Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Ink Voice    13/09/2015    3 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
VI
Librarsi

Il lunedì mattina mi alzai mezz’ora prima del previsto, che avrebbe dovuto essere le sette, dopo un sonno agitato e difficoltoso. Dovevo aver dormito sì e no sei ore e durante quella giornata lo avrei fortemente rimpianto; il resto della notte lo avevo passato a rigirarmi nel letto, lamentando che ogni posizione assunta mi fosse diventata improvvisamente scomoda, e a sperare inutilmente che il ronfare sommesso e regolare di Chiara mi aiutasse a prendere sonno come un’assurda nenia.
Quando finalmente la scritta indicata sul PokéGear segnò un orario successivo all’alba, mi misi a sedere sul letto e soffocai un sospiro stanco e ansioso. Invidiai Chiara che dormiva imperterrita: forse si sarebbe davvero svegliata solo mezz’ora prima dell’inizio delle lezioni, non alle sei e mezza come me. Ero agitata e preoccupata, tanto per cambiare. Il buio era totale se non per la timida lucina verdognola dello schermo esterno del Gear.
Passai qualche minuto a non fare niente, sola con il silenzio di tomba dell’Accademia e con il vuoto della mia testa. Ma dopo un po’ mi accorsi di quanto mi scocciasse starmene seduta sul letto con lo sguardo perso nel buio, quindi mi alzai. L’odiosa moquette si rivelò molto utile per non far udire i miei passi a Chiara, ma probabilmente dormiva fin troppo profondamente per essere disturbata da me.
Raggiunsi a tentoni la porta del bagno e dopo averla socchiusa mi azzardai ad accendere la luce. Valutai che fosse passato un altro buon minuto prima che mi decidessi a muovermi dai pressi della porta, poiché me ne stavo ferma e stante in piedi addosso allo stipite; andai davanti lo specchio.
Il riflesso della mortificazione e della tensione si presentò ai miei occhi già stanchi. Pensai di essere un po’ pallida nonostante non avessi una pelle molto chiara - mi abbronzavo abbastanza facilmente: mi parve che le mie labbra rosse, un po’ carnose, spiccassero più del solito sul mio viso. Mi lavai velocemente la faccia ma non bastò a svegliarmi, né tantomeno servì qualche schiaffetto sulle mie guance piuttosto paffute.
Scambiai un’occhiata veloce con il mio riflesso; quasi subito distolsi lo sguardo dalle familiari iridi verde scuro circondate da un anello grigio, colore che talvolta prendeva interamente il sopravvento su di esse. Le mie ciglia nere, non molto lunghe, ombreggiavano appena quegli occhi grandi, così pensierosi ed espressivi, anche troppo per i miei gusti. Erano talmente sinceri, lo specchio di quello che avevo dentro e che intimamente passavo, che per me fingere era qualcosa di quasi impossibile. Ero una pessima attrice, ma forse avrei dovuto imparare ad esserlo - la guerra me lo avrebbe probabilmente richiesto.
In quei lunghi minuti di solitudine con me stessa e con il mio riflesso nello specchio capii quanto fosse stato difficile, in quei giorni, trovare il tempo per pensare. Le numerose emozioni si erano confuse tra di loro, susseguendosi senza sosta, e badare ad Altair mentre dovevo fare attenzione alle nuove conoscenze acquisite - sia in materia “scolastica” che in quella delle relazioni con gli altri ragazzi - mi avevano totalmente impedito di capire veramente dove fossi finita, perché, come.
Ebbi la sgradevole sensazione che spiegarmi il tutto con l’abbassamento delle barriere da parte del Nemico misterioso, che ora anche io ero chiamata a combattere, l’attacco degli Snover arrabbiati e tutto il resto - avvenuto con la compagnia di Bianca e di Gold - non fossero abbastanza. Come se quello non fosse sufficiente a spiegarmi il modo e il motivo per i quali io avessi acconsentito ad entrare in quel nuovo mondo, a cambiare la mia realtà. Ora che ci pensavo, che rivedevo tutte quelle immagini di ricordi sfilare nella mia mente, capii quanto fosse ancora assurdo e surreale, per me, essere in una simile situazione. Ci credevo e non ci credevo al contempo.
Sbuffai con un sorriso amareggiato e mi rivolsi nuovamente al mio riflesso, riavviandomi i capelli dopo averli spazzolati. La mia mossa chioma piuttosto folta di un castano chiaro tendente al biondo, che a volte si esibiva in un’involuta piega leggermente ricciuta, completava il quadro di una ragazza assolutamente ordinaria che cercava di non dare a vedere quanto fosse preoccupata, intimorita da ciò che le stava succedendo. Quella ragazza di nome Eleonora, che forse di unico e speciale aveva solo la voce, rideva sconsolata dentro di sé al pensiero che una come lei dovesse mettersi a combattere. E in quel momento sorridevo con falsità, con quell’espressione in pena e un po’ malinconica, che non voleva permettersi di essere triste, pensando che quell’anonima ragazza di nome Eleonora fossi io e che tutto quello stesse capitando proprio a me.
A me, che non ero versata nel combattimento così come non lo ero per la maggior parte degli sport; che non apparivo di certo per la mia bellezza, perché oggettivamente bella non ero - ero anche in quello una ragazzina assolutamente normale, di quelle che alcuni considerano bruttina e altri a dir poco carina, ma che resta indifferente alla maggior parte delle persone; che non avevo un fisico né esile, al contrario di Chiara, né agile; che ero timida e impacciata, difficilmente inseribile per questo in un contesto come quello della guerra; che non avevo voglia di mettermi a lottare contro nessuno, già preoccupata che i combattimenti tra Pokémon ferissero i miei due compagni di squadra; che ero così mite, tranquilla e bonacciona, affatto brava con le parole e quasi incapace di ribattere a qualcosa che poteva avermi messa in difficoltà, che le prese in giro nei miei confronti da parte di coloro a cui non andavo a genio si sprecavano.
Mi chiesi se la passione per il canto, per la lettura e la bravura generale a scuola - almeno questo me lo concedevo, ero sempre andata bene in più o meno tutte le materie scolastiche - mi sarebbero servite a qualcosa in una situazione come quella. Continuando a sorridere in quella triste maniera capii che difficilmente avrei avuto vita facile negli anni a venire, tanto che pensai: “Chissà se è ancora possibile ritirarsi e chiedere la rimozione dei ricordi. Sarebbe una crudeltà nei confronti di Altair e anche Aramis, lei soprattutto mi sembra già così affezionata, nonostante io sia ancora un po’ diffidente e distante con i Pokémon… Chiara forse, vedendomi in un simile stato, mi seguirebbe.”
Scossi la testa, chiedendomi se la mia fosse codardia o un placido istinto di sopravvivenza che mi indicava cosa sarebbe stato meglio che facessi per la salvaguardia della mia persona. Smettendo di guardare il mio riflesso nello specchio, che mi apparve più odioso che mai a causa della sua inettitudine ed inutilità nell’ambiente della guerra, spensi la luce e uscii dal bagno, trascorrendo quei pochi minuti che mancavano al suono della sveglia distesa sul letto a fissare il buio soffitto. Con un lieve sospiro accolsi l’annuncio che la giornata era ufficialmente cominciata.
Lasciai che la sveglia trillasse per qualche secondo e poi la spensi con un gesto più stizzito del voluto. Puntualmente Altair uscì dalla sua Ball, cinguettando come da copione, mentre Chiara non mi dava segni di vita. Dopo essermi distratta per un momento, il tempo di stupirmi per avere un Pokémon tanto mattiniero e anche abbastanza iperattivo, andai a disturbare la mia compagna per farla alzare.
Non recitò abbastanza bene la parte della ragazzina assonnata e capii subito, quando banalmente mi chiese di farla dormire altri cinque minuti, che già da un po’ doveva essere sveglia.
«Da quanto non dormivi più?» le chiesi.
«Eh? Mi hai svegliata tu ora» borbottò.
«Che bugiarda sei!» sbuffai sorridendo, seduta accanto a lei sul letto. «S’è capito benissimo che sei sveglia da un pezzo.»
Seguì un attimo di silenzio; poi Chiara si scoprì la faccia, mezza coperta dal leggero lenzuolo, e mi domandò: «Che sei andata a fare in bagno? Erano le sei e mezza o ho visto male?»
«Hai visto bene. Ma eri sveglia da parecchio allora!» Storse la bocca senza rispondere nulla. Sorrisi un po’ intenerita e insistetti: «Fai tanto la ragazza pronta a tutto, imperturbabile ed ironica… ma in momenti come questi si vede proprio che anche tu sei preoccupata!»
«E in momenti come questi si vede che il tuo cervello non si è svegliato insieme al resto del corpo!» sbottò. «Chi mai sarebbe rilassato in una situazione del genere? Non solo è una specie di primo giorno di scuola, ma sono anche le prime lezioni con i Pokémon. A volte mi chiedo ancora se non mi sia davvero presa dei funghi allucinogeni, come hai immaginato tu quando ti ho chiamata per la faccenda del quartiere nord!»
«Be’, non sei affatto in una situazione diversa dalla mia» dissi dopo poco. Avere la conferma, non tanto la prova - sotto sotto già lo sapevo, che anche Chiara era intimorita da tutto ciò mi faceva stare un po’ meglio, mi sentivo meno a disagio e fuori posto. «Mal comune mezzo gaudio, no?» proseguii pensierosa.
«Eh?» fece lei alzandosi dal letto.
Mi spostai scuotendo la testa, senza ridacchiare per il suo tono. «Lascia perdere, per te le sette di mattina sono troppo presto per ricevere pillole di vita…»
«Ma va’ a… a…»
Cercò una frase ad effetto. Peccato che non la trovò e io potei finalmente ridacchiare dandole un buffetto su una guancia. «Vai, mentre ci pensi io finisco al bagno, ma ti ripeto che per te è presto.»
Chiara si risparmiò il disturbo di lanciarmi il cuscino o un oggetto più contundente, cosa che ero abbastanza sicura avrebbe fatto di norma. Ero comunque sempre più convinta della validità di quel proverbio: avere qualcun altro con cui condividere il peso di quella grave avventura mi rendeva più leggera, mi faceva stare meno a disagio con me stessa, perché Chiara era, essenzialmente, come me.
Una ragazza normale che passava inosservata ma che era in grado di imporsi e farsi rispettare grazie al suo caratterino e al fatto che, dopo un primo approccio, si rivelasse molto più spigliata di me, che a lungo non riuscivo a superare la mia innata timidezza - anche se lei insisteva con il dire che certe volte si stupiva di quanto io potessi essere sveglia e pronta, ricordandosi di quando ero bambina: anche se non ci conoscevamo ancora bene prima delle scuole medie, ero mezza iperattiva. A quanto pareva non me ne ero stata un attimo ferma, da piccola. Poi crescendo avevo preso coscienza dei miei problemi e delle mie insicurezze e tutto si era fatto più difficile.
Chiara, come me, non era una ragazza oggettivamente bella ma io la consideravo come minimo carina: aveva quei grandi occhi neri che spiccavano sulla pelle candida, così come i capelli - dello stesso colore delle iridi, che parevano essersi fuse con le pupille - che curava moltissimo e su cui, nel tempo, aveva sperimentato le più svariate pettinature. La linea dura e un po’ spigolosa del naso veniva messa in risalto quando la sua espressione si crucciava. Era molto molto magra e si lamentava del fatto che fosse rimasta piatta nonostante avesse già tredici anni, facendo teatralmente l’invidiosa nei miei confronti. Alché ribattevo che i parecchi chili che ci separavano non erano tutte curve desiderabili.
Buona parte delle nostre coetanee avevano già avuto come minimo un fidanzato e una relazione che per la nostra età era piuttosto seria: a tredici o quattordici anni qualche mese di intensa frequentazione non era un traguardo scontato. Noi due invece ancora non avevamo avuto nessun fidanzato che fosse possibile definire come tale, un po’ per disinteresse e un po’ perché non riuscivamo mai a trovare qualcuno che ci piacesse e che ricambiasse - e viceversa non ci aggradavano granché i ragazzi che si erano fatti avanti. Eravamo un po’ sfortunate da questo punto di vista ma dopotutto a me non importava molto. Non mi piacevano i mezzi adottati da molte ragazzine per mettersi in mostra e Chiara mi dava la spinta iniziale per parlare male di chi era disposta a tutto pur di avere un fidanzato dopo l’altro. Eravamo due promettenti comari, pettegole fino al midollo.
Mi preparai più velocemente di quanto non fosse stato necessario, preoccupata com’ero. Guardandomi una volta ancora allo specchio, con meno intensità e profondità rispetto a prima, decisi che per una prima impressione sarei stata per lo meno accettabile. Non dovetti attendere a lungo perché Chiara si preparasse e, dopo aver preso i nostri strumenti e le varie Balls, uscimmo per andare nella mensa e farci un’idea di come sarebbe andata la nostra prima giornata.
Il gruppo di “studenti” a cui eravamo state assegnate era un livello più in basso di quello a cui appartenevano Angelica, Melisse e Sara - e probabilmente anche Daniel; ma non eravamo proprio tra i principianti, anche a causa della nostra età. C’erano dei ragazzini di undici o dodici anni a dir poco svegli e bravi con i Pokémon, ma la maggior parte erano novellini quanto noi. Mi sentii un po’ in colpa ma allo stesso tempo fui sollevata di non essere stata inclusa nel loro livello. Io e Chiara avremmo dovuto quasi subito circondarci di Pokémon e allenarli bene e velocemente per raggiungere il prima possibile i nostri coetanei a livelli avanzati; invece i ragazzini più piccoli di noi badavano a pochi Pokémon per volta.
Mi chiesi come sarebbe stato dovermi occupare di almeno altri quattro compagni di squadra: il piccolo Aramis aveva subito dato prova di essere pacato, tranquillo e mite. Invece Altair aveva avuto una settimana intera per prendere confidenza con la sua Allenatrice - ancora stentavo a definirmi tale - e si era dimostrata per la molesta iperattiva quale era. Chiara era stata abbastanza fortunata da ricevere due Pokémon calmissimi.
La colazione fu veloce e mi preoccupai soltanto di chiedere ulteriori rassicurazioni ed informazioni ai nostri amici, che ben presto dovettero ricorrere ad energiche e scombussolanti scrollate di spalle per farmi zittire e calmarmi. Melisse in particolare fu parecchio decisa, gestualmente parlando, ma probabilmente le cose che mi aiutarono di più furono i sorrisi, i toni di voce rassicuranti di Ilenia e Lorenzo e la limpida calma di Sara, che parlò piano e gentilmente come suo solito ed ebbe su di me l’effetto di una camomilla.
Ci consigliarono di rivolgerci al primo “professore” in cui ci saremmo imbattute per capire un po’ meglio dove dirigerci per le prime lezioni, quale stanza o aula e di cosa avessimo bisogno. Il fatto che Aristide e la sua compagnia non avessero minimamente badato a darci qualcuna di queste indicazioni era molto significativo: evidentemente non era poi tanto importante per loro vedere la partecipazione alle lezioni, ma solo i risultati. L’idea mi piaceva assai ma, conoscendomi, avrei dovuto combattere con la mia innata pigrizia per non saltare i tre quarti dei giorni di scuola. Chiara, che aveva un rapporto conflittuale con lo studio, sarebbe stata un ostacolo nella mia battaglia contro la svogliatezza.
Così, seguendo le direttive di una donna - fortunatamente molto disponibile e gentile - che era stata Campionessa di Sinnoh, Camilla, trovammo l’aula in cui erano presenti tutti i ragazzi del nostro gruppo. Gold non c’era e arrivare in ritardo di un paio di minuti, che lì parve essere un peccato mortale, non aiutò ad intrecciare subito qualche relazione con quelle specie di compagni di classe. L’aula era stata allestita per ricordare perfettamente una scolastica, con banchi a due posti, cattedra e una lavagna elettronica. Il professore presente, “il buon vecchio e rimbambito” Rowan come lo chiamava Ilenia, stava facendo l’appello mentre io aprivo la porta con al seguito Chiara, dopo aver finalmente rintracciato qualcuno per chiedere un aiuto. Aggiunse i nostri nomi in mezzo a quelli già detti e ci indicò un paio di posti liberi, fortunatamente allo stesso banco.
Ad essere sincera non ricordo molto bene le prime lezioni, se non i primi insegnamenti che mi furono impartiti come Allenatrice e che per questo motivo rimasero impressi nella mia mente. Non ho più idea di come Rowan iniziò la sua lezione, né di cosa essa trattò; nemmeno a chi lasciò il posto per la successiva e la materia di essa. Però riuscii a rilassarmi: l’ambiente scolastico, che di regola mi avrebbe resa tesa e in ansia, mi parve familiare e mi tranquillizzò. Pian piano trovai un equilibrio pur perdendo la normalità del mondo senza Pokémon.
Gli orari delle lezioni erano molto liberi e le materie non erano ben definite. Probabilmente le uniche da me accertate erano la lotta Pokémon e la conoscenza con la propria squadra.
Subito i “professori”, Sandra per prima, notarono la mia diffidenza nei confronti di Altair e Aramis. Non che non mi piacesse stare con loro o averli come alleati; ma se in un momento temevo per la loro salute durante la lotta, in un altro avevo il timore che a me potesse succedere qualcosa. Il ricordo degli Snover che ci avevano attaccate era ancora vivido e mi rendeva insicura sulla lealtà dei miei compagni di squadra e sull’”educazione”, se così era possibile definirla, dei Pokémon altrui. Chiara aveva dimostrato di essere in una situazione non migliore della mia e sempre più spesso dava prova di non essere la ragazzina sicura di sé e spavalda, ma una intimorita quanto me e non certa sulla natura degli esseri con cui ora convivevamo.
Ero combattuta e i miei comportamenti erano alquanto incoerenti. Mi preoccupavo prima per me stessa e poi per loro; un momento mi credevo attratta e incuriosita dai Pokémon e in quello successivo non volevo che Altair mi importunasse, ma che se ne stesse buona e obbediente chiusa nella sua Ball. A volte, grazie ad un ignoto intuito, immaginavo ciò di cui potessero avere bisogno e cosa servisse loro - magari dopo una lotta andata male quando poteva servire qualche consolazione. E in quelle occasioni la compagnia di Altair e Aramis mi riusciva addirittura familiare, come se li conoscessi da sempre e avessi già un certo feeling con loro. Eppure bastava un attimo per farmi fare passi indietro e considerarli esseri totalmente sconosciuti, le cui azioni erano imprevedibili - nonostante poco prima avessi, magari, previsto quello che era loro servito.
Non negai a me stessa di essermi parecchio preoccupata quando Sandra, che pareva aver preso a cuore la mia situazione e non si voleva limitare a riprendermi e a incitarmi come gli altri professori, mi richiamò da parte durante una lezione presidiata da lei. In un certo senso la trovai, in seguito, simile a Chiara: entrambe facevano le dure davanti a tutti, ma poi rivelavano un lato di sé stesse più naturale e comprensibile a tutti, più umano. La mia amica si faceva insicura, la Capopalestra invece si avvicinava comprensiva e cercava di aiutare - in quel caso ero io la persona presa da lei in esame.
Ciò comunque non le impedì di esordire con un secco: «Qual è il tuo problema?»
Esitai un momento, poi aprii bocca ma la richiusi quasi subito. Ero ammutolita, non avendo idea di quale risposta si potesse dare ad una simile domanda. Come era ormai prevedibile, arrossii appena. «Ehm… in che senso?» balbettai.
«Con i Pokémon. Sei molto fredda e non ne capisco il motivo, soprattutto perché appena i tuoi incassano un colpo più dannoso ti spaventi e ti preoccupi per loro.»
Di nuovo trascorse un lungo paio di secondi prima di una mia reazione. Con qualche difficoltà, preoccupata per una possibile strigliata da parte della severa Capopalestra, spiegai di come fossi ancora intimorita, memore dello scontro con gli Snover. Timidamente dissi che non ero certa che la natura dei Pokémon fosse totalmente pacifica e leale nei confronti dell’uomo, che anzi fosse pure abbastanza facile deviarla, pensando a come il Nemico lo avesse fatto al Lago Arguzia.
Sandra aveva la risposta pronta a tutto e, energicamente, prima mi diede dell’ingenua e poi aggiunse, più calma, se non dolce: «Non posso importi, ovviamente, un amore incondizionato e una totale fiducia nei confronti dei tuoi Pokémon e di quelli altrui. Potrei farlo se non fossimo in tempi di guerra, e mi perdonerai se ti spavento così, ma non posso garantirti che, durante un possibile attacco di Pokémon nemici, non potresti andarci di mezzo anche tu. Tu come umana, non la tua squadra.»
Guardavo la Capopalestra con occhi leggermente spalancati, sia per lo stupore causato dal suo tono che per il bel colpo ricevuto dalle sue forti parole. Parlare di guerra in simili termini non lo avevo sentito mai, non si faceva, almeno non tra noi ragazzi. Quelli delle Forze del Bene erano stati molto bravi a creare un ambiente in cui il conflitto tra i nostri e il nemico apparisse come distante anni luce. Invece niente ci assicurava di essere veramente al sicuro, se non la speranza che l’Accademia fosse solidamente difesa.
«Spero solo che l’amicizia e la fiducia si possano imparare» mormorai, «e che il giorno in cui anche io dovrò combattere, o sarò in pericolo, sia abbastanza lontano da consentirmi di farlo in tempo.»
Non guardai Sandra ma intuii che il mio tono pensieroso e un po’ mesto l’avesse colta di sorpresa, essendosi di sicuro già abituata alla ragazzina timida e incerta su tutto. Il silenzio che seguì mi costrinse a chiedermi se invece non stesse ancora aspettando una risposta perché quelle parole le avevo tenute per me.
Disse, facendomi capire che le avevo pronunciate davvero: «La situazione in cui siete è più difficile di quanto vi venga fatto credere. In genere questo lo si capisce da soli dopo qualche mese trascorso qui, a forza di parlare di basi nemiche distrutte o delle nostre scovate. Ma credo sia giusto che tu e chi come te, piombato all’improvviso in una realtà a parte, capiate fin da subito in che casino siete finiti.»
Fui tentata di rispondere “più o meno l’ho già capito”, ma mi trattenni e annuii semplicemente. Esclamai per la sorpresa quando Sandra mi diede un paio di energiche pacche sulla spalla e mi trovò un “compagno di classe” con cui lottare. Impegnandomi al massimo e cercando un dialogo con i miei Pokémon, riuscii a vincere la maggior parte delle battaglie successive, facendo immediatamente progressi. Il mio cambiamento, che avvenne prima del previsto, contagiò anche Chiara; nella prima settimana, Piplup si era già evoluto in Prinplup.
Così quella strana sensazione di familiarità con i Pokémon tornò, stavolta per restare. Ci volle più di qualche giorno, ovviamente, ma dopo il primo mese di “scuola” ero già sicura di essere in sintonia con quelle creature. Gli Snover aggressivi divennero presto un ricordo lontano e l’affettuosità di Altair, in particolare, mi aiutò moltissimo. Forse non ero tra i migliori della classe, per lo meno non ancora, però la stessa Sandra riconobbe che ci mettevo molta più decisione e partecipazione, se non passione, nelle lotte. Iniziai a prenderci gusto, talmente tanto che ben presto saltai lezioni prettamente teoriche pur di allenare i miei Pokémon, imparare altro su di loro e conoscerli meglio. Chiara mi disse che le sembravo totalmente trasformata.
Furono quelli i primi avvertimenti su quello che avrei voluto fare per il resto della mia carriera nel mondo dei Pokémon, ovvero le lotte. Per quanto fossi ancora ad un livello abbastanza basso, a volte mi sentivo talmente piena di adrenalina da figurarmi come una Campionessa.
Presto mi fu ben chiaro il futuro che avrei voluto avere come membro delle Forze del Bene, anche se quando mi venne posta questa domanda per la prima volta non seppi bene cosa dire. Di ruoli da poter assumere ce n’erano in quantità, eppure le lotte avevano qualcosa in più che me le faceva preferire ad altre risposte: spia, esploratrice, ricercatrice… niente di quello mi interessava più di tanto. E il fatto che mi piacesse così tanto lottare, anche se ad un livello ancora basso, era manifestazione palese delle mie attitudini.
La prima settimana passò più velocemente di quanto avessi immaginato: il tempo per pensare a me, a ciò che mi stava succedendo e alla guerra in corso riprese a mancare. Chiusa nella campana di vetro che era l’Accademia insieme a tutti quei ragazzi, più o meno maturi, mi sentii in un mondo a parte, in una dimensione separata sia dal mondo normale che dalla realtà della guerra. Era una situazione di equilibrio precario, che prima o poi si sarebbe spezzato o sarebbe stato spezzato per qualche motivo, eppure mi ci abituai presto.
Anche il finesettimana si lavorava, seppur meno del normale, e i giorni si resero tutti uguali per questo motivo; però quando trovai un momento di tempo per confrontarmi con Chiara ne approfittai subito. Com’era prevedibile, i Pokémon erano divenuti il centro delle nostre conversazioni: la maggior parte di esse verteva su di loro. Ma dimenticarcene per un istante e parlare da amiche, non come Allenatrici, non era ancora diventato impossibile per noi due. Infatti la chiacchierata partì dall’argomento Pokémon, in particolare dai progressi dei nostri. Lei per prima cambiò discorso e fece un breve commento che, sulle prime, mi prese molto alla sprovvista.
«Da una settimana all’altra mi sembri molto cambiata, Eleonora.»
Inarcai le sopracciglia. Era una sera del weekend e stavamo sedute sui rispettivi letti. Chiara sorrideva appena mentre disse quella cosa. Le chiesi: «In che senso?»
«Il tuo atteggiamento, dico. O forse il carattere, ma credo entrambi. Ti vedo molto più a tuo agio e spigliata, come se questa realtà fosse quella che cercavi da tanto tempo… come se fossi finita in un sogno che hai sempre desiderato raggiungere. Anche io credo di aver cambiato il mio approccio a questa situazione… prima cercavo di nascondere la paura, adesso invece non ne provo più. Mi sento pure io, come te, credo, meno a disagio e fuori posto… sono più contenta, non spaventata, anche se un po’ di nostalgia c’è sempre.»
Seguì una pausa. Guardavo insistentemente Chiara, non riconoscendo in quelle parole l’amica a cui ero sempre stata abituata, mentre lei aveva gli occhi fissi altrove. Dissi: «Ehm… anche tu sei cambiata, sì. Non ti avrei mai creduta capace di simili considerazioni… cara ragazza superficiale.»
Lei ridacchiò e quella semplice reazione mi spinse a chiedermi perché non mi avesse fatto, come minimo, una linguaccia. «Soprattutto quando lotti, sembri molto diversa» continuò a bassa voce. «I primi giorni avevi paura che i tuoi Pokémon si facessero male o che ne facessero a te per qualche motivo… adesso ti fai rispettare sia da loro che dagli altri ragazzi con cui parli. L’ho detto, sei più spigliata, probabilmente grazie ai Pokémon. Non ti fai più problemi a parlare, di punto in bianco la ragazzina timida sembra sparita e non sembri avere remore su niente, cosa che invece prima ti caratterizzava. Eri molto incerta su tutto.»
Di nuovo fui costretta ad aspettare qualche secondo prima di riuscire a replicare qualcosa. «Non mi stupisco di essere cambiata tanto velocemente. Penso sia normale in una situazione come questa.»
Non seppi dire a me stessa se quella fosse una bugia o la verità, ma Chiara annuì. «Insomma, metti molta più decisione in ogni cosa che dici e che fai… anche se ultimamente ti trovo un po’ pungente, quando cerchi di fare un commento ironico o una battuta. Restituiscimi Eleonora, tu, sconosciuta!» esclamò all’improvviso, sorridendo con una sincera aria di sfida e puntandomi il dito contro.
Ridendo, ribattei: «E tu riportami la mia Chiara, ragazzina che… che fa considerazioni strane!»
«Ma che…! Andiamo, mica sono così superficiale!»
«Ehm…» Sorrisi con aria innocente. «Comunque, non pensavo di risultare sgradevole. Pungente, insomma… non lo avrei mai pensato. Forse è vero che… che mi sto facendo assorbire talmente tanto da questa storia da non accorgermi di star cambiando così tanto, ecco. Credo di essermi già abituata ad essere più spigliata e a farmi meno problemi su ogni cosa. Spero solo sia un bene.»
«Ah, be’… la storia di cui parli è ancora lunga. Hai tutto il tempo che vuoi per esaminarti e decidere cosa vuoi cambiare di te e quali novità di te stessa farti piacere.»
Annuii. L’atmosfera si rilassò sensibilmente quando mi stiracchiai borbottando qualcosa di imprecisato, quindi mi distesi sul letto continuando a guardare la mia amica. «Va be’, siamo cambiate entrambe in reazione a questa nuova realtà… non credo sia un problema. E poi le cose stanno andando meglio del previsto.»
«Sì, è vero. Non siamo nemmeno indietro rispetto agli altri del nostro gruppo e Piplup si è già evoluto… mia cara, la classe non è acqua, come ben vedi!»
«Peccato che Prinplup sia un Pokémon di tipo Acqua…!»
«E con questo cosa vorresti dire, eh?!»
Continuando a punzecchiarci, da brave compagne di stanza, la serata corse velocemente - tanto per cambiare. In me, stando a quanto aveva notato Chiara, era nato un carattere competitivo e svelto; o forse era soltanto un lato di me che ci aveva messo del tempo a risvegliarsi, e che la spinta per uscire fuori l’aveva ricevuta proprio con le lotte Pokémon. Non avendo mai fatto sport a livello agonistico, né altre attività che mi mettessero in un rapporto di sana rivalità con qualcun altro, non ero mai riuscita a sostenere psicologicamente - nonché fisicamente, viste le mie scarse capacità - gare e cose di quel genere.
Ma ora che avevo dei Pokémon da vantare, che mi avevano contagiata con il loro carattere, volendo per primi mettersi in gioco e farsi valere, in me si era accesa la scintilla del desiderio della vittoria, di primeggiare sugli altri. Era ancora presto per me, essendo ad un livello di allenamento piuttosto basso, ma ciò non mi impediva di sognare l’unico modo che mi avrebbe fatta stare ancora più a mio agio con me stessa in quella nuova realtà.
Forse quella ragazzina di nome Eleonora non sarebbe stata poi tanto sprovveduta e priva di qualità, in una guerra che richiedeva tutt’altro rispetto a ciò che avevo sempre fatto e amato fare. La mia trasformazione doveva essere già iniziata; pensai che, tutto sommato, in una condizione tanto disperata non ero. Sorrisi, credendo di non essere più tanto inutile in quel contesto e di potermi benissimo adattare.










Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Hola a todos. E qui i miei ricordi di tre anni di spagnolo iniziano a sfumare... passiamo oltre. In effetti sono sfumati pure i ricordi di parecchie cose fatte durante questo ultimo anno scolastico, come la coniugazione mista e tutte alcune faccende riguardati le congiunzioni e le subordinate relative... macché in italiano, ma magari. Chi ha scelto il liceo classico come me capirà. (Un giorno la cara Ilenia, la stessa della storia, mi ha detto poco prima che riprendesse la scuola che il greco si dimentica. Ile cara, magari fosse solo il greco. Magari.)
Idiozie a parte - non so perché ancora non sia scoppiata in lacrime nell'angolo ottuso al pensiero che domani riprenderà la routine scolastica - non mi piace molto il titolo del capitolo, devo dire. Da una parte sì, perché esprime una figura che mi piace; però non mi suona bene e se mi venisse un'altra idea lo cambierei volentieri. Purtroppo io e i titoli abbiamo un rapporto di amore ed odio... in ogni caso avevo proposte molto meno allettanti ma sempre inerenti allo stesso argomento.
Ho scelto "Librarsi" perché finalmente le protagoniste decollano. Nel senso che dopo tutti i problemi iniziali sono riuscite ad inserirsi e ad integrarsi in questa nuova realtà. Il titolo del capitolo non mi piace ma come esso sia riuscito sì: con questa ristesura ho avuto modo di approfondire il lato introspettivo, oltre a dare molto più realismo e spessore ad ogni cosa, persona e Pokémon (?). Così, se nella prima versione le due a malapena si accorgevano di cambiare totalmente vita, adesso si fanno pure qualche problema a riguardo. E' molto nel mio stile, chi non è nuovo alle mie storie ne è consapevole, tartassare di interrogativi ed emozioni forti i miei personaggi, siano essi rilevanti o meno. Ho iniziato da quest'inverno a dare molto filo da torcere a queste care personcine e non mi stupirei se, arrivati verso la fine della seconda parte, i lettori nuovi immagineranno la più sfrenata misantropia nell'animo della metà dei personaggi...
Spero che il capitolo sia piaciuto a voi quanto a me. Non è molto lungo ma penso sia abbastanza lento, vista la ridotta quantità di dialoghi. E' molto statico, descrittivo e introspettivo, e non tutti - molti pochi - potrebbero gradire; ma ripeto, è questo il mio modo di scrivere... non posso farne a meno, anche se la rilettura scoccia assai (?) anche la sottoscritta...
Mi spiace aver scritto così tanto nell'angolo ottuso, probabilmente sto evitando un tracollo nervoso straparlando di tutto ciò che può distogliermi dal pensiero che OH MIO DIO DOMANI LA SVEGLIA E' ALLE SETTE E NON ALLE NOVE COME MINIMO OH CIELO SE NON VADO A DORMIRE ALLE NOVE NON RIESCO AD ALZARMI AAAAAAAAAAAH e cose simili.
Ci vediamo settimana prossima! (sperando di non morire prima)
Ink
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Ink Voice