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Autore: Hermione Weasley    22/09/2015    2 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6

~

 

La luna piena inondava la valle immersa nell'oscurità della notte. Il vento stormiva dolcemente fra le fronde degli alberi, trasportando grossi nuvoloni grigi da un capo all'altro della cupola del cielo.

Fatta eccezione per poche, sporadiche luci in prossimità del villaggio più vicino e di quelle che parevano appartenere ad un accampamento di soldati, tutto sembrava profondamente assopito in un silenzio pressoché totale.

Clint non conosceva quei luoghi: dei viaggi che aveva compiuto con la sua famiglia prima, con suo fratello poi, ricordava poco o niente. A quei tempi – in cui la sua unica preoccupazione era quella di mettere qualcosa nello stomaco e di trovare un rifugio sicuro in cui dormire – un posto valeva l'altro. Delle brevi gite in compagnia di lord Coulson, avvenute più tardi, rammentava solamente il disagio e l'ansia di non apparire mortalmente fuoriposto. Il mondo era solito apparirgli come un unico, grande regno: direzioni, confini, regioni... non esistevano.

Adesso, invece, non poteva fare a meno di preoccuparsi delle miglia di distanza che stava mettendo tra sé e villa Coulson. Più si allontanava e più tornare indietro gli appariva complicato, a tratti impossibile. Metteva continuamente in discussione la decisione che era stato costretto a prendere e, ogni volta, non poteva far altro che constatare di non avere alcuna alternativa, in un circolo d'esasperazione che lo stava logorando lentamente.

Forse aspettare che le acque si calmassero era davvero la scelta più saggia, ma la sensazione di impotenza che accompagnava quella consapevolezza non gli dava tregua. Fatto stava che era ricercato e che, molto probabilmente, se avesse rimesso piede in paese tutto ciò che avrebbe ottenuto sarebbe stato vincere un viaggio di sola andata per la gattabuia e il patibolo in rapida successione.

Rilasciò bruscamente il fiato non appena i suoi pensieri cominciarono ad incupirsi. Neanche il paesaggio immobile riusciva a placare il groviglio di angoscia che l'aveva tenuto vigile per le ultime quarantotto ore.

Non che ci fosse stato realmente tempo per riposare: sotto le insistenze di padre Selvig, lui e Natasha avevano dovuto lasciare la chiesa e rimettersi in cammino. La donna sembrava conoscere tutte le strade e le scorciatoie che aggiravano le postazioni dei soldati disseminati per la campagna, ma la prudenza non era comunque mai troppa. Se non altro le abitudini di ladruncolo che credeva di aver definitivamente dimenticato erano riaffiorate come vaghi ricordi di un linguaggio fisico e automatico, impossibile da scordare. Ricominciava a masticarlo con sempre maggior sicurezza, il che gli permetteva anche di sentirsi all'altezza di quella lunga fuga, di potervi partecipare attivamente.

Scese agilmente dall'albero su cui si era arrampicato, arco in braccio e la sacca piena di selvaggina gettata sulla spalla. Mentre rimboccava la via che l'avrebbe condotto al punto in cui avevano deciso di trascorrere la notte fino alle prime luci dell'alba, l'atmosfera della caccia e l'odore del bosco lo portarono a ripensare a Kate. Era vero che aveva scelto di lasciare villa Coulson per sempre, quella notte, ma non aveva pianificato di farlo in quel modo. Il volto della ragazza gli aleggiava davanti agli occhi e la nostalgia gli attanagliava lo stomaco senza che potesse far molto per impedirselo.

Si lasciò guidare dal bagliore del fuoco che Natasha aveva acceso, raggiungendola in una manciata di minuti. La trovò che stava finendo di scuoiare una grossa lepre con gesti meccanici e precisi. Neanche rialzò lo sguardo per accertarsi che fosse davvero lui: qualcosa gli suggeriva che la donna fosse in grado di riconoscere il rumore dei suoi passi, la qual cosa gli provocava ammirazione e inquietudine insieme.

Non avevano parlato granché. Clint continuava a sospettare che i segreti che la donna custodiva gelosamente sarebbero prima o poi arrivati a schiacciarli come formiche, mentre lei sembrava più che determinata a lasciar da parte le chiacchiere inutili. Il che includeva più o meno qualsiasi cosa. Parlava solo se strettamente necessario, per informarlo di una deviazione o per metterlo in guardia. Ma per quanto il suo istinto gli intimasse di tenere le distanze, la donna esercitava uno strano fascino di lui. All'inizio aveva pensato si trattasse di un complicato inganno per avvincerlo nelle spire delle sue macchinazioni, ma le interazioni che aveva con Natasha erano talmente sporadiche e irrilevanti da farlo desistere da quella convinzione. Se stava cercando di sedurlo, sicuramente non si stava impegnando granché.

Eppure, il silenzio era andato facendosi da scomodo a confortevole. Si era abituato alla sua presenza, al ritmo leggero e impalpabile dei suoi passi, al modo in cui canticchiava a bassa voce quando sembrava dimenticarsi di dove fosse e con chi, nella sua lingua incomprensibile. La coglieva spesso con lo sguardo perso nel vuoto, puntato su un orizzonte lontano e molto probabilmente invisibile, i pensieri immersi in chissà che ricordo. Era malinconica, Natasha, il perché, però, non riusciva neanche ad immaginarlo.

Abbandonò la sacca a terra e ripose accuratamente arco e frecce prima di prendere posto davanti al fuoco.

“Non sembra esserci nessuno nei paraggi,” la informò distrattamente, “se i soldati non decideranno di spostarsi, non dovremmo aver problemi stanotte.”

La donna annuì una sola volta mentre infilzava la lepre per metterla a cuocere. Gli passò l'otre del vino senza dire niente, così come aveva fatto la sera precedente, distesi nel fosso in cui avevano riposato per un paio d'ore prima di riprendere il cammino.

Valutò se ringraziarla, ma finì per tacere – Natasha non aveva l'aria di essere abituata a sentirsi dire grazie tanto spesso. Tutte le (poche) volte che apriva bocca, quello che diceva suonava sempre terribilmente definitivo. Una sentenza dalla quale non avrebbe potuto tornare indietro neanche se avesse voluto.

“Smettila,” gli intimò dopo un lunghissimo attimo.

“Di fare cosa?” Si schermì in risposta, mentre il profumo della carne arrostita gli solleticava le narici.

“Di fissarmi,” puntualizzò lei, sollevando lo sguardo per muovergli una muta accusa.

“Non ti stavo fissando.” Nel momento esatto in cui le parole gli uscirono di bocca, seppe che stava mentendo.

“Lo fai in continuazione,” ci tenne a correggerlo. Raddrizzò le spalle e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, come preparandosi ad affrontarlo o a fargli una sonora ramanzina.

“Ci siamo solo tu ed io quaggiù, che ti aspetti che faccia?” Era passato dal negare l'evidenza a tentare di giustificarsi. Non una bella mossa. Com'è che tutte le volte che imbandivano una discussione, sentiva sempre di aver perso in partenza?

“Se hai qualcosa da chiedere fallo e basta.” Il tono era stizzito e litigioso.

“E tu risponderai,” commentò sarcastico. “Perché sei una specie di libro aperto.”

“Di che diavolo stai parlando?” Gli occhi le si dilatarono appena, accesi di improvvisa indignazione.

“Sei più abbottonata di una cintura di castità,” l'accusò, maledicendosi un attimo dopo per il paragone infelice. Tossicchiò impercettibilmente, deciso a fare di tutto pur di non lasciarsi schiacciare dal suo sguardo. “Quello che intendo è c-”

“Ho capito cosa intendi,” tagliò corto lei – forse voleva mettersi al sicuro dalla prossima similitudine inopportuna. Non la biasimava. “Non ho detto che ti risponderò,” gli fece notare. “Ma se hai qualcosa da chiedere, fallo.”

“Che senso ha chiederti qualcosa se so già che te ne starai zitta?”

“Che senso ha fissarmi con quella faccia da stoccafisso?”

Clint tacque, stringendo con forza le labbra per impedirsi di dire qualcosa di cui si sarebbe sicuramente pentito. Natasha aveva il potere di riportare a galla tutta una serie di atteggiamenti fin troppo spontanei che credeva di aver dimesso una volta per tutte, e invece eccoli che tornavano a tormentarlo. Gli ci erano voluti anni per imbottigliarli per bene sotto strati e strati di buone maniere e adesso una perfetta semisconosciuta arrivava a devastare impietosamente tutto il suo duro lavoro.

Natasha continuò ad osservarlo con aria di sfida e irritazione insieme. Il fuoco le riverberava sul viso luci arancioni e rossastre che le davano un'apparenza sinistra, proprio come la notte in cui l'aveva sorpresa nella casa del tagliaboschi, corpi senza vita disseminati casualmente sul pavimento intorno a lei.

“Va bene,” alzò le mani a mo' di resa. “Chi ti ha insegnato a combattere?”

“A che ti serve sapere chi mi ha insegnato a combattere?”

Gli venne quasi da ridere. Non che non si aspettasse una certa evasività, ma così non c'era gusto.

“Perché, allora?”

“Il mondo è un posto duro, sir Barton,” lo cantilenò in tono odioso. “Una ragazza deve sapersi difendere.”

“Oh no, conosco donne che sanno difendersi, ma nessuna sa fare quello che sai fare tu.”

“Che tu sappia,” obiettò a mezza voce. Eppure, con la scusa di girare la lepre, distolse lo sguardo – un impercettibile segno di debolezza che lo incoraggiò ad insistere.

“Sei stata tu ad uccidere il capitano Rogers?”

Lo scatto con cui rialzò il capo ebbe l'effetto di allarmarlo. Adesso no, non era più arrabbiata, sembrava piuttoso... delusa. Seppe di aver detto una stronzata quando capì che la donna non aveva intenzione di rispondere.

“E' una domanda legittima,” provò a spiegarsi, scivolando di nuovo e irrimediabilmente sulla difensiva. “All'inizio credevo fossi solo un'orfana di passaggio, un tantino strana solo perché da queste parti la gente non può fare a meno di giudicare negativamente tutto ciò che è diverso da loro,” riprese, “tutto ciò che non capiscono. Ma poi...”

“Poi hai scoperto che sono capace di uccidere,” concluse per lui.

“All'occorrenza tutti sono capaci di uccidere,” la smentì. “E' il come sei capace di uccidere. Sei stata addestrata. E se sei un sicario, o una sorta di assassino, allora collegarti all'omicidio di Rogers è...”

“Scontato.”

“Questa cosa del finire le mie frasi è un tantino-”

“Antipatica.” Gli lanciò un'occhiata contrita e placida al tempo stesso.

“Appunto.”

Inspirò a fondo, improvvisamente determinato a starsene zitto. Una parte di lui continuava ad intimargli di alzarsi e andarsene il più rapidamente possibile, ma l'altra... era stupido, ma la donna lo faceva sentire al sicuro. Ricordava di aver provato quella sensazione solo in presenza di un'altra persona prima d'allora: con suo fratello. Non che avesse intenzione di affidarsi ciecamente alle decisioni di Natasha, però sapeva che finché fossero rimasti insieme avrebbe avuto qualcuno su cui contare. Si sorprese nel constatare che la cosa non gli dispiaceva affatto, anche se era una donna, anche se aveva l'aria di essere dieci volte più debole di lui. Sapeva che non lo era, che nel corpo a corpo l'avrebbe battuto ad occhi chiusi. L'unico modo per soggiogarla sarebbe stato accettare di farle del male... male davvero. E non era per niente sicuro che, se fossero arrivati a tanto, sarebbe stato in grado di rinunciare anche al più piccolo briciolo di autocontrollo per liberare l'animale che sentiva in costante agguato in un angolo remoto di sé.

“Non sono stata io ad uccidere Rogers.”

Le parole di Natasha arrivarono inaspettate. Credeva che avrebbe taciuto per provargli chissà che cosa, trincerandosi in un orgoglioso silenzio che avrebbe dovuto dirgli qualcosa di non meglio identificato. Ma, invece, aveva parlato.

La guardò mentre continuava ad occuparsi della loro cena con un'attenzione un tantino spasmodica. Si accorse che era in imbarazzo. Tentava di nasconderlo, ma le sue labbra avevano preso una piega insolita. Si sentì stupido per tutto lo sforzo che gli ci voleva per decifrarla – o per credere di farlo, almeno.

“Va bene,” decretò dopo un istante di silenzio.

“Va bene?” Adesso era il suo turno di essere sorpresa.

Forse si era aspettata un interrogatorio in perfetto stile, una richiesta di spiegazioni, di essere smentita o contraddetta. Clint si strinse nelle spalle.

“Ti credo,” disse semplicemente. Ed era vero, glielo leggeva negli occhi.

Ci fu un mutamento repentino nell'espressione della donna, che durò solo un attimo. Un solo, misero secondo di vulnerabilità che Natasha era riuscita a cancellare in un battito di ciglia. Gli era sembrata riconoscente... grata.

Finse di non essersene accorto e punzecchiò la lepre – ormai ben cotta – con la punta di una delle sue frecce. Lo faceva sentire un inetto, impantanato com'era a raccontarsi cosa lei sentiva e provava solo guardandola in faccia. Con ogni possibilità la stava leggendo al contrario o in controluce, magari si stava inventando tutto, arrivando alle conclusioni che gli davano maggior sollievo. Ma la sensazione non era sgradevole, seppur ambigua, e per quanto avesse voluto dibattersi e liberarsi dalla trappola che poteva avergli preparato, sotto sotto era sicuro che le sarebbe rimasto accanto fino alla fine. O finché le cose non si fossero fatte più chiare. Definite.

Un ululato lontano squarciò il silenzio, interrotto solamente dallo scoppiettare del fuoco all'interno del cerchio di sassi accuratamente disposti in linea circolare dalla donna.

“Ci conviene mangiare in fretta e rimetterci in cammino,” disse, vista e udito ben tesi, quasi fosse riuscita a captare qualcosa nell'intricata oscurità del bosco tutt'intorno.

Si era rifatta pratica e incolore, come tutte le volte che si concentrava in una qualsiasi attività, anche la più stupida – arrostire una lepre per cena, ad esempio.

Si occupò lui di spartire la carne e neanche pensò a mettere in dubbio la sua decisione.

Qualcosa si muoveva, tra gli alberi.

 

***

 

L'erba gli solleticava il mento mentre il vento si stava portando dietro un gran lezzo di letame. Arricciò il naso, ma rimase in allerta, osservando il ciglio della strada sterrata sopra di loro. Erano immobili, distesi a pancia in giù sul pendio erboso che li separava dalla via in alto, da un canale maleodorante in basso.

Fece il grave errore di far vagare lo sguardo in direzione di Natasha. Lo stava fissando con aria infastidita, di rimprovero.

“Ti ho detto che ho visto qualcuno,” ripeté per la terza volta.

Non gli aveva voluto dar retta quando le aveva detto che c'era un gruppo di uomini e carri in avvicinamento. Natasha l'aveva guardato perplessa, occhieggiando alternativamente lui e la strada.

“Non vedo niente,” aveva decretato dopo un lunghissimo attimo.

Clint aveva capito subito che non gli credeva – non per partito preso, ma perché il fondo della via le appariva come un puntino sfocato e nient'altro.

“Sono tre giorni che ti guardi le spalle,” le aveva ricordato. Sapevano che c'era qualcosa che li seguiva... o che almeno andava dalla loro stessa parte.

“Ma non si vede niente. Come ci riesci?” Sembrava volergli credere e allo stesso tempo impedirsi di lasciarsi ingannare in modo tanto plateale.

“Ti fidi o non ti fidi?”

L'aveva costretta a prendere una decisione e alla fine Natasha aveva ceduto, acconsentendo a restare appostati, in attesa. Stavano attraversando una pianura troppo aperta perché si potesse trovare un nascondiglio più avanti lungo la strada – sarebbe stato disagevole. Avevano tacitamente concordato sulla necessità di capire chi stava loro alle costole: cacciatori di taglie o banditi e, in quel caso, avrebbero dovuto fare in modo di toglierli di mezzo... più o meno definitivamente.

Strinse la presa sull'arco che si teneva vicino, schiacciato al terreno.

Natasha aveva una mano nascosta dentro il mantello; era sicuro che stesse impugnando uno dei suoi coltelli, pronta a sfoderarlo in caso di bisogno.

La donna si mosse, risalendo il pendio, rimanendo quatta sul terreno. Gli sembrò sul punto di contestarlo (di nuovo!), quando l'impercettibile rumore di ruote, zoccoli e passi non li raggiunse, dapprima come un'eco lontana e poi sempre più chiaramente.

Natasha strabuzzò leggermente gli occhi, irrigidendosi come un animale che ha appena registrato un imminente pericolo. Ma qualcosa gli suggerì che era sconvolta perché lui aveva ragione e non per il rischio che stavano correndo.

Il suo volto riassorbì rapidamente la sorpresa e si rifece teso e assorto.

“Devono essere una decina,” disse a mezza voce.

“Non mi credi se ti dico che riesco a vedere in fondo alla strada, ma se ti metti a contare la gente solo basandoti sulle vibrazioni del terreno è tutto perfettamente normale?”

“Vibrazioni del terreno?” Domandò perplessa, in un soffio, l'attenzione ancora focalizzata sulla strada sopra di loro.

Allo sferragliare dei carri, si aggiunsero voci sguaiate e risate che scoppiavano a più riprese – i rumori si facevano più limpidi, iniziavano a distinguersi gli uni dagli altri man mano che si avvicinavano. Chiunque fossero si portavano dietro il suono di alcune campanelle, delle corde pizzicate di uno strumento musicale fin troppo stonato.

“Pastori?” Mormorò Natasha, confusa.

“No,” Clint scosse il capo. Quel suono... gli era familiare. “I campanacci non fanno quel rumore.”

E i pastori non sono mai così allegri, avrebbe voluto dirle. Finché una consapevolezza non lo colpì come un fulmine a ciel sereno. Le campanelle, lo strumento musicale, le risate.

“Saltimbanchi,” pronunciò con decisione.

“Zingari?”

“Può darsi.”

“Come fai ad esserne così sicuro?”

“So che rumore fa una carovana itinerante,” disse solamente, evitando di specificare che aveva viaggiato in un seguito simile insieme a suo fratello, che l'aveva fatto a lungo, prima che le cose precipitassero.

Natasha parve volergli muovere qualche altra obiezione, ma finì per restarsene in silenzio. Provò una certa soddisfazione quando si rese conto del rinnovato rispetto che le leggeva nello sguardo... ma non ebbe il tempo di gongolare come avrebbe voluto, perché la sfilata di buffoni stava passando proprio sopra le loro teste. Sarebbe bastato che uno qualsiasi di loro si affacciasse per sorprenderli in quella posizione ridicola.

“Che facciamo?” Le domandò in un soffio, beccandosi un'occhiataccia.

“Li lasciamo passare,” rispose, a malapena udibile.

“Se non altro non ci stavano seguendo,” aggiunse, come impossibilitato a chiudere la bocca una volta per tutte.

“Sta' zitto,” gli intimò, gli occhi accesi di un dispetto improvviso.

“Rilassati, va bene? Perché sei sempre tut-”

Fu un attimo. Gli fu addosso, cercandogli a tastoni le labbra per tappargliele. Si agitò come un'anguilla mentre Natasha si sforzava di farlo stare fermo, immobilizzandolo con una gamba stretta attorno ai fianchi.

La situazione cominciava a farsi ridicola. I palmi delle sue mani erano più morbidi di quanto si aspettasse e sapevano di erba fresca... ma non aveva tempo di perdersi in questioni tanto ridicole. Cercò di spingerla via con la mano libera e la torsione lo spinse a girarsi a pancia all'insù. Ma Natasha teneva duro. Il baccano della carovana coprì gran parte dei suoi patetici tentativi di mugugnare coloriti insulti in direzione della donna. Lasciò perdere l'arco e le afferrò i polsi, cercando di valutare quanta forza avrebbe potuto metterci prima di farle troppo male.

Si sentì un completo coglione. La donna l'aveva sovrastato e gli stava stringendo le cosce e le ginocchia tra le proprie gambe, impedendogli di muoversi se non voleva anche rompersi qualcosa nel processo. Le mani strette sulla sua bocca e gli occhi sgranati e... divertiti?

Clint decise che stava perdendo il lume della ragione. Che lo stavano perdendo tutti e due.

Sembravano due bambini stupidi che si azzuffano senza un valido motivo, solo per il puro gusto di farlo, solo per-

“Ehi, Pat!” Una risata gracchiante fece vibrare l'aria proprio sopra le loro teste.

Alzarono contemporaneamente lo sguardo sull'uomo di media altezza e dalla faccia rubiconda che li stava fissando dal ciglio della strada, il divertimento ben vivido nel sorriso sdentato che andava loro rivolgendo.

“Ci sono due che ruzzano qua sotto!” Rise sguaiatamente, ma in modo allegro, non del tutto sgradevole. Indossava una giamberga lercia ricavata dall'unione di una discreta quantità di toppe dai colori diversi; subito sotto un gilet dall'aria lurida, ben teso sulla protuberanza della pancia. Anche i pantaloni – larghi, a sottili strisce verticali – dovevano aver visto giorni migliori di quelli.

“Non dire sciocchezze!” Esclamò quello che si supponeva essere Pat.

Una faccia allungata, equina, si materializzò di fianco all'ubriacone vestito da Arlecchino, rivolgendo loro un'occhiata prima sospettosa, poi sempre più apertamente divertita. Non fece in tempo a fare alcuna battuta tagliente che una donna arrivò a concludere il terzetto, il seno prosperoso strizzato in un corpetto troppo piccolo, la pelle bianchissima e le guance arrossate. Si portò una mano al petto e si lasciò sfuggire un commosso aww, come se trovasse il tutto estremamente romantico.

“Però dovrebbe essere il contrario, bello mio!” Dichiarò a gran voce l'ubriacone. “Se è la tua donna che ti deve tappare la bocca per stare zitto, c'è qualcosa che non va.”

Scoppiarono a ridere tutti e tre, mentre Clint decideva se essere stati sorpresi a fare sesso nel bel mezzo della mattinata – e per nessun motivo apparente – fosse positivo o negativo.

“Non mi dà molti motivi per essere più vocale.”

Inizialmente aveva creduto che fosse stata la pingue sconosciuta a parlare, ma poi... fu costretto a riabbassare lo sguardo su Natasha, registrando con orrore il sorriso che le aveva teso le labbra. Che aveva intenzione di fare? Cogliere al volo l'occasione e fingere di essere... cosa, esattamente? Due piccioncini incapaci di tener giù le mani l'uno dall'altra?

“Oooooh,” fecero in coro i due uomini.

“Amico mio, qualcosa non va,” convenne faccia-di-cavallo, intrecciando le braccia al petto con aria professionale. “Eppure non è affatto male,” commentò alludendo a Natasha.

“I capelli sono un po' corti,” puntualizzò la donna dai pomelli accesi, con un po' troppo zelo. “Ma altrimenti...”

Natasha aveva lasciato scivolare via le mani dalla sua bocca, permettendogli di prendere ampie boccate d'aria... che gli rammentarono del canale maleodorante proprio sotto di loro. Chi diavolo si mette a ruzzare nei pressi di un fiume di merda? E chi cavolo usava ancora il verbo ruzzare? Erano tutte domande che Clint si stava chiedendo e a cui non riusciva a dare una risposta perché Natasha gli stava ancora cavalcioni sopra e i tre li stavano osservando con aria interessata.

“Perché non venite su a bervi un po' di vino?” Propose l'ubriacone, contento di aver trovato una scusa per riprendere a bere o – più probabilmente – continuare a farlo.

“Forse dovremmo lasciar loro un po' di tempo per... ricomporsi,” suggerì faccia-di-cavallo.

Annuirono tutti e tre, ma rimasero a fissarli come se nessuno avesse detto niente.

“E' un'ottima idea,” concordò Natasha, facendo trasalire il terzetto che si ritirò subito dopo.

Riabbassò lo sguardo su di lui e Clint desiderò che non l'avesse fatto: sembrava del tutto intenzionata a fargliela pagare.

“Grandioso. Hai visto che hai combinato?” Biascicò, togliendoglisi di dosso dopo essersi assicurata che nessuno li stesse osservando.

“Io? Sei stata tu, se ti ricordi.”

“Potevi startene zitto.”

“Potevi smetterla di agitarti,” le fece eco stizzito. “Che hai intenzione di fare?” Si affrettò a chiederle prima che avesse il tempo di rispondere con un altro insulto.

“Recitare. Che altro?”

Si dette dei pizzicotti sulle guance per farle arrossare e poi fece altrettanto con le labbra. Gli ci volle un secondo di troppo per capire che cavolo le passasse per il cervello, ma quando la vide scomporsi i vestiti, assicurarsi che le armi fossero ben nascoste e riarrampicarsi fino alla strada, seppe che non aveva molta altra scelta.

“Oh, cazzo,” imprecò scompigliandosi a sua volta i capelli (come se ce ne fosse stato bisogno).

Raggiunse Natasha in pochi attimi, senza doversi sforzare più di tanto per apparire sconvolto. Lei, invece, aveva messo su un'espressione allegra e imbarazzata che la rendeva un tantino inquietante – forse perché troppo diversa da com'era di solito, oppure perché dannatamente convincente.

Al terzetto si era aggiunto un nutrito gruppo di persone dall'aspetto variopinto che fugarono ogni dubbio sull'identità di quella carovana. Due ragazze magre e identiche si tenevano per mano all'estremità destra del semicerchio che avevano formato; subito accanto una donna gigantesca con una folta barba ad incorniciarle il viso morbido e allegro; lo sguardo di Clint incontrò uno spazio vuoto al suo fianco, ma poi l'abbassò provvidenzialmente e il volto arcigno di un nano baffuto ammiccò in sua direzione (o più precisamente in direzione di Natasha); fu poi la volta di un grosso omone dalla barba nerissima, lucida, lunga e appuntita, cui facevano pendant un paio di foltissimi baffoni attentamente curati, con le punte arricciate all'insù. Capì allora che l'ubriacone-Arlecchino doveva essere una sorta di pagliaccio, faccia-di-cavallo il direttore della compagnia, e la fanciulla dai pomelli rossi... magari si prendeva cura di tutto il gruppo.

Ripensò a Misty, la signora che aveva mansioni simili nella comitiva di saltimbanchi in cui Clint e Barney erano stati accolti. Era una donna dai modi bruschi e gentili allo stesso tempo, avrebbe consolato se ce ne fosse stato bisogno, ma brevemente – non tollerava che si tenesse il muso per più di un minuto e si aspettava che la sua voce avesse l'effetto di un balsamo miracoloso sulle paturnie altrui. Spesso era così, altre invece... Chissà che fine aveva fatto. Magari era morta durante l'incendio, forse non era riuscita a fuggire o aveva tentato di aiutare gli altri senza riuscirci. Un dolore acuto lo colpì al petto come una stilettata gelida. Si sforzò, in fretta e furia, di scacciare dalla mente quei ricordi funesti, le immagini aranciate del campo in inghiottito dalla fiamme, il calore così spesso e intenso da soffocarlo...

Prese un'ampia boccata d'aria come per darsi un tono.

“Allora,” il direttore equino batté le mani l'una sull'altra e se le sfregò delicatamente. Aveva un che di terribilmente viscido, adesso che lo vedeva da vicino. “Che ci fanno da queste parti due giovani innamorati come voi?”

Clint si voltò istintivamente verso Natasha, che per tutta risposta gli afferrò una mano con la propria, stringendogli l'altra al braccio mentre gli si faceva vicina, quasi in cerca di protezione. Stava recitando. Comprese, solo guardandola in faccia, che non avrebbe parlato, che avrebbe interpretato il ruolo della fanciulla spaesata; di conseguenza, le spiegazioni toccavano a lui. Sarebbe stato inconcepibile il contrario, agli occhi di quella gente.

Una vocina nel retro della sua testa gli suggerì di riflettere su quanto fossero calcolate le mosse di Natasha. Se riusciva a mentire in modo tanto plateale e convincente, se poteva essere chiunque voleva in qualsiasi momento voleva, allora era più pericolosa di quanto avesse creduto. Sotto sotto sapeva di fidarsi di lei, ma non era più tanto convinto che fosse una buona idea. Si era sempre ritenuto piuttosto bravo nel decifrare le persone, ma Natasha gli sfuggiva continuamente. Non sembrava essere mai la stessa cosa troppo a lungo e, quando era sicuro di aver bloccato almeno un paio di punti fermi che la riguardavano, quelli si scioglievano come neve al sole, lasciandolo imbambolato davanti a quella donna che si custodiva tanto gelosamente.

“Ci siamo appena sposati,” bofonchiò, risvegliandosi di colpo dalle sue elucubrazioni per tornare a fronteggiare la compagnia.

Sorrise un po' stentatamente quando le sue parole ottennero degli ooooh e aaaah e risate di varia intensità in risposta (erano due novelli sposini: ovviamente non riuscivano a tenere le mani a posto).

“All'amore giovane!” Esclamò l'Arlecchino ubriacone, lanciandone un brindisi che non condivise con nessuno perché l'unico armato di fiasco era lui. La cosa, poco sorprendentemente, non lo turbò affatto né lo destò dai propri alcolici propositi.

“Quindi siete in una sorta di viaggio di nozze?” Si informò il direttore.

“I viaggi di nozze sono solo per i culoni ricchi, Pat!” Gracchiò il nano, che sottolineò la sua avversione per i culoni sputando un grumo vischioso e giallognolo a terra.

“Modera i termini, Maurice,” lo redarguì mellifluamente l'uomo. “Magari i nostri amici qui appartengono alla categoria.”

“Puzzerebbero di più se fossero dei ricchi,” intervenne una delle due gemelle, la voce talmente squillante da farlo sobbalzare appena.

“E' vero,” convenne la donna barbuta. “Si portano sempre appresso odore di lavanda, rosa, mughetto e piscio.”

“Io sento solo una gran puzza di merda,” disse Clint con aria allucinata.

Scoppiarono tutti a ridere, compresa Natasha, che ne approfittò per stringersi maggiormente a lui.

“Il tipo mi piace!” Annunciò a tutti il pagliaccio, ancora accoccolato contro il suo fiasco.

“Dove siete diretti?” Domandò loro la fanciulla dai pomelli rossi, sempre vistosamente intenerita dalla fasulla storiella dei due sposini in trasferta.

“Da uno zio al nord,” la bugia gli venne automatica. “Le nostre famiglie non hanno benedetto la nostra unione, ma so che mio zio può aiutarci.”

Si chiese da dove diavolo gli fosse uscito il non hanno benedetto la nostra unione, ma provò un brivido di disgusto e per un attimo si immaginò nel salotto di villa Coulson in compagnia di lady Jemma intento a parlare del più e del meno con nobili squattrinati arrivati dai quattro angoli del regno per assistere al disastro del suo matrimonio. Avrebbe dovuto dire cose simili? Fingere di essere uno di loro? Usare tutti i termini e le espressioni del caso?

“Siete veramente teneri,” si lasciò sfuggire la donna, congiungendo le piccole mani bianche sotto il mento.

Clint sorrise, a disagio, ripensando al modo in cui si erano accapigliati perché lui se ne stesse zitto. O a tutte le volte che Natasha lo insultava con lo sguardo; quelle in cui lui la prendeva mentalmente a male parole. Oppure quando lo facevano a voce alta: se intavolavano una qualsiasi discussione si dava di solito al massimo un minuto e mezzo prima che degenerasse. Fortunatamente erano abituati a litigare in assoluto silenzio – il che rendeva il tutto ancora più frustrante, ma se non altro non segnalava la loro posizione ai malintenzionati.

“Anche noi stiamo andando da quelle parti. Siete invitati a proseguire con noi,” sentenziò il pagliaccio, accogliendo l'approvazione di tutti, in particolar modo delle donne.

L'unico che non disse niente fu l'uomo gigantesco, mentre il direttore lanciò un'occhiataccia in direzione dell'ubriacone, trattenendo a stento la rabbia per non essere stato interpellato dato che era lui quello che avrebbe dovuto prendere le decisioni per tutti. Clint riuscì a vedere il viso che si deformava sotto la pelle grigiognola, tirata. Ma durò solo un attimo, l'uomo tornò a sorridere amichevolmente in pochi secondi.

“Ci fareste un grandissimo onore,” snocciolò infine.

“Siamo un po' rumorosi, ma ci facciamo voler bene,” tentò di convincerli la donna barbuta.

“Oh vi prego, vi prego, vi prego,” insisté una delle due gemelle, dopo che la sorella le aveva sussurrato qualcosa all'orecchio.

Un silenzio fastidioso si stese nell'aria, interrotto solo dagli sbuffi del vento. Il tanfo stava diventando insopportabile e tutto quello che Clint voleva fare era allontanarsi il più rapidamente possibile dal canale. Natasha era immobile e non dava alcun segno di voler intervenire, la decisione spettava a lui, e a lui soltanto.

“Perché no?” La voce gli uscì leggermente stonata sul finale, ma nessuno se ne accorse perché il gruppetto scoppiò in grida di giubilo che gli parvero un tantino esagerate per l'occasione. Magari avevano davvero voglia di incontrare gente nuova.

“Diamoci una mossa.” Le parole sembravano essere rimbombate dal fondo di una caverna. A pronunciarle era stato il Mangiafuoco, rimasto in silenzio fino a quel momento. Scoccò loro un'occhiata ostile prima di tornare a quella che doveva essere la sua postazione nella carovana.

“Scusatelo,” biascicò l'ubriacone tra un singhiozzo e l'altro. “E' un po' lunatico... se capite che intendo.” Si portò un dito alla guancia, ma Clint suppose che avesse voluto mirare alla tempia per segnalare la follia del compagno di viaggio, mancando clamorosamente il colpo.

“Rimettiamoci in cammino,” dichiarò il direttore, anche se tutto il gruppo aveva già cominciato ad attivarsi per ripartire sotto il perentorio suggerimento del Mangiafuoco.

Nel caos che ne seguì Clint fu invitato a sedersi al posto di guida di uno dei carretti, di fianco al pagliaccio alcolizzato che continuava a tracannare vino e straparlare di tutto un po'. Mentre sperava ardentemente di sopravvivere al viaggio – ovunque fossero diretti – cercò Natasha con la coda dell'occhio. La intercettò nel momento in cui stava salendo sul retro del carro coperto condotto dal nano; indovinò che si trattava della vettura destinata alle donne. Una risatina allegra l'accompagnò fino a un momento prima che svanisse dalla sua visuale.

Tornò a guardare avanti a sé la strada polverosa che si srotolava loro davanti come un nastro logoro e malmesso, chiedendosi se avesse preso la decisione giusta.

Quanto male sarebbe potuta andare, dopotutto?





Note: bè le domande retoriche di solito hanno risposte scontate, ma vi lascerò prospettare quel che più vi piace :P il viaggio del nostro duo preferito è cominciato e la convivenza non è esattamente pacifica. Clint continua a fidarsi e non fidarsi, e Natasha si scuce a malapena. Quel che è certo è che idee migliori, il nostro arciere ancora non ne ha. L'apparizione dei saltimbanchi (che continuerà nel prossimo capitolo) serve a mettere in luce alcuni eventi del passato di Clint qui accennati, ma che saranno affrontati più ampiamente più avanti.
E adesso smetto di blaterare :P grazie a chi legge e recensisce e ovviamente alla sociabeta Eli <3
Alla prossima settimana! 
(◡‿◡✿)
  
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