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Autore: LunaMoony92    06/09/2015    2 recensioni
Angela viene invitata dal suo migliore amico ad assistere alle prove del Coriolanus al National Theatre, così da coronare uno dei suoi sogni. E' seduta da sola a godersi le prove, quando le luci calano e uno sconosciuto decide di sedersi accanto a lei. Tra un biscotto e un altro, Angela si ritrova a raccontare al suo vicino la sua storia, di come sia scappata da casa e di come si senta ancora estranea in questa città. All'improvviso la sala viene di nuovo illuminata e finalmente Angela scopre l'identità del ragazzo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ già mattina.  La luce del sole filtra da una delle finestre sopra al letto, ieri sera ho dimenticato di tirare le tende. Odio quando mi sveglio prima del suono della sveglia. La giornata comincia male.
Stanotte ho dormito pochissimo, continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, senza trovare pace. Alla fine non ce l’ho fatta più e mi sono alzata. Ho preso dei fogli e ho iniziato a scrivere. Ho scritto tanto, senza sosta, come se un fiume di parole si stesse riversando fuori da me, come se quelle parole le avessi trattenute dentro per anni. Forse, in qualche misura, è stato davvero così.
Ho preso sonno alle 4 del mattino. Mi sento come se una mandria di elefanti mi fosse passata addosso.
Non appena riesco ad aprire gli occhi e a mettere a fuoco, mi giro a guardare la sveglia. Sono soltanto le 7 del mattino e oggi ho tutta la giornata libera. Mi butto il cuscino sulla faccia, voglio dormire, lo voglio davvero. Con gli occhi mezzi chiusi, mi alzo sul letto per chiudere la tenda, rischiando di cadere rovinosamente.
Provo a chiudere gli occhi, a contare le pecore, ma ormai  il momento è passato, così decido di alzarmi. Mi trascino verso il bagno strisciando i piedi, gli occhi ancora mezzi chiusi. Quando mi guardo per un secondo allo specchio, trasalisco. Ho una faccia spaventosa, non che gli altri giorni sia meglio, ma stamattina mi faccio paura. Credo che non uscirò di casa.
Il mio telefono squilla da qualche parte, sepolto sotto gli strati di coperte. Per trovarlo impiego il tempo di sentire quasi la fine del ritornello di “I want to break free”. E’ Giovanni.
“Ma cosa vuoi a quest’ora del mattino?” biascico incazzata, ancora prima che lui riesca a dire pronto. Non sono un tipo a cui la mattina piace parlare. E per mattina intendo almeno fino alle 10.
“Complimenti, hai raggiunto un nuovo livello di acidità! Ti darei il tuo premio in buoni sconto da un vaffanculo, ma oggi sarò buono. E’ un giorno speciale per te!” dice, tutto mieloso. Non capisco una parola di ciò che sta dicendo.
“Un giorno speciale? Ma che stai dicen… O CAZZO! Non avevo ancora carburato!”
La realtà mi colpisce come una doccia gelata. Oggi devo incontrare Tom , QUEL TOM! Come ho fatto a non pensarci subito??
“Non è per questo che sei sveglia a quest’ora? Che è successo allora, è crollato il palazzo?”
Giovanni ride come un pazzo. Sa che per me la mattina lasciare il letto è una tragedia.
“Credevo ti fossi svegliata per darti una restaurata, visto l’importantissimo incontro di oggi. Ma, a quanto pare, ti era passato di mente. Tu, donna di mondo, non hai tempo per ricordare che hai un appuntamento con Tom Hiddleston, dimenticavo!”
“Ma stai un po’ zitto? Mi scoppia la testa.” piagnucolo. “Stanotte non ho dormito per niente, non avevo ancora realizzato. O mio Dio, ho davvero bisogno di una restaurata, hai ragione!”
“Smettila di fare l’idiota. Stavo scherzando. Soltanto, magari, datti una sistemata ai capelli, ieri sembravi un cespuglio. Ma da quanto tempo non li tagli?”
Non li taglio da quando sono partita dall’Italia per venire qui, torno in bagno a dare un’occhiata. Sono orribili, davvero. In questo momento è come se avessi in testa un nido di un’ aquila reale.
“Non so nemmeno dove andare qui. Ho paura di ritrovarmi con la pettinatura di un barboncino.”
“Chiedi a Wistrid, magari lei conosce qualche posto dove non rischi ti facciano la toelettatura!” Ormai nemmeno fa lo sforzo di trattenere le risate.
“Ma Wistrid ha 60 anni, Gio! E dai!”
Sono troppo demoralizzata, così gli stacco la telefonata in faccia.
Non avrebbe dovuto dirmi dei capelli. Adesso non riesco a togliermi dalla testa che devo sistemarli, che devo fare qualcosa per non sembrare un arbusto di Hyde Park, ma so di non poterci fare nulla. Sono negata con spazzola e phon.  Non voglio andare da una parrucchiera, non conosco nessuno che possa aiutarmi. Mi butto sul letto e nascondo la faccia sotto le coperte.
Ieri è stato così facile parlare con lui. Il buio è stato il complice perfetto. Non avevo idea di chi fosse, sono riuscita a raccontargli dettagli privati della mia vita, senza nemmeno fare tanti errori di pronuncia (credo), non ero in imbarazzo, non dovevo preoccuparmi dei miei capelli. Mi avrà guardata si e no per qualche minuto, magari non li ha neppure notati. Ma certo che li ha notati, maledetto Giovanni!!!
Mi alzo come se avessi una molla in corpo e inizio a vuotare l’armadio. Cosa mi metto?
Non sono il tipo di ragazza che segue le mode, che si preoccupa di essere sempre truccata o in ordine. Sono un tipo pratico, jeans e felpa, al massimo un maxi pull e sono pronta ad uscire. Non voglio apparire per quella che non sono, non voglio farlo assolutamente. Sarà anche Tom Hiddleston, ma anche lui ieri era in tuta e scarpe da tennis. E devo dire che stava benissimo. Probabilmente starebbe bene anche con un sacco dell’immondizia addosso.
 
 
Sento la tensione salire, così decido che devo distrarmi. L’appuntamento è fuori dal teatro, ma non ci siamo detti a che ora di preciso. Ieri sono arrivata in sala alle 2pm, lui poco dopo. Fosse per me, partirei già adesso, oppure non partirei affatto. Mi sento decisamente bipolare al momento.
Per tenermi occupata, decido di scendere in libreria, nonostante oggi sia la mia giornata libera.
Appena Wistrid mi vede entrare, mi scocca un’occhiataccia.
Cosa ci fai tu qui, a quest’ora? Soprattutto oggi!”
“Ho bisogno di tenermi occupata per un po’. Sto avendo un crollo nervoso. Ho appena scoperto che i miei capelli sembrano uno dei cappelli delle guardie della Regina.”
Wistrid non riesce a trattenersi e scoppia in una risata fragorosa.
“Credevo ti piacessero così, selvaggi e indomabili.” il mio sguardo frustrato la fa intenerire, così mi dice:
“Non ti preoccupare, più tardi se vuoi ti faccio una bella treccia, così li teniamo a bada.” Si avvicina a me e mi da un bacio in fronte. Cosa farei io senza questa donna?
Tra un cliente e un altro, è già arrivata l’ora della chiusura. Lavorare mi ha fatto bene, quanto meno fino adesso sono riuscita a non dare di matto.
“Va a cambiarti, pranzi da me oggi, così ti faccio la treccia che ti ho promesso. Inoltre, casa mia è più vicina al teatro, così non rischi di fare tardi.”
Rimango per qualche secondo con le mani tra le mani, torturandomele. Sento gli occhi pizzicare, si stanno riempendo di lacrime. Non posso fare a meno di reagire emotivamente ogni qualvolta Wistrid ha verso di me questi slanci materni. Mi fa sentire bene e male allo stesso tempo. Mi sento amata, e per me questo ha un sapore dolce/amaro.
Wistrid accenna un sorriso. “Dai su, non abbiamo tutto il giorno, bambina. Dobbiamo  sbrigarci!”
Mi sveglio dalla mia momentanea trans e inizio a salire le scale facendo gli scalini a due a due.
Mi cambio velocemente, ho optato per un jeans un po’ più stretto, maxi pull verde scuro e stivali bassi. Lascio perdere completamente i capelli, butto giusto un rossetto nella borsa e sono pronta ad andare.
 
 
 
Facciamo la strada per arrivare alla fermata della metro quasi di corsa, Wistrid mi tiene per mano.
Mi sento davvero riconoscente verso Wistrid, così le propongo di cucinare la pasta.
“Sai che non dirò di no, mi conosci bene! Dovresti passare più spesso da me, bambina.”
Decido di cucinare una semplice pasta al tonno, sono già le 1pm quando ci sediamo a tavola.
Inizio a sentire di nuovo la tensione salire e, quando prendo in mano il bicchiere per riempirlo, noto che queste hanno preso a tremare. Wistrid se ne accorge, prende la mia mano tra le sue e la stringe.
“Di cosa hai più paura?” mi dice semplicemente.
Io la guardo, non saprei da dove iniziare la mia lista. 
Ho paura di dire qualcosa di sbagliato, di non fargli una buona impressione, di sembrare sciocca, di infastidirlo, di metterlo in imbarazzo. Ho paura di tante cose, ma quando apro bocca è questa la frase che esce fuori: “Ho paura che non verrà. E io sarò lì, all’angolo del teatro ad aspettarlo come una stupida ragazzina che ha creduto che fosse tutto vero.” Ecco, l’ho finalmente detto a voce alta. Non sono riuscita a dirlo nemmeno a Giovanni, non riuscivo nemmeno ad ammetterlo con me stessa.
Wistrid si intenerisce e si avvicina ad abbracciarmi.
“Non devi avere paura, bambina. Non conosco il signor Hiddleston personalmente, ma so che è un gentiluomo inglese, e se ha detto che verrà, sono sicura che lo farà.”
In questo momento vorrei dirle tante cose. Vorrei dirle grazie, per il fatto che riesce ad esserci sempre per me, per tutte le cose che ha fatto per me sin dal primo giorno che ci siamo incontrate in quel modo così strano, grazie per essere per me la mamma che avrei voluto avere, ma non riesco a dire nulla. Non voglio piangere, non voglio rintristirla.
“E adesso vieni con me, facciamo qualcosa per questi capelli.”
 
 
Sono le 13:40 e sono appena uscita da casa di Wistrid. Mi ha sistemato i capelli in una bellissima treccia laterale e ha insistito perché mi truccassi un po’.
Scendo di corsa le scale della metro e anche qui noto il cartellone pubblicitario con la pubblicità del Coriolanus. “Una rappresentazione che vi lascerà senza fiato.”
Io sono già senza fiato adesso, chissà quando arriverò a teatro.
Il convoglio della metro sembra non voler arrivare mai, così ho tutto il tempo di perdermi nei miei pensieri.
Cosa dovrei dirgli appena lo vedrò?
“Buongiorno signor Hidlleston?” “Ciao Tom” “Ehi?” Non so come comportarmi, davvero non ne ho idea.  Il convoglio arriva e in quindici minuti arrivo a destinazione.
Lotto contro la parte di me che vorrebbe scappare e tornare a casa e mi costringo a salire tutti i gradini che mi separano dal teatro, dove forse troverò Tom.
Sono quasi fuori, quando mi squilla il telefono. E’ un messaggio di Giovanni.
“Non sei ancora arrivata? Qui stiamo per iniziare, lui non c’è.”
Sono troppo frastornata per rispondere anche solo con un “ok”, così decido di mettere via il telefono.
Sto ancora trafficando con la borsa per chiudere la cerniera, quando sento qualcuno che mi chiama.
“Angel?”
Alzo gli occhi e il mio cuore salta un battito.
E’ lui.
E’ già qui.
Mi sorride e mi porge la mano.
Mi sento le gambe di burro, andrà tutto a rotoli. Ma lui è qui, non mi ha dato buca. E’ davvero qui e si ricorda il mio nome. Beh, almeno prova a pronunciarlo. Involontariamente mi scappa un sorriso.
“Hiii.” Alla fine è questa l’unica sillaba che riesco a dire, forse stirando un po’ troppo la vocale.
“Buon pomeriggio.” saluta lui, sempre con il sorriso sulle labbra. Poi mi prende la mano e leggermente sfiora con la sua bocca le mie nocche. Sento che sto per avere un mancamento. Devo darmi un contegno.
“Ho ricevuto un messaggio dal mio amico che lavora qui, mi ha detto che stanno per iniziare.” dico, un po’ troppo frettolosamente. Ho necessità  assoluta della penombra del teatro, magari riesco mascherare il colorito delle mie guance, adesso in fiamme.
“Oh, certo. Entriamo subito.” mi dice, facendomi strada.
 
 
Le luci sono già state abbassate, così trovare un posto a sedere non è la cosa più facile di questo mondo. Ho il terrore di calpestare i piedi a qualcuno o di ruzzolare a terra, quindi cammino lenta come una lumaca. Lui in due falcate è già arrivato, adesso mi fa cenno con una mano, ha trovato dei posti che lo soddisfano.
C’è meno confusione di ieri, solo un gruppetto di circa dieci persone, sedute proprio in prima fila.
“E’ la stampa”  sussurra Tom, non appena mi siedo accanto a lui. Sembra quasi abbia letto la mia domanda inespressa direttamente dalla mia testa.
“Oh, certo.” dico soltanto. Ho perso l’uso della parola, probabilmente.
Le prove sono già nel loro pieno svolgimento. Mi giro più volte a destra e a sinistra, cercando di trovare Giovanni, ma proprio non lo vedo.
Mi sento in imbarazzo. Entrambi sembriamo concentrati sulla rappresentazione, ma ogni tanto mi sembra di scorgere del movimento con la coda dell’occhio. Forse si sente in imbarazzo anche lui, visto che siamo seduti qui, l’uno accanto all’altro, ma non diciamo niente. Non sono mai stata brava a sopportare la tensione, così decido di rompere il ghiaccio.
“Non sapevo la stampa fosse autorizzata ad assistere alle prove. Immagino siano qui per lei.”
So che in inglese è come se io gli stessi dando del tu, ma nella mia testa sto cercando di mantenere un profilo basso e leggermente distaccato.
Tom trasalisce, probabilmente era assorbito dalle prove. Lo immagino mentre, nel buio, ripete le battute a mente muovendo solo le labbra.
“Scusami, mi sono lasciato distrarre. Si, alla prima pausa entro in scena io. Mi dispiace doverti lasciare qui da sola. Mi sento in colpa per averti invitata e dover andare via per un po’. Forse dovrei offrirti dei biscotti.” Lo sento ridere. La sua risata è così cristallina, sembra quasi un bambino. La cosa mi intenerisce. Poi lo sento rovistare nelle tasche, e poco dopo ho due biscotti in mano. Scoppio a ridere anche io.
“Non deve dispiacersi, è il suo lavoro. E’ stato molto gentile ad invitarmi e grazie mille per i biscotti.”
“Oh, i biscotti sono il minimo. Dovrò lasciarla qui da sola per più di un’ora. Non è proprio questo che avevo in mente quando ieri le ho chiesto di venire qui insieme a me.”  dice, mettendo altri due biscotti nelle mie mani.
Cosa aveva in mente? Cosa sta succedendo qui?
Nella penombra noto che sta distendendo le gambe, calandosi un po’ sul sedile, come a volersi nascondere.
“Abbiamo ancora qualche minuto per parlare. Raccontami qualcosa del tuo libro.” Aggiunge poi, addentano anche lui un biscotto.
Mi sento in imbarazzo a parlare del mio libro, che libro ancora non è. E’ solo un abbozzo di idee confuse, pagine sovrapposte senza un ordine logico. Forse non avrei dovuto parlargliene ieri. Ma ieri non sapevo con chi stessi parlando, credevo fosse uno sconosciuto che non avrei mai più rivisto.
Sospiro e addendo anche io un biscotto per prendere un po’ di tempo.
Beh, in realtà non posso dire che sia un vero è proprio libro. Diciamo che, più che altro, è una raccolta di pensieri che vorrei diventassero una storia.”
“Sono sempre più curioso di leggerlo.” mi dice lui e mentre lo fa, sento il peso del suo sguardo su di me.
Tutto il sangue che ho in corpo decide di affluire alle mie guance, le tocco con le mani, sono roventi.
“Non credo le potrebbe piacere. In realtà ultimamente non piace troppo nemmeno a me.”
“Per questo dovrei leggerlo. Per poter avere il piacere di smentirti.” E, così dicendo, si alza, cercando di non essere visto.
“E’ arrivato il momento di andare. Aspettami qui, non andare via.” mi dice poi e si allontana a passo svelto.
 
 
 
Adesso che sono rimasta da sola, posso tornare a respirare. In realtà, sto iperventilando. Non mi ero resa conto di essere così tesa, fino a quando non è andato via. Il mio insano terrore di sbagliare qualcosa mi ha portata a  parlare come un robot. Probabilmente si è già pentito di avermi chiesto di venire e fa solo il gentile.
Ad un tratto le luci riempiono la sala, è arrivata la pausa. Non faccio nemmeno in tempo ad abituarmi alla nuova luminosità, che qualcuno mi si fionda addosso.
“Angie, sei arrivata!!” E’ Giovanni, che mi spupazza come se fossi un pelouche. Credo proprio non si aspettasse di vedermi qui e, se non fosse stato per Wis probabilmente sarebbe stato così.
“Sono qui, sono qui. Non ti agitare.”
“E lui dov’è?”
“E’ già andato dietro le quinte, tra poco tocca a lui.”
“Ti rendi conto dell’onore che hai? Stai per assistere a delle prove blindatissime!! E lui ha mantenuto la promessa!”
Lo guardo negli occhi e scuoto la testa. Sembra una ragazzina ad un concerto degli OneDirection.
Non posso fare a meno di sorridere. So perché è così felice, perché sa che anche io lo sono, dopo tanto, tantissimo tempo.
“Goditi questa giornata, Angie. Te lo meriti.” mi dice poi abbracciandomi, prima di tornare a lavoro.
Me lo merito? Non so se sia così. Quello che so è che è tutto inaspettato e che mai avrei pensato di vivere questa giornata.
Le luci tornano ad abbassarsi. Il regista da il segnale e un solo faro inizia a schiarire il buio in cui siamo immersi.
Al centro del cono di luce che questo proietta, c’è Tom. Il regista gli sussurra qualcosa all’orecchio e poi inizia la magia.
Tom non è più Tom, è diventato Caio Marzio, nel momento in cui viene condannato all’esilio.
Sono completamente rapita dalla sua interpretazione. Vorrei scattare qualche foto, ma è severamente vietato, così apro e chiudo gli occhi, immaginando di scattare le mie foto direttamente con gli occhi, sperando che questi momenti rimangano impressi per sempre nella mia memoria.
 
 
Lo scorrere del tempo acquista tutto un altro senso e in un attimo, non so come sia possibile, le luci si alzano di nuovo ed è tutto finito.
Tom salta giù dal palco e inizia a guardarsi intorno, probabilmente sta cercando una via di fuga, ma in un attimo la stampa lo sommerge, chiedendo a gran voce un’intervista.
Giovanni  si è arrampicato su di una scala altissima, dall’alto mi sorride e mi saluta con la mano.
Lo saluto anche io e gli mando un bacio volante. E’ proprio grazie a lui se ho potuto vivere questa bellissima esperienza.
Mi sento un po’ in imbarazzo, adesso con  luci accese. Sono l’unica persona seduta in questa immensa sala, qualcuno prima o poi si chiederà cosa ci faccio qui e probabilmente mi caccerà via. Nessuno sa insieme a chi sono arrivata e non c’è motivo per cui, anche se lo dicessi, dovrebbero credermi. Sono la prima a cui sembra tutto un sogno.
Invio un messaggio veloce a Wistrid dicendole che va tutto bene, poi mi alzo e sto per andare via.
So che Tom mi ha chiesto di rimanere, ma sto iniziando a sudare per l’imbarazzo, ho bisogno di una boccata d’aria.
Per uscire dalla sala, devo necessariamente passare vicino all’orda di giornalisti che adesso si è spostata accanto all’uscita laterale del teatro. Non voglio scappare senza nemmeno dirgli “ciao”, è stato così gentile con me, non mi sembra giusto. 
Non sono altissima, quindi non riesco a vederlo dietro i testoni dei giornalisti che lo sovrastano. Sbuffo infastidita e crollo su una sedia, messa un po’ in penombra. Potrei andare via, se volessi e vorrei, forse. Ma lui mi ha portato i biscotti, è venuto all’appuntamento, si è ricordato il mio nome. Non posso andare via e basta, chiuso finito, è passato tutto. Devo almeno salutarlo, almeno dirgli grazie.
Dopo qualche minuto, vedo che è salito di nuovo sul palco. Si congeda dai giornalisti, da un’occhiata alla sala ormai vuota e sparisce dietro le quinte.
I giornalisti iniziano ad accalcarsi verso l’uscita, i tecnici delle luci spengono gli ultimi fari puntati sul palco e il sipario viene chiuso.  Mi alzo e inizio a passeggiare tra le prime file, alzando di tanto in tanto gli occhi verso l’alto, notando i fari che, ad uno ad uno si spengono. Cammino così, sovrappensiero, quando ad un tratto sbatto contro  qualcosa, o qualcuno.
“Credevo fossi andata via.” dice una voce, ormai conosciuta, alle mie spalle.
“Mi scusi.” dico di riflesso. Spero di non avergli schiacciato un piede.
“Non ti ho visto nella sala, così ho pensato di non trovarti più.” Continua lui, lo sguardo un po’ malinconico.
“No, io non… Mi sono solo messa un po’ da parte, per non farmi notare…”
Sto iniziando a balbettare di nuovo. Lo so, sono patetica.
“Mi dispiace averti fatta aspettare.” mi dice guardandomi negli occhi e le sue parole sono sincere. Sono solo cinque parole, ma mi colpiscono in un modo inaspettato.
“Si figuri. Grazie per avermi dato questa bellissima possibilità oggi. E’ stato davvero emozionante.”
“Volevo raccontarti anche io un pezzo della mia storia. E questa è una delle parti della storia che preferisco. Il teatro.”
Sorride e la malinconia di prima sembra pian piano andare via.
Non so come, non so perché, ma questa non è più la storia di una ragazza che per caso incontra un tizio famoso e viene invitata a vedere delle prove in un teatro. Non è più una storia che inizia e finisce così, per caso, com’è iniziata. Una parte di me crede sia un’enorme cazzata, ma l’altra parte mi dice che è il momento di mettere da parte l’imbarazzo e le mie paure,  è il momento di essere me stessa, di parlare, come parlerei ad un amico.
 “Sarei interessata a sentire il resto della storia, se volesse raccontarmela.”
Lui mi guarda e ride, arriccia il naso.
“Non aspettavo altro.” dice senza esitare, e mi prende la mano.
 
 
  
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