Serie TV > Violetta
Segui la storia  |       
Autore: chicca2501    20/09/2015    3 recensioni
Paring: Leonetta, Diecesca, Naxi e Fedemilla.
Dal testo: "Era una brutta giornata, brutta ma adatta a quello che stava per accadere. Le nuvole grigie nascondevano il cielo e il sole, mentre le tenebre stavano cominciando a invadere la pianura ghiacciata.
Tra gli spuntoni di roccia calcarea e di detriti inumiditi dal ghiaccio, la folla si stava accalcando verso un piccolo palchetto di legno fatto alla bell’e meglio che si reggeva a stento.
Sopra quella piattaforma c’era una ragazza slanciata, dal fisico magro e dai capelli lunghi e rossi e con gli occhi castani, i quali scrutavano tutte quelle persone ammassate lì solo per vedere lei, la grande Camilla Torres. "
Un'isola perduta in un mondo caratterizzato da guerre e carestie.
Un popolo magico in attesa di essere liberato.
Un capo dei ribelli pronto a tutto.
Quattro ragazzi diversi, ma uniti da un grande potere.
Amori che superano ogni confine del tempo e dello spazio.
I quattro elementi faranno tremare il suolo.
Acqua, fuoco, terra e aria si dovran temere!
C'è una terra da salvare,
Una battaglia da affrontare.
And I'LL WIN!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~15

Il Tempo

Volteggiava in un vortice nero. No, non volteggiava, cadeva piuttosto. Ma, ormai, c’era abituata. Era sempre così quando aveva una visione, che fosse sul passato, presente o futuro: lei che precipitava in un tornado fatto di oscurità fitta e densa, quasi palpabile, attraverso la quale scivolava fino a trovarsi davanti a tre porte, una affianco all’altra: la prima era alta e ampia e fatta di bronzo e sopra c’era raffigurato un serpente, ed era l’ingresso al passato; l’altra porta era poco più piccola, ricoperta interamente d’argento e riportava il disegno di un artiglio, ed era l’entrata per il presente; infine, vi era l’ultima porta, la quale era interamente d’oro, e lungo il profilo orizzontale era raffigurata una freccia, e quella portava il futuro, nel quale esplorava molto raramente. Come sempre, una strana forza la spinse verso le porte, e sempre quest’ultima la guidò oltre quella con l’artiglio: il presente.
Il presente era strano: non era come il passato, dove il mondo era a colori e la maggior parte delle volte si riusciva a vedere chiaramente, o come il futuro, che assomigliava a una foto di vari anni prima ritrovata in soffitta, ormai sbiadita dal tempo e di cui non si riesce a cogliere bene il soggetto. Il presente era sfuggevole si, perché lo si stava vivendo, ma vivido, vivace e si riuscivano a cogliere alcuni particolari.
Quando entrò, vide per un attimo sfocato, prima di riuscire a mettere a fuoco il luogo dove si trovava: difficile da capire, ma comunque vi era un letto, sopra il quale dormivano due ragazzi di cui riusciva solo a cogliere la forma dei corpi avvinghiati. Iniziò a girare quella che sarebbe dovuta essere una camera da letto, ma aveva la sensazione che non fosse solo questo. Guardò ancora i due ragazzi e si accorse che uno dei due era coricato in una posizione innaturale. Si avvicinò e si accorse che la sua nuca era macchiata di rosso, e che il liquido era sangue.
Nata aprì le palpebre, sbattendole più volte a causa della luce che entrava prepotentemente dall’entrata della tenda. Aveva avuto un’altra visione, ma questa era stata la più strana di tutte, e le aveva messo addosso un senso di irrequietezza. Stiracchiò le membra intorpidite, sbadigliando e, appena i suoi occhi si furono abituati all’illuminazione dell’alloggio, si guardò intorno.
Si accorse solo dopo un po’ che non era nella sua tenda: infatti, questa era occupata, oltre dalla branda sopra la quale era adagiata, da un grande tavolo posto al centro, ricoperto di mappe, strumenti, fogli scritti fittamente e piccoli pezzi di legno che somigliavano per forma e misura a delle pedine e da una cassapanca dello stesso materiale sormontata da un’altra piccola scatola finemente intagliata. Ma nonostante fosse arredata diversamente dalla sua, la ragazza la sentiva come se fosse sua, dopo quella notte. Sorrise, distaccandosi per un momento dal pensiero della visione, mentre i ricordi le affollavano la mente: le sue mani che le percorrevano il corpo, i sospiri, le premure, i sorrisi e le risate quando lui era quasi caduto a terra mentre cercava di togliersi frettolosamente i pantaloni.
Arrossì per le emozioni intense e per il piacere che aveva provato e che le avevano fatto vibrare il corpo.
Non riusciva a smettere di sorridere, tra poco la mascella le avrebbe fatto male, ma non le importava, pensava solo a quel ragazzo basso ma che con la sua dolcezza e forza di volontà poteva riempirci castelli.
Si girò lentamente verso il fidanzato, per non svegliarlo, ma, quando finalmente lo ebbe di fronte, preferì non averlo fatto: Maxi era disteso sulla branda in posizione fetale, il viso e il collo rigato di sangue vermiglio che colava fino a sporcare la terra e la branda, gli occhi socchiusi, come se si stesse per svegliare. Ed era quello che Nata sperava stesse per fare, svegliarsi, chiederle come stava, ridacchiare e arrossire per i fatti di quella notte, dirle che quello che sembrava sangue era solo vino che in qualche modo si era rovesciato addosso.
Come sospettava in un angolo recondito della sua mente, non successe niente di tutto questo. Le lacrime iniziarono a colare copiose sulle sue guancie, si chinò sul corpo inerte dell’amato, incapace di formulare un pensiero coerente.
Poi, in un lampo, le tornò in mente tutto: la camera da letto, i due ragazzi, il sangue sulla nuca.
Iniziò a singhiozzare, sempre più forte, fino a quando non urlò, emettendo un grido pieno di disperazione, rabbia e dolore.

Violetta sgranò gli occhi appena il ragazzo uscì alla scoperta. All’inizio pensò che tutto fosse un sogno un brutto sogno, anzi un incubo. Ma non era così, era tutto vero: il suo migliore amico era lì in piedi di fronte a lei, e non batteva ciglio nel vederla lì, le mani legate e in ginocchio, e non smentiva nemmeno l’accusa di essere un traditore.
Al contrario, la fissava con spavalderia e sicurezza, due cose che l’avevano attratta fin da quando si erano si erano conosciuti. Ma ora non le piaceva quello sguardo, la inquietava e la spaventava e non riconosceva più il suo amico in quel ragazzo carico di malignità.
Girò di poco la testa e vide che Francesca era nella sua stessa situazione emotiva: occhi spalancati e la bocca aperta in un’espressione di assoluto stupore.
Riuscì infine a focalizzare anche il capo dei Sarchatan, davanti a lei con un sorriso soddisfatto stampato sul volto uguale a quello di suo padre. Un’altra informazione da aggiungere alla lista: “cose che non riesco a collegare, formatasi da quando era arrivata ad Atlantide e che ormai era lunga chilometri.
Ritornò a guardare Diego, che non si era mosso di un millimetro e sentì una lacrima scendere lungo la sua guancia prima che potesse fermarla. Solo allora vide qualcosa smuoversi negli occhi del suo ex migliore amico, qualcosa che assomigliava al rimpianto, ma che scomparve poco dopo, tanto che pensò che avesse avuto un’allucinazione.
- È inutile che piangi, ragazzina. – ruppe improvvisamente il silenzio Carlos, nella sua voce facevano a gara irritazione ed euforia. – Diego non è mai stato veramente tuo amico, fattene una ragione. -
Non aveva ancora pensato alla possibilità che il ragazzo fosse nato in quel mondo, ma ora le appariva chiaro come il sole, ora quadrava tutto: la strana telefonata il giorno della partita, il ritrovarsi in quel mondo strano, il fatto che lui l’avesse saputa guidare e lo strano rapporto che aveva con Camilla e Leon. Quindi era stata tutta una farsa, una stupida recita; lei gli aveva voluto bene, lo aveva sempre considerato il suo migliore amico, gli aveva raccontato cose che nessun altro sapeva, e pensava anche lei di conoscerlo come nessun altro, ma si sbagliava: non lo conosceva affatto.
- Perché? – sussurrò.
- Perché è un bastardo. – a risponderle era stata Francesca – Me lo ha detto lui stesso. All’inizio pensavo fosse una battuta, ma ora so per certo che non è così. A quanto pare per una volta ha detto la verità. – pronunciò l’ultima frase con astio, e Violetta vide Diego tremare e guardare la mora con una strana espressione, quasi sofferente.
- Bella definizione. – si intromise Carlos. – Ma questo non ti servirà a liberare te e la tua amica. Adesso siete nelle mie mani, non avete via di scampo. – a causa di tutta quella storia di Diego, si era quasi scordata del perché si trovava lì. Provò a concentrarsi cercando di richiamare a sé i suoi poteri, ma quelli restavano bloccati da qualche parte della sua anima, non riusciva ad evocarli; eppure, ormai aveva imparato ad attirarli anche senza l’aiuto di Ludmilla che fungeva da calamita o della Stregona degli Animali. A quella visione probabilmente patetica, l’uomo scoppiò in una grassa risata, guardando con lo sguardo colmo di quella che sembrava pietà sia lei che l’italiana al suo fianco, che aveva provato ad utilizzare anche lei i suoi poteri.
- Le corde con cui vi hanno legato le mani sono state incantate da uno dei nostri più potenti stregoni e bloccano i vostri poteri, impossibilitandone l’uso. – spiegò Carlos – Tranquille, appena avremo finito questa chiacchierata, sarete libere di questo ostacolo per la vostra magia, ovviamente se collaborerete. – finita la frase, un ghigno gli deturpò il viso.
- Cosa vuoi da noi? – chiese Francesca, deglutendo rumorosamente.
- Cosa voglio da voi? Ma vi siete rese conto di chi siete? Soprattutto di chi sei tu, Violetta. – enfatizzò l’affermazione guardandola intensamente – Siete le persone più potenti di tutti i mondi e di tutti i tempi, siete due dei Quattro, e vi trovate qui al mio cospetto. Ovviamente sarebbe stato meglio se ci foste stati tutti, ma, a quanto pare, il mio alleato incaricato dei vostri compagni ha fallito. Quindi, dicevo, io… –
- Ci vuoi usare per qualche malvagio piano per conquistare Atlantide. Questo lo avevo capito, è un cliché nei libri o nei film. – lo interruppe l’argentina, la quale aveva notato lo sguardo sornione di Diego e con il desiderio di cancellarlo stava cercando di ostentare sicurezza.
- Hai ragione, mia cara, io bramo il potere su Atlantide, ma non solo. Come dici tu, è un cliché. Io voglio di più. – detto questo, si avvicinò a un grosso tavolo al centro della tenda, e prese un foglio di pergamena molto grande e lo mostrò loro: era una mappa. Ma non una di Atlantide, come ci si poteva aspettare, quella ritraeva quattro gruppi di globi disegnati con ineguagliabile maestria e ogni gruppo circondava una sfera, e ogni sfera era di diverso colore e materiale e le accumunava solo un segno inciso sulla parte superiore di ognuna - Questa – spiegò il capo dei Sarchatan – è la mappa degli universi. Sapete, esiste più di un universo. Il vostro mondo si trova qua. – indicò un punto sulla mappa dove c’era disegnato un globo quasi completamente azzurro con alcune chiazze più scure sopra. – E il nostro è qua – stavolta il suo dito si era spostato un po’ più a destra, posandosi sopra una raffigurazione più piccola dell’altra ma non meno accurata.
- Cioè, vuoi diventare padrone non solo di Atlantide ma di tutti questi mondi? – chiese Francesca, alzando un sopracciglio.
- Voi non capite, mie care ragazze. – sbuffò Carlos con impazienza - Ora vi faccio una domanda: che anno era quando siete arrivate qua? –
- Il 2014. – disse Violetta.
- Il 1858. – rispose nello stesso momento l’italiana.
- E non vi siete mai chieste come avete fatto a finire qui nello stesso momento se provenite da epoche differenti? –
- Non siamo arrivate nello stesso momento. – dichiarò la mora – Io sono comparsa probabilmente duecento anni prima che loro mi trovassero. –
- E come avresti fatto a sopravvivere per duecento anni, sentiamo. –
- Io in teoria sono morta. – commentò l’altra con una punta di malinconia.
- Lo sei solo in quel mondo, ma qui sei viva, puoi crescere, continuare a vivere ed essere uccisa. Tu sei arrivata nel suo stesso istante. – spiegò l’uomo, puntando l’indice verso la Castillo. – E, comunque, non vi siete mai chieste di che epoca siano i vostri amici, e come mai siano comparsi anche loro nello stesso istante? –
- Non ti seguo. – disse la biondina.
- Il mio capo vuole dire – al suono di quella voce tutti si voltarono verso Diego, che parlava per la prima volta da quando era entrato in quella tenda – Il mio capo vuole dire che alcuni mondi hanno diverse epoche, ognuna indipendente dall’altra, che sono vissute nello stesso istante. Per esempio, adesso, sulla Terra, in una di queste  epoche gli uomini primitivi stanno imparando ad usare il fuoco, e in un’altra Cesare sta combattendo contro i Galli. Ma questo vale solo per alcuni mondi, non per tutti. Per essere precisi, vale solo per quattro, uno per ogni universo. –
- Esatto. – continuò Carlos, la voce leggermente infastidito – Questi mondi sono la chiave per quello che cerco. Io sono un po’ più ambizioso di quello che pensa la signorina Castillo. Li vedete questi simboli? Sono una strana combinazione tra passato, presente e futuro: un serpente trapassato da una freccia la quale è ghermita da un artiglio. Ho bisogno di quei simboli, e la chiave per trovarli sono quattro persone potenti che provengono da ognuno di questi mondi composti da tante età. –
- Scusa, ma a cosa ti servono precisamente quei simboli? –
- Per un piano che è tutto tranne un cliché: il controllo del Tempo. - l’ultima parola rimbombò a lungo, come un eco, nella mente delle due ragazze, che tutto si aspettavano tranne quello.
- No, decisamente non è un cliché. – mormorò Violetta dopo poco. Subito dopo, un sorrisetto furbo le increspò il bel viso.
- Beh, caro capo dei Sarchatan, io penso che tu abbia fatto male i tuoi calcoli. – sentenziò.
L’uomo scoppiò in una fragorosa risata. –  Davvero? E, sentiamo, cosa non avrei calcolato, secondo te? –
- Io, Francesca, Federico e Ludmilla proveniamo tutti dallo stesso mondo. Quindi, non puoi usarci per questo assurdo scopo. –
Il capo dei Sarchatan inarcò un sopracciglio, e assunse un’aria falsamente pensierosa. Alla fine, dichiarò: - Bene, a quanto pare non so io che ho sbagliato i miei calcoli, ma voi. Non sapevate che solo uno di voi è davvero nato in quel mondo? - A quella frase detta con molta leggerezza, il silenzio calò sovrano nella tenda. – Scusa, in che senso non siamo nati tutti in quel mondo? – chiese Violetta, e le sembrò che la sua voce rimbombasse come se fossero in una caverna.
- Tu non ti devi preoccupare. – proseguì il discorso Diego, guardandola con uno sguardo che non seppe decifrare. – Tu sei nata lì, per questo hai i poteri dell’Acqua. –
- Scusa, ma il nostro mondo si chiama Terra. Perché dovrebbe essere la terra dell’Acqua? – richiese la Castillo.
- Perché è composto per la maggior parte da questo elemento. Sapevo che non eri brava in scienze, ma non pensavo fossi a questi livelli. – commentò Diego, sollevando un sopracciglio e alzando un angolo della bocca a formare un sorriso sarcastico.
L’altra stava per rispondergli a tono, magari infarcendo la risposta con un paio di insulti, quando posò gli occhi su Francesca. Aveva le mani che tremavano e lo sguardo fisso a terra, come se fosse in meditazione. Alla fine balbettò: - Quindi Luca non era veramente mio fratello? – L’argentina rimase basita a quella domanda; se ne aspettava un’altra, ma d’altronde non poteva capire, essendo sempre stata figlia unica, pensò.
- Luca era veramente tuo fratello. – Francesca iniziò a respirare regolarmente. – Insieme siete arrivati da uno di quei mondi e vi siete trasferiti lì, attraverso un portale, dove un uomo vi ha trovati. –
- Ma l’avete ucciso voi. -  la voce le tremava.
- Francesca… - tentò di dire Casal, con tono stranamente addolorato.
- Rispondimi. – ordinò la ragazza alzando gli occhi, con un tono che non ammetteva repliche.
- Si. – mormorò l’altro, chinando il capo, come se si vergognasse – Lorenzo era un nostro inviato. -
L’italiana sgranò gli occhi, ormai lucidi, ma non si lasciò sfuggire nemmeno una lacrima. Probabilmente non voleva piangere davanti a loro.
Dopo qualche secondo si riprese e domandò: - Che dovremmo fare ipoteticamente noi in questo piano? – la Castillo rimase basita per un attimo. Era impossibile che Francesca partecipasse a quell’assurda impresa malvagia dopo questa rivelazione. Un ghigno malvagio deformò il volto del Sarchatan. Un’anima stravolta dal dolore era più facile da manipolare. – Semplicemente seguirmi. Cosa ne pensate? –
Con uno sforzo enorme la mora si alzò in piedi, si mise di fronte a lui e… gli sputò in faccia.
- Ecco cosa ne penso del tuo piano. – ringhiò, guardandolo negli occhi. – Come hai potuto pensare, anche solo per un secondo che sarei stata dalla vostra parte, bastardo? Siete degli assassini. -
L’uomo, sconvolto e arrabbiato per l’umiliazione, la stava per colpire con un pugno, quando Diego si mise in mezzo, afferrando il braccio del proprio capo e guardandolo con rimprovero e rabbia.
- Come osi? – sibilò Carlos – Vuoi rendere vani tutti i tuoi sforzi? Non ci vuole niente ad uccidere qualcuno, e lo sai perfettamente. – il ragazzo allentò e infine mollò la presa, per poi ritirarsi servilmente.
L’uomo guardò fisso le due ragazze e disse: - Se non volete collaborare con le buone, collaborerete con le cattive. – emise un fischio e due guardie entrarono. – Portatele via. – ordinò. – Ci vediamo domani, ragazze. –

Leon si svegliò in un posto buio e che sapeva di muffa e di sterco. Si sentiva molto male e aveva la nausea. Nonostante tutto si alzò in piedi, ma sbatté la testa su un soffitto troppo basso per lui, così si chinò leggermente, mentre si massaggiava la testa. A causa di questo movimento, sfiorò le due piccole corna che gli spuntavano appena, nascoste accuratamente dal ciuffo.
Così gli venne in mente cos’era successo la notte prima: aveva prima discusso con Camilla e poi, perché litigare con la sua migliore amica non era abbastanza, con Violetta.
Solo che, mentre il litigio della rossa era colpa proprio della segretezza della ragazza, quello con l’argentina era avvenuto a causa sua.
Perché l’aveva respinta? Era a due centimetri da quelle labbra così perfette e aveva mandato a monte tutto per un’insicurezza. Un’insicurezza ragionevole, pensò subito dopo. Era dalla chiacchierata con Diego quella notte prima del giorno della partenza che gli ronzava in testa: lui era un mezzosangue, uno scherzo del destino, frutto di uno sporco tradimento; lei, al contrario, era la ragazza più potente di tutto il mondo conosciuto e sconosciuto, il capo dei Quattro, e stare con lui avrebbe messo a repentaglio tutto. Si, si disse infine, aveva fatto la scelta giusta.
E poi, era colpa del suo essere satiro se non poteva stare con lei, se la gente che conosceva la sua natura lo allontanava, se doveva nascondersi continuamente e se adesso riusciva a malapena a stare seduto, tanti erano gli odori putrefatti che il suo sensibile olfatto captava e tanta era la nausea. Diede un forte pugno per terra, arrabbiato.
Dopo essersi sfogato e aver preso un paio di respiri profondi per calmarsi, passò oltre, anche se all’inizio sembrò impossibile: l’immagine della ragazza che amava gli offuscava la mente e riusciva a vedere solo i suoi grandi ed espressivi occhi color nocciola, i suoi lineamenti perfetti, il corpo magro e minuto ma capace di sopportare tutta la magia che aveva dentro, tutto ricoperto da un velo di malinconia e rimpianto.
Cercò di mandarla via, doveva riuscire a capire dove si trovava e come poteva ritornare all’accampamento.
Ci volle più tempo del previsto: il resto dei ricordi era confuso, sbiadito, come se gli avessero somministrato un narcotico. Spalancò gli occhi: ecco perché tutto era così annebbiato, gli dovevano avergli dato qualcosa per farlo intontire, così non avrebbe potuto opporre resistenza quando l’avrebbero portato lì.
Terza domanda: dove si trovava? Sapeva che era basso, visto che aveva sbattuto la testa, ma il luogo era immerso nel buio ed era pressoché impossibile riuscire a vedere qualcosa. Doveva accendere una luce; di solito si portava dei fiammiferi in tasca, per sicurezza. Frugò nei pantaloni e constatò con sollievo che non l’avevano perquisito, quindi non avevano trovato niente.
- Idioti. – mormorò con un sorrisetto.
Si, ma chi erano gli idioti di cui parlava con tanto disprezzo? No, no, poteva pensarci dopo; prima doveva accendere un fuoco. Cercò qualcosa su cui appiccarlo e, fortunatamente, dopo aver avanzato a tentoni nel buio per un po’, trovò qualcosa che al tatto pareva un fascio di rametti secchi.  Si sedette e sfregò i fiammiferi sulla suola della scarpa finché una fiammella non lo illuminò. Mise a contatto il fiammifero con i rametti e poi lo gettò via, mentre questi ultimi iniziavano a bruciarsi.
Finalmente poté guardarsi intorno: si trovava in una piccola caverna, un buco nella terra più che altro (ecco spiegato il perché della nausea, vista la sua claustrofobia dovuta alle sue selvatiche origini), ricoperto per terra da teschi ed escrementi di animali, probabilmente era stata la tana di qualche bestia feroce. L’apertura era stata chiusa da un masso che non riusciva a spostare; in un impeto di rabbia, si scagliò di testa contro di esso e le sue corna riuscirono a completare il lavoro e a lasciar entrare la luce. Spense il fuoco e uscì., ringraziando per la prima volta nella sua vita di essere diverso.
Fu un sollievo sentire di nuovo il vento giocare tra i capelli e la luce riscaldare la pelle e gli odori della natura che gli invadevano le narici e lo facevano sentire vivo; rise e vomitò subito dopo, e poi rise di nuovo, sentendosi più leggero.
Dopo quella breve pausa, si guardò intorno: era in un bosco composto prevalentemente da pini. Riconosceva quel posto: vi era passato con i ribelli solo due giorni prima, probabilmente non avevano pensato a portarlo troppo lontano, convinti che non sarebbe riuscito a liberarsi. – Illusi. – disse, questa volta a voce alta, quasi gridando. – Credevano di poter intrappolare un satiro, ma non ce l’hanno fatta. – disse quelle parole di slancio, con energia, e si sentì libero come non era mai stato. Finalmente si riconosceva per quello che era, non uno scherzo della natura, ma la natura stessa, la sua incarnazione più intima: riusciva a sentire i profumi più lievi e i rumori più silenziosi e si prese un momento per assaporare questa nuova consapevolezza. Si promise una cosa: appena sarebbe tornato avrebbe chiesto scusa a Violetta e le avrebbe detto che l’amava e che voleva stare con lei, e che se ne fregava di tutto il resto.
Spinto da questo pensiero, rifece il punto della situazione: si era liberato, sapeva dove si trovava e che ci avrebbe messo circa un giorno ad arrivare all’accampamento, contando le soste che avrebbe fatto per mangiare e riposarsi. Aveva avuto molta fortuna. L’unico svantaggio era l’assenza di un arma per difendersi o per cacciare, ma si convinse che nessuno l’avrebbe potuto vedere e che avrebbe mangiato quello che la terra gli offriva. Si mise in marcia, sollevato.
Si era dimenticato di rispondere a una domanda, però: chi lo aveva portato lì? Lo avrebbe scoperto andando all’accampamento e non sarebbe stato felice di saperlo.

L’accampamento ormai era immerso nel caos: un soldato aveva notato che Camilla era sparita e tutti avevano dato di matto. Nemmeno Leon c’era, come se si fosse volatilizzato insieme al suo capo. Francesca e Violetta sembravano aver fatto la stessa fine. Così toccò a Federico, con il supporto dell’ancora sconvolta Ludmilla, a organizzare tutto.
Per prima cosa, fece radunare tutti i ribelli in preda al panico davanti alla tenda del loro leader scomparso e cercò inutilmente di placare gli animi con parole di conforto e incoraggiamento, quando probabilmente era il più spaventato di tutti.
Disse che avrebbero trovato Camilla e il suo vice, che dovevano semplicemente essersi allontanati un attimo e che probabilmente si erano persi. Rimandò tutti nelle proprie tende, annunciando che quei primi giorni sarebbero rimasti lì e non avrebbero proseguito il viaggio.
Rientrò stremato nella propria tenda, dove trovò Ludmilla seduta sulla branda, lo sguardo fisso sul corpo della donna che aveva sconfitto solo poche ore prima.
Era sua madre, secondo lei. Gli sembrava alquanto improbabile, ma del resto non conosceva i familiari della ragazza e non voleva alzare l’ipotesi che quella fosse solo una donna che le assomigliava. Le si sedette accanto e la abbracciò; lei ricambiò l’abbraccio, affondando il volto nell’incavo del suo collo; non le sfuggì una lacrima o un singhiozzo quando ritornò alla posizione originaria. Non disse o fece altro, quindi Federico decise di andare da Nata; era un po’ che non parlava con lei e non sapeva come stava, soprattutto vista la baraonda di quel giorno.
Si diresse verso la tenda, ma quando entrò si trovò davanti uno spettacolo troppo triste anche per quella giornata: Nata, mezza nuda, china sul corpo di un ragazzo inerme e ricoperto di una poltiglia rossa che piangeva disperata.
- Nata. – disse solamente. La ragazza si girò, incurante del suo aspetto, non era la prima volta che lui la vedeva mezzo svestita, all’orfanotrofio il pudore era superfluo.
- Fede. – rispose l’altra. Il ragazzo si avvicinò e per poco non si mise a piangere anche lui: colui che giaceva davanti al fianco della sua amica era Maxi. Lui e lo stratega avevano fatto amicizia negli ultimi tempi, e l’italiano si era rallegrato quando aveva saputo della loro relazione, nonostante fosse ancora un po’ geloso.
La nuca del più piccolo era ricoperta di quello che sembrava sangue rappreso che scendeva giù per il collo. Federico lanciò un’occhiata alla spagnola, per poi indicare con il capo l’altro. La ragazza, dopo un attimo di incertezza, annuì. Di sicuro aveva capito cosa intendeva. Pasquarelli si chinò sul corpo e cercò di vedere da che ferita era uscito tutto quel sangue. Con sua grande sorpresa, non ne trovò nessuna, nonostante cercasse attentamente. Guardò con sorpresa Nata, la quale si chinò a sua volta ed ottenne lo stesso risultato.
- Ma cosa… - tentò di chiedere Nata.
- Non lo so. Ma sono sicuro che questo non è sangue. –
- E allora perché ne è ricoperto? –
- Non ne ho idea. – si riavvicinò di nuovo e prese un po’ di quella sostanza tra le mani. Una voce risuonò immediatamente nella sua testa: era quella di Madre Terra.
- Succo di aurispica. – mormorò.
- Di cosa si tratta? – le domandò mentalmente Federico.
- È un succo ricavato dal liquido di aurispica mischiata alla poltiglia che ne esce in seguito alla sua macerazione. Serve per dare una morte apparente. –
Il ragazzo tirò un sospiro di sollievo e chiese ancora: - Come si può combattere l’effetto? –
- Con la stessa miscela. – dopodiché la voce sparì prima che potesse porre altre domande. Si ritenne ugualmente soddisfatto.
- Allora, cos’è? – la voce impaziente della Navarro lo riportò alla realtà.
- Maxi non è morto. – a quelle parole la ragazza lo guardò con gioia e sollievo, ma anche con preoccupazione.
- C’è un ma, vero? – l’altro annuì.
- È sotto un incantesimo che gli dà una morte apparente. –
- E tu sai come risvegliarlo? –
- Si. – lo sguardo dell’altra si riempì di speranza – Ma non so dove trovare gli ingredienti. – la speranza si affievolì, anche se non scomparve.
- L’importante è che non sia morto. – cercò di consolarla Federico – Troveremo un modo per sciogliere questo incantesimo. Noi due ce la facciamo sempre, no? Siamo pure riusciti a scappare dall’orfanotrofio. –
- A questo punto preferivo rimanere lì. – confessò la ragazza.
- Se fossimo restati lì non avresti conosciuto Maxi. E questa notte avresti dormito nel tuo piccolo letto scomodo nel dormitorio comune, invece di fare cose sporche con il tuo fidanzato. – ribatté l’italiano, accennando per la prima volta con un sorrisetto malizioso agli ovvi avvenimenti della notte prima. La riccia arrossì e tirò su con il naso, per poi ridacchiare, imbarazzata.
- Forse hai ragione. Supereremo anche questo. – ammise.
- Questa è la mia Nata. – dopo aver detto questo la abbracciò, tenendola stretta a sé, con la certezza che ce l’avrebbero fatta. Erano di nuovo insieme, e niente li avrebbe fermati.
Leon arrivò inspiegabilmente il giorno dopo. Raccontò che era stato rapito e portato lontano, ma che era riuscito a liberarsi. Sembrava felice, ma tutta l’allegria si spense quando venne a scoprire della scomparsa delle ragazze. Quando Federico nominò Violetta, i suoi occhi, già lucidi, si riempirono ancora di più di lacrime.
Riuscì comunque a mantenere la calma, comportandosi come un vero capo. Radunò nuovamente gli uomini, ormai non più così spaventati. Spiegò loro cosa probabilmente era successo ed iniziò subito a impartire ordini per iniziare il più in fretta possibile le squadre di ricerca, promettendo il ritorno di Camilla e delle altre due ragazze.
Dopo si ritirò nella sua tenda.
Nessuno seppe che si mise a piangere e nessuno seppe che tra le lacrime mormorava il nome di Violetta.

Camilla fu sorpresa quando Francesca e Violetta comparvero nella tenda, accompagnate da soldati Sarchatan. Furono sbattute a terra in malo modo, finendo una sopra l’altra, e sarebbe stata una scena comica se non fosse stato per la grave situazione in cui si trovavano.
Anche le altre due rimasero stupite e spaventate alla vista del capo dei ribelli, il quale era sicuramente ridotto peggio di loro: la pelle scoperta presentava delle ustioni, aveva un occhio nero e un taglio sulla guancia destra, sulla quale sarebbe rimasta una cicatrice.
Con un po’ di fatica, le tre ragazze riuscirono a slegarsi i lacci a vicenda e, quando ebbero finalmente le mani libere, iniziarono a parlare.
Violetta e Francesca raccontarono del piano di Carlos, delle scoperte sulla loro origine e di Diego (ma l’altra affermò che lo sapeva già e volle chiudere immediatamente l’argomento); la rossa aggrottò le sopracciglia, inquieta. Non aveva mai pensato che il Sarchatan volesse estendere il proprio dominio non solo su Atlantide, ma anche su altri regni e, addirittura, sul Tempo. Un problema in più da affrontare, visto che ora dovevano anche fare in modo che quel bastardo maledetto non trovasse i simboli; certo, aveva detto che solo i Quattro potevano trovarli ed ora ne aveva solo due, ma se fosse riuscito a rapire anche Federico e Ludmilla?
Tutte quante giunsero alla conclusione che dovevano trovare un modo per uscire di lì al più presto.
Ma, prima che potessero ideare qualunque cosa, sia Violetta che Francesca vollero sapere cosa era capitato all’altra, come fosse finita lì e perché aveva il corpo martoriato in quel modo crudele.
- Mi hanno rapita, come a voi. – iniziò Camilla. – È stato Diego a farlo: si è trasformato in Leon, a cui probabilmente ha fatto qualcosa. – a quelle parole addolorate la Castillo sussultò –  Ma ho comunque la certezza che non gli sia successo niente di grave, visto che è un grande combattente e si sa difendere perfettamente. – disse il capo dei ribelli, cercando di convincere più che altro se stessa, prima di continuare – A causa di questo inganno, è riuscito a sequestrarmi e a portarmi qui, dove mi ha lasciato in balia di alcune guardie, che mi hanno portata da Carlos. Quello che mi ha fatto lo potete vedere da sole. Sappiate soltanto che è stato molto doloroso. – chinò il capo, come se stesse meditando. Lo rialzò pochi secondi dopo, e stava per dire qualcosa, quando nella tenda arrivarono due guardie e buttarono a terra una figura incappucciata.
Le tre ragazze corsero subito a dare una mano, slegando le corde che gli tenevano i polsi spellati e togliendo il sacco che fungeva da cappuccio, riuscendo così a vedere il loro compagno di prigionia: un uomo alto, muscoloso, con i capelli neri tagliati corti e gli occhi dello stesso colore. Francesca mormorò: - Carlos. – balzando poi in piedi in posizione di attacco, seguita immediatamente dalla rossa. Solo Violetta rimase seduta, sconvolta.
L’uomo non smetteva di fissarla con le lacrime agli occhi, e la ragazza faceva lo stesso.
- Violetta. – mormorò lo sconosciuto, la voce spezzata.
- Papà. –

Angolo dell’autrice: Ok, non sono in ritardo, sono in uno spaventoso, ORRIBILE ritardo. Mi sorprenderò se troverò visite alla mia storia o addirittura recensioni dopo questi tre mesi di assenza. Questa volta credo di non avere molte scuse: l’estate mi ha semplicemente impigrita. Va beh, non esattamente: in pratica, dopo lo scorso capitolo ho tirato un sospiro di sollievo, perché era il capitolo di svolta e segnava la fine della prima metà della storia. Si, perché questa storia, dopo quasi un anno, è arrivata a metà. Wow. A giugno, perché la sfiga regna sovrana in casa mia, il wi-fi scompare misteriosamente.
Poi, all’inizio di luglio mi è venuta in mente l’idea per un’altra ff, non su Violetta, ma poi ho lasciato perdere e ho ripreso questa. Questo capitolo l’avrò scritto e riscritto un milione di volte non mi piaceva quello che scrivevo, e spero che questa versione sia decente, perché non avevo più idee su come strutturarla, quindi speriamo bene.
Poi, per due mesi, non sono stata a casa per andare alla casa al mare di mia nonna, dove non ho avuto né molto tempo per scrivere né internet. 
Quindi, mi scuso ancora una volta per questo ritardo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, accetto anche critiche e consigli. Un bacione da Chicca2501

  

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Violetta / Vai alla pagina dell'autore: chicca2501