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Autore: TimeKeeper    17/09/2015    0 recensioni
[La Leggenda degli Uomini Straordinari]
Era un pomeriggio più caldo della gelida, media estiva inglese. Il sole era sorto ormai da qualche ora, e restava ad osservarci sfacciato, mentre scendevamo dal calesse che ci aveva accompagnato fino alla casa indicata dal Signor M. Era una magnifica palazzina bianca in Fenchurch Street, che spiccava violentemente tra gli alti e degradati edifici dell’East End, avvolta da un’aura di silenzio e mistero.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Refrain
 
Paradiso.
Non è una bellissima parola?
Fantastica, pensavo quella notte
Mentre, distesa tra le braccia del mio amore,
Respiravo silenziosa.
Mi fa stare bene ripeterla…
Paradiso.
Paradiso.

 
Un tiepido vento pettinava le chiome verdi degli enormi alberi che crescevano rigogliosi nel giardino della dimora estiva di Lord John Ghrosnow; il sole era appena sorto, e stazionava immobile poco sopra l’orizzonte, osservando uomini e donne, elegantemente vestiti, che passeggiavano nel parco. Io e Dorian avevamo cavalcato fino al recinto che era stato allestito a poligono di tiro, poco lontano dal confine delle terre del nostro ospite, e avevamo affidato i nostri cavalli ad un ragazzetto vestito di stracci che li aveva subito legati e rinfrescati.
“Allora, vediamo se hai imparato” disse lui, sfilandosi il fucile a canna corta che teneva a tracolla e porgendomelo.
Gli sorrisi, voltandogli poi le spalle per posizionarmi correttamente nella direzione del bersaglio: “Calcio contro la spalla destra” sussurrai eseguendo i miei stessi ordini “mano sinistra sotto la canna per sostenere il peso, mano destra sul grilletto, testa che segue la linea del mirino”
“E gli occhi?” mi chiese lui, sostando a meno di un metro da me. Riuscivo a sentire il calore del suo corpo a poca distanza dal mio, e il vento mi portava il suo profumo d’acqua di colonia.
“Tutti e due aperti” risposi cercando di concentrarmi sul tiro.
“Bravissima… ora colpisci il bersaglio”
Cancellai ogni distrazione convogliando ogni mio pensiero sulla pallottola che stava per partire al mio comando; il vento non rappresentava un problema e la distanza del bersaglio era minima. Rilassai i muscoli della schiena per poter entrare in sintonia con il colpo, irrigidii il bicipite sinistro con cui reggevo il fucile e fissai il fantoccio che era stato allestito a bersaglio. Ero pronta. Respirai profondamente, stringendo lentamente l’indice sul grilletto, ma proprio in quel momento lui mi abbracciò, aderendo con tutto il suo corpo alla mia schiena e soffiando lievemente nel mio orecchio.
Il proiettile partì fischiando e sparì nel vuoto, qualche metro a destra del bersaglio stabilito. Abbassai adirata il fucile e tentai di voltarmi: “Sei terribile, è colpa tua se ho sbagliato!”
Lui rise sommessamente, senza accennare a liberarmi dalla sua stretta: “Allora dovrò farmi perdonare”.
Il mio orgoglio ferito si rimarginò immediatamente alla vista del suo sorriso; mi liberai con uno strattone e puntai il fucile scarico contro il suo petto; il vento sbarazzino gli sollevò i capelli neri e li fece ricadere sul panciotto ocra: “Signor Dorian Gray, lei verrà giustiziato per quanto ha fatto”
Lui afferrò la canna del fucile e la sollevò tirandola a sé. Mi ritrovai tra le sue braccia, sotto gli sguardi scandalizzati di qualche dama seduta su poltrone di vimini. Mi persi nei suoi occhi mentre eravamo vicini, sempre più vicini: “Lieto di morire per mano tua” mi sussurrò sulla bocca, prima di chiuderla in un lungo bacio.
Scivolò poi lentamente verso il collo; passò le labbra sulla pelle chiara e poi, con una mossa decisa e violenta, mi morse, penetrando con i denti affilati nella carne. Sentivo il suo odore di colonia dissolversi per far posto a quello del sangue che stava sgorgando a fiotti dalla ferita sul mio collo. Tentai di liberarmi dalla sua stretta serrata, ma non c’era niente da fare; in un attimo di lucidità improvvisa aprii gli occhi sul mio assassino: non c’era più Dorian chino su di me, ma una donna dai lunghi capelli castani con dei bellissimi riflessi ramati. Si staccò dal mio collo quando ebbe bevuto abbastanza e mi guardò negli occhi. Le sue irridi erano azzurre, ma circondate da vene pulsanti di sangue rosso; alcune gocce le cadevano dal mento sporco e dalle labbra. “Lui non ti ha mai amato” mi disse, lasciando cadere a terra il mio corpo pressoché senza vita “Non l’ha mai fatto..”
 
Mi svegliai di colpo, senza muovermi, semplicemente aprendo gli occhi.
Sopra di me c’erano le sete turchine di un baldacchino, dove la tiepida luce serale si rifletteva creando fantastici giochi. Il sogno che avevo fatto svanì troppo velocemente, portando dentro di me una sensazione d’impotenza infinita, e pochi secondi dopo il mio brusco risveglio non ne ricordavo che piccole brecce sfocate ed imprecise. Io e Dorian nella tenuta di Lord Ghrosnow, il bersaglio mancato, il suo bacio improvviso che si era trasformato nel morso famelico di una donna, una donna vampiro. Portai istintivamente una mano al punto in cui quella donna dagli occhi azzurri mi aveva morso, ma non vi trovai traccia di ferite, eppure…
Eppure conoscevo quel viso, mi era stranamente familiare; e quel dolore intenso mi era sembrato di provarlo davvero, di averlo già testato sulla mia stessa pelle. Quegli occhi azzurri, i canini rossi di sangue, la bocca spalancata in un urlo muto. Sì, sapevo perfettamente di chi si trattava: Mina Harker.
Lentamente ricostruii nella mia mente ciò che era successo: il viaggio fino in Mongolia, la scoperta del cadavere di Dorian, l’acquisizione dei miei poteri, quella corsa inesorabile contro il tempo per poterlo salvare e lei; la sua ingrata e crudele vendetta contro chi l’aveva risparmiata da una fine orribile. Sì, mi ricordavo tutto perfettamente. Poi il morso letale, Dorian che cercava di tenermi sveglia, il suo viso che scompariva nelle tenebre, i tentativi di Angel di riportarmi tra i vivi. Rumori, ombre, ricordi sfocati. La meschina realtà si fece spazio avidamente nella mia testa ancora intorpidita dal sonno, portando una sensazione ancora più inquietante di quella muta debolezza: dove mi trovavo?
Mi alzai a sedere sul morbido materasso, abbandonando il dolce abbraccio che i guanciali di piuma esercitavano sulla mia testa e sulle spalle, e osservai attentamente la stanza intorno a me. Una bellissima poltrona di legno ed elaborate stoffe, sostava proprio accanto al letto, sulla destra, in muta attesa di un ospite invisibile. Poco più in là, davanti ad una piccola libreria, uno scrittoio di legno scuro era cosparso di spartiti e penne d’oca, e qualche boccetta d’inchiostro vuota rimaneva in bilico sul limitare del baratro. La finestra che si apriva sulla città nella parete dietro di me, rifletteva la sua fioca luce sul grande specchio accanto alla porta ed andava ad illuminare debolmente il tavolino da toeletta. Le pareti ed ogni mobile, tendevano ad un azzurro chiaro che mi ricordava tanto il colore dell’oceano. Una sensazione bellissima mi conquistò e mi avviluppò lentamente: mi sentivo a casa.
Ero a casa.
Scostai con uno strattone le coperte che limitavano quella mia euforia improvvisa, posai i piedi sul pavimento freddo e mi alzai dal letto, in preda ad una felicità delirante. Sentii la testa diventare di colpo pesante e la forza di gravità avere la meglio sulle mie gambe inferme: per un istante vidi tutto nero e dovetti tornare a sedermi, poi lentamente, insinuandosi in quel velo nero come piccole nuvole multicolore, la vista cominciò a ricomparirmi.
Sentii la porta aprirsi lentamente e due piedi incerti fermarsi sulla porta: «Signorina Iris, è sveglia!» urlò entusiasta una voce di donna dallo spiccato accento francese.
Voltai la testa nella direzione della voce e riconobbi Marie. Portava nella mano sinistra un vassoio d’argento con un contenitore pieno d’acqua e ghiaccio e un asciugamano.
«Sia ringraziato il cielo - disse avvicinandosi a me e posando sullo scrittoio il plateau – sono giorni che dorme! Temevamo che non si sarebbe più ripresa… vado subito a chiamare la signorina Angel»
«No! – le ordinai prendendola per una mano – vorrei farle una sorpresa ed andare io da lei» le dissi, troppo felice di essere di nuovo a casa per fare caso al dolore persistente che stazionava nella mia testa ancora debole.
Marie posò una mano sulla mia fronte per controllare la febbre: «Se mi è permesso, non dovrebbe affaticarsi, signorina, si è appena ripresa»
«Non le è permesso - dissi ridendo – Su, Marie! Solo questa volta…»
La governante mi guardò a lungo, portando entrambe le mani sul grembiule bianco che teneva legato in vita: «E va bene… lasci solo che le porti una vestaglia da mettere sopra la camicia da notte. E l’accompagnerò io giù per le scale, d’accordo?»
«D’accordo» dissi, imitando con assoluta precisione un tono da bambina ubbidiente. Ero euforica: tra pochi secondi avrei rivisto la mia Angel. L’orologio a pendolo batté sei rintocchi.
«Forza, si regga al mio braccio - disse Marie, porgendomi gentilmente l’aiuto per alzarmi dal letto – Ecco qua. E ora infili questa» continuò avvicinando alla mia schiena una lunga vestaglia di seta rossa, legata in vita da una sottile cintura dello stesso materiale.
Misi in silenzio l’abito, rifiutando però qualsiasi tipo di calzatura: la sensazione del pavimento gelido sotto i piedi mi faceva sentire, in un certo senso, viva. La fioca luce che filtrava dalla finestra chiusa, giocava a creare fantastici riflessi cremisi sulla stoffa pregiata del mio soprabito; Marie mi avvicinò lo specchio come faceva sempre dopo avermi aiutato a vestirmi.
Mi osservai a lungo riflessa in quel pozzo argenteo: la lunga veste di seta raggiungeva il pavimento e lo accarezzava con un lungo tratto; si apriva appena sulle lunghe gambe, coperte a malapena dalle trasparenze della camicia da notte bianca. La cintura chiusa con un nodo semplice segnava la vita sottile e i fianchi pronunciati. Dalla scollatura uscivano i nastri della camicia e si confondevano con gli orli della veste, il cui colletto si fermava a metà della gola lattea. I miei lunghi capelli biondi erano sciolti e disordinati sulle spalle e sulla schiena. In quell’inusuale visione, però, c’era qualcosa di strano: ricordavo di essere stata ferita da Mina nello scontro, lo ricordavo perfettamente; i suoi denti nella carne del mio collo erano stati terribilmente dolorosi e violenti. Eppure, di quel morso non era rimasto nulla. La mia pelle era bianca e perfettamente rigenerata.
«Vogliamo andare, signorina?» mi chiese gentilmente Marie, porgendomi il braccio destro, come da etichetta.
Lo presi, adagiandoci sopra parte del peso del mio corpo ancora instabile. Non dovevo preoccuparmi: le mie domande avrebbero presto avuto risposta.
Scendemmo con calma i due piani di scale che ci separavano dalla libreria del piano terra e quando arrivammo nell’anticamera pregai Marie di non annunciarmi e di lasciarmi sola con la mia amica; la donna acconsentì, spingendo con delicatezza la grande porta che conduceva nella libreria per prepararmi il passaggio e scomparendo poi verso le cucine. Entrai con passo incerto, in parte per la paura di rovinare la sorpresa, in parte per l’instabilità che ancora possedevo a causa dei lunghi giorni di riposo. Angel non si era accorta della mia presenza; restava in silenzio, seduta su un divanetto in una posa che poco aveva di ligio all’etichetta. Le lunghe gambe erano raggruppate accanto a lei e il busto piegato poggiava tutto il suo peso sul bracciolo del sofà, attutendo il fastidio del legno contro il fianco con qualche grosso cuscino di piuma. Tra le mani che teneva sospese davanti al viso, c’era un libro dalla copertina consunta e rovinata dal tempo, in cui il titolo – Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde – aveva perso ormai gran parte della sua iniziale magnificenza. La lunga veste blu pavone appena stretta sotto il seno, le era scivolata delicatamente lasciando libere le gambe. I capelli corvini dai lucenti riflessi ramati le spiovevano sul viso concentrato nella lettura, incorniciandone il bel volto.
«Ti lascio sola qualche tempo e cominci subito a leggere oscenità…» dissi per annunciare la mia presenza e mi godetti in silenzio la sua reazione.
«Iris!» urlò lei, chiudendo di scatto il libro ed abbandonandolo sul divanetto dov’era seduta. Si alzò e corse verso di me, gettandomi le braccia al collo.
«Come stai? Quando ti sei svegliata?» cominciò a chiedermi, mentre mi stringeva in un tenero abbraccio.
«Piano, piano – la interruppi – mi stai soffocando!»
«Scusa, è che… sono così felice»
Angel mi sciolse dalla sua stretta e mi porse il braccio destro per accompagnarmi alla mia poltrona preferita, proprio quella accanto al divanetto dove lei era seduta. Ci sorridemmo entrambe, euforiche per quel nuovo incontro. Quanto mi era mancata…
«Come ti senti?» mi chiese dopo avermi aiutato a sedere ed essersi accomodata lei stessa.
«Bene, davvero. La testa pesa un po’, ma credo sia solo colpa della mia enorme intelligenza»
«Se il tuo cervello sta aumentando in grandezza, speriamo solo che poi non subisca un feedback negativo»
Una risata fragorosa confermò alla mia amica il mio stato di salute; era bello tornare a scherzare con lei. Avevo, però, delle incognite che avevano bisogno di essere chiarite, solo allora avrei potuto affermare di essere completamente guarita.
«Ho delle domande da farti…» le dissi, dopo che l’euforia si era spenta.
Angel mi guardò un attimo in silenzio, poi si mise comoda sul divanetto, consapevole che sarebbe stato un lungo racconto. Allungò le gambe sui guanciali e posò il mento sulla mano aperta: «Avanti» mi disse, allargando leggermente gli occhi.
«Come faccio ad essere viva? Insomma, mi ricordo di Mina, del morso… - dissi portando inconsapevolmente una mano al collo - Credevo che una volta che un vampiro ti ha succhiato il sangue sei morto. Non c’è cura»
«In linea di massima sarebbe così, ma si da’ il caso che tu sia… immortale»
Rimasi in silenzio, cercando di concepire ciò che avevo sentito. Io immortale?
«Sì lo so che sembra assurdo, ma è una conseguenza dei tuoi nuovi poteri. In effetti sarebbe illogico se il Custode del Tempo stesso ne subisse lo scorrere inesorabile» continuò Angel abbandonando la sua posa statica e cominciando a muovere la mano destra nel vuoto in una danza frenetica.
In effetti aveva ragione, non mi sembrava poi così assurdo il fatto di essere immortale; in un certo senso era come se l’avessi già saputo: «Ma se sono immortale perché sono rimasta addormentata per tutti questi giorni… a proposito, quanti sono?»
«Cinque con oggi» rispose Angel, stringendo gli occhi per contarli nella mente.
In quel momento qualcuno bussò dolcemente sulla porta che avevo lasciato aperta; entrambe alzammo la testa e riconoscemmo Marie, immobile sull’uscio.
«Volevo solo chiedere se le signorine desiderano qualcosa da bere» intervenne, abbassando la testa in segno di perdono per la brusca interruzione.
«Per me niente, grazie – disse la mia amica, sorridendo benevola alla governante, che sospettava avesse contribuito nella piacevolissima sorpresa che le avevo fatto pochi istanti prima – Iris, tu vuoi qualcosa?» mi chiese poi, portando la sua attenzione sulla mia figura esile, elegantemente seduta sulla poltrona accanto a lei.
«Un bicchiere di Whisky» esordii entusiasta, ma la mia amica mi fulminò con lo sguardo. In effetti ero ancora convalescente: «Un bicchiere d’acqua, grazie, Marie» mi corressi, sotto l’ammonizione silenziosa di Angel.
La governante uscì a piccoli passi nervosi verso le cucine, senza chiudere la porta.
«Dove eravamo rimaste?» mi chiese Angel.
«La mia immortalità»
«Ah, giusto. Dunque… la tua è un’immortalità diversa rispetto a quella di Dorian, ad esempio – disse, senza notare il mio stupore nel fatto che lei avesse pronunciato il nome del mio principe oscuro senza una nota di rimprovero nei suoi confronti – Le sue ferite si rimarginano all’istante perché vengono semplicemente passate ad un altro soggetto: per te è diverso. Tu devi guarire e ricostruire i tessuti persi, e questo richiede tempo. Mina ti ha succhiato quasi totalmente il sangue e il tuo corpo ha dovuto ricrearlo completamente»
Il silenzio colpì di nuovo la stanza, mentre Marie tornava con il bicchiere d’acqua su un vassoio d’argento. Me lo porse abbassando il plateau all’altezza del mio braccio e se ne andò soddisfatta, tornando verso le cucine. Stavo cercando d’immaginare il mio corpo mentre rigenerava il sangue che Mina mi aveva sottratto. Era strano pensare di poter guarire da qualsiasi ferita.
«Ora posso farti io una domanda?» mi chiese gentilmente la mia amica mentre sorseggiavo il mio misero bicchiere d’acqua. Io annuii, poggiando delusa il bicchiere sul tavolino davanti a me. Avrei preferito di gran lunga un bicchiere di Whisky.
«Cosa è successo quando ti è apparso il tatuaggio? Insomma, io ho sentito un’enorme onda d’urto che mi ha sbattuto a terra e una musica, della luce dorata…»
«Sì, c’era una musica… - sussurrai riportando alla mente quegli attimi – La stanza è sparita. Si è fermata. La neve non cadeva più e l’orologio aveva smesso di ticchettare, poi una voce di uomo, non conosco quella voce, mi ha detto che ero nata per far rispettare i piani del tempo, che esistevo per quello e per nient’altro. Ma non sembrava che lo dicesse a me, parlava con una donna che piangeva»
«Era una proiezione del passato?»
«E’ probabile… poi ho sentito te. La stessa frase che hai detto quando tornavi dal tuo ultimo appostamento a Dorian, sul fatto che ero appena entrata nelle tenebre. Alla fine ho sentito la voce di mia madre quando mi ha detto che sarebbe dovuta partire, che un giorno avrei capito. Poi non so cos’è successo: mi è bruciato il petto in una maniera insensata e sono caduta tra le tue braccia. Tutti i miei sensi erano più forti…»
«Più forti?» chiese Angel incuriosita.
«Sì, sentivo il rumore della vibrazione delle molecole e vedevo ogni singola fibra del tessuto della tua camicia»
«Stupefacente…» sussurrò Angel, affascinata come sempre da ogni fenomeno soprannaturale.
Le lasciai il tempo di memorizzare ciò che avevo detto e di analizzarlo attentamente; il suo cervello era sempre stato una specie d’elaborata banca dati per quel genere d’avvenimenti: apparizioni, manifestazioni psichiche di strani poteri. Esattamente come il mio lo era stato per la scienza e la tecnologia. Per questo forse stavamo così bene insieme: ci completavamo.
«E come hai fatto a tornare indietro? – chiese ancora impaziente, avida di sapere – Cosa è successo?»
«E’ stato Dorian» sussurrai sentendo il rossore scaldarmi le guance.
«Dorian?» chiese Angel, stupita.
«Sì, ho sentito la sua voce nella mia testa. Mi ha detto di tenere gli occhi aperti… e ci sono riuscita» presi di nuovo il bicchiere che avevo abbandonato sul tavolino e bevvi un lungo sorso, fino quasi a svuotarlo. Eravamo arrivate al punto dolente, all’argomento che mi premeva di più e di cui avevo più paura allo stesso tempo: Dorian.
«Lui… come sta? - chiesi abbassando gli occhi, consapevole che la mia amica avesse capito perfettamente di chi stavo parlando – Sì, lo so che non ho il diritto di chiedertelo – continuai, sentendo che non mi giungeva risposta – Lo so che tutta questa storia è nata solo per causa sua… ma è colpa mia, non sua… sono stata io a volerlo salvare a tutti i costi. Lo so che in passato non è stato quello che si può definire un uomo onesto, che ha cercato di uccidermi, che per colpa sua stava quasi per avere inizio un grande conflitto mondiale e che non è un leale figlio dell’Impero; ma noi lo siamo mai state?» dissi respirando a fondo ed alzando finalmente la testa.
«Lo siamo state?» ripetei, cercando gli occhi scuri di Angel e provando a sostenere il suo sguardo.
Lentamente la sua maschera di serietà cominciò a cedere facendo spazio ad un sorriso divertito; le labbra si arricciarono in un piccolo ghigno e le sopracciglia fini si abbassarono lentamente.
«Cosa c’è da ridere?» le chiesi, un po’ irritata, posando il bicchiere dal quale avevo bevuto.
Marie si affacciò nuovamente sulla stanza bussando sulla porta in cerca d’attenzione: «Mi dispiace disturbare le signorine, ma il signor Dorian Gray attende nell’ingresso»
Un brivido caldo mi percorse tutta la schiena e mi obbligò a rizzare la testa in direzione della porta. Strinsi istintivamente le mani sui braccioli della poltrona: «Dorian è qui?» chiesi, incapace di trattenere la mia euforia.
«Di’ al signor Gray di raggiungerci qui in libreria e per favore… non dirgli di Iris: dev’essere una sorpresa» intervenne Angel, lasciando la governante libera di lasciarci di nuovo.
Marie si allontanò borbottando qualcosa sulle sorprese e io mi voltai immediatamente verso la mia amica domandandole silenziosamente una spiegazione; lei si alzò sistemandosi il lungo vestito in vista dell’arrivo dell’ospite e rimettendo a posto il libro che aveva abbandonato qualche istante prima.
«Diciamo che la difficile situazione del signor Gray è stata attentamente rivalutata – mi disse poi, ritornando di fronte a me, nel fascio di luce che proveniva dalla finestra – In fondo è stato anche grazie a lui se siamo usciti vivi da quell’inferno»
«Lo dici perché ti senti in debito con lui? Lo odiavi: l’ultima volta che abbiamo parlato di lui, gli hai dato del bastardo» mormorai, preoccupata che una tale amnistia fosse solo momentanea.
«E lo penso ancora – disse scandendo ogni parola – Ma molte cose sono cambiate e il fatto che sia rimasto più tempo di me a vegliare sul tuo letto, mi ha fatto riflettere» un lungo silenzio avviluppò la stanza ed Angel cominciò a dirigersi verso la porta. Il rumore dolce dei suoi passi sul pavimento scuro si allontanò lentamente. Con un movimento aggraziato, si fermò sulla porta e si voltò verso di me facendo svolazzare la lunga gonna blu: «Se il diavolo potesse amare, il sentimento che proverebbe sarebbe molto simile a ciò che lui prova per te» disse, sorridendomi appena, poi uscì, dirigendosi verso la sala da pranzo.
Per un lungo istante rimasi sola, in silenziosa compagnia dei numerosi volumi attorno a me. Pensai ad Angel e la ringraziai con tutto il cuore per tutto quello che aveva fatto per me. Cercai di mettermi nella sua situazione: cosa avrei fatto io se un uomo si fosse messo tra me e lei portandola alla sofferenza e alla rovina?
Non ebbi tempo di rispondermi che una voce profonda interruppe il silenzio: «Notizie di Iris?» chiese un uomo dall’anticamera, senza attendere di essere entrato. Il suo passo deciso oltrepassò la porta della libreria.
«Marie non mi ha voluto dire…»
Dorian si fermò sull’uscio, le parole bloccate in gola da quella visione inaspettata. Era vestito impeccabilmente, come al solito: la lunga giacca nera era chiusa con un solo bottone, il più alto, e sotto di essa si vedevano la camicia bianca, il panciotto nero e la piccola cravatta rossa. Teneva la bombetta, dello stesso colore della giacca, stretta nella mano sinistra, distesa lungo il fianco, mentre nella destra stava il suo inseparabile bastone da passeggio. I lunghi capelli neri ricadevano morbidi sulle spalle e i suoi splendidi occhi scuri erano fissi su di me, increduli, immobili. Mi alzai lentamente dalla poltrona e restai in piedi accanto ad essa in un’attesa snervante.
«Iris!» disse Dorian decidendosi in fine a muoversi e dirigendosi spedito verso di me. Mi abbracciò forte, stringendomi al suo petto in una morsa dolce ed energica allo stesso tempo. Da quanto tempo non sentivo il calore del suo corpo contro di me, il disegno del suo torace impresso sui miei seni, le sue braccia muscolose circondarmi le spalle? Non lo ricordavo. Ma non m’importava; in quel momento ero lì, tra le sue braccia e non avrei potuto immaginare posto più bello in cui essere. Appoggiai la testa sulla sua spalla senza dire una parola e sentii il suo profumo avvolgermi; lo ricordavo perfettamente. Ricordavo tutto: il tocco lascivo delle sua mani sulla schiena, lo sfregarsi deciso della pelle del suo collo contro il mio viso; lo strinsi forte in preda ad un impeto improvviso di paura. E se fosse stato solo un sogno? E se fosse potuto sparire come vento inconsistente dalle mie braccia? Non so quanto durò il nostro abbraccio, ma lentamente ci lasciammo andare, senza però eliminare quel contatto necessario tra i nostri corpi.
«Come ti senti?» mi chiese con la sua voce profonda e languida, posando la bombetta sul tavolino e accarezzandomi i lunghi capelli biondi.
«Ora meglio - sussurrai, perdendomi nei suoi occhi scuri; poi afferrai la sua piccola cravatta rossa – Da quando porti la cravatta?»
«Da quando devo fare bella figura con la tua sorellina strega»
Una lieve risata sfuggì al mio controllo: «Bella figura?»
«Sì, altrimenti non mi avrebbe più permesso di fare questo» disse, portando la mano libera al mio viso ed accompagnandolo lentamente verso il suo.
Chiuse le mie labbra con un lungo bacio, accarezzando lievemente la mia lingua con la sua in un morso dolce e delicato. Quando si staccò, mi baciò la fronte.
«Ora è meglio che andiamo a cena o ci daranno per dispersi - mi dissi mentre dopo quel secondo bacio, il suo viso si allontanava inesorabilmente dal mio - Abbiamo tempo per noi, tutto il tempo che vogliamo».
Dorian mi prese la mano, accompagnandomi verso la sala da pranzo dove Angel ci stava aspettando. Forse non mi avrebbe mai ringraziato per quel salvataggio o chiesto scusa per avermi abbandonato al mio destino, o ancora, detto che provava qualcosa di profondo per me; ma non m’importava. Il fatto che fosse lì, con me ed Angel, che avesse accettato un compromesso con la sua anima nera per poter tornare da me ed abbracciarmi di nuovo, mi riempiva di una gioia mai provata prima.
Sorrisi al vuoto e strinsi forte la sua mano nella mia: «Allora, com’era Venezia?»
   
 
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