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Autore: leamor79    02/09/2015    1 recensioni
Da un portale che si credeva sigillato da secoli fuoriesce una donna col corpo interamente ricoperto di cicatrici. Reca un messaggio di morte ma anche redenzione in una terra sull’orlo della guerra.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 2
La donna aprì lentamente gli occhi, scrutando la stanza immersa nella penombra. L’unica luce proveniva dalle braci del camino, e le ci volle qualche secondo per mettere a fuoco le immagini che le si presentavano. Ancora scossa per un sogno che stentava a ricordare, si mise a sedere, lasciando che la coperta scivolasse giù dal suo corpo nudo. Non era sola in quella stanza, di questo si rese subito conto, per cui raccolse la coperta e la tirò su fino a coprire il seno. Quando si voltò, vide su una sedia accanto al suo letto un uomo intento a incidere un bastone con la punta di un coltello ricurvo, di quelli che usano gli erboristi per raccogliere le erbe. Sollevò gli occhi dal suo lavoro quando si accorse che lei si era destata. Sulle sue labbra comparve un sorriso caloroso mentre posava su uno sgabello il legno e in una tasca il coltello.
«Finalmente ti sei ripresa»
L’uomo era sulla sessantina, una rada barba incorniciava un viso rotondo. La guardava bonariamente da sotto delle sopracciglia cespugliose.
«Cosa ci faccio nuda su questo letto?» chiese la donna, «e chi sei tu?».
«Sei nuda perché ti ho tolto i vestiti bagnati e infangati» rispose l’uomo, «li trovi puliti ai piedi del letto. In quanto a come mai tu sia qui, spero possa dirmelo tu». L’uomo le porse i vestiti, quindi si voltò, continuando a parlare.
«Sei sbucata fuori dal Mènhudè e sei svenuta ieri mattina all’alba. Se non l’avessi visto con i miei occhi non ci avrei creduto. E infine io sono Sal».
La donna scese dal letto e indossò la tunica.
«E tu invece sei?» indagò Sal, voltandosi e tendendole la mano. Lei accennò a rispondere, rendendosi conto solo in quel momento di non esserne in grado.
«Non lo so» disse infine.
«Che vuol dire?»
«Che non ricordo il mio nome» rispose con gli occhi lucidi.
«Ricordi qualcosa?» indagò.
La donna chiuse gli occhi, cercando tra le memorie.
«Nulla. Solo una forte luce, prima del buio» la voce lasciò le labbra sottili della donna quasi controvoglia, tremando nel silenzio immoto di quella stanza. Gli occhi color miele di Sal fissarono per qualche secondo quelli verdi della donna, come per decidere se potesse fidarsi delle sue parole. Quindi lo sguardo si addolcì in una espressione di comprensione.
«Non ti preoccupare, i ricordi torneranno» rispose con un sorriso rassicurante. «Ora che ci penso, prima di svenire hai detto “Alyn”. Ti ricorda qualcosa?»
La donna ci pensò un po’ su, quindi scosse la testa.
«Forse è questo il tuo nome. In ogni caso finché non ti tornerà la memoria ti chiamerò così» decise infine, voltandosi a prendere un ceppo e gettandolo sulle braci accese nel camino.
«Hai fame? È almeno da ieri mattina che non mangi qualcosa. Preparo subito una zuppa di montone e porcini».
Lei ringraziò, rendendosi conto che effettivamente aveva molta fame. L’uomo le ispirava fiducia. Lei riuscì a rilassarsi un poco, asciugando col dorso della mano gli occhi umidi. Si guardò intorno. La stanza, con un’unica finestra dalle imposte rotte, era arredata in maniera spartana: un tavolo di legno con attorno due sedie, una panca ai piedi del pagliericcio su cui si era svegliata e un caminetto acceso sormontato da un gancio al quale Sal stava appendendo un calderone con dell’acqua. In prossimità della porta un chiodo fungeva da appendiabiti, reggendo un mantello marrone, mentre sulla parete di fronte la porta dei sacchetti di stoffa erano appesi a piccoli chiodi. Sotto a questi, su una tavola stretta e lunga stava un taccuino, una penna e una candela spenta.
Alla sua destra un altro pagliericcio vuoto.
«Vivi qui da solo?» chiese.
«Un vecchio come me da solo in un posto inospitale come la Foresta dell’Orso? Non sarebbe raccomandabile» rispose con un sorriso sornione, sciacquando in una bacinella funghi ed erbe aromatiche.
«Ned è fuori per boschi, a cacciare o a raccogliere erbe. Dovrebbe tornare stasera».
Alyn guardò fuori dalla finestra, rendendosi conto che doveva essere più o meno mezzogiorno. Si avvicinò a Sal.
«Cos’è un Mènhudè?». Per un attimo Sal parve stupito, poi il sorriso rassicurante tornò a fare capolino tra la barba.
«Un insieme di enormi massi verdi collocati su un’altura al centro della foresta dell’Orso, che secondo alcune leggende risultano essere un dono fatto dal dio Drago ai mortali, o forse dagli antichi. Tu sei misteriosamente apparsa al centro».
Detto questo gettò il contenuto del tagliere nel calderone.
«Ascolta, Alyn» disse voltandosi e incontrando lo sguardo della sconosciuta. «La tua presenza è un enigma. Il motivo per cui sei spuntata dal nulla e nulla ricordi è un ulteriore mistero, e dire che questi occhi stanchi ne hanno visto di stranezze» esitò, come per scegliere le parole da usare. «Per ora sei stanca, e non voglio infierire con le mille domande che mi ronzano in testa, ma appena ti sarai ripresa ho intenzione di capire qualcosa di più» Alyn fu presa da un leggero timore. La bocca di Sal continuava a sorridere, ma negli occhi trapelava una determinazione ferrea. «D’altro canto probabilmente anche tu vorrai indagare su questi misteri. Per cui appena sarai in grado di viaggiare lasceremo questa casa. Ma adesso sto correndo un po’ troppo» disse notando l’inquietudine prodotta dalle sue parole.
«Perdona questo vecchio, e pensa a riposare» concluse rimettendosi a cucinare.
In poco tempo il pranzo fu pronto e Sal riempì delle ciotole con la zuppa.
«Vivi in questo bosco da molto tempo?» domandò Alyn dopo aver ingoiato un boccone di carne. Le parse molto buono, ma forse la fame le stava offuscando il giudizio.
«Non vivo qui, anche se questo bosco ha visto i miei migliori anni. Mi sembra passato un secolo da quando con Jorum vivevamo in questo posto incantevole» Sal prese una pipa da un cassetto e la riempì col tabacco.
«Jorum?» indagò Alyn.
«Il mio maestro, colui che mi ha insegnato il mestiere - anzi no, l’arte dell’erborista. Tutto ciò che sono lo devo a lui» accese la pipa e fece degli anelli di fumo.
«Era solito dire “solo a contatto con la natura più selvaggia l’uomo può sentirsi in pace con Dio, e in barba a tutti quei santoni in tunica che predicano nel nome del Drago e operano rituali di nessun valore”» Il sorriso che non aveva mai lasciato la faccia del vecchio divenne malinconico, lo sguardo perso in dolci ricordi. «Il rifugio l’abbiamo costruito assieme. Asse dopo asse, quando ero poco più che ragazzo. Se guardi a destra del camino troverai incisi due nomi. Jorum e Kensal. Il mio cuore non ha mai lasciato la foresta dell’Orso, e quando posso torno a rigenerarmi tra le fronde delle sue querce. Ma da quando Jorum è morto abito alla corte del Lord di Rocca dell’Orso» terminò infine.
Seguì qualche minuto di silenzio. Gli occhi di Sal fissati nel nulla guardavano immagini di giorni lontani.
Fu Alyn a rompere il silenzio, giocando con una ciocca dei capelli rossi per nascondere il nervosismo.
«Il Mènhudè…» Il vecchio distolse l’attenzione dai ricordi, e chiese «cosa?»
Alyn guardò il fuoco nel camino, poi continuò «dove si trova? È molto lontano da qui?»
«Pochi minuti a piedi. Quando ieri ti ho trovata ero appena uscito dal rifugio». La fissò, aspettando che continuasse. Poi chiese «vorresti vederlo?» Alyn alzò gli occhi verdi a incontrare quelli miele del vecchio. Trasparivano tutta l’agitazione e il timore della donna, e da quello scambio di sguardi si abbeverò alla placida sicurezza che emanava l’espressione di Sal. «Si» disse dopo qualche secondo di esitazione. Sal sorrise, prese un fungo dalla ciotola che gli stava davanti. Quando ebbe deglutito la guardò e rispose «va bene, dopo mangiato andremo. Chissà, magari ti aiuterà a ricordare»
 
Era rimasto tutto il mattino nel tempio Celeste, alla penombra delle candele che proiettavano una fioca luce azzurrina. Lo sforzo aveva esaurito le sue energie, ma il Dio Drago non aveva risposto alle sue richieste, lasciandolo inginocchiato a invocare una visione o qualunque cosa potesse metterlo sulla retta via, segno inequivocabile di quanto l’avesse deluso con i suoi numerosi insuccessi. La frustrazione iniziale scatenò la sua ira, quindi arrivò il panico. Lentamente si risolse a uscire. Aveva molto su cui riflettere. «Dannato assassino!». L’imprecazione a denti stretti passò inosservata ai pochi fedeli che erano rimasti a pregare.
Uscendo salutò con un cenno del capo il sacrestano, e si diresse a passo lento verso le ampie porte a doppio battente. Le oltrepassò e rimase abbacinato dal riverbero del sole sul lastricato bianco della piazza. Si schermò gli occhi con la mano e scese i gradini del tempio, diretto alle stalle dell’Ordine.
Come da sua disposizione Alba era sellata e pronta. Ethan lo attendeva reggendo le redini della puledra bianca, con ai piedi lo zaino.
«Eccellenza, è sicuro di voler partire da solo?»
«Ne abbiamo già parlato, Ethan. L’ordine ha richiesto esplicitamente la tua presenza al tempio» Era un altro tasto dolente. All’inizio non aveva compreso il motivo di tale decisione, ma ora era tutto più chiaro.
Ora tutto quadrava. La scomparsa delle visioni era stato solo il primo segno rivelatore. Il suo Dio l’aveva escluso, tagliato fuori dallo stato di grazia degli Shangdìmà. Poi la ricerca dell’assassino era stata assegnata a sir Lucas da Lorath, detto il Demone Santo. Infine l’ordine lo aveva privato del suo servitore, il fedele Ethan. In tutto questo la pista che aveva fiutato l’ultimo mese l’aveva portato vicino come non mai. Tutto conduceva al bosco di Lohr, nella piana vicino alla Città Santa. “Così vicino al centro nevralgico dell’ordine” pensò Nicholas. Erano ormai due anni che dava la caccia a Leamor, due anni costellati di insuccessi. Di certo non poteva biasimare l’Ordine per la scelta di estrometterlo, non dopo che anche il suo Dio gli aveva voltato le spalle.
L’ex Shangdìmà abbracciò calorosamente Ethan, ripensando al profondo affetto che lo legava al suo sottoposto.
«Abbi cura di te»
«Anche lei, Eccellenza»
Si sciolse dall’abbraccio, prese le redini e si accomiatò.
Uscito dalle stalle montò Alba e la portò al passo. Il non aver ricevuto nessun altro incarico gli dava comunque un certo margine di libertà per agire - ovviamente fuori dall’ufficialità - e lui non aveva intenzione di rinunciare a conoscere la verità. Si sarebbe diretto a nord, seguendo la scia di efferati crimini. Avrebbe preso Leamor, e lo avrebbe consegnato al Tribunale Divino, rientrando così nelle grazie dell’Ordine e, cosa più importante, nelle grazie del suo Dio.
 
La struttura era imponente. La pietra verde risplendeva come uno smeraldo nei pochi punti in cui i raggi obliqui del sole la colpivano. Il caprifoglio che la ricopriva parzialmente emanava un intenso profumo, coi suoi fiori bianchi e rosa. L’aura di potere che emanava il Mènhudè era quasi palpabile, metteva soggezione. Alyn si avvicinò alla base, una piattaforma ottagonale raggiungibile da una scalinata di cinque gradini. Li salì e sfiorò una colonna liscia del diametro di cinque spanne. Come aveva anticipato Sal al tocco la superficie era tiepida. Le colonne, cinque in tutto, erano sormontate quindici piedi più in alto da altrettante travi che formavano un pentagono speculare al perimetro della piattaforma. Il centro della struttura era uno spazio vuoto. Sal stava in disparte, rispettando il desiderio di discrezione della donna. Dopo alcuni minuti Alyn si voltò e tornò accanto a Sal. «Allora?»
«Niente» fece lei sconsolata.
Sal annuì e fece strada verso il rifugio.
 
Il sole era quasi tramontato quando la porta si aprì e un uomo avvolto da un mantello verde entrò nel piccolo rifugio. Gettò sul tavolo due lepri, il bottino della sua giornata di caccia, e si tolse il mantello da sopra le spalle. Alyn trasalì vedendolo entrare, ma Sal salutò il nuovo arrivato con un cenno del capo.
«Finalmente la signora si è svegliata» disse parlando col vecchio ma guardando la ragazza. «era ora»
«Ned, non essere scortese. Alyn è nostra ospite»
«Alyn?» chiese con un cipiglio poco amichevole.
«Non ricordo il mio nome» sentì il bisogno di specificare, con voce tremante, la ragazza.
«E Sal ha usato tutta la sua fervida immaginazione per affibbiarti questo bel nome» concluse Ned.
Si avvicinò ad Alyn porgendole la mano, e disse «io sono Ned, e qualunque cosa ti abbia raccontato il vecchio sul mio conto sappi che non corrisponde a verità»
«Piacere» rispose incerta stringendogli la mano.
L’uomo era alto, spalle larghe, capelli neri lunghi e occhi castani. Indossava una giacca di cuoio e delle braghe nere, e in vita portava un cinturone con appesa una spada. Il volto era segnato da una cicatrice che, partendo dalla tempia destra, scendeva fino all’orecchio. Sorrise, ma gli occhi rimasero freddi. Poi prese una ciotola, si versò un po’ di zuppa messa precedentemente a scaldare da Sal e si sedette a mangiare.
«Non ricordi proprio nulla?» indagò tra un boccone e l’altro.
«Niente di niente»
«Sembra che i tuoi ricordi siano scomparsi assieme a quelle cicatrici».
Sal lo fulminò con un’occhiata.
«Quali cicatrici?» chiese Alyn guardando ora l’uno ora l’altro.
«Non glie lo hai detto?» sembrava realmente stupito.
«Alyn si è svegliata solo oggi», si giustificò Sal, «ha subito troppe emozioni per un giorno solo»
«Quali cicatrici?» chiese di nuovo.
«Non dovresti nasconderle le cose, soprattutto se la riguardano» lo rimbeccò con sarcasmo.
«Io non le ho nascosto niente, certe cose…»
«Quali cicatrici?» urlò Alyn in preda all’ira. La vista le si annebbiò. Chiuse gli occhi, e quando li riaprì non era più nel rifugio. Un vento gelido scuoteva l'alberello rinsecchito che aveva di fronte, minacciando di sradicarlo ad ogni folata. Si guardò intorno. Era in cima ad una scogliera a strapiombo su un mare in tempesta. Si accorse che stava piovendo a dirotto, ma le gocce di pioggia non la bagnavano. Riconobbe a un centinaio di passi una struttura simile al  Mènhudè. Una figura incappucciata al centro della pedana le voltava la schiena, e sembrava stesse armeggiando con qualcosa. Con passo incerto si avvicinò. Salì i gradini verdi e si portò alle spalle dell'uomo. A quella distanza sentì un pianto disperato che stentava a superare la furia del vento. Un pianto di donna. Ma si sentiva qualcos'altro. Alyn tese l'orecchio. Tremando riconobbe una voce di bambino. Si affacciò da sopra la spalla dell'uomo, e inorridì. Una donna con in braccio un bambino di non più di due anni. Lo teneva fermo mentre l'uomo, con un pugnale rituale, tracciava strani simboli insanguinati sul corpo del bimbo. Seguì per ciò che le parve un'eternità la traiettoria del coltello, che prese a brillare, dapprima fiocamente, poi sempre di più ad ogni solco che scavava nella tenera pelle. La donna implorava in una lingua a lei incomprensibile, ma continuava a tenere fermo il bambino in quel terribile rituale. Un ultimo fendente recise da parte a parte la gola del bambino, continuando su quella della donna. Rossi spruzzi caldi schizzarono sull'uomo e attraverso Alyn mentre i due crollavano a terra. Un sibilo in alto la distolse dal macabro  spettacolo. Alzò gli occhi e vide una spada dorata risplendere, poi creparsi e cadere in mille pezzi. L'uomo urlò qualcosa, ma la voce si strozzò in gola. Alyn vide che stava mutando, crescendo, e che la stava osservando. Gli occhi indemoniati della creatura che era stata l'uomo incappucciato le stavano frugando fin dentro l'anima, facendola sentire nuda e inerme. Occhi rossi, profonde pozze di lava. Occhi di un demone.
Riaprì gli occhi.
Era tornata al rifugio, e Sal la stava abbracciando.

 Sal e Ned si ritrovarono a terra senza sapere cosa li avesse colpiti. Quando la guardarono l’ira aveva lasciato il posto alla paura. Si accasciò e incominciò a singhiozzare. Attorno a loro il mobilio era sottosopra e il vetro della finestra era rotto. Ned si alzò lentamente, cercando di capire se si fosse rotto qualche osso. Sal lo imitò, si avvicinò alla ragazza e la abbracciò.
«Cosa sono?» chiese tra i singhiozzi.
«Lo scopriremo, bambina mia» sussurrò, «lo scopriremo».






Ho aggiornato la pagina per una moodifica. Scusate ma era necessario inserirla ora.

   
 
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