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Autore: CallMeSana    23/09/2015    1 recensioni
Mamma, ho vissuto con te per più di diciannove anni, ma poi ho conosciuto il Dottore e tutte le cose che gli ho visto fare per me, per te, per tutti noi, per questo stupido pianeta e per tutti i pianeti là fuori... lui le ha fatte da solo, mamma, ma ora non più, perché lui ora ha me.
Storia partecipante al fest "To be loved and to be in love"
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tipologia di storia: Minilong

AU scelto: Doctor Who!AU -  Louis Tomlinson lavora come commesso da Toys R Us e si trova a dover affrontare un cyber uomo nascosto tra i robot della partita appena arrivata da Londra. Quando pensa di essere ormai spacciato, una cabina blu della polizia si materializza al centro del negozio e da lì esce uno strano tipo con un cappotto lungo fino a piedi e dei logori stivali marroni che dice di chiamarsi il Dottore (ma che lui può chiamarlo Harry Styles).

Punti extra, ovvero side-pairing o fan art realizzata: banner

Avvertimenti e note: Salve! Note iniziali doverose, quindi niente note finali, per ora.
Innanzitutto volevo ringraziare Sara e le sue compari per aver organizzato questo fest, ma anche per aver inserito questa AU nell'elenco. Chi segue il telefilm saprà perfettamente quanta sofferenza lasci addosso, quindi potrà immaginare quanto sia difficile scriverne. Ecco perché spero di aver fatto del mio meglio, sebbene sia impossibile, di non deludere le aspettative di chi leggerà conoscendo di cosa sto parlando e di non annoiare chi, invece, non ne ha la più pallida idea.
Per chi ne sa, mi scuso in anticipo per eventuali omissioni, aggiunte, salti temporali e mix tra i vari Dottori, ma era tutto necessario.
Questa è solo la prima parte, sto scrivendo la seconda che spero di pubblicare presto, magari prima di partire per Londra, chi può dirlo, intanto enjoy e non odiatemi troppo! ;)







Cardiff è sempre stata una cittadina tranquilla, forse mi ha trasmesso la sua quiete.
Infatti non è caotica, la popolazione è cordiale e, da quando lavoro da Toys R Us, essere riconosciuto da tutti per strada è diventato normale.
Il mio ragazzo, Aiden, non perde occasione per venirmi a prendere quando finisco il mio turno e portarmi in tutti quei posti della città che amo di più, come le grandi fontane o il parco cittadino.
Vivo solo con mia madre, da quando mio padre è morto, ma siamo felici, non abbiamo mai dato colpe al pirata della strada che lo aveva investito e ce lo aveva portato via.
Siamo felici, davvero, eppure da un po' di tempo sento come se mi mancasse qualcosa.
Ho già diciannove anni e la mia vita, fino a questo momento, non è stata affatto esaltante. 
Alle volte mi sembra come se non stessi effettivamente vivendo.




La sveglia suona, come ogni mattina, alle sette e mezza in punto, apro gli occhi lentamente e sento già mia madre blaterare dalla cucina sul fatto che dovrei cambiare occupazione. Io non le rispondo mai, faccio colazione di fretta e furia ed esco.
Aiden mi ha già inviato una decina di messaggi in cui mi prende in giro e mi dice che mi aspetta alla nostra fontana per mangiare insieme. E' da un po' di tempo che me lo chiedo, ma come sia finito con uno come lui proprio non riesco a capirlo. E' anche triste, lo ammetto.
E' una giornata come tutte le altre al negozio, a parte per il fatto che oggi è in arrivo una nuova partita di robot da Londra e spetterà a me catalogarli. Straordinari non pagati, perfetto.

"Tomlinson, pensa tu ad informare il portiere di quando andrai via, va bene?"
Annuisco e mi rassegno a passare ben tre ore come minimo da solo nel negozio. Devo ammettere che un po' di ansia addosso la sento, quando succede.

Scendo nel magazzino dove sono stati portati gli scatoloni e comincio a catalogarli per dimensioni, per smistarli nei vari reparti. Mi accorgo praticamente subito che ce n'è uno in più rispetto ai cinquanta previsti. Non cambiava niente, avrei comunque dovuto controllarli tutti, prima di archiviarli. Non era compito mio metterli, poi, in esposizione.

Passano quasi due ore, sento i rintocchi dell'orrendo orologio a pendolo che Wilson si ostina a tenere nel seminterrato e ho praticamente quasi finito, quando sento degli strani rumori.
"Wilson, sei tu?" provo a dire, sentendomi stupido, consapevole di essere completamente solo. Wilson, se c'è, è nel seminterrato, appunto, ma probabilmente sarà da qualche altra parte ad ubriacarsi perché questa mattina ha vinto al lotto.
Ovviamente non risponde nessuno e io mi sposto verso quello strano scatolone in più e mi sento afferrare alla gola da qualcosa. Non è nemmeno la forza con cui mi stringe, ma il fatto che provenga dalla scatola a spaventarmi.
"Sei difettoso, diventerai uno di noi" sento dire da questo essere metallico che, man mano, si fa strada dallo scatolone che lo bloccava e mi si avvicina sempre più.
"Quello difettoso sei tu, non mi sembri un giocattolo per bambini!" E infatti non lo è, ha vita propria e io continuo a pensare, forse per autoconvincermi, che sia solo un pessimo scherzo di Wilson, del resto non ha mai potuto sopportarmi.
"Cancellare, cancellare" ripete, e il fiato mi si fa corto. Mi solleva da terra e sento che sto per svenire quando un'improvvisa corrente invade la stanza e uno strano rumore quasi mi assorda. Forse è stato quello a farmi tenere ancora gli occhi aperti, o forse sono già morto perché non è possibile che una cabina telefonica si sia materializzata nel bel mezzo del negozio in cui lavoro.

"Corri" sento dire da un essere che non mi dà il tempo di farsi guardare che mi ha preso per mano e mi sta trascinando via. Riusciamo ad entrare in ascensore mentre lo vedo tirar fuori dalla tasca del suo lungo cappotto un aggeggio strano che emette uno lungo suono metallico. Resto un po' basito, e non sono certo di essermi ripreso dallo choc quando si volta verso di me e, sorridendo, mi dice "io sono il Dottore, posso sapere il tuo nome?"
"Louis Tomlinson" gli dico balbettando. Che diavolo avrà da sorridere tanto?
"Piacere di conoscerti, Louis Tomlinson, mettiti in salvo, vai a mangiare il tuo toast al formaggio." E come fa a saperlo?

Siamo ancora nell'ascensore, porte chiuse, mentre questo tizio strano, con quel lungo cappotto e gli stivali marroni è intento ad armeggiare verso i comandi.
"Che cos'era quello, è opera tua?" Gli chiedo, visibilmente agitato. Odio già questo suo atteggiamento supponente.
"Oh no, ho fatto tante cose di cui non vado fiero, ma non potrei mai essere così crudele!" E parla continuando a darmi le spalle. Irritante.
"E allora dimmi almeno cos'era, e che cosa vuole da me!" 
Finalmente si volta, e finalmente si lascia osservare. Sembra avere la mia età, forse un paio d'anni in più, e ha i capelli ricci e lunghi, occhi verdi e labbra carnose. Se non fosse che è vestito come un signore di quarant'anni minimo, avrei dubbi sul fatto che sia un ragazzo, esattamente come me.
"Da te niente, in particolare, ma da questo mondo... è troppo allettante per tutti. Vuole distruggerlo, sostituirsi insieme ai suoi simili alla razza umana e... perché quella faccia, non mi credi, vero?" In effetti avevo smesso di ascoltarlo dopo la prima frase.
"Beh, allora non ti dirò che quello era un cyber uomo" decide di continuare, "che prima era un essere umano come tutti voi e che adesso è solo una macchina priva di emozioni. Non te lo dirò perché tanto tu non mi crederai, dico bene?" Riprende fiato e mi guarda, perché stavolta l'ho ascoltato bene, molto bene.
"Che vuol dire come tutti voi? Cosa sei tu, un alieno?" provo a chiedere, noncurante, ormai, di essere bloccato in un ascensore con un probabile psicopatico. Ma lui non risponde, la porta si apre e non siamo più nel magazzino, siamo davanti all'entrata del negozio. La cabina telefonica che credevo di aver sognato proprio a pochi metri da noi.
"Il portiere deve essere scappato via. Mpff, umani, che dilettanti!" Mi guardo intorno ed in effetti la porta d'ingresso è socchiusa e io sento che sto perdendo la forza nelle gambe. 
"Dottore..." inizio.
"Chiamami Harry, ma non adesso, sto lavorando." Ma l'unica cosa che vedo io è di nuovo quello strano aggeggio che si illumina ed emette strani suoni.
"Non lo guardare in quel modo, è un cacciavite sonico sensibile!" mi dice, beccandomi a fissarlo come un ebete.
"Un... cosa?" E di nuovo apre le braccia scocciato.
"Un cacciavite sonico, la mia arma, la mia salvezza. Purtroppo, ahime, non può nulla solo contro il legno, cosa che oggi non ci riguarda."
Sono perplesso, troppe informazioni, o forse sono proprio morto e sto sognando.
"Dove sarà quel coso?" chiedo spaventato, perché che cavolo ci facciamo ancora qui?
"Corri, Louis, mettiti in salvo, ho detto!" Ma io... non volevo lasciarlo, mi sentivo in debito, in fondo mi aveva salvato la vita.
"Dove hai intenzione di andare?" domando, aggrappandomi al suo braccio. Lui che non reagisce e mi guarda quasi sorpreso, come se non lo toccasse nessuno da tanto, troppo tempo.
"A disattivare il suo nucleo prima che sia troppo tardi. Potrei morire nel tentativo, ma non preoccuparti per me." E' serio?
"Non voglio lasciarti!" 
E pensare che proprio questa mattina mi stavo lamentando della mia vita monotona ed insignificante!

Mi chiude fuori dal negozio e non riesco più a rientrare, deve averlo bloccato con quell'assurdo cacciavite. Lo vedo allontanarsi e voltarsi a sorridermi prima di sparire. Mi viene un groppo in gola e mi sento così impotente che mi scende una lacrima. La asciugo e comprendo che non posso fare altro che tornare a casa, prima che mia madre cominci a darmi per disperso.
E' in quel momento che lo vedo, un gran bagliore provenire dalle mie spalle, e poi l'esplosione.
Vengo sbalzato a terra ma riesco a fare in tempo a coprirmi il volto con le mani per evitare di spaccarmi la faccia e sbatto le palpebre più volte. Sto bene. Sto bene.
Il negozio in cui lavoro è saltato in aria e il Dottore... Harry... probabilmente è rimasto all'interno.
Adesso sì che non saprò mai se ho immaginato tutto.
Adesso sì che non saprò chi ringraziare per essere ancora vivo.




Mia madre mi tormenta da quando sono rientrato a casa quella sera. 
"Dovresti chiedere un risarcimento, ho un'amica che l'ha fatto, quando l'anno scorso è stata licenziata senza motivo. Tu hai perso il lavoro rischiando di morire, un risarcimento è il minimo che ti spetta!"
La verità è che a lei non importa molto di come io stia, le importa solo avere l'ennesima occasione per racimolare qualche spicciolo, perché non navighiamo nell'oro e, anche se non sembra, ci tiene a che io abbia tutto quello di cui ho bisogno. 
Per questo avevo cercato disperatamente un lavoro, non aveva importanza nemmeno dove o che mansione, l'importante era guadagnare abbastanza da non gravare troppo su di lei.
Ora, quindi, sono punto e a capo. Avrei dovuto cercarne un altro e avrei dovuto trovarlo in fretta, altrimenti non avrei resistito a lungo all'istinto di imbavagliarla.

"Stanno bussando, vai tu ad aprire?" mi dice all'improvviso, mentre sto seduto sul divano nel tentativo di contattare Aiden. Sbuffo e mi alzo perché continua a rispondermi la segreteria telefonica e non ho voglia di innervosirmi. Voglio dire, sono io quello scampato ad un incendio e che dovrebbe essere chiamato, non il contrario!
In realtà non mi ero nemmeno accorto che stessero bussando, ma mi dirigo comunque alla porta, titubante, perché non sento più nulla, finché non la spalanco e lo vedo.
"E tu che ci fai qui?" mi chiede, piazzandomi in faccia quell'assurdo aggeggio. Come l'aveva chiamato? Ha gli stessi abiti di quell'assurda sera, senza alcun tipo di bruciatura, e mi chiedo come sia possibile. O forse non c'è nulla di strano e ne possiede una collezione.
"Ci abito" gli rispondo, un po' sorpreso. Morivo dalla voglia di sfiorarlo per capire se era reale. Lui, di rimando, mi guarda perplesso e forse anche un po' deluso.
"Perché abiti qui?" insiste.
"Ma che stai dicendo?" Vorrei tanto capirlo.
"Non sei di metallo, è evidente, c'è qualche problema." E mi punta di nuovo contro quel... cacciavite sonico! L'ho ricordato!
Dopodiché entra in casa come se nulla fosse e ve lo dico col cuore: mai entrare in casa di una madre single, ancora nel fiore degli anni, soprattutto se è ancora in vestaglia!

Mia madre ha perso mio padre quando io ero ancora un neonato, non si è mai risposata, ma non ha mai perso interesse verso l'altro sesso, quindi quando ha incrociato... Harry sì, è questo il suo nome, ha subito iniziato a flirtare con lui. In maniera piuttosto imbarazzante, anche.
"Scusi, ma non ho tempo da perdere, signora" lo sento dirle, mentre io aspetto che si decida ad informarmi del motivo per cui è piombato a casa mia.
"Dottore!" lo richiamo, alterato.
"Harry" mi ricorda lui, abbassando leggermente il capo "non mi chiama più nessuno in quel modo, quindi per favore, almeno tu fallo. Per me, va bene?"
"Sì ok, Harry" sbuffo sbattendo le braccia "che cosa vuoi da me?"
"Oh io niente, è stato il TARDIS a guidarmi qui, ma devo aver inserito male le coordinate, non c'è traccia di alieni" mi dice, mentre continua a fissare tutto ciò che lo circonda, suppellettili compresi, puntando contro tutto quel rumorosissimo aggeggio.
"Cosa?" sto sicuramente sognando di nuovo, non è possibile tutto questo.
"Il TARDIS - Tempo E Relativa Dimensione Nello Spazio - la mia nave, la mia macchina del tempo. In pratica, la cabina telefonica che hai visto l'altra volta." E sorride come se nulla fosse, come se non mi avesse detto una serie di cose, per me, inaccettabili.
"E' con lei che viaggio" continua "è grazie a lei se siamo sopravvissuti a quell'incendio. Purtroppo non sono riuscito ad eliminare quel mostro che ci inseguiva e probabilmente adesso avrà radunato il suo esercito, ecco perché sono finito qui. Credevo di averli trovati, ma mi sbagliavo, quindi adesso sono confuso quanto te."
Continuo ad ascoltarlo cercando di dare un senso logico a tutto quello che mi ha vomitato addosso, ma non ne ho il tempo perché, proprio in quel momento, Aiden piomba in casa e corre ad abbracciarmi. Avevo dimenticato la porta aperta, evidentemente.

"Ehi, tesoro, scusa se non sono venuto prima, ma tua madre non ha voluto" mi dice, mentre quasi mi strozza e io non voglio altro che si stacchi. Come sarebbe non ha voluto?
"Sto bene" gli dico, ma mia madre si intromette, ancora una volta, con la storia del risarcimento. E' insopportabile, ma la adoro.
"Sei sicuro? Sei vivo per miracolo, che diavolo ci facevi lì a quell'ora?"
Mi riempie di domande mentre mi accarezza il viso, ma io noto subito un altro paio d'occhi puntati su di me.
"Tolgo il disturbo" mi annuncia il Dottore, sbucato da chissà quale angolo, mentre mia madre lo guarda, ancora indispettita per essere stata rifiutata, e Aiden si trasforma in un enorme punto interrogativo.
"E quello chi è?" chiede, mentre Harry si avvicina, gli punta il cacciavite addosso e poi passa oltre in cerca della porta per uscire.
Non rispondo alla domanda di Aiden, anche perché in fondo una vera risposta non ce l'ho, ma corro dietro a quell'individuo in cerca di maggiori informazioni.
Lo vedo che cammina fiero e a passo svelto verso la sua cabina blu, parcheggiata all'angolo della strada. Sembra assurdo come nessuno ci abbia fatto caso, siamo nel 2005, quelle cabine non si usano più da decenni. Lo vedo e aumento il passo per raggiungerlo, non gli permetterò di scivolare via così dalla mia vita. Non senza avermi detto tutto quello che merito di sapere.
Lui si accorge di me, si volta appena a guardarmi, sorride ma non ferma la sua marcia. Questo mi indispettisce.
"Chi altro sa questa storia?" gli chiedo, per attirare l'attenzione.
"Quale storia?" risponde lui, con un'altra domanda, ormai a due passi da quella cabina.
"Lo sai quale. Cyber uomini, invasioni aliene, chi altro lo sa?"
Lui fa spallucce, come se la risposta fosse ovvia e "nessuno" mi dice, facendomi bloccare sui miei passi. Chiaro, vero?
"Vuol dire che la affronti da solo?" continuo, sinceramente interessato. O preoccupato?
"Ovvio, voi siete troppo occupati a mangiare patatine e guardare la tv senza immaginare che c'è una guerra in corso!" E sogghigna, quasi infastidito. Da un lato posso capirlo, dall'altro... di che diavolo stiamo parlando?
"Ora scusami, ma devo andarmene di qui, cancellare ogni traccia del mio passaggio e..."
"Io non voglio dimenticare!"
L'ho interrotto. Così, senza pensarci. E lui adesso mi sta guardando e forse, per la prima volta, non sa davvero cosa fare o dire.
"Oh tu saresti stato comunque immune!" 
Cosa?
"Addio, Louis Tomlinson. O forse no." Agita una mano al cielo, poi ripone nella tasca del suo cappotto il cacciavite, apre le porte di quella cabina e sparisce via con essa lasciandomi solo di nuovo, col vento che mi scompiglia i capelli.




Sono ancora fermo nello stesso punto, forse ci sono rimasto per qualche minuto, prima di ricordarmi che ho lasciato Aiden in balia di mia madre e della sua isteria.
Torno a casa, dove lo trovo seduto sul divano con la faccia affranta mentre mia madre continua ad imbottirlo di chiacchiere. Da quel che le sento dire, sembra saperne molto più di me sul Dottore, ma è ovvio che non è così.
"Ero venuto a prenderti per uscire un po', ti farà bene stare all'aperto, e poi ero preoccupato da morire" comincia, appena mi vede spuntare dall'ingresso del salotto. Potrei giurare che sia quasi saltato in piedi.
"Ho detto che sto benissimo, e l'ultima cosa che mi va di fare è uscire. Io... vorrei mi lasciassi solo, Aiden." E lo vedo, oh lo noto subito il suo cambio di espressione. Inconsciamente sa, sa che è successo qualcosa che non riesco a condividere con lui, e io, a mia volta, so che non gli fa piacere. Ci siamo sempre confidati tutto, io e lui, la nostra storia è iniziata da un bel rapporto tra fratelli, un rapporto che è sempre stato molto profondo, e ora... ora non riesco a dirgli la verità.
Perché, alla fine, neanche io saprei come farlo.
Mia madre smette di parlare e ci lascia soli nel momento in cui mi sente pronunciare le mie ultime parole, e sbuffa un po'. Aiden mi guarda, mi accarezza piano il viso e, accennando un lieve "ok", mi dà un bacio e se ne va.
Non ho provato niente, se non gioia nel vederlo sparire, mentre finalmente posso fiondarmi al computer e fare qualche ricerca.
Non ho idea di come iniziare. Conosco il suo nome, ma potrebbe anche avermene dato uno falso, so che ha una macchina del tempo e che è un Dottore e... mi rendo conto che è improbabile che possa trovare informazioni.
Eppure, ad un certo punto, qualcosa appare su quel maledetto schermo. Immagini sfocate, risalenti a varie epoche storiche, ritraenti lo stesso uomo, lo stesso volto, un volto che conosco, con una unica dicitura: DOTTORE CHI?




"Mi spieghi cosa ci facciamo qui?"
Aiden è giustamente adirato, dal momento che l'ho tirato giù dal letto e, senza spiegargli il motivo, gli ho letteralmente ordinato di accompagnarmi a casa di un certo Clive.
"Devo parlare con una persona" gli rispondo, mantenendo la calma. In realtà sono agitatissimo, e se quel tizio fosse stato solo uno psicopatico?
"Ed era proprio necessario ti accompagnassi? Non potevi prendere il treno?" 
Adesso sono io quello adirato. Eppure un po' lo capisco.
"Ultimamente non hai fatto altro che lamentarti del fatto che fossi distratto, decido di passare più tempo possibile con te, e questo è il ringraziamento? Adesso stai calmo, aspettami qui, mentre entro a parlare con quel tizio."
Lui mi tira a sé per un braccio intimandomi di non andare, ma io gli dò un bacio distaccato e scendo dall'auto. 
Qualche secondo dopo sono davanti alla porta della casa di Clive. Molto ordinaria, non c'è che dire. Busso e, quasi subito, un ragazzino mi apre.
"Papà, c'è uno che ti cerca" urla improvvisamente e... come fa a saperlo?
"Louis, sei tu? Bene arrivato, non pensavo avresti davvero intrapreso un viaggio fin qui, accomodati pure! Sei solo?"
Clive è un uomo di non meno di cinquant'anni, un po' molto in carne ma perfettamente tranquillo, quando varco la soglia di casa mi imbatto persino in una donna che dice di essere sua moglie, quindi decido che forse no, non è un maniaco.
"No, il mio ragazzo mi sta aspettando in auto" gli dico, intanto che lui mi fa strada verso una specie di sottoscala dove tiene un vero e proprio archivio sul Dottore: foto, articoli di giornale, pezzi di metallo che lui asserisce appartengano a strane creature provenienti da altre dimensioni. Io mi lascio imbottire da una marea infinita di storie secondo le quali quel tipo col cappotto lungo avrebbe circa mille anni e non invecchierebbe mai. Non avrei dovuto scioccarmene troppo, considerando che l'ho visto coi miei occhi sparire insieme ad una cabina blu, invece non riesco a crederci e, profondamente deluso e arrabbiato, esco da quella casa.
Non so nemmeno il motivo, non è che sia andato fin lì per sentirmi dire qualcosa di diverso, eppure mi aveva dato fastidio lo stesso.

"Avevi proprio ragione, quel tipo era uno svitato, mi dispiace di aver fatto sprecare questa giornata anche a te" dico ad Aiden, una volta montato in auto. Lui non risponde, continua a fissare la strada, allora penso ce l'abbia ancora con me, quindi gli propongo una pizza al volo per farmi perdonare.
"Pizza... pizza... amo la pizza" mormora, e io lo trovo un po' strano, ma cerco di non farci caso, finché non arriviamo alla pizzeria più vicina e comincia a riempirmi di domande su Harry.
Non capisco questo suo eccessivo interessamento, tanto più che, ora che ho parlato con quel Clive, sono ancora più confuso di prima, eppure insiste, ed è strano, il suo sguardo è strano. 
Anche il suo volto è strano, tutto di lui è strano. Mi ritraggo, quando mi prende una mano, ma lui me la riafferra facendomi anche un po' male.
"Aiden, ma che cos'hai?" chiedo spaventato.
"Il Dottore... devi portarmi dal Dottore... solo Louis Tomlinson può farlo."
Ha una voce metallica, vorrei alzarmi e scappare via, perché quello non è Aiden e dio solo sa cosa possa essergli successo, ma non riesco, mi ha bloccato da entrambe le braccia.
"Champagne?" sento dire alle mie spalle e no, non è possibile. Sto sognando.
"Non vogliamo champagne... il Dottore... vogliamo il Dottore" dice Aiden o chi per lui, mentre mi volto e non posso fare a meno di sorridere.
"Mi hai trovato" dice Harry, puntando addosso a quell'essere il suo cacciavite sonico. 
Riesco a liberarmi da quelle mani mentre il Dottore mi afferra e, di nuovo, come la prima volta, mi dice di correre. Aiden (o chi per lui) resta svenuto a terra.

"Quello era il mio ragazzo" cerco di fargli notare, mentre finalmente ci fermiamo a qualche centinaio di metri di distanza dalla pizzeria.
"Il tuo ragazzo non è mai stato lì con te, è ancora di fronte a casa del povero Clive... a proposito, come ti è venuto in mente di andare lì?" 
Si sistema il cappotto, distoglie dagli occhi un ciuffo ribelle, si guarda intorno con sguardo indagatore, e io divento tutto rosso per la vergogna.
"Mi stavi spiando, per caso? Credevo fossi andato via per sempre!" Sbotto e non me ne importa nemmeno un po'. Come si permette di entrare così nella mia vita e sconvolgermela come se fosse quasi un obbligo, per lui?
"Il per sempre è molto relativo, per quelli come me." La sua espressione cambia radicalmente mentre lo dice, e io sento un nodo allo stomaco che mi opprime a guardarlo. Non so il motivo, ma sento anche che sono legato a questa persona, in qualche modo, e che non voglio rompere questo legame.
"Andiamo a prendere Aiden, allora" dico, per cambiare discorso, e lui accenna un sorriso quando, poco dopo, mi indica il mio ragazzo svenuto ad un angolo di strada deserto.
Mi precipito da lui e, cullandolo tra le mie braccia, riesco a farlo risvegliare. Lui mi guarda non capendo bene cosa sia successo e io gli chiedo scusa continuamente, mentre gli dò un paio di baci sulla fronte e sulle guance e gli dico che è meglio tornare a casa.
Ho dimenticato la presenza di Harry, in quegli attimi.
Harry che mi sta guardando, mentre aiuto Aiden a rialzarsi e lo accompagno alla sua auto.
"Va bene, allora io ti saluto, a meno che tu non voglia venire con me, che ne dici?" mi chiede, noncurante delle sue stesse parole. Come se mi avesse chiesto di andare a fare una tranquilla gita, magari in campagna.
"Non dargli retta, è un alieno come quella cosa che mi ha risucchiato l'anima prima" interviene Aiden, come c'era da aspettarsi.
"Tu non sei invitato" gli risponde, però, Harry, cambiando tono di voce. Prima era stato così dolce. 
"Allora, che ne dici?" continua, "Puoi restare qui a riempirti di lavoro, di cibo e di sonno, oppure puoi andare... ovunque. Ti ho mai detto che questa cabina viaggia anche nello spazio?"
E giuro che ci ho pensato, e sono anche certo che una persona normale avrebbe detto no terrorizzato, perché a me era bastato quel poco che avevo visto. Ma l'essere umano è curioso, tremendamente curioso, quindi "ci sono altre creature strane come quelle, là fuori?" gli chiedo, e lui annuisce, togliendomi ogni dubbio.
Guardo Aiden, cercando le parole adatte da dirgli, ma non le trovo, mi limito ad un ciao, ad un piccolo bacio a fior di labbra, per poi correre verso il TARDIS felice come non mai.




Probabilmente non sarò stato il primo a dirglielo, ecco perché quando ho esclamato "è più grande all'interno" lui non si sorprenderà minimamente.
Mi sono chiesto, in tutto quel tempo, come facesse a viaggiare in una cabina telefonica, ma ora che ne ho visto l'enorme sala di pilotaggio e tutti i corridoi che conducono alle svariate stanze, con tanto di armadi e scale e letti, ho capito tutto.
Anche che Clive non è poi così svitato come pensavo.

Mi sto ancora guardando intorno realizzando che non ce la farò mai a memorizzare ogni dettaglio di quel luogo, mentre lui è preso dall'azionare i comandi chiedendomi "allora, Louis Tomlinson, dimmi dove vuoi andare, indietro o avanti nel tempo? La scelta sta a te."
E confesso che solo questo pensiero mi ha dato un'adrenalina pazzesca.
"Stai solo cercando di stupirmi" gli dico, osservandolo così serio e concentrato su quel che sta facendo. Basta davvero premere qualche bottone per finire in un'altra epoca?
"Ma io sono stupefacente!"
E probabilmente sì, ha ragione, quando cadiamo entrambi a terra in un tonfo e iniziamo a ridere senza motivo. Il suono della sua risata è così particolare che mi fa tremare il petto per qualche secondo.
Non c'è niente da ridere, la mia testa me lo ripete continuamente, da quando è apparso questo tipo me ne sono successe di tutti i colori, eppure sento che essere qui non ha nulla di sbagliato.
Quindi mi sollevo piano, cercando di capire se abbiamo smesso di vorticare chissà dove, e "dove siamo finiti?" gli chiedo, non notando che lui ha già socchiuso la porta del Tardis e ha guardato fuori.
"Anno cinque miliardi nel futuro, ultimo giorno della Terra... benvenuto alla fine del mondo!"
Mi sembra un po' troppo, ma cerco di restare calmo perché, oh mio dio, è tutto vero?
Esco fuori e vedo solo uno stanzone buio pieno di cavi e scritte strane sulle pareti.
"Fine della vita sulla Terra prevista in trenta minuti" sento improvvisamente da una voce automatica proveniente da non riesco a capire dove.
"Dottore, forse dovremmo andar via" gli dico intimorito, ma lui sembra del tutto impassibile, inizia come suo solito ad osservare ogni cosa prima di aprire una delle porte che ci circondano e correre via.
"Ehi" gli grido dietro, realizzando che, forse, non è abituato ad avere compagnia. E di certo non posso restare lì, non da solo, quindi lo inseguo ma, ovviamente lo perdo. 
Fantastico, come inizio è davvero fantastico!

"E lei da dove viene?"
La gente deve smetterla di apparirmi davanti all'improvviso e spaventarmi! Soprattutto se non ha sembianze propriamente umane, come questo essere blu e dai tratti felini con degli attrezzi da idraulico in mano che mi sta guardando.
E adesso? Dottore, dove diavolo sei finito?
"Non lo so," gli rispondo, abbassando lo sguardo, "da molto lontano. Ho solo chiesto un passaggio ad uno strano tipo, senza pensarci troppo. Non so nemmeno chi sia, è un perfetto sconosciuto."
E in questa frase potrei riassumere tutto quel che lo riguarda lui, me... e il nostro legame di cui, era palese, non avevo ancora assaporato niente.
"Adesso devo trovarlo, altrimenti non riuscirò a scappare da qui" gli dico rattristandomi. Non saprei nemmeno tornare al TARDIS, in effetti.
"Perché vuole scappare, giovanotto?" mi chiede l'essere blu sorpreso.
"La Terra sta per morire" rispondo, come se non lo sapesse già.
"Certo, ma questa non è mica la Terra, non c'è più nessuno lì. I pochi umani rimasti hanno già preso residenza su altri pianeti vicini." E mi viene un groppo in gola, a pensare a mia madre, anche se sono avanti di cinque miliardi di anni e lei sarà già morta da un bel po'.
Devo trovare il Dottore, voglio andare via da questo posto!
"Fine della vita sulla Terra prevista in venti minuti" riprende quella fastidiosa voce.

Abbandonato l'essere blu che, alla fine, si è rivelato essere sul serio un idraulico (cosa dovesse aggiustare resta un mistero), mi accorgo, inoltrandomi in quello strano posto, che assomiglia sempre più ad una nave. C'è anche qualcosa di strano, che mi mette angoscia addosso: non incontrerò anima viva, almeno fino a che non aprirò la porta di un'enorme sala, piena di creature strane, nessuna delle quali sembra somigliare ad un essere umano. Eccetto per uno di loro: il Dottore, che sta parlando con una ragazza vestita da infermiera che... oh dio, non è una ragazza, è una gatta!
"Dottore!"
"Louis Tomlinson, non smetti mai di stupirmi!"
Si stupirebbe, se gli dessi uno schiaffo?
"Fine della vita sulla Terra prevista in dieci minuti."
"Perché siamo qui?" gli chiedo, preoccupato, e terrorizzato all'idea di dover assistere alla fine del mio pianeta.
 "Non lo so, non erano le coordinate che avevo richiesto al TARDIS, deve esserci stata una interferenza. E sì, dobbiamo andare via, non posso fare più niente per nessuno, qui."
E' incredibile il senso di empatia che sento nel momento esatto in cui finisce di parlare. Il suo sguardo serio, triste, mentre non ha il coraggio di guardarmi in faccia per dirmi che non sarà in grado di salvare queste persone, troppo nell'orbita di un pianeta che sta per esplodere.
Mi chiedo se la sua vita sia sempre stata così, se il TARDIS decida per lui dove andare perché ha un compito da svolgere in ogni singolo viaggio.
Mi chiedo se sia un salvatore.
Mi chiedo se stia salvando anche me.
E queste sono solo altre domande che si sommano a tutte le altre, a tutti gli altri dubbi su di lui, quindi non posso resistere oltre. Mi siedo su un piccolo muretto, nel momento in cui raggiungiamo la cabina ma lui non ne varca la soglia, come combattuto.
"Da dove vieni?" gli chiedo, cercando di apparire semplicemente incuriosito.
"Da tutti i posti" mi risponde lui senza alcuna titubanza. 
"Chi diavolo sei? Che alieno sei? Qual'è il tuo nome?" continuo, non accorgendomi della sottile agitazione che mi sta prendendo. O forse sì.
"Il mio nome te l'ho detto, o almeno quello che hanno sempre usato per me, fintanto che c'era qualcuno al mio fianco. Ma in generale sono solo il Dottore e quello che conta è solo il qui e l'ora, non il mio passato, non la mia vita, nient'altro."
Sbuffo, non posso accettare che continui ad essere così evasivo. Non se mi guarda con quegli occhi liquidi e le labbra piegate in un broncio.
"Sì ma anche io sono qui, perché mi ci hai portato tu, quindi dimmi chi sei" dico infine, esasperato, forse arrabbiato, non lo so, ma non posso più tacere.
Però forse avrei dovuto farlo perché, se c'è una cosa che non augurerei a nessuno, è vedere il volto sofferente del Dottore prima di dire qualcosa di scomodo.
Qualcosa di lacerante.
"Il mio pianeta è morto, è bruciato ed è esploso prima del suo tempo. Io sono un Signore del Tempo, l'ultimo Signore del Tempo. Sono costretto a viaggiare da solo perché non c'è nessun altro."
E quindi resto immobile ad osservarlo, mentre usa tutte le sue forze per trattenere le lacrime e si volta verso il TARDIS, convinto che non le abbia notate. 
Chissà quante ne avrà versate nella sua lunga vita.
Ho iniziato a sentirmi terribilmente piccolo, di fronte a lui.
Insignificante.
Avrei voluto sparire perché, in fondo, cosa avrebbe cambiato sapere chi era? Non avrei smesso di viaggiare con lui.
Mai. L'avevo appena deciso.
Gli prendo la mano e gliela accarezzo col pollice. Lui finalmente distoglie lo sguardo dal TARDIS per rivolgerlo a me, ma non un ombra di un sorriso, non un guizzo di allegria, quando muove finalmente un passo e, pian piano, mi porta nella cabina con lui.
"Andiamo, ho promesso a tua madre che ti avrei riportato a casa sano e salvo" dice, cominciando a spostare leve e a premere bottoni, mentre il TARDIS parte con quel suo tipico suono che preannuncia l'inizio di un viaggio.
Ma io non voglio tornare a casa, non voglio lasciarlo.
"Non preoccuparti, piccolo Louis, probabilmente saremo stati via solo qualche ora, non se ne sarà nemmeno accorta!"
Io provo a sorridere, ma mi muore tutto in gola quando atterriamo bruscamente e, uscendo fuori, la prima cosa che vedo è una mia foto appesa ad un palo, con sotto scritto 'scomparso'.
"Ehi, sei sicuro che siano passate poche ore? In che anno siamo? Dottore, mi stai ascoltando?"
In quel momento, vedo venirci incontro proprio Aiden, il quale inizia a correre visibilmente sconvolto. Non faccio in tempo a realizzare che è pronto a darmi un pugno che mi arriva dritto su uno zigomo.
"Hai deciso di far morire di crepacuore tua madre e di rovinarmi l'esistenza? Lo sai che la polizia mi interroga da mesi?" Mi dice, affannato, e arrossato in volto per la rabbia.
"Scusami, oh dio... scusami tanto, ma il Dottore mi ha detto che siamo stati via solo poche ore e..." cerco di giustificarmi, ma lui si scosta appena provo anche solo a sfiorarlo, scuotendo la testa e non guardando Harry nemmeno una volta.
"...il Dottore, sempre il Dottore! Quando la finirai con questa storia, Louis? Quando tornerai a casa da me, da noi?"
Avevo preso la mia decisione, ero sicuro di questo, non avrei mai potuto smetterla, avrei potuto provarci, certo, ma non potevo lasciare il Dottore da solo, ero in debito con lui.
"Ormai sono questo, Aiden, mi dispiace. Se solo avessi visto anche tu tutto quello che c'è là fuori, mi capiresti. Adesso andiamo da mia madre? Per favore..."
Lui sbuffa, fa un respiro profondo e, incontrando i miei occhi imploranti, decide di accontentarmi. Nello stesso momento vedrò il TARDIS sparire e con lui Harry.
Così, senza preavviso. Non riesco ad evitare di iniziare ad urlare al vuoto di non lasciarmi lì, ma ormai non può più sentirmi. Perdo l'equilibrio nelle gambe e cado ginocchia a terra, perché davvero ci speravo che non mi lasciasse lì, speravo sarebbe tornato a riprendermi. 
Speravo mi salutasse.
Sento le mani di Aiden poggiarsi sulle mie spalle per poi aiutarmi a tirarmi su. Dio, sono così patetico, e non merito le sue attenzioni.
"Andiamo, tua madre ti aspetta" mi dice, trascinandomi a casa.

Un quarto d'ora dopo circa, sono nella cucina della mia piccola casa a raccogliere i cocci della brocca piena di thé che mia madre ha fatto cadere a terra nel momento esatto in cui mi ha visto. Lei, ovviamente, mi sta urlando contro.
"Credevo fossi morto, Aiden è stato accusato di averti ucciso e non poteva nemmeno venire qui, ti rendi conto?" diceva, alzando di parola in parola il tono di voce.
"Mamma, stai calma, il Dottore non aveva calcolato bene i tempi e per me sono passate davvero poche ore, te lo giuro" provo a dirle, asciugando il pavimento.
"Dov'è andato? Voglio parlare anche con lui!" A questa domanda una fitta mi coglie al centro del petto. Come una sensazione di vuoto.
"Io... io non lo so, mamma."
Mi incupisco, per fortuna Aiden non è più lì a vedermi dargli conferma continua del fatto che, ormai, la mia vita dipende da quella di Harry.
"Gli avevo chiesto di prendersi cura di te, di non abbandonarti mai, se non lo avessi voluto tu. Sei talmente innamorato di lui che non voglio vederti soffrire."
Probabilmente avrei dovuto dare maggiore peso a quelle parole, ma sta squillando il cellulare e, considerando che nessuno sa che sono tornato, lo trovo molto strano. Rispondo titubante, guardando mia madre mettersi a braccia conserte, come ad aspettare che io confermi o neghi ciò che ha appena detto.
"Da quando hai un telefono?" chiedo, capendo immediatamente chi fosse il mio interlocutore.
"Vivo in una cabina telefonica, è ovvio che io abbia un telefono" risponde lui, con un accenno di sorriso che posso tranquillamente immaginare anche se non lo vedo.
Non dico nulla per qualche secondo, sento il rumore del TARDIS che si affievolisce e le parole di mia madre che mi rimbombano nella mente.
"Mia madre sta cucinando" poi dico, interrompendo quel silenzio imbarazzante.
"Perfetto, mettila a fuoco lento e lasciala rosolare" replica lui, indispettendomi per questa battuta pessima.
"Sta preparando la cena per noi" continuo. Ma che sto facendo?
"Non per me, io non ci vengo" mi annuncia, senza sorprendermi, me lo sarei dovuto aspettare. Eppure "ma è mia madre" continuo, perché sì, muoio dalla voglia di rivederlo.

'Sei talmente innamorato di lui...'
"Non è la mia però. Puoi restare lì, oppure... a te la scelta."
Di nuovo, di nuovo con certi ultimatum. La fa facile lui, l'uomo che, a quanto pare, non ha più radici, né un posto in cui tornare. Eppure... mi sta dando un'opportunità e... perché rifiutarla?
La mia non è mai stata una vita, e mi sono sempre lamentato della sua monotonia. Non capita tutti i giorni di poter viaggiare nello spazio e nel tempo. Ho visto quel che rimane dell'intero pianeta, creature in grado di parlare e muoversi come noi. Ho visto ragni meccanici a capo di intere basi spaziali, gatti parlanti e umanoidi. Ho visto cose uniche e potrei vederne altre. Che importa se non potrò raccontarlo a nessuno, l'importante è poterci essere, poterci essere con lui.
Non gli chiederò perché era andato via, l'importante è il qui e l'ora, giusto? L'ha detto lui stesso.

'Sei talmente innamorato di lui...'

Lancio il telefono sulla poltrona e scatto in piedi spaventando mia madre che è ancora lì ad osservarmi. Corro nella mia stanza e raduno tutte le mie cose in fretta e furia senza nemmeno un ordine logico.
"Quindi hai deciso di andartene di nuovo? E stavolta quanto tempo passerà?" Lo sento, il tono di voce depresso, so cosa sta pensando mentre mi guarda dal ciglio della porta: e se dovessero passare venti o trentanni e lei fosse già morta? Non l'avrei mai permesso, ma capisco tutta la sua preoccupazione.
"Cinque secondi, mamma, ti prometto che questa volta passeranno solo cinque secondi, non un anno intero."
Ma ovviamente di secondi ne sono passati a centinaia e mia madre probabilmente è ancora lì a contarli.

Quando rimetto piede nel TARDIS, mi viene spontaneo deglutire. Questo posto è davvero più grande all'interno, forse troppo, ma Harry è lì che mi guarda e sorride subito, indicandomi dove poter sistemare le mie cose. Quella diventerà la mia casa, a quanto pare e ora ho smesso di deglutire a vuoto, ora sento che sto per piangere, ma di gioia.
"Dove andiamo, adesso?" gli chiedo mentre mi avvicino a lui. Lui che sta girando attorno alla tavola di pilotaggio del TARDIS e sembra non avermi affatto sentito. Ha il volto corrucciato mentre conto il terzo giro che fa in totale silenzio, e sto iniziando a spazientirmi.
"Dottore!" esclamo, facendolo finalmente voltare a guardarmi. Non ha cambiato espressione.
"Sto parlando col TARDIS, lei... lei non vuole portarci dove le ho chiesto, ed è la prima volta che succede" mi dice, per poi riprendere ad ignorarmi. Sbuffo, perché mi aspettavo una reazione diversa al vedermi lì, e mi siedo in disparte.
Dopo altri due giri in totale silenzio, eccolo che inizia a saltare e blaterare parole senza alcun senso (per me) prima di annunciarmi che è meglio che mi tenga forte, perché stiamo per partire. Per dove, proprio non vuole dirmelo.

Qualche minuto dopo ci ritroviamo all'interno di un'enorme sala che sembra quella di un museo. Lui va avanti, mentre io sono ancora sulla porta della cabina, perplesso.
"Mi vuoi dire dove siamo?" chiedo di nuovo, sperando in una risposta.
"Non dove le avevo chiesto, come temevo, quindi non ne ho la più pallida idea, questa volta."
Non mi piace, non mi piace il tono in cui lo dice, né il modo in cui si guarda intorno. Il cacciavite sonico è ancora al sicuro nella tasca della sua giacca, quindi mi sento relativamente al sicuro anche io. Almeno fino a quando la mia attenzione non viene attirata dal contenuto di una teca di vetro esattamente davanti ai miei occhi: la testa di un Cyber uomo. Per un attimo ho creduto che fosse un segno, un cattivo segno.
"Dottore... Harry..." mormoro, quasi balbettando, "...siamo nel futuro, per caso?" chiedo, non riuscendo a togliere gli occhi di dosso a quella cosa.
"Perché dici questo?" mi chiede, inarcando un sopracciglio. Gli indico quel che ho di fronte, e di nuovo ha una reazione che non mi aspetto.
"Dobbiamo andarcene di qui, entra nel TARDIS" mi ordina con autorità, quasi spingendomi. Ma io non voglio entrare nel TARDIS, anche perché sono certo che lei si rifiuterà di ripartire. Il TARDIS non porta mai il Dottore in un posto a caso, ormai l'ho capito, c'è sempre una ragione.
"Ma... e tu?" provo a dire, sperando di rallentare l'operazione.
"Non preoccuparti per me, io ti seguirò, dopo."
E' pazzo se pensa che potrei mai lasciarlo da solo.
"Voglio venire con te" gli dico, fermo sulla mia decisione e i miei passi.
"Non posso pensare anche a te, se non ti vedo sto più tranquillo. Ti prego, fai come ti dico: resta qui." Un tuffo al cuore nel momento in cui glielo sento dire. Allora di me gli importa, un pochino?

'Sei talmente innamorato di lui...'

Scuoto la testa per impedire alle parole di mia madre di rimbombarci continuamente e penso anche di aver iniziato a piangere guardandolo allontanarsi, mentre sentiamo una voce provenire da una fonte non bene identificata. Lui si blocca sul posto, esattamente come me, e torna indietro, giusto per stringermi la mano.
"Bene bene, che cosa abbiamo qui, intrusi! Identificatevi!" 
La sua presa sulla mia mano ancora più forte.
"Io sono il Dottore e lui è Louis Tomlinson." 
Silenzio. Comincio ad essere seriamente spaventato. Poi la voce riprende.
"Cercavamo proprio lei, Dottore" dice, prima di teletrasportarci in una sala piena di persone che indossano tute e maschere antigas, al cospetto di un uomo che non conosciamo.
Sento la testa che gira e la mano di Harry poggiata piano sulla mia schiena come a sorreggermi, mentre mi volto piano a guardarlo. Sguardo serio, attento, il cappotto leggermente impolverato a coprire bene il suo completo marrone.
"Le chiedo scusa per i modi, Dottore, ma la questione ha una estrema urgenza, e avevamo perso le speranze di ricevere il suo aiuto. Come sapeva che la stavamo cercando?"
Sorrido, perché sono sicuro che, anche lui come me, ha capito che l'unica a saperlo fosse il TARDIS.
"Non lo sapevo, ma adesso lo so, quindi spiegatemi tutto." Non mi tiene più, troppo impegnato ad ascoltare quelle persone e cercare il suo cacciavite in tasca.
Quando lo portano di fronte a quel che sembra uno strano essere incatenato, per un attimo lo vedo sbiancare. E mi allontana. Tutta la gente che è lì se ne va trascinandomi di peso con sé. Perché non mi permettono di restare con lui?
"Lasciatemi" dico, cercando di divincolarmi, ma sono in tre e io sono soltanto uno, fallisco miseramente.

"Non è possibile. Voi siete morti, diecimila navi bruciate, la razza Dalek è estinta" dice, rivolgendosi a quella strana macchina. E' la prima volta che lo vedo arrabbiato ma, allo stesso tempo, spaventato, mentre lo osservo da uno stramaledetto monitor.
"E che ne è stato dei Signori del Tempo?" chiede l'essere. Ha una voce metallica più spaventosa di quella dei Cyber uomini che ho già incontrato. Harry si incupisce, è un argomento troppo doloroso per lui e vorrei tanto tapparmi le orecchie per non sentirlo mentre ne parla.
"Tutti morti" risponde, infatti, "nella Grande Guerra del Tempo hanno perso tutti." 
Perché non posso essere lì ad abbracciarlo?
"Ma il vigliacco è sopravvissuto" dice il... Dalek. E' evidente che vuole solo provocarlo. "Siamo rimasti soli, siamo uguali" continua, e io comincio a preoccuparmi sul serio. 
Ti prego, non fare sciocchezze e torna da me.
"Hai ragione, siamo uguali e ora farò quello che devo: sterminare!
NO. Urlo nella mia testa, talmente forte che mi sembra di averlo fatto davvero. Harry non può morire, il Dottore non muore, non prima di avermi portato via di qui.
"Ti prego, abbi pietà" sento, però, da quel mostro.
"Perché dovrei, tu non ne hai avuta!"
E no, dico. No, non trasformarti in un mostro anche tu, Dottore.
Harry!
No!
La base spaziale in cui ci dicono che siamo, inizia a tremare. il Dottore ha azionato qualcosa che, anziché distruggere il Dalek, lo ha liberato.
"Sei solo un soldato senza ordini, perché non distruggi te stesso?" lo sento, dopo minuti che sembravano eterni di silenzio in cui non avevo previsto niente di buono.
"I Dalek devono sopravvivere!"
"I Dalek sono estinti, unisciti alla tua specie, liberaci dal vostro fetore, torna all'inferno!"
Tutto trema, sento che mi manca il respiro, non posso stare qui, devo correre da lui. Ma non so come fare, non so dove si trovi esattamente, quindi resto lì a guardarlo mentre potrebbe persino sparire per sempre sotto i miei occhi.
"Tu saresti un ottimo Dalek, Dottore" dice il mostro, prima di disintegrarsi.
Dura un attimo la gioia.
Di Harry mentre assiste alla scena. Mia mentre lo guardo affannato ma ancora vivo. E di tutti gli altri lì presenti. Convinti di esserci liberati di questa minaccia.
Poi però mi sento afferrare da qualcosa e, in un battere di ciglia, mi ritrovo in una stanza isolata, tra due porte d'acciaio, il Dalek che mi blocca contro una parete.
E' finita.
"A che cosa servono le emozioni se al momento giusto non salvi la persona che ami, Dottore?" dice, fissando il soffitto, dove sembra esserci una telecamera. 
Non sento niente dall'altra parte, e adesso ho davvero il terrore che sia finita. 
Senza aver chiesto scusa ad Aiden, senza esser tornato da mia madre e averle detto di smettere di contare. 
Senza aver abbracciato Harry.

"Louis... Louis mi senti?" Sono tornato a respirare grazie a queste poche parole.
"Louis ascoltami, corri alle tue spalle, sta per richiudersi il passaggio, ma corri più forte che puoi e passalo, ti prego, hai capito?" 
La sua voce è quasi un sussurro, ma mi guida, mi dà forza, quindi annuisco, e inizio a correre. Sempre più veloce, col dolore alle gambe e ai piedi che aumenta e il passaggio ancora troppo lontano. Quando finalmente lo vedo, è troppo tardi, è chiuso, e il Dalek è esattamente dietro di me. 
Non sento più niente, non ho nemmeno il coraggio di dirgli che l'ho deluso, e spero che non se ne faccia una colpa.
"Sei passato?" sento, e io cerco di recuperare più fiato possibile prima di rispondere.
"Scusa, sono stato un po' lento. Non preoccuparti, non è stata colpa tua, ricordalo sempre. E sai una cosa? Non me lo sarei perso per niente al mondo." 
Poi il Dalek brucia tutto col suo raggio laser e mi si avvicina sempre più. Ogni speranza è morta, nel medesimo istante in cui lo sento ripetere come un mantra "sterminare, sterminare" e colpirmi.
Avrei voluto vedere il volto di Harry un'ultima volta. 
Avrei voluto sapere se voleva salvarmi per me, e non per se stesso.
  
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