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Manigoldo intonò una canzone fischiettando e,
volgendosi
verso la città, iniziò a camminare in direzione della piazzetta
centrale.
“Vuoi aspettare qui che cali il buio? Guarda che poi
ingaggiano anche te.”
La leggerezza di un'altalena, la sfrontatezza di un gatto non
toccato da nulla della scena che gli si consuma davanti – erano
irritanti tanto
quanto capaci di esercitare un sortilegio a cui era impossibile
sottrarsi.
Manigoldo non era un superbo, e per questo era tollerabile ed
enigmatico. La sua sicurezza derivava da una sorta di noncuranza
balorda – e
tuttavia gli importava, perché, da quando aveva la Cloth, non aveva mai
fallito, e non poteva essere stata fortuna.
Una calma sibillina e provocatrice – che cosa nascondeva?
Niente, Manigoldo non nasconde niente, e questo è vero
– ed è ciò che fa paura. Una sincerità candida e crudele come quella
dei
bambini.
"Ti offro da bere”, lo anticipò il compagno, indicando una
piccola osteria a pochi passi dal molo in cui la nave con cui erano
arrivati
era ormeggiata.
Sisifo esitò un'istante, tentato al pensiero della birra. Se
la sentiva già giù per la gola, un fiume dorato e frizzantino capace di
ristorargli il corpo e l'umore cupo di quei giorni.
“Non bevo mai in missione.”
“Suvvia, Sisifo”, innanzi al suo nome pronunciato con tale
persuasività, Sagittarius rabbrividì “una birra. Nemmeno la senti, e
poi di qui
a quando cala il buio ti passa.”
“Una sola.”
Sisifo se ne pentì immediatamente.
"Una, dai, per la nostra prima missione”, Cancer guardò verso il mare quieto con nostalgia e pensò alla vita, di qui aggiunse: “Vuoi rischiare di morire senza aver bevuto un'ultima birra?”
Il posto si chiamava la Bella Bionda, “perché qui non se ne
vede mai nessuna”, disse il gestore, un uomo robusto e perennemente
scocciato
ma loquace.
“Quest'osteria è sempre piena, perché qui non c'è nulla da
fare”, aggiunse. “Confidiamo nell'accidia della gente.”
“Doppio malto per me e una chiara per lui” annunciò
Manigoldo, lasciando roteare sul banco un paio di monete di basso
valore.
“Mi piace un po' forte, la birra.”
“Il tavolo, dico”, e Sisifo indicò la sala, ma sapeva che Cancer aveva
capito
benissimo fin dall'inizio. “Potrebbero esserci alcuni di loro...”
“Oh, sì, anche.” Lo interruppe Manigoldo assottigliando gli
occhi con un sorriso sornione e, per contrario, scrollando le spalle
come se
non gli importasse.
Il moro lo guardava intensamente, come se fosse un oggetto
del tutto nuovo.
Cancer batté il pugno sul tavolo, Sisifo sussultò come se
quel colpo lo avesse davvero sorpreso e lo guardò stranito.
Chissà perché tutti se la fanno nelle braghe quando
esordisco così davanti ad una birra, si chiese Manigoldo, con un
lieve e
sadico compiacimento verso se stesso.
Il Sagittario guardò meglio l'uomo che aveva davanti: delle
mille sfumature del suo sorriso, sembrava sopravvissuta solo quella
della
debolezza. E Manigoldo sembrò invecchiare di colpo, come se solo la
curiosità
che gli bruciava negli occhi fosse l'unica cosa capace di tenerlo
appeso alla
vita.
Non era un gioco: egli voleva davvero sapere a cosa – a
chi - sarebbe stato rivolto il suo ultimo augurio.
“Non è una domanda qualsiasi, sai”
“Saprei di andare a morire?”, chiese Sisifo. Il colore della
birra era uguale alle crine di Ilias e Regulus e al colore di un buon
miele che
era solito mangiare da bambino.
“Nella vita lo sai che vai a morire?”, rispose Manigoldo,
guardando le sfumature corpose della bevanda.
“So che morirò, sempre e con certezza, ma non lo so mai con
precisione”, Manigoldo sorrise, apprezzando quella risposta. Sisifo
chiuse gli
occhi per un lungo istante, poi riprese a parlare:
“Domanda difficile... Fammi un esempio”
“Se te lo faccio cade il senso ultimo del gioco.”
“Bene... Allora
brinderei... Brinderei alla morte che cancella tutto fuorché l'onore,
alla
morte che mette tutte le malelingue a tacere.”
Sisifo si rovesciò fra le labbra un lungo sorso, come a cancellare
quanto
detto. Manigoldo sorrise annuendo, con la faccia di uno che la sa lunga.
Rasgado mi disse che avrebbe brindato alla buona sorte di
quelli che lo uccideranno, perché è triste la morte dei nostri
assassini, se
questi sono degni di ucciderci, e se abbattono il Toro lo sono, ha
detto – non
è stupido, quello lì.
Kardia brinda all'Inferno, che sia un bel posto, almeno
quello. E ha più ragione di tutti.”
Risero assieme e poi tacquero, Sisifo assaporò un'altra
sorsata, le bollicine gli solleticavano piacevolmente la gola. Ora si
sentiva
allegro, leggermente alticcio – non era abituato a bere ed era arrivato
stanco
alla locanda.
Il moro allargò le labbra nel suo sorriso birbone: “Alla salute, la
mia, visto
che nessuno di noi pensa mai a se stesso”
“Se non prima di morire, quando?”
“Quando la salute ti serve di più”
Io morirei con la volontà di vivere un giorno di più.
Cin cin!”
Sisifo rise e fecero tintinnare i boccali, sebbene già mezzi
vuoti, l'uno contro l'altro, e anche Manigoldo accostò le labbra al
vetro e
chiuse gli occhi.