Survival of the
richest,
the city’s ours until the fall
They’re Monaco and Hamptons
bound
But we don’t feel like
outsiders at all
We are the new American
High on legal marijuana
Raised on Biggie and
Nirvana
We are the new Americana
New
Americana, Halsey
4. How to lose unemployment in ten days
“Cosa
ne pensi
di questa?”
A
Dorcas
brillano gli occhi mentre stringe fra le mani una sciarpa blu in un
tessuto
che, a prima vista, appare morbidissimo e sembra fatto apposta per
avvolgere il
collo.
Mi
avvicino di
qualche passo e l’affianco, entrambe che fissiamo un pezzo di
stoffa che
costerà più di trenta dollari, dando
un’occhiata all’interno della boutique in
cui siamo entrate.
E’
il periodo
che più amo durante l’anno ma ovviamente da
settembre la mia vita è un
districato insieme di fili e nodi che ha offuscato il mio passato:
eccomi
allora, costretta a spendere ore in giro per New York alla ricerca di
un regalo
per una persona che ho visto sì e no un paio di volte,
chiaramente più
importante per Dorcas; lei e Amos sono usciti un’altra volta,
da soli, dalla
fantomatica uscita a tre con Benjamin che, da quanto mi stava
raccontando fino
a cinque minuti fa, è stata piuttosto imbarazzante. E
adorabile. Non ho ancora
compreso come questi due aggettivi riescano a qualificare
un’uscita mattutina
– io dormivo. Chiaramente
dormivo – ma lei ne è soddisfatta e non posso far
altro che annuire e darle
ragione.
“Beh,
è
splendida” – e come darle torto? Potrei utilizzare
questa sottiletta di stoffa
come cuscino e dormire per tre giorni di seguito –
“Ma come regalo di Natale
per Amos? Non saprei”
Rotea
gli occhi
al cielo, facendo scrollare i lunghi capelli biondi che hanno la forma
di onde
morbide e il fastidio che le mie parole le hanno provocato basta a
farmi
sorridere spontaneamente, gli occhi puntati sul volto chiaro della mia
amica
con le guance rosee per la frustrazione.
“Non
capisco
perché tu ce l’abbia con lui” ribatte
con un tono di voce aspro, per poi
rimettersi a osservare le sciarpe “E comunque
no—non sarebbe per Amos. Per
Benjy”
“Oh”
“E’
il mio
migliore amico da quando eravamo entrambi nel pannolino: posso spendere
venticinque dollari e novantanove per lui, no? E poi”
– stringe i denti,
fintamente arrabbiata – “Se mi avessi ascoltata,
avresti capito che io e Amos
siamo in una relazione… semplice. Siamo quasi
amici”
Infilo
le mani
nelle tasche del giaccone, facendo qualche passo indietro per dare
un’occhiata
più ampia al negozio ma mantenendomi ad una distanza decente
da Dorcas perché
possa parlare con un tono di voce basso e lei possa sentirmi.
Brooklyn
nel
periodo natalizio sembra essere un’enorme palla per addobbare
gli abeti:
incolpo senza problemi il suo essere piena di palazzi costituiti da
un’infinità
di mattoncini rossi e l’energia sprizzante che i suoi
abitanti emanano, ossia
il giusto equilibro fra il colore dell’addobbo ed il motivo
particolare
stampato su di esso.
Inoltre,
sembra
avere la strana capacità di dare vitalità ad ogni
suo negozio e ai quartieri
circostanti, quindi non mi stupisco più di tanto se persino
nel Bronx, negli
Hamptons, a Soho, TriBeCa e Manhattan si condivida
quest’atmosfera splendida.
“Quindi
niente
sciarpa fantastica per Amos, d’accordo”
“Oh,
Cristo,
Lily” esclama su di giri “Adesso capisco
perché–”
Ma
si blocca
improvvisamente e così facendo cattura tutta la mia
attenzione in un battito di
ciglia. “Adesso capisci
perché cosa?”
Rimango
a
osservarla per il tempo necessario a capire che non
replicherà e non riuscirò a
cavarle quelle parole di bocca.
Muove
la testa e
poggia l’intero palmo della mano sulla sciarpa, come per
tastarne la
morbidezza. “Nulla, lascia stare”
Esattamente.
Nonostante
siamo
nel pieno di Dicembre, un pallido sole ha deciso di mostrarsi chiaro
nel cielo
e rendere questa giornata tipicamente pre-invernale più
calda del previsto,
rendendo impossibile uscire di casa ricoperti da cappelli e guanti.
È un po’
strano abituarsi così presto ad un nuovo ambiente: nemmeno
per un attimo – che
non fosse più lungo di un paio di minuti,
s’intende – ho pensato a riferirmi al
Natale come un’usanza degli Evans, nella casa degli Evans,
nella città
residenziale degli Evans, a Castlebury, Connecticut.
Ho
pensato a
come addobbare la casa, a come posizionare l’albero di
Natale, a fare la spesa
per la vigilia e a come trascorrere il capodanno in compagnia. Ho
dedicato un
po’ del mio tempo a confrontare i miei piani con quelli di
Sirius (“Sto pensando di rimanere
qualche giorno in
più per gli ultimi test, ma a Natale sono da te”)
ma mai, nemmeno per
un’ora, ho avuto nostalgia di casa. Il che mi rende una
stronza colossale, come
direbbe Dorcas, o una ragazza maturata che ha ufficialmente superato lo
svezzamento con la propria inutile famiglia, usando il lessico di
Sirius.
Qualsiasi
delle
opzioni sia, sono contemporaneamente sollevata dal fatto di aver scelto
la via
giusta e terrorizzata perché potrei non essermi resa conto
dell’errore
commesso.
“Ti
dicevo,
quindi, che ci siamo visti per pranzo e programmiamo un’altra
uscita allo
stesso orario la settimana prossima, dal momento che le nostre pause
pranzo
lavorative coincidono e i nostri posti di lavoro sono abbastanza
vicini”
Il
cambiamento
repentino del discorso mi abbatte un po’, ma ora come ora non
mi va di litigare
o di intavolare una lunga discussione che non vedrà
sicuramente fine…
Annuisco
ancora
poco convinta, ma non dico nulla quando la seguo al ricevitore di cassa
per
comprare la sciarpa blu che donerebbe, effettivamente, a Benjy.
Proferisco
parola qualche attimo dopo, però, quando ci incamminiamo fra
le avenue gremite
di gente che come noi, ha deciso di trascorrere una piacevole
mattinata a fare spese. Nel mentre noto con piacere che
il sole si è nascosto dietro alcune nuvole. Ah,
l’inverno.
“E
Amos?”
“Amos
cosa,
esattamente?”
Scrollo
le
spalle e mi lascio distrarre da una vetrina con capi vintage che
catturano il
mio sguardo per due minuti scarsi: “Come lo…
vedi?”
Dorcas
mi si
affianca e poi sospira rumorosamente, dando un’occhiata alla
busta e mordendosi
il labbro inferiore con i denti.
“Non
vorrei
sperarci troppo” – inizia sorridendo –
“Ma interessato? Genuinamente? Ha uno
sguardo attento e sembra prestare attenzione a ogni cosa che dico,
anche
stupida perché ci sono momenti in cui riesce a farmi dire
cose stupide… non che
io lo faccia, di solito”
“Certo
che no”,
rido.
Si
passa una
ciocca di capelli dietro l’orecchio ed è in quel
preciso momento che colgo la
sua felicità. Voglio dire, Amos potrebbe essere davvero
buono per lei. Te ne
rendi conto, guardandola. Vedendo come sia speranzosa, incredibilmente
attenta
al suo comportamento, rischiando di diventare paranoica e, se conosco
Dorcas
Meadowes da almeno un po’ di tempo a questa parte, so che
è tutto fuorché
paranoica.
“O
mio dio”
esclama a un tratto, sgranando gli occhi. “Inizia a piovere,
Lily!”
“Piove, Lils!” Non faccio
neanche in
tempo ad alzare lo sguardo verso il cielo che una goccia mi coglie alla
sprovvista, finendo su di una palpebra.
A Castlebury non sono mai avvenuti con
tanta frequenza i cambiamenti climatici improvvisi e quello
è sempre stato un
dettaglio che ho costantemente odiato della mia città: la
sua tendenza a
rimanere inalterata nel tempo, come se nulla potesse variare nonostante
il
passare dell’età. È per anche questa
ragione che la detesto fermamente: è come
se avesse spinto ogni suo cittadino a conservare con ovvietà
– nemmeno con
cura, per proprio volere
– tradizioni antiche che chiaramente
non possono e non riescono a funzionare oggi giorno.
Afferro Sirius per un braccio e lo
trascino via con me, sotto la grondaia di casa Evans, trattenendo a
stento un
insulto. Allora lui scoppia a ridere, liberandosi dalla mia stretta
gentile e
togliendosi delle gocce sulla fronte passando la mano su di essa.
“Che irriverente” ride ancora
ed io
sposto lo sguardo dal giardino adiacente la mia casa a lui in un batter
d’occhio, “Faresti meglio a non farti sentire da
nessuno o potrebbero davvero
dire che ho una cattiva influenza su di te”
Corrugo le sopracciglia, mentre questi secondi
vengono riempiti dal rumore via via più insistente della
pioggia. “Ma tu hai una
cattiva influenza su di me”
È il primo fine settimana dopo il mio
sedicesimo compleanno e Sirius sta rispettando il patto che abbiamo
stretto a
quattordici anni, vale a dire l’età in cui ci
siamo conosciuti: fino al suo
compleanno, ossia il giorno in cui eravamo a tutti gli effetti
coetanei, lui
avrebbe dovuto esaudire un mio desiderio per ogni settimana…
un modo più
gentile per dire che anche le ragazze sanno farsi valere, che anche
loro
possono essere dei capi… un fanculo
sussurrato alle convenzioni sociali nocive
della nostra città. Credo che Sirius mi abbia sempre
venerato come una sorta di
sorella minore – maggiore, in realtà- ideale, e
non abbia mai contestato questo
stupido gioco perché… beh, mi vuole bene. Affetto
fraterno e tutto. Non che io
lo costringa a servirmi da mangiare o farmi da schiavo, quindi non
è che gli
dispiaccia più di tanto.
Anzi, credo che la maggior parte delle
volte si diverta.
Sirius smette di ridacchiare e poggia un
gomito sulla mia spalla, data la sua altezza che sovrasta la mia di
quasi
quindici centimetri. “Non possiamo più uscire,
dannazione”
“Intendevi dire scappare, vero?”
Notando che lui non dice nulla, mi giro
nella sua direzione e lo osservo sino a che il suo sguardo non incrocia
il mio:
“Sai che possiamo stare a casa, no? Non devi per forza
tornartene in quella
villa modestissima dove dimori”
L’accenno di sorriso che rompe la linea
severa delle sue labbra mi rassicura: so che, per quanto ci scherziamo
sopra,
non è esattamente la più felice delle emozioni
sentirsi il responsabile del
repentino cambiamento di una pacata ragazzina come me, ma deve sapere
che i
miei genitori non lo odiano davvero ed è solo Petunia il
vero, grande problema.
“Black, sei del tutto bloccato con me,
adesso. Non puoi andar via”
I suoi occhi grigi mi scrutano con una
nota di divertimento e non posso fare a meno di sentirmi soddisfatta
perché è
tornato il Sirius di sempre. Ed io sono davvero affezionata al Sirius
di
sempre.
Sposta il gomito dalla posizione in cui
è
stato fino ad adesso, lasciando comunque riposare una mano sulla mia
spalla.
“Beh, Fiore, credo proprio che dovrai
aiutarmi a studiare Biologia”
Io
e Dorcas ci
siamo rifugiate in men che non si dica nel primo bar aperto, tenuto
conto che i
commessi dei negozi avevano iniziato a guardare ogni pseudo nuovo
cliente con
un sopracciglio alzato, per non parlare del modo con cui sbuffavano
all’acqua
nei loro locali.
“A
proposito di
regali” – esordisce poggiando la borsa sul bancone
del locale – “Non dovresti
farne qualcuno anche tu?”
“E’
il tuo modo
gentile per suggerirmi un regalo per te, Dork?”
“Lily…”
nel
richiamarmi non trattiene un sorriso ed io ricambio svelta.
“Intendo
dire,
sai” – alza le spalle e si toglie la giacca color
mostarda – “Sirius magari e,
non ne ho idea, la tua famiglia…”
“No”
incrocio le
gambe e distolgo lo sguardo da quello indagatore tipico della mia amica.
Il
posto dove
siamo finite non è affatto male: ad iniziare
dall’odore che percepisco, ossia
un misto fra i prodotti generalmente consumati all’interno di
un bar, più cose
dolci e alimenti tipici del Brunch. Il pavimento è un
meraviglioso parquet
color noce e il rivestimento sui muri è una carta da parati
particolare,
decorata con piccoli motivi che paiono più doodle che altro.
Per il resto,
tutto bianco, e dove non c’è il bianco
c’è una vetrata che da sull’esterno o un
quadro pieno di foto o cartine geografiche, mappe di città o
metropolitane.
Sulla mia destra, scorgo persino la mappa della Tube di Londra.
Il
mio no perentorio deve averla
turbata,
perché adesso mi osserva con le sopracciglia corrugate e le
labbra strette in
una smorfia, simile ad una linea dura e preoccupata.
“Mi
spiace”
sussurro, una mano già a spostare i capelli dietro
l’orecchio “Non mi va di
parlarne, adesso”
“L’adesso mi rincuora”
Non
faccio in
tempo a replicare che un ragazzo dal lato opposto al bancone cattura la
nostra
attenzione con un sorriso dolce e i capelli simili al mio stesso
colore, forse
di qualche sfumatura più chiari.
“Posso
portarvi
qualcosa, donzelle?”
“Un
caffè,
grazie”
Io
impiego
qualche attimo in più per rispondere, improvvisamente a
corto di parole. “Cosa
fate, esattamente? Perché vado matta per il salato, ma se
avete dei dolci…”
Il
ragazzo ride
e si asciuga le mani allo strofinaccio che fra le dita. “In
effetti siamo un
bar, una caffetteria ed una via di mezzo. Per i brunch e gli spuntini
pomeridiani, temo”
“Splendido.
Lascio scegliere alla casa, per questa volta”
Con
un altro
rapido sorrisetto, sparisce oltre la porta in vetro e non passa nemmeno
un
secondo che lo rivediamo… dall’altro lato del
locale?
“Dork,
non è
appena…?”
“Buon
pomeriggio
donzelle, posso portarvi qualcosa?”
La
mia amica si
muove sullo sgabello e poggia i gomiti sul banconi, ostentando
indifferenza. “Hai
già preso le nostre ordinazioni”
Lui
alza gli
occhi al cielo, quasi dello stesso colore della t-shirt nera che
indossa.
“Dannato Gideon, sempre a rubarmi i
clienti…”
Non
capiamo un
bel nulla fino a che compare, alla sua destra, la sua esatta copia. Oh cristo—
“Come,
prego?”
Sono
due. Sono
gemelli. Entrambi dietro il bancone: stessa espressione, stessi
capelli,
persino stessa maglia.
“Io
sono Gideon,
ho preso le vostre ordinazioni” sorride, mentre il ragazzo al
suo fianco
prosegue, “Fabian. Purtroppo suo gemello”
“Se
ci sono io
al bancone, perché prendere le loro ordinazioni? Il locale
è tutto pieno”
Quello
schiocca
la lingua sul palato: “Perdonami se per una volta volevo
avere io l’onore di
parlare con delle ragazze carine”
Se
non Dorcas,
almeno io mi rendo conto di arrossire.
“Siamo
solo noi
due, Prewett—finché non c’è
il terzo cameriere non puoi permetterti di farci
perdere clienti”
Fabian
Prewett
alza gli occhi al cielo. “Sempre il responsabile,
duh?”
Non
posso fare a
meno di prestare attenzione ad ogni singola parola che pronunciano. Ho
davvero
sentito bene?
Mi
schiarisco la
voce e mi sporgo in avanti, imitando gli stessi movimenti che Dorcas ha
compiuto poco fa. “Terzo cameriere, ho sentito
bene?” ripeto, questa volta a
voce alta e con più convinzione.
Adesso
come
minimo mi diranno che c’è ed è in
ritardo, tenendo conto della mia sfortuna…
“Sì,
al corrente
stiamo cerc—” aggrotta la fronte e sgrana di poco
gli occhi “tu
vorresti…? Sapresti lavorare?”
“Passa
alle
domande serie, Gideon: hai esperienza?”
“No”
rifletto
rapidamente, ma aggiungo subito “A meno che servire tua
sorella maggiore per
undici anni non valga come esperienza, pensandoci—ma sono
sveglia. Attenta”
Per
i successivi
due minuti e mezzo mi sento osservata e spogliata di ogni barriera
interposta
fra me ed i miei interlocutori. Entrambi assumono la stessa espressione
pensierosa, che si scoglie nell’attimo in cui alzano le
spalle e pronunciano: “Ti
offriamo una giornata di prova…”
“Lily”
“Lily. Durante il periodo natalizio
sarà
più che sufficiente. Domani mattina, qui, apertura alle ore
nove, va bene?”
“Sì,
ovviamente.
Non vi deluderò, davvero”
Gideon
– o era
Fabian? – accenna un sorriso che non fa che infondermi una
vaga e calorosa
speranza, che divampa nel petto e mi fa tornare ad amare questo momento
preciso
dell’anno.
Quando
mi volto
nella direzione di Dorcas, la trovo che sorride in un modo familiare e
quasi…
materno, ma distoglie subito lo sguardo e si passa una mano fra i
capelli.
Abbiamo appena cenato e ci siamo
rintanati nella mia camera al secondo piano, relativamente
più piccola rispetto
a quella di mia sorella, quando Sirius mi pone quella domanda:
“Credi nelle
vite parallele, Lily?”
Si trova sdraiato a pancia in su sul mio
letto, mentre io sono oltre il bordo della finestra, praticamente
seduta sul
tetto della nostra villetta, intenta ad osservare come il buio abbia
preso
pieno possesso di Castlebury.
Volto il mio collo nella sua direzione e
lo scorgo pensieroso con gli occhi aperti ad ammirare il soffitto della
mia
stanza. I capelli neri che dovrebbe davvero tagliare sono sul mio
piumone e le
sue mani riposano sicure sul suo busto.
Avvicino le gambe al petto e le cingo con
un braccio per poi replicare.
“No. Dovrei?”
Non dà alcun segno di avermi sentita e
lascio che una folata di vento mi investa e faccia rabbrividire.
“Non ti dà speranza pensare
che adesso,
in un altro mondo, siamo diversi ma liberi? Felici?”
“E’ un’illusione,
Sirius. È come credere
nella magia”
Si mette a sedere e i suoi occhi grigi mi
trafiggono, mi sorpassano facendomi sentire sciocca per la risposta che
ho
dato.
“E se tu avessi torto?”
Il venticello mi spettina i capelli e non
posso fare a meno di notare l’aura di speranza che gli
aleggia attorno, come se
lui dipendesse irrevocabilmente da quell’appiglio, come se
non potesse farne a
meno.
Al che, “Potrei” ribatto
abbassando
lievemente le sopracciglia. Lui allora scuote la testa ed i lunghi,
insopportabili capelli, riprendendosi e schioccando addirittura la
lingua sul
palato, come se fosse appena uscito da
un’assurdità.
Mi sposto di una decina di centimetri
sulla destra, lasciandogli abbastanza spazio per affiancarmi e nel giro
di
pochi minuti è al mio fianco che imita la mia stessa
posizione.
“Immagina” dice fra le risate,
“Che siamo
dei maghi e siamo invincibili”
Mi poggio contro il muro.
“Così la fai
sembrare una storia per bambini…” –
storco il naso – “Non siamo invincibili ma
proviamo ad esserlo. E magari c’è un cattivo che
ha la meglio su tutti. E
moriamo in battaglia”
“Lily Evans” sussurra
flebilmente al
vento che ci dà fastidio “Hai davvero una pessima
immaginazione”
Quando
usciamo
dal locale, noto con una punta di divertimento che non sono neanche a
conoscenza del nome del posto in cui probabilmente lavorerò.
Mentre
indossiamo le giacche, io e Dorcas, quasi in simultanea, ci voltiamo a
guardare
l’insegna e mormoriamo il nome come se fosse
un’incredibile sorpresa.
“Three
Breadsticks…”
“Chissà
perché non
mi stupisce”
Dorcas,
nel
muoversi, dà una sbirciata all’orologio e spalanca
gli occhi: “E’ quasi ora di
pranzo, dannazione! Avevo promesso a Benjamin che avremmo mangiato
assieme…
Succede poche volte al mese e io devo scordarmelo! Dannazione”
Si
riveste e
aggiusta gli indumenti che indossa con velocità, poi si
sporge su di me e mi
lascia un piccolo bacio sulla guancia. “Grazie per
l’aiuto, 6B!”
Scappa dalla mia visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere sola ma non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della giacca che li elettrizza.
Scappa
dalla mia
visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere
sola ma
non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale
più che
apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della
giacca
che li elettrizza.
Prendo
la metro
per tornare a casa e mi godo un po’ di quella malinconia che
si cela sotto le
falcate veloci dei Newyorkesi, che corrono perennemente e si impelagano
in
traffico e problemi solo per non arrivare a fine mattinata o giornata
come me,
seduti da soli su un sedile usato e intenti a osservare la band di
turno nella
metropolitana o il bambino e la sua mamma nel vagone che hanno
conversazioni
che sfiorano l’assurdo.
Quello che differenzia me, però, dalla massa confusa di abitanti di questa città, è che una volta di fronte al mio palazzo nell’Upper West Side, io prendo l’ascensore e inserisco le chiavi nella toppa della porta, per poi gettare tutto sul divano e aspettare un qualsiasi cenno di vita dal cellulare, dalla tv o da Dorcas – che non ha ancora del tutto imparato a usare le scale normali e non quelle antincendio – perché oltre me non c’è alcun essere vivente che esala un respiro particolarmente più stanco dei precedenti. Non c’è nessun gatto, nessun cane, nessun intruso nella terrazzina che si raggiunge dalla finestra del soggiorno e non c’è nemmeno il pranzo pronto.
Non
mi viene da
piangere se ci penso, perché mi dico che è il
processo a cui devo essere
sottoposta per potermi davvero definire adulta. Non posso piangere
perché tra
poco più di un mese è il mio compleanno e sono
più grande, e i grandi non
bagnano i pigiami di lacrime.
Ho
quasi
diciannove anni e sono in una delle città più
grandi al mondo seduta sul
divano, con uno scatolone pieno di addobbi natalizi di fronte alla
camera del
mio migliore amico e coinquilino che non c’è
perché è fuori a crearsi il futuro—Buon giorno, New York! Mi dà
il consueto
saluto con le notizie del giorno e il rumore del
citofono mi fa sobbalzare.
“Sì?”
“Posta”
Riconosco la voce del postino e questo basta per farmi scrollare di dosso la sensazione di nostalgia che mi ha posseduta.
È
tutto un
flusso di cose che faccio senza quasi rendermene conto: mi lego i
capelli in
una coda, prendo le chiavi e scendo giù a vedere la posta,
urtando con una
gomitata piuttosto violenta anche un signore entrato dal
portone…
“Non
ti si può
fare neanche una sorpresa” dice la voce alle mie spalle.
Spalanco
gli
occhi e anche la bocca che vado a coprire con una mano.
“O
mio dio”
Il
cuore
martella più forte quando ride e dice “Fino a un
po’ di tempo fa preferivi
Sirius…”
Lo
afferro dalla
sciarpa e lo avvicino a me, stringendolo in un abbraccio che spero non
abbia
mai fine.
ho lottato fino all'ultimo per vedere se inserire o meno sirius ahhahahahh ma la fangirl che è in me ha avuto la meglio, anche perchè sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo che poteva terminare soltanto con un cuore come lui!!! (voi non avete idea di come io lo immagini per via di tutti gli headcanon che ci sono su tumblr. you just don't get it) anche perchè credo di avervi fatto abbassare la guardia - sirius doesn't live here anymore, lily che riesce ad essere via via più sicura anche se sola, sirius che non è tornato per il ringraziamento etc :) - con i capitoli precedenti! insomma, alla fine doveva tornare perchè è natale e al college, fino a prova contraria, ci sono le vacanze natalizie! ho avuto un paio di problemi dovuti al fatto che pensavo a termini in inglese e non riuscivo a tradurli in italiano al meglio, tipo cheeky e un paio che ora mi sfuggono (typical). amos è un bravo ragazzo e infatti sta mandando avanti questo suo rapporto con dorcas, ma più avanti avremo modo di riaverlo fisicamente e potrete adorarlo come lo adoro io. che dire...
i flashback!! ne prevedevo uno sirius/lily importante, stile prima guida/prom/cavolate varie ma invece la pioggia mi ha ispirata e ho scritto di questi ricordi della stessa giornata! ditemi se vi piacciono e se non sono confusionari, perchè ne avrei in mente altri... :)
poi i tre manici di scopa: come ho detto ad alcuni dei lettori, sto traslando eventi e dati di hp nel mondo normale, senza magia! un esempio è stato remus nel capitolo precedente che nei libri è un lupo mannaro e qui ha un problema (sapremo di lui più avanti) e il nome del bar/caffetteria/ristorante che è stato ispirato da una catena di locali nel regno unito (si chiamano the breakfast club) e prende il nome da un gioco di parole: i tre manici di scopa, nella versione originale, per chi non lo sapesse, si traduce con three broomsticks mentre qui lo troviamo come three breadsticks (tre grissini, ossia in italiano fa abbastanza schifo ahahha)
fabian e gideon prewett, i fratelli di molly weasley, li immagino come eddie redmayne !!
un'ultima cosa!! vi invito a passare dalla mia long jily ambientata ad hogwarts (ho scritto mille parole del nuovo capitolo fino ad ora) e dirmi cosa ne pensate! eccola qui, si chiama Hooked on a feeling
grazie mille per tutto, a chi recensisce o legge soltanto! sono stra curiosa di sapere i vostri pareri circa questo capitolo!! un bacio
fede