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Autore: Achille88    11/02/2009    2 recensioni
Sul pianeta El il mancato matrimonio fra la regina Elle e Ataru Moroboshi, sventato all'ultimo istante grazie all'intervento di Lamù e dei suoi amici, ha destato non poco scalpore e all'interno del suo palazzo, la bella sovrana medita vendetta tormentata dalla gelosia e da un dubbio: la bella aliena dal bikini tigrato aveva fatto tutto ciò per ridicolizzarla agli occhi del suo popolo o unicamente per amore di Ataru?
Genere: Romantico, Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Atarù Moroboshi, Elle, Lamù, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FACCIA A FACCIA CON SE STESSI

"Come... come diavolo sono capitato fin qui?!", si domandò Ataru aggrappato con tutte le sue forze ad una parete rocciosa a strapiombo. Cercando in tutti i modi di dominare l'istinto di guardare in basso, il ragazzo ruotò la testa a destra e a sinistra, accorgendosi di trovarsi in uno spettrale paesaggio caratterizzato da brulle e aguzze montagne che emergevano da una coltre di nubi; a illuminare la catena montuosa, vi era solo la lugubre luce di una falce di luna e delle stelle che puntellavano il cielo notturno.

Il giovane Moroboshi fece appello a tutte le energie rimastegli e cominciò ad arrampicarsi per raggiungere la sommità del monte, posizionando attentamente mani e piedi fra le spaccature della roccia.

Grazie alla sua straordinaria capacità di cavarsela nelle situazioni più difficili, Ataru si avvicinò sempre più alla meta finché, ormai allo stremo delle forze, tastò con i palmi delle mani una superficie levigata. Gemendo per lo sforzo, l'improvvisato scalatore si ritrovò su una piattaforma di pietra e non appena ebbe alzato lo sguardo, trovò ad attenderlo una figura avvolta in un mantello nero con cappuccio che impediva al giovane di scorgere il suo volto con in mano una torcia, alimentata dal vento freddo che spazzava la zona.

"Ti stavo aspettando, Ataru", esordì il sinistro personaggio mentre l'interpellato, bianco come un lenzuolo, si chiedeva come potesse conoscere il suo nome. "Seguimi!".

Ordinato ciò, l'individuo incappucciato voltò le spalle ad Ataru e si incamminò su una scalinata in pietra che conduceva ad un edificio a forma circolare che sorgeva sulla vetta della montagna. Il giovane Moroboshi non poté far altro che seguirlo. "Dove sei, Lamù?", si domandò spaventato mentre saliva i gradini della scalinata.

Una volta salito l'ultimo gradino, Ataru rimase senza fiato per l'emozione: davanti a lui vi era un tempietto circolare sorretto da dodici colonne e sul cui pavimento a mosaico si stagliava un tripode in bronzo dorato a sostegno di un bacile d'argento finemente lavorato che splendeva illuminato dalla luce emanata da undici fiaccole sorrette a terra da sostegni in ferro che illuminavano l'intera struttura.

Il misterioso guardiano del tempietto poggiò la fiaccola sull'unico sostegno vuoto e si diresse verso il tripode in metallo, finché non si voltò in direzione dell'allibito Ataru mantenendo tuttavia lo sguardo basso come a voler evitare di guardarlo negli occhi.

"Che posto è questo? E tu, chi diavolo sei? Cosa vuoi da me?", domandò il giovane Moroboshi con le ginocchia che gli tremavano per la paura.

Per tutta risposta, il misterioso personaggio lasciò cadere sul pavimento il mantello e non appena lo fece, Ataru spalancò gli occhi e indietreggiò di un passo in preda allo sconcerto più totale: di fronte a lui c'era un ragazzo assolutamente identico a lui nell'aspetto, ma che aveva un'espressione di grande austerità e compostezza dipinta sul volto che il giovane di Tomobiki non aveva mai avuto in diciotto anni di vita.

"Non devi aver paura della tua stessa anima, Ataru", esordì quest'ultimo con espressione serena per non spaventare oltre misura il suo "ospite".

"Tu... s-saresti la mia... anima?!", domandò Ataru in balia della più totale confusione.

"Esattamente. Ti trovi qui al mio cospetto affinché tu possa aiutare te stesso".

"Che cosa vuoi dire?".

Prima di rispondere, la dichiarata anima del ragazzo si parò davanti al suo "alter ego" in carne ed ossa e gli chiese: "Quando getterai la maschera?".

"Che vuoi dire?!", domandò il giovane Moroboshi.

"Smettila di ingannare te stesso!", lo rimproverò severamente il suo stesso spirito. "Ti sto chiedendo di smetterla una volta per tutte di fingerti il mascalzone che non sei e di accettare l'amore che Lamù prova per te... e che tu provi per lei!".

"Io amo Lamù come tutte le altre belle ragazze dell'universo!", sbraitò Ataru permettendo ancora una volta ai suoi istinti più bassi di avere il sopravvento sul suo buonsenso.

Per tutta risposta, il ragazzo fu preso per il collo dal suo interlocutore e grazie alla forza sovrumana di quest'ultimo, venne scaraventato violentemente contro una delle colonne marmoree del tempietto.

"Non permetterò mai più che i tuoi istinti facciano soffrire ancora quella splendida creatura che il cielo ti ha concesso!", sibilò furente di rabbia e con occhi fiammeggianti l'anima del giovane Moroboshi mentre stringeva con più forza il collo del suo "contenitore" in carne ed ossa. "Io l'ho vista piangere disperata sul tuo corpo privo di vita e quando sono stato incatenato a quella rocca su Plutone sorvegliato da quel mostruoso cane a tre teste, ho provato una vergogna immensa per tutto quello che Lamù ha dovuto patire a causa dei tuoi stupidi capricci e ho giurato solennemente che se tu fossi tornato in vita, avrei reso finalmente felice quella meravigliosa ragazza... ed è quello che farò!".

"No posso farci niente", piagnucolò Ataru dimenandosi per liberarsi dalla morsa d'acciaio che attanagliava il suo povero collo. "A me piacciono tutte le belle ragazze dell'universo e non appena ne vedo una, non riesco a trattenermi!".

"Vuoi saperne il motivo? Tu sei cresciuto nella convinzione - del tutto errata - che tua madre non ti amasse perché sei nato maschio anziché femmina come desideravano lei e tuo padre e quindi, per soddisfare il tuo bisogno di affetto, non hai fatto altro che seguire le gonne di qualsiasi rappresentante del gentil sesso. Ma non capisci che soltanto Lamù può darti tutto ciò che né tua madre, né Shinobu, né Elle, né nessun'altra ragazza dello spazio possa mai offrirti?!".

"Quello che hai detto... sono solo sciocchezze!", gridò Ataru colpito nel profondo da quelle frasi tutt'altro che infondate.

"E' del tutto inutile che fingi di essere stato generato con un sacco di letame al posto del cuore e con un mucchio di segatura nel cranio al posto del cervello!", lo fulminò la sua anima. "Quello che ho appena detto corrisponde a verità, ma io sono qui per aiutarti e se vorrai seguirmi al tripode di bronzo, ti garantisco che non avrai da pentirti".

Detto ciò, mollò definitivamente la presa sul collo del suo "alter ego" materiale e lo invitò a seguirlo. Non potendo fare altrimenti, Ataru obbedì e si trovò a guardare all'interno del bacile d'argento in cui era versata dell'acqua.

Improvvisamente, la superficie dell'acqua si intorbidì e con grande sorpresa del ragazzo, comparvero le immagini di un parco cittadino con alberi di ciliegio in fiore.

Come in un film, subito dopo comparvero le immagini di un giovane uomo coi capelli castano chiari in giacca e cravatta che giocava allegramente con due bambini sotto lo sguardo di una bellissima signora dai lunghi capelli verdi e i cornini dorati avvolta in un elegante kimono.

"Ma quelli... siamo io e Lamù!", disse il giovane Moroboshi. "Questo vuol dire che quelli sono i nostri...". Prima ancora che potesse concludere la frase, la superficie dell'acqua si intorbidì nuovamente e il bacile non proiettò più alcuna immagine.

"Hai indovinato!", rispose sibillina l'entità incorporea del ragazzo. "Come hai potuto vedere, non si è trattato di un'esperienza spiacevole e ti posso assicurare che se accetterai definitivamente l'amore di Lamù, i tuoi rapporti con l'altro sesso cambieranno in meglio e le tue gioie saranno... immense!".

"Mi hai convinto!", rispose Ataru con decisione. "Se il futuro che ho visto può avverarsi, lo farò!".

"Questo dipenderà solamente da te", affermò lo spirito del giovane con il volto rasserenato.

Ataru avrebbe voluto porgergli altre domande, ma prima che potesse farlo il suo interlocutore lo trascinò fuori dal tempietto e lo spinse giù nel vuoto.

 

Ataru si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, con il respiro affannoso e la fronte madida di sudore freddo. "Per fortuna era solo un sogno", pensò il ragazzo poggiando la testa sulle ginocchia.

Dopo alcuni minuti, si guardò intorno nella sua stanza e posò lo sguardo verso l'armadio dove Lamù era solita dormire in compagnia di Ten.

Ataru si alzò in piedi e istintivamente, volse lo sguardo verso la finestra e notò che, proprio come nel suo sogno, il cielo notturno era illuminato da una falce di luna.

"Sarà meglio che vada in cucina a farmi una camomilla", pensò il giovane poco prima di uscire dalla stanza e scendere in cucina.

 

"Ma chi voglio prendere in giro?", sospirò Ataru scuro in volto mentre faceva passare il dito indice sull'orlo della tazza da cui aveva appena bevuto la bevanda.

Dopo aver appoggiato la guancia sulla mano sinistra, il ragazzo pensava a come fare per poter dichiarare a Lamù ciò che provava per lei. "Che ironia!", pensò. "Per tutto questo tempo, ho avuto una faccia di bronzo talmente colossale da avvicinarmi senza ritegno a tutte le ragazze che incontravo, ma non so da che parte cominciare per dichiararmi all'unica ragazza che, fra le tante che hanno catturato il mio sguardo, abbia afferrato il mio cuore".

Ad un tratto, focalizzò l'attenzione sul notes attaccato alla parete della cucina su cui sua madre era solita scrivere la lista della spesa e dopo pochi istanti, gli venne in mente un'idea. "Ma certo!", esclamò il ragazzo facendo schioccare le dita e mutando radicalmente espressione. "Ciò che non riesco a dire, lo scriverò!".

Ataru staccò immediatamente un foglio dal blocco e dopo aver afferrato una penna, iniziò a scrivere sul foglio tutto ciò che avrebbe voluto dire a Lamù; aiutato da una sorprendente lucidità mentale, il giovane Moroboshi buttò giù alcune righe e non appena ebbe finito di rileggere ciò che aveva appena scritto, un sorriso gli illuminò il volto, a dimostrazione della sua soddisfazione nel risultato ottenuto.

"Bravo, Ataru! Sono fiera di te", esclamò ad un tratto una familiare voce di donna alle sue spalle. Ataru si voltò e vide sua madre che, avvolta in una leggera vestaglia di cotone, gli sorrideva.

"Cosa ci fai qui, mamma?".

"Non riuscivo a chiudere occhio e ho pensato di andare in cucina a prepararmi una camomilla", esordì la signora Moroboshi mentre si sedeva sui talloni al tavolino della sala da pranzo. "Ti ho visto leggere quel foglio così attentamente da non accorgerti della mia presenza e... ho avuto modo anch'io di leggerlo".

Anziché risponderle, Ataru andò in cucina, versò in una tazza la camomilla rimasta e la diede alla madre.

La donna bevve avidamente la bevanda e subito dopo disse: "Quando tre giorni fa, tu e Lamù siete ritornati a casa lei mi ha raccontato tutto ciò che vi era capitato e da allora non riesco più a prendere sonno".

"Per quale motivo?".

"A causa dei sensi di colpa", rispose la signora Moroboshi con gli occhi lucidi. "Sai bene che io e tuo padre desideravamo avere una bambina, ma nonostante questo ti abbiamo sempre voluto bene... anche se più di una volta ti ho detto delle cose orribili!".

Ataru avrebbe voluto interromperla, ma la donna gli fece capire di voler proseguire con un cenno della mano. "Una madre non dovrebbe mai dire al proprio figlio di essersi pentita di averlo messo al mondo, specialmente poi se è il suo unico figlio. Invece, anziché educarti come avrei dovuto fare, ho addossato su di te tutte le mie mancanze e di conseguenza, hai cercato l'affetto che non sono riuscita a offrirti in tutte le ragazze che incontravi. Sono stata una pessima madre e ti chiedo di perdonarmi per i miei errori!".

Poco prima che la donna, oppressa dai rimorsi di coscienza, scoppiasse in un pianto dirotto, il figlio la consolò carezzandole le mani con le sue. "Quello che hai appena detto non è vero!", disse Ataru con decisione. "Tu e papà siete sempre stati dei bravi genitori e lo siete tuttora. Se per tutto questo tempo non ho fatto altro che cacciarmi nei guai, è solo per colpa mia e della mia mancanza di giudizio. Ma ti posso assicurare che ho intenzione di cambiare... da domani stesso!".

Estremamente orgogliosa per la dimostrazione di maturità mostrata dal ragazzo, la signora Moroboshi lo abbracciò versando lacrime di gioia. "Sono così contenta di sentirti dire questo".

Dopo qualche istante, la donna si staccò dal figlio e gli diede un ultimo consiglio: "Cerca di fare del tuo meglio per rendere felice Lamù. E' vero che a volte si è dimostrata un po' troppo... prepotente nei tuoi confronti, ma è una cara ragazza ed è la sola che può renderti un uomo felice".

"Lo so bene!", si limitò a risponderle Ataru.

Decisamente sollevata, la signora Moroboshi diede la buonanotte al figlio e si avviò verso la camera da letto.

Ataru ripiegò il foglio e iniziò ad incamminarsi verso la sua stanza, ma prima ancora che potesse uscire dalla sala da pranzo, trovò Ten ad attenderlo con le braccia conserte e lo sguardo assonnato. "Era ora che ti dimostrassi un vero uomo!", si limitò a dirgli il piccolo oni.

"Hai... sentito tutto?!".

"Ogni parola!".

"Promettimi che domattina non dirai nulla a Lamù!", ordinò il ragazzo alla piccola peste in pannolino tigrato.

"Se mi darai quelle tavolette di cioccolato al latte che tua madre ha comprato ieri, sarò muto come un pesce", affermò Ten.

"E va bene, furbastro!", sbuffò Ataru prima di andare in cucina e dare al cuginetto di Lamù ciò che desiderava.

Soddisfatto per il "dolce bottino", Ten ritornò in compagnia di Ataru nella stanza del giovane, ma prima che quest'ultimo potesse aprire la porta, il piccolo oni gli disse con aria minacciosa: "Se questa è un'altra delle tue trovate e farai soffrire ancora mia cugina, farò in modo che di te rimanga solamente un mucchietto di cenere!".

"Non farò nulla del genere!", rispose sprezzante Ataru prima di rientrare nella sua stanza.

Con le tavolette fra le mani, ma non ancora del tutto convinto, Ten rientrò nell'armadio dove dormiva con la cugina, mentre Ataru si mise nel futon in attesa di riprendere sonno.

"Domani... risolverò tutto!", pensò il giovane poco prima che il sonno si impadronisse delle sue membra e della sua mente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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