Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: missimissisipi    06/09/2015    5 recensioni
ON HIATUS
E’ nella città più insonne al mondo che Lily Evans vive alcuni dei più importanti anni della sua vita. Insomma, tutto inizia con Sirius che le porge con gentilezza le chiavi di casa, per poi andare al college e lasciare che siano Dorcas, Benjy, Alice, Frank e Amos a insegnarle come cavarsela nella giungla. E’ sempre Sirius la persona che conosce da più tempo e fungerà da ponte («Di Brooklyn, Lils. Sono il ponte di Brooklyn») fra il passato – quella famiglia complicata che l’ha tagliata fuori dalla propria vita – ed il futuro, che ha un po’ la forma di un ragazzo con una montatura vintage sul naso e i capelli più spettinati di tutta New York («Preferisce i prequel di Star Wars alla classica trilogia, ma ti assicuro che è un bravo ragazzo. Sa anche cucinare»)
Lo stesso porterà nella sua vita anche Remus, Marlene, convinta femminista amante di Doctor Who e Peter, l’amico di vecchia data di James, quello che ride costantemente alle sue squallide battute. («Cosa sta facendo?» «Il cestino, chiaramente. Si rifiuta»)
E’ nella loro strada senza meta che si ritrovano. E si fanno bastare tutto.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black, Un po' tutti | Coppie: James/Lily
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto, Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
http://oi59.tinypic.com/21dna54.jpg

Survival of the richest, the city’s ours until the fall
They’re Monaco and Hamptons bound
But we don’t feel like outsiders at all
We are the new American
High on legal marijuana
Raised on Biggie and Nirvana
We are the new Americana 

New Americana, Halsey

4. How to lose unemployment in ten days

“Cosa ne pensi di questa?”

A Dorcas brillano gli occhi mentre stringe fra le mani una sciarpa blu in un tessuto che, a prima vista, appare morbidissimo e sembra fatto apposta per avvolgere il collo.

Mi avvicino di qualche passo e l’affianco, entrambe che fissiamo un pezzo di stoffa che costerà più di trenta dollari, dando un’occhiata all’interno della boutique in cui siamo entrate.

E’ il periodo che più amo durante l’anno ma ovviamente da settembre la mia vita è un districato insieme di fili e nodi che ha offuscato il mio passato: eccomi allora, costretta a spendere ore in giro per New York alla ricerca di un regalo per una persona che ho visto sì e no un paio di volte, chiaramente più importante per Dorcas; lei e Amos sono usciti un’altra volta, da soli, dalla fantomatica uscita a tre con Benjamin che, da quanto mi stava raccontando fino a cinque minuti fa, è stata piuttosto imbarazzante. E adorabile. Non ho ancora compreso come questi due aggettivi riescano a qualificare un’uscita mattutina – io dormivo. Chiaramente dormivo – ma lei ne è soddisfatta e non posso far altro che annuire e darle ragione.

“Beh, è splendida” – e come darle torto? Potrei utilizzare questa sottiletta di stoffa come cuscino e dormire per tre giorni di seguito – “Ma come regalo di Natale per Amos? Non saprei”

Rotea gli occhi al cielo, facendo scrollare i lunghi capelli biondi che hanno la forma di onde morbide e il fastidio che le mie parole le hanno provocato basta a farmi sorridere spontaneamente, gli occhi puntati sul volto chiaro della mia amica con le guance rosee per la frustrazione.

“Non capisco perché tu ce l’abbia con lui” ribatte con un tono di voce aspro, per poi rimettersi a osservare le sciarpe “E comunque no—non sarebbe per Amos. Per Benjy”

“Oh”

“E’ il mio migliore amico da quando eravamo entrambi nel pannolino: posso spendere venticinque dollari e novantanove per lui, no? E poi” – stringe i denti, fintamente arrabbiata – “Se mi avessi ascoltata, avresti capito che io e Amos siamo in una relazione… semplice. Siamo quasi amici”

Infilo le mani nelle tasche del giaccone, facendo qualche passo indietro per dare un’occhiata più ampia al negozio ma mantenendomi ad una distanza decente da Dorcas perché possa parlare con un tono di voce basso e lei possa sentirmi.

Brooklyn nel periodo natalizio sembra essere un’enorme palla per addobbare gli abeti: incolpo senza problemi il suo essere piena di palazzi costituiti da un’infinità di mattoncini rossi e l’energia sprizzante che i suoi abitanti emanano, ossia il giusto equilibro fra il colore dell’addobbo ed il motivo particolare stampato su di esso.

Inoltre, sembra avere la strana capacità di dare vitalità ad ogni suo negozio e ai quartieri circostanti, quindi non mi stupisco più di tanto se persino nel Bronx, negli Hamptons, a Soho, TriBeCa e Manhattan si condivida quest’atmosfera splendida.

“Quindi niente sciarpa fantastica per Amos, d’accordo”

“Oh, Cristo, Lily” esclama su di giri “Adesso capisco perché–”

Ma si blocca improvvisamente e così facendo cattura tutta la mia attenzione in un battito di ciglia. “Adesso capisci perché cosa?”

Rimango a osservarla per il tempo necessario a capire che non replicherà e non riuscirò a cavarle quelle parole di bocca.

Muove la testa e poggia l’intero palmo della mano sulla sciarpa, come per tastarne la morbidezza. “Nulla, lascia stare”

Esattamente.

Nonostante siamo nel pieno di Dicembre, un pallido sole ha deciso di mostrarsi chiaro nel cielo e rendere questa giornata tipicamente pre-invernale più calda del previsto, rendendo impossibile uscire di casa ricoperti da cappelli e guanti. È un po’ strano abituarsi così presto ad un nuovo ambiente: nemmeno per un attimo – che non fosse più lungo di un paio di minuti, s’intende – ho pensato a riferirmi al Natale come un’usanza degli Evans, nella casa degli Evans, nella città residenziale degli Evans, a Castlebury, Connecticut.

Ho pensato a come addobbare la casa, a come posizionare l’albero di Natale, a fare la spesa per la vigilia e a come trascorrere il capodanno in compagnia. Ho dedicato un po’ del mio tempo a confrontare i miei piani con quelli di Sirius (“Sto pensando di rimanere qualche giorno in più per gli ultimi test, ma a Natale sono da te”) ma mai, nemmeno per un’ora, ho avuto nostalgia di casa. Il che mi rende una stronza colossale, come direbbe Dorcas, o una ragazza maturata che ha ufficialmente superato lo svezzamento con la propria inutile famiglia, usando il lessico di Sirius.

Qualsiasi delle opzioni sia, sono contemporaneamente sollevata dal fatto di aver scelto la via giusta e terrorizzata perché potrei non essermi resa conto dell’errore commesso.

“Ti dicevo, quindi, che ci siamo visti per pranzo e programmiamo un’altra uscita allo stesso orario la settimana prossima, dal momento che le nostre pause pranzo lavorative coincidono e i nostri posti di lavoro sono abbastanza vicini”

Il cambiamento repentino del discorso mi abbatte un po’, ma ora come ora non mi va di litigare o di intavolare una lunga discussione che non vedrà sicuramente fine…

Annuisco ancora poco convinta, ma non dico nulla quando la seguo al ricevitore di cassa per comprare la sciarpa blu che donerebbe, effettivamente, a Benjy. Proferisco parola qualche attimo dopo, però, quando ci incamminiamo fra le avenue gremite di gente che come noi, ha deciso di trascorrere una piacevole mattinata a fare spese. Nel mentre noto con piacere che il sole si è nascosto dietro alcune nuvole. Ah, l’inverno.

“E Amos?”

“Amos cosa, esattamente?”

Scrollo le spalle e mi lascio distrarre da una vetrina con capi vintage che catturano il mio sguardo per due minuti scarsi: “Come lo… vedi?”

Dorcas mi si affianca e poi sospira rumorosamente, dando un’occhiata alla busta e mordendosi il labbro inferiore con i denti.

“Non vorrei sperarci troppo” – inizia sorridendo – “Ma interessato? Genuinamente? Ha uno sguardo attento e sembra prestare attenzione a ogni cosa che dico, anche stupida perché ci sono momenti in cui riesce a farmi dire cose stupide… non che io lo faccia, di solito”

“Certo che no”, rido.

Si passa una ciocca di capelli dietro l’orecchio ed è in quel preciso momento che colgo la sua felicità. Voglio dire, Amos potrebbe essere davvero buono per lei. Te ne rendi conto, guardandola. Vedendo come sia speranzosa, incredibilmente attenta al suo comportamento, rischiando di diventare paranoica e, se conosco Dorcas Meadowes da almeno un po’ di tempo a questa parte, so che è tutto fuorché paranoica.

“O mio dio” esclama a un tratto, sgranando gli occhi. “Inizia a piovere, Lily!”

 

“Piove, Lils!” Non faccio neanche in tempo ad alzare lo sguardo verso il cielo che una goccia mi coglie alla sprovvista, finendo su di una palpebra.

A Castlebury non sono mai avvenuti con tanta frequenza i cambiamenti climatici improvvisi e quello è sempre stato un dettaglio che ho costantemente odiato della mia città: la sua tendenza a rimanere inalterata nel tempo, come se nulla potesse variare nonostante il passare dell’età. È per anche questa ragione che la detesto fermamente: è come se avesse spinto ogni suo cittadino a conservare con ovvietà – nemmeno con cura, per proprio volere – tradizioni antiche che chiaramente non possono e non riescono a funzionare oggi giorno.

Afferro Sirius per un braccio e lo trascino via con me, sotto la grondaia di casa Evans, trattenendo a stento un insulto. Allora lui scoppia a ridere, liberandosi dalla mia stretta gentile e togliendosi delle gocce sulla fronte passando la mano su di essa.

“Che irriverente” ride ancora ed io sposto lo sguardo dal giardino adiacente la mia casa a lui in un batter d’occhio, “Faresti meglio a non farti sentire da nessuno o potrebbero davvero dire che ho una cattiva influenza su di te”

Corrugo le sopracciglia, mentre questi secondi vengono riempiti dal rumore via via più insistente della pioggia. “Ma tu hai una cattiva influenza su di me”

È il primo fine settimana dopo il mio sedicesimo compleanno e Sirius sta rispettando il patto che abbiamo stretto a quattordici anni, vale a dire l’età in cui ci siamo conosciuti: fino al suo compleanno, ossia il giorno in cui eravamo a tutti gli effetti coetanei, lui avrebbe dovuto esaudire un mio desiderio per ogni settimana… un modo più gentile per dire che anche le ragazze sanno farsi valere, che anche loro possono essere dei capi… un fanculo sussurrato alle convenzioni sociali nocive della nostra città. Credo che Sirius mi abbia sempre venerato come una sorta di sorella minore – maggiore, in realtà- ideale, e non abbia mai contestato questo stupido gioco perché… beh, mi vuole bene. Affetto fraterno e tutto. Non che io lo costringa a servirmi da mangiare o farmi da schiavo, quindi non è che gli dispiaccia più di tanto.

Anzi, credo che la maggior parte delle volte si diverta.

Sirius smette di ridacchiare e poggia un gomito sulla mia spalla, data la sua altezza che sovrasta la mia di quasi quindici centimetri. “Non possiamo più uscire, dannazione”

“Intendevi dire scappare, vero?”

Notando che lui non dice nulla, mi giro nella sua direzione e lo osservo sino a che il suo sguardo non incrocia il mio: “Sai che possiamo stare a casa, no? Non devi per forza tornartene in quella villa modestissima dove dimori”

L’accenno di sorriso che rompe la linea severa delle sue labbra mi rassicura: so che, per quanto ci scherziamo sopra, non è esattamente la più felice delle emozioni sentirsi il responsabile del repentino cambiamento di una pacata ragazzina come me, ma deve sapere che i miei genitori non lo odiano davvero ed è solo Petunia il vero, grande problema.

“Black, sei del tutto bloccato con me, adesso. Non puoi andar via”

I suoi occhi grigi mi scrutano con una nota di divertimento e non posso fare a meno di sentirmi soddisfatta perché è tornato il Sirius di sempre. Ed io sono davvero affezionata al Sirius di sempre.

Sposta il gomito dalla posizione in cui è stato fino ad adesso, lasciando comunque riposare una mano sulla mia spalla.

“Beh, Fiore, credo proprio che dovrai aiutarmi a studiare Biologia”

 

Io e Dorcas ci siamo rifugiate in men che non si dica nel primo bar aperto, tenuto conto che i commessi dei negozi avevano iniziato a guardare ogni pseudo nuovo cliente con un sopracciglio alzato, per non parlare del modo con cui sbuffavano all’acqua nei loro locali.

“A proposito di regali” – esordisce poggiando la borsa sul bancone del locale – “Non dovresti farne qualcuno anche tu?”

“E’ il tuo modo gentile per suggerirmi un regalo per te, Dork?”

“Lily…” nel richiamarmi non trattiene un sorriso ed io ricambio svelta.

“Intendo dire, sai” – alza le spalle e si toglie la giacca color mostarda – “Sirius magari e, non ne ho idea, la tua famiglia…”

“No” incrocio le gambe e distolgo lo sguardo da quello indagatore tipico della mia amica.

Il posto dove siamo finite non è affatto male: ad iniziare dall’odore che percepisco, ossia un misto fra i prodotti generalmente consumati all’interno di un bar, più cose dolci e alimenti tipici del Brunch. Il pavimento è un meraviglioso parquet color noce e il rivestimento sui muri è una carta da parati particolare, decorata con piccoli motivi che paiono più doodle che altro. Per il resto, tutto bianco, e dove non c’è il bianco c’è una vetrata che da sull’esterno o un quadro pieno di foto o cartine geografiche, mappe di città o metropolitane. Sulla mia destra, scorgo persino la mappa della Tube di Londra.

Il mio no perentorio deve averla turbata, perché adesso mi osserva con le sopracciglia corrugate e le labbra strette in una smorfia, simile ad una linea dura e preoccupata.

“Mi spiace” sussurro, una mano già a spostare i capelli dietro l’orecchio “Non mi va di parlarne, adesso”

“L’adesso mi rincuora”

Non faccio in tempo a replicare che un ragazzo dal lato opposto al bancone cattura la nostra attenzione con un sorriso dolce e i capelli simili al mio stesso colore, forse di qualche sfumatura più chiari.

“Posso portarvi qualcosa, donzelle?”

“Un caffè, grazie”

Io impiego qualche attimo in più per rispondere, improvvisamente a corto di parole. “Cosa fate, esattamente? Perché vado matta per il salato, ma se avete dei dolci…”

Il ragazzo ride e si asciuga le mani allo strofinaccio che fra le dita. “In effetti siamo un bar, una caffetteria ed una via di mezzo. Per i brunch e gli spuntini pomeridiani, temo”

“Splendido. Lascio scegliere alla casa, per questa volta”

Con un altro rapido sorrisetto, sparisce oltre la porta in vetro e non passa nemmeno un secondo che lo rivediamo… dall’altro lato del locale?

“Dork, non è appena…?”

“Buon pomeriggio donzelle, posso portarvi qualcosa?”

La mia amica si muove sullo sgabello e poggia i gomiti sul banconi, ostentando indifferenza. “Hai già preso le nostre ordinazioni”

Lui alza gli occhi al cielo, quasi dello stesso colore della t-shirt nera che indossa.

Dannato Gideon, sempre a rubarmi i clienti…”

Non capiamo un bel nulla fino a che compare, alla sua destra, la sua esatta copia. Oh cristo

“Come, prego?”

Sono due. Sono gemelli. Entrambi dietro il bancone: stessa espressione, stessi capelli, persino stessa maglia.

“Io sono Gideon, ho preso le vostre ordinazioni” sorride, mentre il ragazzo al suo fianco prosegue, “Fabian. Purtroppo suo gemello”

“Se ci sono io al bancone, perché prendere le loro ordinazioni? Il locale è tutto pieno”

Quello schiocca la lingua sul palato: “Perdonami se per una volta volevo avere io l’onore di parlare con delle ragazze carine”

Se non Dorcas, almeno io mi rendo conto di arrossire.

“Siamo solo noi due, Prewett—finché non c’è il terzo cameriere non puoi permetterti di farci perdere clienti”

Fabian Prewett alza gli occhi al cielo. “Sempre il responsabile, duh?”

Non posso fare a meno di prestare attenzione ad ogni singola parola che pronunciano. Ho davvero sentito bene?

Mi schiarisco la voce e mi sporgo in avanti, imitando gli stessi movimenti che Dorcas ha compiuto poco fa. “Terzo cameriere, ho sentito bene?” ripeto, questa volta a voce alta e con più convinzione.

Adesso come minimo mi diranno che c’è ed è in ritardo, tenendo conto della mia sfortuna…

“Sì, al corrente stiamo cerc—” aggrotta la fronte e sgrana di poco gli occhi “tu vorresti…? Sapresti lavorare?”

“Passa alle domande serie, Gideon: hai esperienza?”

“No” rifletto rapidamente, ma aggiungo subito “A meno che servire tua sorella maggiore per undici anni non valga come esperienza, pensandoci—ma sono sveglia. Attenta”

Per i successivi due minuti e mezzo mi sento osservata e spogliata di ogni barriera interposta fra me ed i miei interlocutori. Entrambi assumono la stessa espressione pensierosa, che si scoglie nell’attimo in cui alzano le spalle e pronunciano: “Ti offriamo una giornata di prova…”

“Lily”

Lily. Durante il periodo natalizio sarà più che sufficiente. Domani mattina, qui, apertura alle ore nove, va bene?”

“Sì, ovviamente. Non vi deluderò, davvero”

Gideon – o era Fabian? – accenna un sorriso che non fa che infondermi una vaga e calorosa speranza, che divampa nel petto e mi fa tornare ad amare questo momento preciso dell’anno.

Quando mi volto nella direzione di Dorcas, la trovo che sorride in un modo familiare e quasi… materno, ma distoglie subito lo sguardo e si passa una mano fra i capelli.

 

 

Abbiamo appena cenato e ci siamo rintanati nella mia camera al secondo piano, relativamente più piccola rispetto a quella di mia sorella, quando Sirius mi pone quella domanda: “Credi nelle vite parallele, Lily?”

Si trova sdraiato a pancia in su sul mio letto, mentre io sono oltre il bordo della finestra, praticamente seduta sul tetto della nostra villetta, intenta ad osservare come il buio abbia preso pieno possesso di Castlebury.

Volto il mio collo nella sua direzione e lo scorgo pensieroso con gli occhi aperti ad ammirare il soffitto della mia stanza. I capelli neri che dovrebbe davvero tagliare sono sul mio piumone e le sue mani riposano sicure sul suo busto.

Avvicino le gambe al petto e le cingo con un braccio per poi replicare.

“No. Dovrei?”

Non dà alcun segno di avermi sentita e lascio che una folata di vento mi investa e faccia rabbrividire.

“Non ti dà speranza pensare che adesso, in un altro mondo, siamo diversi ma liberi? Felici?”

“E’ un’illusione, Sirius. È come credere nella magia”

Si mette a sedere e i suoi occhi grigi mi trafiggono, mi sorpassano facendomi sentire sciocca per la risposta che ho dato.

“E se tu avessi torto?”

Il venticello mi spettina i capelli e non posso fare a meno di notare l’aura di speranza che gli aleggia attorno, come se lui dipendesse irrevocabilmente da quell’appiglio, come se non potesse farne a meno.

Al che, “Potrei” ribatto abbassando lievemente le sopracciglia. Lui allora scuote la testa ed i lunghi, insopportabili capelli, riprendendosi e schioccando addirittura la lingua sul palato, come se fosse appena uscito da un’assurdità.         

Mi sposto di una decina di centimetri sulla destra, lasciandogli abbastanza spazio per affiancarmi e nel giro di pochi minuti è al mio fianco che imita la mia stessa posizione.

“Immagina” dice fra le risate, “Che siamo dei maghi e siamo invincibili”

Mi poggio contro il muro. “Così la fai sembrare una storia per bambini…” – storco il naso – “Non siamo invincibili ma proviamo ad esserlo. E magari c’è un cattivo che ha la meglio su tutti. E moriamo in battaglia”

“Lily Evans” sussurra flebilmente al vento che ci dà fastidio “Hai davvero una pessima immaginazione”

 

 

Quando usciamo dal locale, noto con una punta di divertimento che non sono neanche a conoscenza del nome del posto in cui probabilmente lavorerò.

Mentre indossiamo le giacche, io e Dorcas, quasi in simultanea, ci voltiamo a guardare l’insegna e mormoriamo il nome come se fosse un’incredibile sorpresa.

“Three Breadsticks…”

“Chissà perché non mi stupisce”

Dorcas, nel muoversi, dà una sbirciata all’orologio e spalanca gli occhi: “E’ quasi ora di pranzo, dannazione! Avevo promesso a Benjamin che avremmo mangiato assieme… Succede poche volte al mese e io devo scordarmelo! Dannazione

Si riveste e aggiusta gli indumenti che indossa con velocità, poi si sporge su di me e mi lascia un piccolo bacio sulla guancia. “Grazie per l’aiuto, 6B!”

Scappa dalla mia visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere sola ma non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della giacca che li elettrizza.

Scappa dalla mia visuale e io sospiro mentre mi gusto la momentanea sensazione di essere sola ma non davvero sola, sono unicamente su una strada di fronte ad un locale più che apprezzabile, con i capelli rossi in tutte le direzioni per via della giacca che li elettrizza.

Prendo la metro per tornare a casa e mi godo un po’ di quella malinconia che si cela sotto le falcate veloci dei Newyorkesi, che corrono perennemente e si impelagano in traffico e problemi solo per non arrivare a fine mattinata o giornata come me, seduti da soli su un sedile usato e intenti a osservare la band di turno nella metropolitana o il bambino e la sua mamma nel vagone che hanno conversazioni che sfiorano l’assurdo.

Quello che differenzia me, però, dalla massa confusa di abitanti di questa città, è che una volta di fronte al mio palazzo nell’Upper West Side, io prendo l’ascensore e inserisco le chiavi nella toppa della porta, per poi gettare tutto sul divano e aspettare un qualsiasi cenno di vita dal cellulare, dalla tv o da Dorcas – che non ha ancora del tutto imparato a usare le scale normali e non quelle antincendio – perché oltre me non c’è alcun essere vivente che esala un respiro particolarmente più stanco dei precedenti. Non c’è nessun gatto, nessun cane, nessun intruso nella terrazzina che si raggiunge dalla finestra del soggiorno e non c’è nemmeno il pranzo pronto.

Non mi viene da piangere se ci penso, perché mi dico che è il processo a cui devo essere sottoposta per potermi davvero definire adulta. Non posso piangere perché tra poco più di un mese è il mio compleanno e sono più grande, e i grandi non bagnano i pigiami di lacrime.

Ho quasi diciannove anni e sono in una delle città più grandi al mondo seduta sul divano, con uno scatolone pieno di addobbi natalizi di fronte alla camera del mio migliore amico e coinquilino che non c’è perché è fuori a crearsi il futuro—Buon giorno, New York! Mi dà il consueto saluto con le notizie del giorno e il rumore del citofono mi fa sobbalzare.

“Sì?”

Posta

Riconosco la voce del postino e questo basta per farmi scrollare di dosso la sensazione di nostalgia che mi ha posseduta.

È tutto un flusso di cose che faccio senza quasi rendermene conto: mi lego i capelli in una coda, prendo le chiavi e scendo giù a vedere la posta, urtando con una gomitata piuttosto violenta anche un signore entrato dal portone…

“Non ti si può fare neanche una sorpresa” dice la voce alle mie spalle.

Spalanco gli occhi e anche la bocca che vado a coprire con una mano.

“O mio dio”

Il cuore martella più forte quando ride e dice “Fino a un po’ di tempo fa preferivi Sirius…”

Lo afferro dalla sciarpa e lo avvicino a me, stringendolo in un abbraccio che spero non abbia mai fine.


ho lottato fino all'ultimo per vedere se inserire o meno sirius ahhahahahh ma la fangirl che è in me ha avuto la meglio, anche perchè sono piuttosto soddisfatta di questo capitolo che poteva terminare soltanto con un cuore come lui!!! (voi non avete idea di come io lo immagini per via di tutti gli headcanon che ci sono su tumblr. you just don't get it) anche perchè credo di avervi fatto abbassare la guardia - sirius doesn't live here anymore, lily che riesce ad essere via via più sicura anche se sola, sirius che non è tornato per il ringraziamento etc :) - con i capitoli precedenti! insomma, alla fine doveva tornare perchè è natale e al college, fino a prova contraria, ci sono le vacanze natalizie! ho avuto un paio di problemi dovuti al fatto che pensavo a termini in inglese e non riuscivo a tradurli in italiano al meglio, tipo cheeky e un paio che ora mi sfuggono (typical). amos è un bravo ragazzo e infatti sta mandando avanti questo suo rapporto con dorcas, ma più avanti avremo modo di riaverlo fisicamente e potrete adorarlo come lo adoro io. che dire...
i flashback!! ne prevedevo uno sirius/lily importante, stile prima guida/prom/cavolate varie ma invece la pioggia mi ha ispirata e ho scritto di questi ricordi della stessa giornata! ditemi se vi piacciono e se non sono confusionari, perchè ne avrei in mente altri... :)
poi i tre manici di scopa: come ho detto ad alcuni dei lettori, sto traslando eventi e dati di hp nel mondo normale, senza magia! un esempio è stato remus nel capitolo precedente che nei libri è un lupo mannaro e qui ha un problema (sapremo di lui più avanti) e il nome del bar/caffetteria/ristorante che è stato ispirato da una catena di locali nel regno unito (si chiamano the breakfast club) e prende il nome da un gioco di parole: i tre manici di scopa, nella versione originale, per chi non lo sapesse, si traduce con three broomsticks mentre qui lo troviamo come three breadsticks (tre grissini, ossia in italiano fa abbastanza schifo ahahha)
fabian e gideon prewett, i fratelli di molly weasley, li immagino come eddie redmayne !!
un'ultima cosa!! vi invito a passare dalla mia long jily ambientata ad hogwarts (ho scritto mille parole del nuovo capitolo fino ad ora) e dirmi cosa ne pensate! eccola qui, si chiama Hooked on a feeling
grazie mille per tutto, a chi recensisce o legge soltanto! sono stra curiosa di sapere i vostri pareri circa questo capitolo!! un bacio

http://i59.tinypic.com/2r3axya.gif

fede

twitter - ask

  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: missimissisipi