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Autore: Ink Voice    06/09/2015    3 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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V
Miti e leggende

Nei giorni successivi, con l’aiuto delle nuove conoscenze che ci stavamo facendo - che subito divennero persone amiche, con una velocità possibile solo visti i tempi che correvano, io e Chiara allenammo Swablu e Piplup e concordammo con un emerito Professore di Kanto, Oak, che avremmo preso il nostro secondo Pokémon una settimana precisa dopo il nostro arrivo in Accademia - ovvero la domenica successiva. Questo perché ancora avevamo un bel po’ di cose da imparare e prima di caricarci un altro esserino a cui badare volevamo fare un altro po’ di esperienza. La pratica si rivelò essere veramente lo strumento migliore per imparare.
Avevamo fatto un giretto nella grande biblioteca al piano sotterraneo ma tutta quella conoscenza, ammassata e concentrata, del mondo Pokémon era troppa per noi che eravamo ancora alle basi. Mi stupii però di star apprendendo abbastanza velocemente - e lo stesso Chiara - alcuni concetti e meccanismi che erano le chiavi di quella nuova realtà - alla quale ancora pensavo come un videogioco o un film.
Per esempio, facendo allenare Altair con i Pokémon meno allenati delle ragazze che ci erano state presentate - Lorenzo, Cynthia, Ilenia e anche Daniel erano effettivamente troppo avanti per noi, memorizzai quasi subito la maggior parte delle combinazioni di tipo e le mosse superefficaci, inefficaci e che procuravano poco danno. Non fu difficile lavorare anche con i doppi tipi, una volta imparato il resto. Altrettanto rapidamente imparai anche i nomi di moltissimi Pokémon, riconoscendoli con un’occhiata senza dover fare riferimento ogni volta all’enciclopedia.
Gli avversari migliori per Swablu e Piplup erano una Eevee e una Vulpix che appartenevano a Sara, la quale aveva pure altri Pokémon già cresciuti ed evoluti almeno una volta che mi piacquero molto - Vaporeon, Luxio e Lucario. Angelica, escludendo Meganium, Lapras e Combusken, aveva anche lei un Eevee e poi una Ralts. Melisse ci fece allenare con i suoi Murkrow e Buneary; in più aveva un Serperior, una Ninetales e un Mismagius. Scoprii di avere preferenze sui tipi Acqua, Volante e Drago, ma mi piacevano molto anche Psico, Buio e Spettro. Più che altro mi affascinavano questi ultimi perché erano i poteri più astratti e lontani dalla realtà su cui un Pokémon potesse avere influenza, al contrario di qualunque altro essere. A Chiara piacevano sia i tipi Acqua che Fuoco.
Far “salire di livello” un Pokémon era più difficile di quanto mi fossi aspettata. Inizialmente sia Swablu che Piplup crescevano abbastanza velocemente ma, passato il livello 10 o giù di lì, ci volle molto più tempo per farli andare avanti con la crescita. Tra l’altro era meglio che almeno Chiara, il cui Pokémon si sarebbe evoluto intorno al livello 16, facesse evolvere il proprio compagno prima di prenderne un altro e cominciare le “lezioni”. Per Altair la strada era ancora lunga, la sua evoluzione arrivava solo verso il trentacinquesimo livello stabilito.
Continuammo a frequentarci molto soprattutto con Ilenia e Lorenzo. Cynthia - scoprii che era un’appassionata di Pokémon Veleno - se ne stava quasi sempre per fatti suoi e le relazioni che aveva tessuto erano per la maggior parte basate proprio sulle lotte con altre persone e difficilmente andava oltre. Di veri amici ne considerava pochi e questo le bastava. Daniel invece non sembrava affatto interessato a conoscere nuove persone e questo mi fece parecchio indispettire: ci aveva presentate a Melisse, Angelica e Sara e poi anche al suo migliore amico, George, un fan dei Pokémon Buio dal fisico smilzo e allampanato che si notava per la pelle diafana e i capelli neri, con due piccoli occhi scuri e la battuta ironica pronta in ogni momento. Chiara lo trovò subito molto simpatico.
Io invece ero troppo occupata ad essere seccata per il comportamento di Daniel per pensare pure al suo amico. Chiara non capiva perché me la prendessi tanto e una sera, in camera nostra pronte per andare a dormire, mi fece una domanda: «Ma perché ce l’hai tanto con quel tizio?»
«Non lo so» borbottai. «Non lo conosco nemmeno, in effetti. Ma non mi sta bene che ci tenga a bada con tutti i suoi amici e poi lui se ne freghi anche di salutarci quando lo incontriamo.»
«Ma no, ci saluta…»
«È un modo di dire, scema! Però non riesco a smettere di pensare a quanto vorrei… non lo so cosa vorrei» ci ripensai; Chiara rise scuotendo la testa. «Il fatto è che di Cynthia già non me ne frega più nulla, lei non mi piace e basta. Invece Daniel potrebbe benissimo essere nostro amico, in fondo non è nemmeno molto più grande - come è al contrario Cynthia, ma nonostante questo fa come se non esistessimo. Nemmeno ci aiuta ad allenare Altair e Piplup con il suo Pokémon più debole.»
Chiara mi si mise davanti con le mani sui fianchi e protesa con il busto verso di me. Sorrideva con aria beffarda e imprevedibile. Mi diede una leggera schicchera sulla fronte per risvegliarmi dopo qualche secondo passato a fissarci e io esclamai di sorpresa. Lei disse maliziosamente: «A-ha. Colpo di fulmine appena arrivata, eh?»
«Cosa?!» quasi strillai, avvampando.
«Direi che è evidente, mia carissima. E non sarebbe nemmeno la prima volta, da brava scema quale sei ti fai mettere in soggezione dopo uno scambio di sguardi! Ti ricordi quel ragazzetto più grande che…»
Le rifilai un calcio sugli stinchi che ebbe il solo effetto di farla sghignazzare. Ero rossa in viso e indispettita al massimo. «Be’, era un bel ragazzo quello. Non che Daniel sia brutto, anzi… ehm…»
Chiara continuava a ridere: non solo quello che aveva detto mi aveva mandata in paranoia - perché in effetti ero abbastanza ingenua, e probabilmente anche sfigata, da potermi prendere una cotta per qualcuno che a malapena mi conosceva - ma ero in confusione anche perché non la smetteva un attimo di sghignazzare senza ritegno. Mi chiusi in una gabbia di silenzio, portai le ginocchia al petto e nascosi la testa in mezzo ad esse, appoggiata alla parete accanto al mio letto. Altair, vedendomi in quella posizione, ne approfittò per farmi da cappello. La mia amica sembrava essersi fermata ma riprese a ridere alla vista del misero quadro in cui ero finita.
«Buonanotte» borbottai richiamando Swablu nella sua Ball e infilandomi sotto il lenzuolo, decisa a non parlare più a Chiara finché non avesse mostrato un po’ della sua dignità. “Tanto io la mia già l’ho persa.”
Probabilmente lei nemmeno mi sentì, ma anche se mi avesse risposto io non avrei potuto sentire quel che disse, sovrastato dalla quantità esagerata di risa che si stava facendo. La sua irrefrenabile ilarità quella volta era dovuta alla stanchezza e al nervosismo provati in quei giorni. Le emozioni si accumulavano e parlare tra di noi non era sufficiente per dare loro una via di sfogo e le lotte tra i nostri Pokémon non erano definibili come “coinvolgenti” o frenetiche per un continuo, ansioso botta e risposta. L’unico modo per smaltire tutte le emozioni provate, anche date da continue conseguenze da assorbire, era forse solo il mettersi a ridere e poi sentirsi sfinite.
 «Non è vero, non ho voglia di dormire» borbottai girandomi sull’altro fianco e guardando Chiara. Il lenzuolo lo avevo tirato fin sopra il naso e copriva parte della mia visuale. La mia compagna di stanza mi sorrise e andò a spegnere la fastidiosa luce giallognola della lampada sul soffitto, lasciando accesa quella dell’abat-jour che aveva sul comodino del suo letto - l’unico della stanza, purtroppo, e lei me l’aveva fregato subito.
«E cosa hai voglia di fare?» chiese.
«Qualcosa di non troppo impegnativo che sia possibile svolgere alle… nove e mezza di sera» dissi guardando il PokéKron che nemmeno mi ero tolta - appunto perché non avevo avuto veramente intenzione di dormire.
«Tornando al discorso di prima…»
«No.»
Chiara ridacchiò per il mio tono e mise le mani avanti, seduta a gambe incrociate sul letto. «Va bene, la smetto di stuzzicarti… per oggi» ammiccò. «Comunque dovremmo riprendere i contatti con Gold.»
«Lasciatelo dire: stasera mi sa che è meglio salutarci. Non mi piacciono gli argomenti che stai tirando fuori.»
«Dico sul serio!» Fui lì lì per ribattere “Proprio la tua serietà è il problema”, ma la lasciai parlare. «Dovremmo farci aiutare anche da lui per allenare Swablu e Piplup. Il suo Squirtle, a quanto ho capito, non ha fatto ancora molti allenamenti. E sicuramente avrà preso un altro Pokémon, se non un paio, appena tornato qui.»
«Mi duole ammetterlo, ma hai ragione» brontolai. «Però non riesce a non starmi antipatico…»
«Lo so! È insopportabile… Magari però nelle lotte riesce a sciogliersi un pochino.»
«Sarebbe già qualcosa.»
Continuammo a chiacchierare non solo a proposito di Gold ma anche degli altri incontrati. Su Daniel e Cynthia spendemmo poche parole, considerando entrambi un po’ troppo pieni di sé stessi per i nostri gusti. Ero sicura che il ragazzo si credesse chissà chi, soprattutto come Allenatore Pokémon; appena lo dissi alla mia amica lei ci pensò su un attimo. Pensai che se ne sarebbe uscita con qualche altra frecciatina a proposito di un colpo di fulmine.
Invece fui preda di grosse risate per il minuto successivo appena ipotizzò: «Loro due sono simili, entrambi che si pensando strabilianti Allenatori di cui noi non siamo degne, no? Magari lui è il toy boy di Cynthia.»
Il gruppetto di ragazze composto da Sara, Melisse e Angelica in cui ci accingevamo ad entrare a farne parte non ricevette alcun commento particolare da parte nostra. Le tre erano gentili e praticamente sempre disponibili per aiutarci e parlare con noi. Tra l’altro Melisse era adorabile quando lanciava piccole offese nei confronti di Daniel, ma capii che nonostante quello i due avevano una buona intesa ed erano amici.
Sara, a causa della sua riservatezza e del suo essere di poche parole, mi ispirava una fiducia maggiore rispetto alle altre due, inoltre sembrava conoscere alla perfezione ogni Pokémon ed ogni cosa che li riguardasse. Anche Angelica era molto sveglia ed intelligente ma soprattutto era creativa. Adorava disegnare - anche a Melisse piaceva. Sara non si era mai particolarmente interessata all’arte perché impiegava il suo tempo libero nella danza e nella ginnastica, le sue più grandi passioni, che in qualche modo - rimasto imprecisato - riusciva a praticare abbastanza spesso pure lì all’Accademia. Mi chiesi se a coloro che gestivano e dirigevano la struttura interessasse incentivare attività al di fuori dell’allenamento, qualcosa che distraesse e facesse rilassare i ragazzi.
La mia passione più grande era senza dubbi il canto. Non sapevo da quale membro della mia famiglia mi fosse stato trasmesso, geneticamente parlando, quel talento: spesso infatti mi era stato detto che avrei potuto provare un corso di canto lirico. Le mie capacità provenienti da chissà dove non si limitavano, quindi, alle canzoni dei miei gruppi o cantanti preferiti, per me piuttosto semplici. Non avevo però mai approfondito più di tanto, infatti prendere delle lezioni - addirittura di canto lirico - per me sarebbe stata una novità: avevo intenzione di fare, in contemporanea con il primo anno di liceo, un corso di buon livello pure per capire se valesse la pena continuare.
Ma poi ogni mio programma era stato mandato in fumo dagli Snover selvatici e dal monte fantasma ed ero stata costretta a rivedere le mie prorità - in primis sopravvivere alle emozioni e anche alla guerra. E poi il resto che stava andando, per il momento, piuttosto bene: nuovi amici, nuovi Pokémon, nuovi studi e così via.
Sperai ci fossero almeno il tempo e il modo per leggere libri. Mi piaceva moltissimo ma lo sperai soprattutto per Chiara, altrimenti avevo seri dubbi sul fatto che avrei avuto ancora per molto una compagna di stanza. Sorrisi al pensiero della reazione della mia amica alla notizia che i suoi generi preferiti non erano assolutamente contemplati nella nostra situazione, e che le uniche letture che avrebbe potuto fare avrebbero recato titoli non propriamente accattivanti - “Primi passi nell’allevamento Pokémon”, “Impara a conoscere i tuoi compagni di viaggio!”, “Storia della Poké Ball: dal selvaggio all’amico mostriciattolo tascabile”…
«Perché stai sorridendo?» mi chiese lei - avevo scoperto il viso dal lenzuolo.
«Ah, niente. Stavo solo fantasticando sulla tua morte.»
«… Com’è che hai detto?» La faccia estremamente disorientata di Chiara mi fece scoppiare a ridere. Mi tirò il suo cuscino ordinandomi, affatto divertita, di spiegarle in che modo mi fosse finita tanta segatura in testa fino a devastare le mie facoltà mentali. Le risposi con qualche altra stupidaggine.

Scoprimmo che Sara e compagnia conoscevano Gold. Ci avevano parlato e lottato ogni tanto e dissero che era sì bravo con i Pokémon, ma anche un po’ arrogantello da quel punto di vista. Mi parve strano perché, quando lui aveva sommerso di complimenti il Dexholder al quale aveva rubato il nome, si era parecchio autocommiserato per non essere un grande Allenatore come lui. Evidentemente era comunque bravo, lo sapeva e puntava in alto.
Quando lo reincrociammo per i corridoi - in cui io e Chiara ci perdemmo spesso, gli chiesi se volesse aiutarci con i nostri Pokémon. Lui disse che non era un problema e che aveva preso due nuovi compagni di squadra che potevano fare al caso nostro. Fu quella l’occasione in cui visitammo la sala per l’allenamento al piano sotterraneo.
C’erano sei o sette campi in quella che da allora in poi avrei visto sempre come un’enorme piazza sottoterra. Delle colonne sorreggevano la volta in pietra del soffitto e le pareti pure erano di roccia, così come il pavimento. Ogni campo ricreava diverse situazioni per un combattimento: ce n’era uno basilare che mi parve essere in terra battuta, un altro aveva una piscina per i Pokémon d’Acqua, uno era coperto di ghiaccio, un altro d’erba alta e così via. Era strano vedere tutti quei tipi di campo in una sola stanza, peraltro al chiuso e sotterranea.
Io e Gold prendemmo posizione agli estremi del campo semplice e lui mandò un Electrike. Inevitabile fu la mia sconfitta - Swablu non poté praticamente nulla contro gli attacchi Elettro dell’avversario che Gold aveva già allenato molto. Mi aspettavo fosse tanti livelli al di sotto di Altair, invece erano praticamente sullo stesso piano. A Chiara andò meglio perché Gold smise di usare Electrike in favore di un Cubone che Piplup batté facilmente.
«I primi tempi il vantaggio di tipo gioca un ruolo essenziale nelle lotte» mi disse Gold mentre andavamo tutti e tre in infermeria. Mi stupii di sentirlo così gentile anche se un po’ imbarazzato come al solito: cercava di sorridere con naturalezza ma non ci riusciva molto bene. «Più il tuo Pokémon cresce, più è in grado di fronteggiare anche quelli con cui è in svantaggio, sviluppando le sue statistiche migliori. E poi se ne hai bisogno basta chiedere ad un professore le MT o le MN di cui hai bisogno, o di andare da un Esperto Mosse. A me sono sempre molto utili.»
«Ah… ti ringrazio» sorrisi anch’io nel modo più cordiale possibile. Avrei voluto aggiungere “è molto gentile da parte tua” ma era già talmente rosso in viso che temetti di farlo svenire dicendo altro.
Poiché con Gold non avemmo altra occasione di parlare - si rese poco disponibile nei giorni successivi, decisi di chiedere qualcosa sui Dexholders a qualcun’altra delle nostre conoscenze. Ero stata incuriosita dal “soprannome” del ragazzino che si faceva chiamare come uno degli Allenatori migliori mai esistiti e quindi, insieme a Chiara, feci qualche domanda a Lorenzo ed Ilenia, palesemente i più esperti e meglio informati visto il tempo trascorso come parte del mondo Pokémon, che ormai consideravo nostri amici. Chissà che non ci fosse scappato qualcosa pure sui Leggendari - potevo apparire sospetta, ma volevo solo saperne qualcosa in più.
Il posto migliore per chiacchierare era la rumorosa mensa, oltre le nostre camere. Però mi ritrovai a fare quella domanda a pranzo e alla presenza di Cynthia: quei tre, insieme a Daniel, formavano un gruppetto fisso, a parte quando il ragazzo più giovane se ne stava con George - come quel giorno - e qualche altro suo amico, a cui ci aggiungevamo io e Chiara quando non stavamo con il trio composto da Angie, Sara e Melisse.
«Be’, ogni regione ha i suoi eroi, che ormai son tutti adulti» esordì Lorenzo alla mia domanda, una richiesta di una generale descrizione dei Dexholders. «In genere sono tre per ogni regione, in modo che ogni Pokémon starter abbia un Allenatore, ma non è detto che la loro specialità sia combattere con i Pokémon. Ad alcuni piace semplicemente allevarli, ad altri per partecipare alle Gare…» Evitai di chiedere cosa fossero le Gare. «E così via. Però ciò non toglie che praticamente tutti i loro Pokémon siano parecchio forti.»
«Questo è quello che si dice» precisò Ilenia. «Poi chissà. Non si fanno vedere quasi mai, anche se la maggior parte di loro lavorano per conto nostro… alcuni invece no ed è un bel problema.»
«Sicuramente non si degnano di venire qui» borbottò Cynthia con disinteresse.
Lorenzo riprese: «Comunque, i più famosi sono quelli di Kanto, i primi a compiere imprese contro il Team Rocket perché fu la prima delle organizzazioni criminali a nascere. Rosso è ormai una figura leggendaria, non si sa nemmeno se sia vivo o morto. Nel primo dei due casi, fa l’eremita sulla cima del Monte Argento insieme alla sua squadra eccezionale e non ha la minima intenzione di scendere da lì. Ha conquistato la Lega quando aveva poco più di dieci anni, adesso… quanti ne ha, adesso?» chiese agli altri presenti.
«Una trentina, penso» disse Ilenia. «Si parla di avvenimenti di vent’anni fa…»
Io di anni ne avevo quattordici e passa e ancora incontravo difficoltà nel rifarmi il letto, mentre persone come quel Rosso avevano sconfitto a dieci anni gli Allenatori più forti e i nemici più temibili della propria regione. Evitai di autocommiserarmi o di mettermi a ridere per quel po’ di pena che provai per me stessa. “Mi sento un’inetta.”
«I suoi “colleghi” sono Yellow, Blue e Green. Le prime due sono ragazze, l’altro è il rivale di Rosso, che poche volte è stato battuto» stavolta continuò a raccontare Ilenia. «A Johto due ragazzi sconfissero alcuni seguaci rimasti dei Rocket, Gold e Silver, e una ragazza di nome Crystal. Tra l’altro pare che Silver sia il figlio di Giovanni, uno degli attuali Comandanti ed ex capo dei Rocket… non c’è da stupirsi che sia tornato dal padre» sospirò.
«Perché è passato dalla sua parte se lo aveva combattuto?» chiesi.
Ilenia fece spallucce. «E chi lo sa? Ci possono essere tantissime ragioni.»
Lì per lì non mi impressionai molto per quello che disse, anzi quasi non la sentii, continuando a pensare che fosse assurdo schierarsi dalla parte di qualcuno che i Pokémon li sfruttava con gli scopi peggiori. Al momento ero troppo interessata da altre cose per mettermi a ragionare su quali motivi potessero aver spinto tante persone ad entrare nelle fila del Nemico. Probabilmente mi sarei posta quella domanda e avrei cercato di risponderle in seguito, una volta che le mie conoscenze sui Pokémon e sulla guerra stessa fossero state affinate.
Ilenia parlò più approfonditamente dei Dexholders già nominati, accennando di sua spontanea volontà ad alcuni Leggendari - senza dire molto su di loro, in effetti, eccetto il loro nome e le caratteristiche conosciute da ogni Allenatore. Passò a Ruby e Sapphire di Hoenn e anche di Emerald, poi di Diamond, Pearl e Platina a Sinnoh. Stava per raccontare qualcosa su Touko e Touya, i più conosciuti a Unima, quando Daniel si avvicinò al nostro tavolo.
Il ragazzo picchiettò sulla mia spalla e me ne stupii: sorrideva leggermente. Mi domandai cosa volesse.
«Ehi, ciao. Sto disturbando o posso portarti via per un po’?» chiese.
«Ah, certo che no» mormorai sorpresa. Mi alzai salutando gli altri: l’unica ad avere una particolare reazione fu Chiara, parecchio interrogativa. Mentre mi allontanavo con Daniel, gli chiesi: «Cosa c’è?»
«Prima ho incontrato Sandra per il corridoio e mi ha chiesto se conoscessi una ragazza di nome Eleonora. Le ho detto di sì, e poi credo che tu sia l’unica Eleonora in tutta l’Accademia.»
«E cosa vuole Sandra, chiunque ella sia…?»
«Non ne ho idea» sorrise. Aveva sempre quell’aria beffarda, di sfida, quando sorrideva, e non mi guardava. In quel caso avrebbe ricambiato il mio sguardo, finché io stessa non lo distolsi. «Comunque è una grandissima Domadraghi che è stata anche la Capopalestra di Ebanopoli. È fortissima. Ha un caratteraccio, a dirla tutta, però è davvero brava, una delle migliori nel suo campo! E poi è anche una donna molto bella…»
«Ah, ma fammi il piacere» sbuffai, già piuttosto seccata per il suo tono. Però guardandolo non potei fare a meno di sciogliermi, rigida com’ero - mi infastidiva un po’ il suo modo di comportarsi, quando ridacchiò grattandosi lievemente la nuca. In seguito notai che lo faceva spesso. Sorrisi di riflesso ma nessuno dei due aggiunse nulla. “Va be’, non si può negare che non sia carino…” fece una vocina maliziosa nella mia testa. La considerai un po’ troppo ispirata a Chiara e arrossii un po’. Mi succedeva fin troppo spesso.
Uscimmo dalla mensa e subito individuammo la suddetta Sandra, che aspettava nel corridoio. In effetti era davvero bella, nonostante dovesse avere almeno quarant’anni: aveva un fisico alto e slanciato e dei bei lineamenti del viso, con invidiabili zigomi alti e il naso dritto. Aveva severi e intelligenti occhi azzurri dal taglio leggermente a mandorla e corti capelli dello stesso colore. Non mi soffermai più di tanto sul resto del suo aspetto.
«Ah sì, sei tu» disse con voce dura e decisa. Mi domandai come avesse capito che fossi io la Eleonora che stava cercando. «Grazie, Daniel. Vieni con me» si rivolse poi alla sottoscritta. Nessuno salutò nessuno.
Mi permisi di chiedere, un po’ intimorita dal tono della donna, dove stessimo andando mentre scendevamo le scale. «In presidenza. C’è Bellocchio che ti vuole vedere» mi rispose secca.
«Bellocchio… è il capo delle Forze del Bene, giusto?» chiesi, insicura di ricordarmi.
Lei annuì semplicemente. Fui un po’ in ansia: mi chiesi cosa volesse Bellocchio da me, appena arrivata in quel mondo e nella stessa Accademia. Non avevo fatto niente di che in quei giorni, non sapevo nemmeno se ci potesse essere qualche motivo per cui rimandarmi a casa così velocemente.
Entrai nella stanza della presidenza praticamente da sola, perché Sandra dopo avermi annunciata a un uomo voltato di spalle se ne andò, chiudendo la porta dietro di me. Non era Aristide: il cosiddetto preside non c’era.
L’uomo si voltò e subito mi sentii accusata di qualcosa per la sua espressione dura e severa. Quindi quello era il “famoso” Bellocchio, il vertice delle Forze del Bene. Era piuttosto basso e dalla carnagione chiara: doveva essere lì di passaggio perché teneva tra le braccia un impermeabile nero. Mi chiesi il motivo di quell’abito pesante, oltre la camicia azzurrina, essendo ancora estate. Aveva corti ma folti capelli scuri, così come le sopracciglia e gli occhi che, nella penombra della stanza, mi parvero del colore del buio. Le labbra sottili erano serrate e il naso leggermente aquilino contribuiva a dargli un’aria serissima, accusatoria e affatto gentile. Mi sentii molto a disagio.
«Quindi tu sei Eleonora?» chiese semplicemente. Aveva una voce ferma e decisa nella sua freddezza.
Io annuii soltanto, un po’ intimorita dalla sua espressione austera e severa - certo non si poteva dire lo stesso della statura e del fisico esile, che smorzavano l’impressione di durezza. Doveva avere tra i quaranta e i cinquant’anni. Si presentò: «Io sono Bellocchio, il fondatore delle Forze del Bene.»
Fui tentata di ribattere “lo so” ma mi trattenni. Iniziavo ad avvertire una certa di ostilità da parte mia, a pelle non mi piaceva quell’uomo così freddo e distante. Chiesi, un po’ insicura: «Ehm… perché mi ha chiamata?»
«Perché mi occorre sapere da te stessa le circostanze in cui tu e la tua compagna avete trovato i Pokémon.»
Dopo un attimo di esitazione cominciai a raccontargli: «Venerdì scorso, nel pomeriggio, Chiara mi ha chiamata dicendomi che il Monte di Nevepoli non c’era più. Lei che abita lì nei paraggi lo ha visto benissimo e anche io me ne sono accorta, anche se sulle prime ero restia a crederci… siamo uscite e abbiamo effettivamente trovato l’entrata per il quartiere nord. Siamo entrate, abbiamo raggiunto la Palestra dopo aver dato un’occhiata al Tempio e ci ha trovate Bianca, poi…»
«Il resto lo so,» mi interruppe lui, «me l’ha detto la stessa Bianca.»
Inarcai le sopracciglia e subito dopo temetti di averlo irritato con quell’evidente manifestazione di perplessità, ma ciò non m’impedì di pensare: “Allora perché mi hai convocata per farti dire qualcosa che già sai…?”
«Quindi mi assicuri che né tu, né la tua amica prima di quel giorno siete mai entrate in contatto con i Pokémon? Era davvero la prima volta, non hai altri ricordi?» mi chiese.
Sentii un brivido percorrermi la spina dorsale e trasalii leggermente. Non capii perché quella sua domanda mi avesse messa ancor più a disagio: risposi laconicamente che no, quel venerdì avevo sentito per la prima volta la parola “Pokémon” in vita mia. I suoi occhi freddi mi scrutavano e mi mettevano talmente in difficoltà per la loro espressione indecifrabile che dubitai di star dicendo la verità. Eppure era così, non avevo mai avuto a che fare con i Pokémon prima di allora; ciò non toglieva che Bellocchio sembrava volesse farmi dire il contrario.
Poi sospirò lievemente e la sua espressione severa si distese. «Va bene, ti ringrazio. Mi spiace che tu e la tua amica» “Ormai l’epiteto di Chiara è ‘la mia amica’…” «abbiate subito un simile brutto colpo. Ma non è detto che la guerra toccherà anche voi: forse andrete avanti semplicemente allenando Pokémon, perché ormai siete parte di questa realtà e non si può tornare indietro… però potrebbe andare meglio a voi che a molti altri.»
«Ho due domande!» esclamai all’improvviso, interrompendolo a metà frase. Fece un’espressione interrogativa e io arrossii un po’: «Ehm, voglio dire… vorrei sapere se qualcun altro a Nevepoli si è accorto della sparizione del Monte. E anche cos’è successo ai nostri genitori… cosa avete detto loro riguardo alla nostra partenza?»
«Ah… no, abbiamo appurato che nessun altro se n’è reso conto. Il Nemico ha fatto sì che solo per poco tempo e solo per voi le barriere calassero. Ai vostri genitori abbiamo detto che sareste andate in un’Accademia per giovani talenti e li abbiamo convinti a far credere questa storia a tutti i vostri conoscenti.»
«Avete usato i poteri dei Pokémon per farlo?»
«No» rispose seccamente dopo un attimo di silenzio. Fu un secondo che mi diede l’impressione che non stesse dicendo la verità. Socchiusi leggermente gli occhi e strinsi i pugni, poi mi costrinsi a rilassarmi mentre aspettavo che mi congedasse: non aspettavo altro. Quel tipo non mi piaceva, ne ero sempre più convinta.
Mi chiese se avessi qualche altra domanda. Per tutto il tempo mi aveva guardata negli occhi ed era stato molto difficile sostenere il contatto visivo, tanto che da parte mia l’avevo interrotto spesso. Dubitavo che avesse visto altro all’infuori dei miei occhi grigioverdi. Gli dissi che no, non avevo altro da chiedere e a malapena sentii i suoi saluti e gli auguri che mi fece per la mia permanenza: risposi meccanicamente qualcosa e feci per uscire dalla stanza, non capendo perché mi fossi sentita così a disagio e piena di ostilità in sua presenza.
Ma una sua inaspettata, ultima domanda mi fermò: «Conosci qualcosa a proposito dei Leggendari?»
Gli lanciai un’occhiata interrogativa ed incuriosita. Il suo volto era, se possibile, pure più corrucciato di prima. «Ehm… no. Ricordo solo un paio di nomi, da quel poco che un’amica mi ha raccontato… Ho-Oh e…» Impiegai molti momenti in più per ricordarmi il secondo. «Lugia, la sua controparte. Sono di Johto, se non ricordo male…»
Avevo totalmente dimenticato il resto del racconto di Ilenia. Bellocchio sospirò e finalmente, dopo un ultimo saluto, potei andarmene. Mentre salivo le scale incrociai Chiara che stava tornando in camera e le riferii la breve chiacchierata con Bellocchio. Mentre le raccontavo tutto pensai che la situazione fosse stata un po’ deprimente.
La cosa più strana arrivò la sera stessa: al tavolo con Daniel, Ilenia, Cynthia e Lorenzo scoprii che Bellocchio non solo non veniva praticamente mai all’Accademia, ma che non avevano mai sentito dai propri amici che il capo delle Forze del Bene chiamasse un ragazzo per chiedergli qualcosa. Per loro era normale, in fondo erano sempre vissuti in quel mondo a parte; ma pur avendo conosciuto qualcuno quando era arrivato da poco nella struttura, mai Bellocchio si era presentato per chiedere le stesse cose che aveva domandato a me.
Non mi soffermai più di tanto neanche su quella stranezza: ogni domanda più complessa che mi si presentava la dimenticavo velocemente, troppo occupata a badare ad Altair e ad imparare ciò che per il momento aveva la priorità. Mi sembrava di non avere tempo sufficiente per pensare a tutto quello su cui avrei voluto spendere giusto qualche minuto delle mie giornate, ma la domenica arrivò presto, annunciando che già una settimana dall’entrata mia e di Chiara in Accademia era passata. E soprattutto che volevamo prendere un altro Pokémon.
Avevo adocchiato la Ralts di Angelica dopo aver guardato le sue evoluzioni, Gardevoir e Gallade, che mi erano entrambe piaciute moltissimo - anche se le loro figure umanoidi mi inquietavano un po’; sul Dex avevo cercato, in realtà, tutti i Pokémon dei nostri amici, accorgendomi che non avevo idea di quali fossero i Pokémon dei ragazzi più grandi con cui ci frequentavamo e conoscendo solo quelli di Gold, Angelica, Melisse e Sara.
Mi piaceva di più Gallade tra le due evoluzioni finali di Ralts, che per evolversi in lui - passando per Kirlia - doveva essere necessariamente maschio. Ma non era un problema quella mia richiesta per la gente dell’Accademia che aveva chissà quante specie dello stesso Pokémon con differenti nature ed abilità.
Così richiesi un Ralts maschio al quale avevo già deciso di affibbiare il nome Aramis: il professor Oak mi fece aspettare fuori dalla stanza con tutte le Poké Ball in cui avevo scelto Swablu, mentre Chiara entrò con lui per scegliere di persona - non si era fatta un’idea sul suo prossimo Pokémon. La ragazza ne uscì con al seguito una specie di pecorella di nome Mareep e mi mise tra le mani la sfera di Ralts. O meglio, di Aramis. Oak ci salutò cordialmente dicendo che avevamo preso entrambe quelli che sarebbero diventati due ottimi Pokémon.
«Lo spero davvero, visto il tuo aspetto così innocuo!» esclamai quando, nella nostra stanza, liberai dalla Ball il mio Ralts. Il minuscolo Pokémon fu sulle prime piuttosto disorientato, poi mi individuò e subito capì quale delle due ragazze nella stanza gli fosse toccata come Allenatrice. Altair uscì dalla sua Ball senza permesso - come al solito, bisogna aggiungere - e svolazzando a mezz’aria lo guardò incuriosita, canticchiando qualcosa.
Iniziare ad allenare Ralts fu molto difficile e spesso mi toccava sostituirlo a metà di una lotta con Altair. Peraltro cresceva molto lentamente e fu quasi straziante aspettare secoli per vedere i suoi livelli aumentare. Sopportai il tutto solo perché ero rassicurata che Gallade, se ben allenato, era davvero un buon Pokémon e anche molto leale e fedele nei confronti del proprio Allenatore. Però questo lo scoprii solo in seguito: intanto stavo vivendo ogni momento di quella domenica sera con il cuore in gola, pensando al’imminente inizio delle “lezioni”.






Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Hello! Stavolta l'aggiornamento viene di domenica. Be', non voglio essere proprio precisa con le pubblicazioni, quindi se aggiorno nel finesettimana il periodo oscilla tra il venerdì e la domenica, a seconda se nel vero weekend ho qualcosa di impegnativo da fare o no.
Ringrazio quanti stanno seguendo la storia, davvero, è bello avere relativamente tanti lettori per una storia che è una nuova versione di una più vecchia.
Comunque, Cynthia non è Camilla, nonostante la somiglianza fisica tra le due. Come personaggio è venuto fuori durante la mia fase di beatlemania sfrenata, ho preso il nome Cynthia, la prima moglie di Lennon, e più o meno alcune sue caratteristiche fisiche... non accorgendomi della somiglianza tra le due, e soprattutto di aver preso il nome inglese della Campionessa. Ohibò.
Ci si becca (?) il prossimo weekend, allora!
Ink
  
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