata a casa, mi gettai sul divano a guardare un po’ di tv con Misfit che non faceva altro che fare le fusa sulle mie ginocchia bisognoso d’affetto e cominciai a fare zapping girando tutti i canali presenti sulla rete. Sembra quasi assurdo che proprio in quel momento dovessero passare un’intervista del gruppo su uno dei numerosi canali musicali che mi apprestai a cambiare, anzi, optai per l’idea che fosse una scelta migliore spegnere definitivamente la tv e andare a letto.
Dovevo essere fresca e riposata per il giorno dopo, il giorno in cui avrei rimesso piede giù in città e avrei cercato un lavoro.
“Questo è il primo giorno della tua nuova vita, Darcy Gray.”
 
Al primo richiamo della sveglia spalancai gli occhi pronta ad affrontare la dura giornata che mi aspettava. Mi diressi stiracchiandomi verso la cucina con indosso solo la larga maglietta grigia rubata ad un amico tempo prima ora adibita a pigiama e dei calzettoni. Diedi da mangiare a Misfit mentre aspettavo che il caffè salisse nella moka.
Al termine del pasto lampo, mi ritirai nel bagno dove mi feci una veloce doccia, m’infilai gli abiti accuratamente scelti il giorno prima, passai un veloce velo di trucco in viso cercando di accentuare l’attenzione sugli occhi nocciola, infine inforcai gli occhiali da sole e uscii di casa.
«Smith, io vado. Ti ho lasciato una ciotola di latte e una d’acqua fresca in cucina mentre la lettiera è nel bagno. Sei un gatto intelligente, so che riuscirai a trovarla.»
Raggiunto il centro della città, feci subito tappa alla Holmes Chapel Comprensive School. Era lì il luogo dove avevo vissuto le prime libertà, le prime cotte, i primi baci, … Baci. A quel pensiero mi sfiorai le labbra con le dita e sorrisi in ricordo di quell’innocente bacio ricevuto a dieci anni. Ricordai anche le splendide giornate passate con i ragazzi, i White Eskimo, e mi chiesi ora che fine avessero fatto.
“Beh, hai tutta la vita davanti per scoprirlo.”
Passai l’intera mattinata a girare per i negozi in cerca di lavoro e, una volta stanca della scarsa ricerca, acquistai un panino e mi sedetti su una panchina per gustarmelo appieno in compagnia di un buon libro. Sembravo mia madre in uno di quei pomeriggi in cui sostava a leggere sotto la grande quercia del parco giochi prima ch’io conoscessi Harry e lei cominciasse a stare in compagnia di Anne.
«Darcy? Darcy Gray?» mi sentii chiamare da una voce nota alla mia destra. Mi voltai verso lo sconosciuto incontrando il volto di un ragazzo dai capelli castani.
«Ti ricordi di me? Sono…»
«Will Sweeney» completai la frase per lui. «Come potrei mai dimenticarmi di te?» dissi sorridendo e facendogli posto sulla panchina prima di stringerlo in un abbraccio una volta seduto.
«Wow, è una vita che non ti vedo! Ma devo ammettere che non sei cambiata di una virgola. Che ci fai qui?» Era chiaramente sorpreso di vedermi e dal sorriso radioso mi parve di capire che era piuttosto contento dell’incontro. Io lo ero, mi era mancato immensamente.
«Sono tornata a casa» dissi con un’alzata di spalle.
«Beh, bentornata! Ma quanto tempo è passato? Sono successe così tante cose dalla tua assenza. Hai più visto…»
«No, ho rotto i legami una volta trasferitami» risposi amaramente abbassando lo sguardo.
«Viene qui ogni volta che può, penso che gli farebbe piacere rivederti. Non l’ha presa bene la tua partenza senza preavviso, e ha sofferto a lungo della tua assenza.»
«Ti prego, non dirgli niente» dissi appoggiandogli una mano sulla spalla quasi in segno di supplica, «Non mi sento ancora pronta…»
«Appena lo sarai, fammi un fischio.» Mi sorrise strizzando l’occhio. Era rimasto il solito Will, per fortuna.
«Ma dimmi, che hai intenzione di fare qui?»
«Vuoi la verità? Non ne ho la minima idea!» dissi ridendo. «Sto cercando un lavoro, uno qualsiasi. Sai se qualcuno ha bisogno di aiuto?»
«Ho sentito che alla panetteria cercano qualcuno con esperienza, ma conosci Barbara, con te farà sicuramente uno strappo alla regola. Vieni, ti ci accompagno.»
Si alzò in piedi e mi tese la mano aiutandomi a tirarmi su.
«Come se non ricordassi a memoria la strada.»
Mi raccontò tutto ciò che era successo in quegli anni, che la band si era sciolta, cosa aveva fatto dopo la scuola, chi si era fidanzato con chi, insomma, proprio tutto quello che mi ero persa e, tra una parola e l’altra, la piccola panetteria comparve davanti ai nostri occhi.
Quella era la sua panetteria, il luogo in cui prima del successo passavamo la maggior parte dei nostri pomeriggi.
Un altro ricordo mi riaffiorò alla mente.
 
«Allora, Harry, la forza è…»
«Qualcosa che riguarda la Terra?» domandò titubante.
«Insomma! Come pensi di passare il test di fisica se non sai nemmeno queste cose basilari?!» lo rimproverai.
Stavamo studiando in quello stesso negozio: lui preparava l’impasto del pane per il giorno dopo e io leggevo la lezione ad alta voce dai miei appunti seduta su un mobile di legno ricoperto da un telo bianco alle sue spalle.
«Almeno sai la definizione di fisica quantistica?» chiesi abbassando il livello delle domande.
«Domanda di riserva?»
«Sei un disastro, e questa è un’affermazione!» esclamai picchiandogli il quaderno sul capo riccioluto, «Se non lo passi ti bocciano! Poi che farai?»
«Se non lo dovessi passare vorrà dire che farò il panettiere per tutta la vita, ma io lo passerò lo stesso perché ho l’amica migliore del mondo che mi farà copiare. Apri la bocca e chiudi gli occhi» m’invitò cercando di cambiare argomento.
«No!»
«Avanti…»
Roteai gli occhi sbuffando ed eseguii la richiesta tenendo gli occhi chiusi finché non sentii un oggetto salato rotondeggiante appoggiarmisi sulla lingua e, una volta averne riconosciuto il sapore, lo addentai avidamente.
«Allora? Sarei o no il miglior panettiere di tutta Holmes Chapel?»
«Decisamente» risposi ingollando la pizzetta. «Ma potresti essere anche un ottimo cantante. Ti ci vedo bene a tappezzare i muri delle camerette delle ragazzine con quella faccia da schiaffi che ti ritrovi» dissi pizzicandogli le guance con pollice e anulare della mano.
«Già, sarebbe un sogno…»
 
«Day? Vuoi stare ancora lì impalata per molto?»
«Oh, scusami. Sai, i ricordi affiorano...»
«Come ti capisco… andiamo, Liverpool.» Utilizzò scherzoso il nome della mia città per riferirsi a me, e in tutta risposta arricciai il naso in una smorfia.
Spinsi la porta a vetri d’ingresso sentendo tintinnare il campanello e, poco dopo, comparì da dietro il bancone la bassa donna dai capelli rossi.
«Posso esserv… Darcy?!»
«Buongiorno, Barbara. Lieta di rivederla.» Sorrisi.
«Come sei cresciuta e ti sei fatta bella!» Sorpassò il bancone per venire a stringermi in un abbraccio estremamente dolce. «Qual buon vento ti porta da queste parti?»
«Nostalgia di casa…»
«Signora B, ha per caso un lavoretto da offrire alla nostra bella Darcy, non è vero?» s’intromise il moro cingendomi le spalle con un braccio.
«Sì, ma non saprei se… oh, al diavolo! Benvenuta a bordo, bambina mia!»
«Davvero? Grazie infinite!» dissi abbracciandola, «Giuro che non la deluderò!»
«Ne sono certa, ma ti prego, smettila di darmi del lei, mi fai sentire ancora più vecchia di quello che sono! Ora mettiamoci subito al lavoro che ci sono tante cose che devo insegnarti, ma se ce l’ha fatta il tuo amico sono certa che anche tu ce la farai.» Mi strizzò l’occhio
La donna si avviò sul retro pronta ad insegnarmi tutto quello che dovevo sapere.
«Will» lo fermai prima che uscisse lasciandomi al mio nuovo lavoro, «ti devo un favore.»
«Nah, non ce n’è bisogno, prendilo come il mio regalo di bentornata. Buon lavoro, Darcy.»
Essere lì mi fece ricordare molte cose e, beh, mi spinse anche a prendere una drastica ma opportuna decisione…
  
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