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Autore: thesoulofthewind    06/09/2015    2 recensioni
"Cara Mamma
non l'avrei mai potuto immaginare, ma sono dannatamente felice. Sto bene. Le mie spalle si stanno raddrizzando, il peso che portano sta svanendo. Hai presente la sensazione di appartenere a qualcuno, Mà? La provo. Ogni giorno. Guardando il suo viso, con la colonna sonora delle sue risate. Gli appartengo, e lui a me. Sento che sto bene, ora. non scappo più. E paradossalmente, il primo ricordo che ho di tutto questo sono le sue parole:
-quando tutto questo sarà finito, mi odierai molto più di quanto fai ora, Jude.-
Cazzate."
Il percorso di una vita, parallela a molte altre, che si evolve nel noioso scenario dell'adolescenza. Di casini, menti stressate, fratellastri maledettamente stronzi e sigarette. Di parcheggi desolati, genitori pessimi e sorelle incapaci di farsi amare. Di letti troppo stretti e odore di freddo, pioggia e fumo.
Di adolescenti sballati dai loro casini, tutto trascritto nella mente di Jude, il ragazzo più incasinato di tutti.
Mia prima storia originale con una coppia yaoi, anche se saranno presenti anche coppie etero.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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‘Non sapeva cosa avrebbe voluto: capiva solo quant’era distante, lui come tutti, dal vivere come va vissuto quello che cercava di vivere.’
–Italo Calvino, La giornata d’uno scrutatore.


 

Parte 2.

Cara Mamma, sono successe così tante cose nell’ultima settimana che ho deciso di scriverti seguendo una sequenza mentale dei punti più importanti da raccontarti. Innanzitutto, volevo dirti che alla fine mi sono trovato degli amici. Davis, che per quanto sia fastidioso e invadente, è molto simpatico. Ha i capelli rossissimi come papà, solo più basso e meno muscoloso. Appena l’ho visto ho pensato alla novella di Rosso Mal pelo, quella del ragazzo che veniva trattato male da tutti e disprezzato dalla famiglia per il colore dei capelli, che si diceva portasse male. Alla fine, era diventato davvero così. Penso che tutto lo stress provato per quell’emarginazione l’abbia indurito, assieme alla morte del padre. L’ho detto a Davis, ma essendo un vero caprone, non sapeva di cosa stessi parlando. Non legge molto, quindi immagino che non abbia mai toccato le novelle di Verga. Ma sto divagando. Sua sorella è simpatica quanto lui, solo più dura. Sono gemelli, ma data l’irresponsabilità di Davis immagino che sua madre la veda come maggiore, e lei si comporta da tale. Sono carini, si vogliono bene, anche se non si vede. Mamma, Davis sta passando un brutto periodo. Non mi ha detto nulla, e non mi ha dato motivi concreti per pensarlo. Ma sono certo che stia almeno un po’ male. Da qualche giorno, ha gli occhi segnati da borse, come se stesse troppo tempo sveglio. Le sue spalle sono incrinate. Più di una volta ho immaginato un macigno di pietra su di esse, con l’ombra scura che copriva il suo sorriso. Fa più pause tra una risata e l’altra, e gli lacrimano gli occhi quando lo fa. Ho letto da qualche parte che, se una persona è sopraffatta dal dolore, o dalla tensione, non riesce più a recuperare un certo controllo. Ride, e non la finisce più. Ride finche gli fa male lo stomaco e vorrebbe vomitare. Piange, mentre lo fa. L’ho visto commuoversi davanti ad un film, che avevamo visto almeno cento volte. Sono preoccupato per il mio amico, ma non posso farci nulla. Siamo sulla stessa barca. Lui non mette il naso nel mio dolore e io non lo metto nel suo. È una strana e contorta forma di rispetto, me è alla base della nostra amicizia. Gli ho detto della mia omosessualità. In realtà, me ne ha parlato lui. Mi ha guardato e mi ha detto, rosso in viso: -l’amico di mia sorella è gay. Potrei fartelo conoscere.- e poi ha interrotto il contatto visivo, iniziando a parlare di quanto avesse caldo. È fatto così. Ieri, mentre stavamo in piscina, l’universitario è sceso per la prima volta dalla sua stanza. Ha tirato fuori un libro e ha passato il pomeriggio a sottolinearlo in cucina. Per tutta la settimana era rimasto in camera, usciva di notte, tornava tardi. Ho iniziato a imparare anche il rumore della sua auto, e la vibrazione emessa dalla sua voce. È tre sere di seguito che torna salutando, all’entrata, una ragazza diversa. Pomiciano un po’ in auto, e poi via. Immagino sia stressato. Anche lui ha le spalle incurvate mamma. Il suo macigno è pesante. Ma non capisco di che materiale è. Cosa gli succede? Parlerà mai con me? Dopo la cena non ci siamo neppure più guardati negli occhi. Per ultimo punto, volevo farti sapere che la prima settimana di scuola è andata bene. Non sono nella stessa classe di Davis, ma va bene comunque. Sua sorella inizialmente è stata la mia compagna di banco, poi ci hanno spostati. C’è un ragazzo, Ed, che mi sta molto simpatico. Gioca a lacrosse, e mi ha detto che il mio nuovo non-fratello era il suo idolo da giovane. Alla fine, aveva preso il suo posto. Ho guardato i suoi allenamenti, e gioca davvero bene. È una persona superficiale, Ed. mi piace, tutti hanno bisogno di un amico semplice, anche superficiale. Non ti fa pensare, ti fa conoscere modi più semplici del tuo di vivere e vedere le cose. Io vedo un libro, e penso allo studio che mi spetta, al fatto che potrei prendere un brutto voto se mi interrogano sul suo interno, che devo mettermi sotto o non finirò più. Lui risolve il tutto con un sonoro ‘che palle’ e prende il suo aggeggio per lacrosse, e va a giocare con Sam. Samuel, il suo migliore amico di quinta. Simpatico anche lui, lo sguardo pragmatico da giocatore attento. Poi c’è Meredith, Meddie. Le voglio bene. Mi ha braccato dal primo giorno di scuola, è la ragazza si Sam. Possiamo dire che è quel tipo di ragazza che ti regala un raggio di sole appena la guardi. Stanno bene insieme. Mi piace tanto. Beh. Non ho molto altro da dire. Ho smesso da tempo di aspettare tue risposte. So che è complicato. Però ti aspetto, mamma.
Jude.



 
 
Chiudo la busta e la vado ad imbucare subito dopo. Davis mi chiama. Vuole sapere se ho un po’ di tempo. Certo che si. Mi dice di aspettarlo davanti alla cassetta per imbucare la posta. Lo faccio, intanto ascolto un po’ di musica sul cellulare. Non ho un vero genere musicale preferito. Ascolto soprattutto tracce. Basi di canzoni, di film. Le parole ce le metto io, in base a come mi sento. Oggi mi risulta particolarmente difficile pensare. Mi sento tante cose. Davis mi suona il clacson da sopra il suo fuoristrada. È una di quelle macchine prese con i risparmi dei turni part-time di Luglio. Devo dire che è bello avere un auto, così siamo più indipendenti. Mi metto accanto a lui. Mi passa una sigaretta, che non accetto. Non mi piace particolarmente fumare. Non ha senso, anche se lui lo fa spesso. Molto spesso. Anche ora, mentre guida. Non stiamo andando da nessuna parte. Nell’ultimi tempi è una cosa che facciamo spesso. Ne ha bisogno. Deve andarsene, via, il prima possibile, per poi tornare con la consapevolezza che c’è tutto un mondo, che può partire quando gli gira. La verità è che non può. La verità è che non ha una cosa specifica da cui andare via. Non ha nulla di specifico da cui tornare. A volte penso a quanto deve sentirsi perso. Si vede dalla voce che ha oggi. Mi sta parlando dell’ultima partita di baseball vista alla tv, ma ha la voce roca. Deve aver serrato le labbra da tanto tempo. I vestiti odorano di freddo. Deve essere in giro da molto più tempo di quello che lascia pensare. –e poi mio padre si è esaltato, mi ha abbracciato e mi ha pagato una birra. È stato abbastanza imbarazzante vederlo saltare per tutto il locale davanti a ragazzini sfegatati di baseball, ma devo ammettere che la birra era buona. La prossima volta ci andiamo insieme, segui troppo poco sport. La piscina non potrà bastare per sempre a tenerti me come amico.-
 mi fa l’occhiolino, sorride. Io rido, poi accendo la radio, col volume basso.
-come va a casa?-
-non male. Rose e Sean sono stupendi davvero, e di Aidan non posso dirti nulla. Da quel pomeriggio ora sta sempre in cucina a studiare. A volte credo di essere invisibile, e penso che a lui piaccia vedermi mentre mi faccio pare mentali. A volte credo che un giorno venga da me e mi dica ‘ehi, sai. Sono cieco. Non ti guardo ne parlo mai perché non ho idea di dove tu sia.’ E sono sicuro che non mi dispiacerebbe neppure un po’.-
Ride. E lo faccio anche io, ovviamente. Sprechiamo benzina parlando del più e del meno, e quando ci rendiamo conto che si è fatto davvero troppo tardi, decidiamo di tornare a casa.
-che fai domani?-
-vengono quelli del servizio sociale a controllare come sto. Sai, per il fatto che non posso trattenermi sempre a lungo.-
-prima o poi dovrai spiegarmi questa cosa.-
-domani.-
-lo dici sempre, Judy.-
-non chiamarmi cosi!- gli urlo, mentre scendo dal fuoristrada e rido. Lui tira giù il finestrino.
-guardalo, il ragazzo dai capelli bianchi e gli occhi grigi. Mia sorella mi ha detto che sei la cotta segreta di una dozzina di ragazze, peccato che più che sexy pensano tu sia tenero. Sembri un ragazzino, con quel fisichetto li.-
-Dio D., come sei gentile. Và cortesemente a fare in culo.-
Mi lancia un sorrisone alla Satana buono.
-certamente.-
Poi alza il volume della radio e parcheggia. Prima di entrare in casa mi urla qualcosa. Non ascolto, ha tanto il sapore di cazzata.
 
 
 
Per il momento nulla di troppo insopportabile. Come al solito, Aidan e Sean parlano di studio, passano allo sport e poi di nuovo alla scuola. Ogni tanto parlano dei risultati scolastici di entrambi, e mentre Rose si siede a tavola mi viene chiesto come sta andando a me lo studio. –non male.. l’ultimo test che ho fatto è andato bene, e …-
 -io esco a fumare.- senza dire nient’altro il mio non-fratello si alza ed esce
. Rose sospira sonoramente. Sean sorride. –te l’ho detto. È complicato. Non è male come sembra. Dicevi?- così ricomincio a parlare, ma le parole escono dalla mia bocca distrattamente, con tono atono. La mia mente è in pieno lavoro. Sono arrabbiato. Cerco di reprimere la voglia di andare da quel figlio di buona donna e urlagli in faccia che è uno stronzo. Ma non sono così, io. Finisco il mio cibo, poi dico di aver sonno e scappo il camera. Inaspettatamente mi ritrovo a notare che stasera il ragazzo di Mia non è passato. Non ho voglia di scrivere, e neppure di leggere. Decido di fare una doccia. Quando esco, c’e Aidan che mi guarda infastidito, appoggiato al muro del corridoio. Mi fissa apertamente, senza censure.
-che c’è?- sogghigna, poi si alza e fa per andarsene. Oh, no. Aidan adesso hai rotto il cazzo. Sento una rabbia assurda ribollirmi dentro. Lo seguo, entro nella sua camera mentre lui mi guarda per un momento sorpreso, poi infastidito.
-che cavolo fai? Esci. Subito.-
Lo fisso come a fatto prima lui con me, e mi metto contro il muro nella stessa posizione in cui si è messo in corridoio. Lui ghigna. Poi si siede a letto.
-non sono il fratellone dal quale prendere esempio, bimbetto.-
-infatti, tu non sei mio fratello.-
-ne tu il mio.- il suo tono non è più sarcastico. È davvero duro, freddo. Gelido.
Mi sta guardando. Mi rendo conto solo ora che stiamo avendo uno scontro diretto, per la prima volta da settimane.
-vattene, ti dispiace? Non sei una bella vista.-
Ingoio a vuoto. Faccio per andarmene, ma mi fermo sulla porta. Senza rendermene conto la chiudo, e mi giro verso di lui.
-si può sapere qual è il tuo cazzo di problema?-
Lui fa finta di pensarci un attimo. –tu.- dice, dandomi le spalle per chiudere la finestra. Si gira, è molto più alto di me. –non mi piaci, in genere non mi piacciono mai i capricci dei miei genitori.-
-cosa cazzo dici? E non mi hai mai parlato, non puoi giudicare.- -ora stiamo parlando. E ti comporti in modo così fastidioso, bimbetto. Vai via?-
Dio, mi fa andare fuori di testa. –ma sei idiota? Senti.. tua madre ci sta male per il tuo comportamento, e io le voglio bene quindi..- sogghigna. –le vuoi bene? Non la conosci neppure. Ne lei te ne vuole. Prova semplice pena.- serro i pugni.
-perché mi dici queste cose?- la voce mi esce debole. Non sembra mia. Sono semplicemente stanco. Improvvisamente sfinito.
-perché devo aprirti gli occhi. Mia madre ha fatto così tanti errori con me, che adesso vuole rifarsi con te. Non scambiare il suo modo di trattarti per amore. Le fai pena, ha bisogno di sentirsi buona, tutto qui.-
Lo guardo truce. O almeno, ci provo. Mi confonde, e sono stanco.
-perché mi dici queste cose?- lo ripeto.
Lui mi guarda, pragmatico. Apre la bocca per dire qualcosa, poi la chiude.
-che errori ha fatto con te?-
Mi fissa. Gli occhi ora sembrano verdi, ma sono certo che se li guardassi in un’altra angolazione potrebbero essere marroni, azzurri, gialli. Li ha spalancati. Poi li ha abbassati. Infine ha preso a fissarmi. Capisco che si è tradito con le parole. Non voleva farmi capire qualcosa che, se si mettesse a rispondere a quella domanda, apprenderei da solo.
-senti. È probabile che io rimanga qui ancora per poco. Non ti preoccupare.-
Mi è impossibile non sentirmi in qualche modo di troppo, o in torto. Sento tutto l’odio che mi proietta addosso, la sua repulsione verso di me è palpabile, cieca. Profonda. Non dico altro. Non riuscirei neppure a farlo, perché sento che se non esco immediatamente da questa stanza starò male. Sono sempre stato una persona particolarmente sentimentale. Esco, mi chiudo la porta alle spalle e sento che il rumore dei miei passi mi arriva attutito. Troppi pensieri cupi. Rose mi vede, mi dice qualcosa. Annuisco ed entro in camera. Non mi importa ora sapere che aveva da dirmi. Sono davvero troppo stanco.
 
 
 
 
 
Siamo sul divano tutti e quattro, Rose indossa un vestito lilla che le evidenzia i capelli scuri e gli occhi verdi. Sean è elegante, e siede sul divano accanto alla moglie con un sorriso. Aidan è li, ma non c’è veramente. Indossa gli abiti di ieri, fissa il vuoto per cinque minuti, guarda la signorina Harmony parlare con i suoi genitori, poi ritorna a fissare il vuoto. È annoiato, pensa ad altro. Quando lo fa la sua fronte forma delle piccole rughette vicino alle sopracciglia. Anche quando pensa a cose cupe è sexy. Peccato abbia un comportamento di merda.
-Jude ha già avuto una crisi?- chiede ad un certo punto la donna, pronta a scrivere la risposta sulla cartellina che si porta appresso. Vedo gli occhi di Aidan scattare ad osservare sua madre. Lei scuote la testa, convinta. La signorina si gira verso di me.
-quindi non hai ancora avuto nessun tipo di problema? Non hai avuto bisogno delle pillole?- annuisco. Odio parlarne.
-va bene. Posso parlare con voi in privato, perfavore?- Rose e Sean annuiscono, e io e scappo in camera il prima possibile. Sono stanco, mi succede troppo spesso. Pensare alle crisi mi fa stare male. Ora so che l’assistente sociale parlerà di quello che faccio hai miei nuovi non-genitori ogni volta verso il primo mese e mezzo di permanenza in una casa. Penseranno che sono una brutta persona, vorranno mettere le distanze. Oppure, peggio, vorranno tenermi buono, amarmi per farmi stare con loro. Non lo capiscono che sono una piccola bomba ad orologeria con i capelli bianchi. Proprio non lo capiscono. Nessuno lo fa. Inizia a salirmi uno strano senso di pienezza nello stomaco. Arriva alla gola. La attanaglia, e ora voglio solo vomitare. Spiaccico la faccia contro il cuscino, con tutta la forza che ho, e quando sento il naso farmi male la smetto e mi rannicchio nelle coperte. È l’ansia. Anzi, sono io. Perché non ricordo neppure più quando è arrivata, per me è come se ci sia sempre stata. L’ansia sono io. Le ginocchia mi tremano, e mi stringo più forte contro me stesso. La schiena fa male, piegata così a coprirmi il corpo, ma non mi smuovo. Aspetto. Mi accorgo solo dopo un lasso di tempo che, mentre piccole scie di tristezza mi rigavano le guancie Adian ha aperto la porta. Si è bloccato a fissarmi. È rimasto per un tempo interminabile. Non ho visto i suoi occhi, ma sono certo che mi guardavano in modo apatico. Come se non guardassero me. La porta si è chiusa e lui se ne andato.
È strano. Che ore sono? Quando mi alzo dal letto la casa è silenziosa. Guardo il cellulare. È mezzanotte. Non è possibile, non mi ero neppure accorto. Eppure ero a letto dalle quattro, giusto? Sento la gola secca. È ruvida, come la mia lingua. Scendo in cucina e mi verso un bicchiere d’acqua. Sto male. Mi sento debole. Afferro una mela e mi siedo a tavola. Sento solo il mio respiro e il rumore dei morsi che do al frutto. Alzo lo sguardo, e davanti a me c’è mamma. Mi sta sorridendo. Le sorrido anche io, e le mi dice che mi vuole bene. Annuisco, e gli dico che gli voglio bene anch’io. Che aspetto che risponda alle mie lettere, e le chiedo perché non sento nulla quando si avvicina ad abbracciarmi. Poi non c’è più, e immagino sia andata a lavoro di già. Ci va sempre troppo presto. Penso che mi mancano i suoi capelli biondi e gli occhi grigi, come i miei.
L’odore di fumo mi fa riprendere lucidità, e vedo Aidan che mi guarda, intento a sfilarsi il giubbotto. Deve essere appena tornato dalla sua uscita serale. Sta fermo davanti a me e poi decide di sedersi. Mi scruta.
-hai dormito tutto il giorno.- dice.
-immaginavo.-
Mi guardo i piedi scalzi, poi lo vedo alzarsi e lanciarmi una scatolina bianca. La apro. Capisco cosa è ancora prima di leggerne l’etichetta. Ingoio una pasticca in silenzio, aiutandomi con dell’acqua. Sento che i miei capelli sono un casino. Lui non cambia espressione e torna a sedersi.
-non vedo l’ora che tu te ne vada, bimbetto di merda. Non ti azzardare a fare di nuovo una cosa del genere, perché non ti coprirò più con mamma e papà.-
Lo fisso.
-cosa gli hai detto?-
-che eri stanco. Che mi avevi chiesto un libro e che avevi detto che avresti studiato fino a sera. Gli ho detto che ti avrei portato la cena. È evidente che non l’hai mangiata.-
Scuoto la testa.
-perché?- chiedo. La mia voce è irriconoscibile. Sembra una corda che stride.
-perché tendo a proteggere le persone a cui voglio bene.- spalanco gli occhi. Intende me? Vuole proteggermi? Mi..vuole bene?
-non ti permetterò di andartene e incasinare ancora di più la mia famiglia. Vedi di farti passare questa crisi adolescenziale.-
Ah. Vuole bene a loro. È evidente, palese, ovvio. Eppure sembra così gelido. I suoi occhi non hanno mai, neppure una volta, fiammeggiato così tanto. Mi rendo conto che combatterà con tutte le sue forze pur di proteggere i suoi genitori da quello che tendo a diventare. L’avevo sottovalutato. Avevo sottovalutato anche la sua capacità di studio. Con me ha fatto un lavoro eccellente.
Annuisco piano. Già so che alla fine di tutto, lui mi odierà più di quanto faccia ora. È inevitabile.
-Jude.-
È la prima volta che dice il mio nome. Perché il mio cuore è volato hai piedi e poi è tornato su, sempre battendo all’impazzata? Le mie membra congelate sono contratte. Mi sta fissando. La voce non è atona. Per la prima volta vendo qualcosa in quei vetri dei suoi occhi.
-quando tutto questo finirà, mi avrai odiato molto più di quanto mi odi ora.-
Poi se ne va, portandosi dietro l’odore di freddo, pioggia e fumo.
Ora so che abbiamo almeno un pensiero in comune.
E siamo già legati.
È inevitabile. 


Angolo Autrice: 
ecco il secondo capitolo! in settimana dovrei pubblicare già il terzo, comunque. 
ringrazio chi ha letto e commentato, anche chi ha letto e basta! mi fa molto piacere ricevere messaggi o commenti,(sia positivi che negativi quindi non fatevi scrupoli!) in questo capitolo abbiamo il primo confronto diretto tra i due protagonisti, e la faccenda Devis-tristezza appena accennata, che presto verrà svelata. tra pochi capitoli tutto prenderà la giusta piega, per il momento siamo hai capitoli di passaggio. Grazie davvero a tutti, 

-TheSoulOfTheWind
   
 
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