Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: teabox    26/09/2015    1 recensioni
Tom non avrebbe saputo dire cosa esattamente lo incuriosisse tanto di lei. Il fatto che fosse strana, forse. Terribilmente riservata. Il modo in cui a volte gli sorrideva. Altro.
Non sapeva.
Quello che aveva capito, però, è che quando una ladra entra nella tua vita, sei inevitabilmente destinato a vedere qualcosa sparire.
Lei, a volte. Lui, altre. Entrambi, nei migliori dei casi.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un mese e mezzo prima

(42 giorni al colpo)

 

Olive non aveva mai voluto diventare una ladra. M una volta le aveva giustamente fatto notare che nessuno voleva davvero diventare un ladro. Semplicemente capitava.

Olive non ne era del tutto sicura, ma aveva da tempo imparato che con M era meglio non discutere. 

E, in fondo, M sapeva meglio di lei quello di cui parlava, date che avere a che fare con ladri era parte del suo mestiere.

 

Per quella ragione - e per altre ben più complicate - Olive si trovava a camminare alle cinque di mattina di una gelida mattina londinese in una zona in cui altrimenti non avrebbe mai messo piede, indossando vestiti che generalmente non avrebbe mai indossato, con un paio di occhiali di cui non aveva assolutamente bisogno e i capelli almeno tre dita più corti del solito.

Ma non era davvero quello che rendeva Olive scontenta, quella mattina. Agli strani aspetti del suo lavoro si era ormai adattata e rassegnata.

Era la situazione stessa - il “progetto”, secondo la dicitura di M - a renderla nervosa. 

 

Olive si sentiva assolutamente impreparata. Sapeva che avrebbe dovuto considerare il caso come tutti gli altri casi di cui si era occupata fin a quel punto. In parte lavoro ufficiale, in parte lavoro ufficioso. 

Ma fino a quel punto non si era mai trovata nella compromettente situazione di lavorare per un tempo prolungato nelle vicinanze di un uomo per cui provava una innegabile - per quanto discutibile - attrazione. 

Senza prendere in considerazione, poi, che l’uomo in questione sembrava non solo ricambiare l’attrazione, ma aggiungere anche una buona dose di curiosità per il lavoro di Olive. Aspetto che, francamente, parlava da sé del questionabile buon senso di Tom.

 

«Sarà divertente», le aveva detto Priya la sera prima.

Olive era ancora in attesa di iniziare a ridere.

 

*

 

Quindi, quella gelida mattina, all’altezza dell’ingresso degli studi di registrazione - che altro non erano che un grosso cortile pieno di capannoni - Olive si era bruciata la lingua con un caffè troppo bollente, che ridicolmente le riscaldava a mala pena le mani, ma era apparentemente troppo caldo per la sua bocca. 

Aveva silenziosamente maledetto il Costa Café - che ne aveva di strada da fare per imparare la sottile arte di creare un caffè bevibile - e si era fermata per cercare di estrarre dalla giacca il badge che l’avrebbe fatta entrare nel capannone 2B.

 

«Buongiorno.»

Olive si girò e tra la visiera di un cappello scuro e una sciarpa che gli copriva metà del viso, riconobbe un paio di occhi che da tempo erano diventati molto famosi, insieme al resto della persona che li possedeva. «Buongiorno, Mr Hiddleston.»

Gli occhi di Tom diventarono due fessure divertite ed attutito dalla sciarpa, la raggiunse il suono della sua risata. «Davvero non puoi chiamarmi Tom?»

«Ho controllato», rispose Olive tornando ad armeggiare con il cappotto, il caffè e il badge. «E’ scritto sul contratto, è severamente vietato entrare in confidenza con gli attori.»

Tom estrasse il suo badge ed aprì la porta, facendo segno ad Olive di entrare. «Dotty mi chiama per nome.»

«Ah», replicò lei con un che di tragico, dopo averlo ringraziato, «ma Dotty - voglio dire, Mrs Cavendish - è la capo costumista. Lei può. Siamo noi altri, aiutanti e aiutanti di aiutanti, che non possiamo prenderci certe libertà.»

Tom si tolse il cappello ed allargò la sciarpa. «Mi stai prendendo in giro, vero?»

Olive lo guardò seria, ma durò solo qualche instante prima che le sfuggisse un sorriso. «Temo proprio di sì.»

 

Lui rise e lei, come sapeva che sarebbe successo, sentì lo stomaco annodarsi. Si diede immediatamente dell’idiota. «Devo andare», disse di fretta, accavallando le lettere in una sola improbabile parola, facendole suonare qualcosa come “devndare”.

Tom le sorrise, senza notare il suo nervosismo o facendo finta di non averlo notato. «Ci vediamo dopo, Olive.»

«Ah, a proposito di quello», lo fermò lei con una nota appena titubante nella voce. Riuscì ad estrarre il badge e lo mostrò a Tom.

«…Hollis Woods?», lesse lui con un che di incerto.

Olive gli sorrise ed allungò una mano. «Piacere di conoscerla, Mr Hiddleston.»

Tom scoppiò a ridere.

 

*

 

«Bene, ragazze, tenete a mente i vostri compiti e mettevi a lavoro», aveva concluso Dotty battendo le mani.

Ovviamente Dotty non era “Dotty” per tutti. Solo pochi eletti potevano chiamarla così. Per il resto del mondo Dotty era Mrs Dorothea Cavendish o Mrs Cavendish. “Lady Cavendish”, la chiamavano dietro le spalle le altre ragazze, per la sua innegabile tendenza a comportarsi da padrona del maniero.

 

«Hollis», la richiamò proprio in quel momento Mrs Cavendish, in una mano un panciotto di seta nero e nell’altra una cartelletta piena di appunti. «So che non hai esperienza come aiuto costumista, né tanto meno hai un background da sarta, ma visto che da oggi in poi lavorerai con me - e mi hanno detto che impari in fretta - voglio darti il consiglio che dò a tutte le mie ragazze il primo giorno di lavoro. Occhi aperti, bocca chiusa e fuori dai piedi se non sei necessaria. Intesi?»

«Intesi», replicò Olive senza battere ciglio.

 

Tom entrò in quel momento, i capelli ancora bagnati e niente dell’aria da principe reggente che avrebbe assunto nel momento in cui avrebbe cominciato a recitare. «Buongiorno a tutti», salutò sorridendo.

Mrs Cavendish sorrise di rimando e lo stesso fecero le altre due ragazze nel camerino.

Olive, per conto suo, si concertò sul paravento ancora chiuso nell’angolo della stanza. Andava aperto e posizionato in modo da dare un minimo di privacy a chi doveva cambiarsi. 

 

«Tom, tesoro», disse Mrs Cavendish in tono quasi materno, «vediamo di cambiarti velocemente negli abiti di scena, così non rischi di ammalarti con quei capelli bagnati.»

Batté le mani - gesto che diede ad Olive la sensazione di essere una cameriera in età vittoriana - e chiamò a raccolta le ragazze. 

«Poppy, calze e pantaloni. Susan, prendi la camicia bianca con i gemelli in avorio e la rendigote nera. Hollis, tu osserva.»

Tom si voltò verso Olive e la guardò dispiaciuto, come se ritenesse in qualche modo che la colpa fosse sua se lei veniva esclusa. Lei accennò un sorriso di circostanza, si mise in un angolo e fece esattamente quello che Mrs Cavendish le aveva ordinato. Osservò.

 

La routine prevedeva che gli abiti venissero consegnati all’attore o all’attrice e una volta indossati dietro il paravento, le assistenti costumiste provvedevano a fare gli aggiustamenti necessari, sotto lo sguardo attento di Mrs Cavendish.

Tom era - a quanto pare - generalmente veloce a vestirsi. Erano gli aggiustamenti, piuttosto, che richiedevano una variabile indefinita di tempo. 

Mrs Cavendish e le ragazze amavano assicurarsi che tutto fosse esattamente dove e come doveva essere, ed Olive - che non si limitava ad osservare, ma anche a registrare dettagli - non ci aveva messo molto tempo per stabilire che sì, lo facevano indubbiamente perché erano brave ed attente professioniste, ma che allo stesso tempo adoravano stare vicino a Tom ed avere una scusa per toccargli un braccio o sfiorargli il petto. 

Un sorriso divertito sgattaiolò sulle labbra di Olive, ma cercò di nasconderlo il più velocemente possibile per non crearsi problemi.

 

«Hollis», la chiamò Mrs Cavendish proprio nel mezzo di quel sorriso. «Vieni un attimo qui.»

Olive, bocca chiusa ed occhi aperti come da istruzioni, si avvicinò immediatamente.

«Vai dietro a Tom e assicurati che la rendigote non si muova. Appoggia le mani sulle sue spalle e tienile lì ben ferme, mentre noi aggiustiamo le lunghezze.»

Olive si spostò e sentì lo sguardo di Tom su di lei. Per qualche ragione avvertì un lieve imbarazzo, ma fece come le era stato chiesto. Era strano, si trovò a pensare, come potesse dire di conoscere - più o meno, per sommi capi - Tom, eppure si trovava continuamente a notare certi dettagli per la prima volta.

Quando più alto di lei fosse, per esempio. Certo, ovviamente aveva notato la differenza fra loro due, ma non si era mai davvero resa conto fino a quel momento - con le mani sulle spalle di lui - di quanta differenza si parlasse. 

E il collo, poi. La pelle sembrava così morbida e liscia. Sensibile. 

Involontariamente si umettò le labbra.

Spostò lo sguardo immediatamente, cercando di spostare anche i pensieri. Invece si trovò a fissare la schiena di Tom. Ampia, maschile, fatta per essere accarezzata e-

 

«Va bene così, ragazze», disse Mrs Cavendish mettendo fine a quell’attimo.

Olive staccò le mani dalle spalle di Tom come se bruciassero ed arretrò di qualche passo.

«Abbastanza regale?», domandò Tom scherzando, le braccia aperte per mostrarsi.

Olive ringraziò di essere ancora dietro di lui, perché non era sicura di volerlo vedere sorridere in quel momento. Andò invece dietro il paravento e raccolse i suoi vestiti che, da ragazzo beneducato quale sapeva essere, aveva ripiegato e appoggiato ordinatamente su di una sedia. 

Lo sentì ringraziare Mrs Cavendish e le ragazze per il loro “sempre impeccabile lavoro” e quindi ritenne sicuro uscire dal suo nascondiglio di emergenza. Ma affacciandosi da dietro il paravento, Olive invece trovò che Tom aveva esitato per qualche istante sulla soglia del camerino, lo sguardo in perlustrazione della stanza. Lo fermò su di lei, quando la vide, ed esitò solo un attimo prima di dire “grazie”.

Mrs Cavendish e le ragazze risposero, riempiendo Tom di “figuriamoci”, “non c’è di che” ed “è sempre un piacere”. 

Ma Olive sapeva.

Sapeva che Tom aveva già ringraziato le altre e che quel secondo grazie - che aveva pronunciato guardandola divertito - era stato solo per lei.

Per quale ragione, si disse Olive, non ne aveva la più pallida idea. 

Ma era arrossita lo stesso.

 

*

 

«Lo hanno assegnato al caso prima che potessi fare qualcosa in merito», aveva detto Lauren O’Caffrey al telefono con M. «Sono terribilmente dispiaciuta.»

M aveva allontanato le scuse di Lauren come se quel dettaglio, quel piccolo cambiamento nello schema non fosse una cosa davvero poi così rilevante.

Ma quando aveva chiuso la conversazione con la donna, M aveva esitato solo un istante prima di riprendere il telefono.

 

L’uomo che aveva risposto dalla parte della linea parlava con un forte accento irlandese pieno di vocali morbide e consonanti dure. Quando M gli aveva fatto presente chi fosse, l’uomo era rimasto per qualche momento in silenzio prima di lanciarsi in una grossa risata decisamente irritante.

«Mi è passato per la testa che mi avresti potuto contattare, ma non ci credevo davvero. Quale onore

M ignorò il sarcasmo e saltò qualsiasi formalismo educato, per andare direttamente al nocciolo della questione. «Immagino che l’Interpol ti abbia già dato i dettagli del caso.»

«Immagini bene.»

«Quindi non ti devo rammentare che-»

«Come si fa chiamare adesso?»

M si bloccò di fronte a quella maleducata interruzione. Inspirò cercando di ignorare l’irritazione. «Hai detto che hai i dettagli.»

«Non dico in questo caso, Madame M», replicò l’uomo con lo stesso sarcasmo di un attimo prima. «Dico al di fuori del caso.»

«Olive.»

«Ma che razza di nome è?»

«Il suo nome», replicò asciutta M.

«Quello vero?»

M alzò gli occhi al cielo. «Sì, quello vero. Che importanza ha, comunque? Quello che conta, invece, è che tu le lasci fare la sua parte del lavoro, senza rendere le cose difficili.»

L’uomo rise caustico. «Se posso permettermi, è davvero toccante la tua preoccupazione per la tua pecorella smarrita preferita.»

«Non credo che tu possa permetterti alcunché», replicò M irritata. «Ti dico solo di lasciarla in pace.»

«Vedi, M», rispose lui con un tono quasi con condiscendenza, «il tuo errore è credere che tu possa dirmi cosa fare o non fare. Se l’Interpol mi ha assegnato a questo caso è perché loro non si fidano della piccola Olive tanto quanto io non mi fido della piccola Olive. O di te, ad essere sinceri. Nessuno qui ha dimenticato il suo - o il tuo - interessante passato.» 

L’uomo fece una piccola pausa ed M sentì il rumore di un accendino e il respiro soddisfatto provocato - s’immaginò - dal tiro di una sigaretta. 

«Ma in questo caso specifico», continuò l’uomo lentamente, «dato che lavoriamo insieme, mi atterrò alle regole e farò in modo che la tua pecorella abbia il suo spazio d’azione. Non vuol dire, però, che non la terrò sott’occhio.»

«Quanta generosità», aveva replicato M asciutta, prima di chiudere la telefonata senza aspettare una risposta.

 

Aveva poi appoggiato il cellulare sul tavolino del salotto con meno grazia di quanto generalmente avrebbe fatto ed appuntò lo sguardo su alcuni allegati che Lauren O’Caffrey le aveva mandato solo qualche minuto prima. 

Una foto sgranata dell’uomo con cui aveva appena finito di parlare al telefono, accompagnata dai suoi dati anagrafici - Martin Hagarty, trentotto anni, agente dell’Interpol dal 2010 e via dicendo - ed una lista piuttosto fitta di annotazioni era raccolta sotto il sigillo ufficiale dell’organizzazione. 

M abbandonò gli allegati ufficiali e si dedicò, invece, ad un fascicolo che lei stessa aveva messo insieme e che, a parte una foto dello stesso uomo, raccoglieva informazioni ben più curiose su Martin Hagarty e collegamenti decisamente più interessanti di quelli lavorativi con l’Interpol.

 

Prese il telefono di nuovo, ma senza esitazioni quella volta. 

Era tempo di richiamare Lauren O’Caffrey ed intavolare una trattativa.

 

*

 

Anche in un mondo diverso e con una professione diversa, Olive avrebbe suscitato la sua curiosità.

Tom non sapeva esattamente perché quel pensiero fosse emerso aspettando l’arrivo di Elizabeth. Forse perché negli ultimi giorni gli era capitato di vedere Olive in una situazione normale, comportarsi come qualsiasi altra ragazza della sua età e Tom - che non era un ipocrita - non aveva problemi ad ammettere a se stesso che ogni volta che gli capitava di avere un’occasione, semplicemente non riusciva a fermarsi dall’osservarla. 

Sapeva che quella di Olive poteva semplicemente essere una maschera, un ruolo recitato a beneficio del compito che le era stato affidato.

Ma anche così, quando quella mattina l’aveva vista ridere con Susan riguardo a qualcosa che Poppy aveva detto, Tom si era costretto a fermarsi e trattenersi dal raggiungerle ed ascoltare quella risata da più vicino.

 

«Scusa per il ritardo», s’intrufolò la voce di Elizabeth nei suoi pensieri.

Tom alzò gli occhi e lasciò il suo posto al tavolo del ristorante per scostare la sedia per lei. «Sono arrivato solo ora anch’io», rispose cortesemente, anche se in verità la stava aspettando già da una quindicina di minuti.

Elizabeth gli sorrise con un calore a cui da qualche tempo Tom si era abituato. Qualcosa di pulito, semplice, non complicato - una franchezza che non era solo una qualità americana, ma sopratutto un dono personale della ragazza. 

Qualcosa che anche Olive possedeva - si trovò a pensare Tom - ma che non mostrava spesso. 

«Ordiniamo? Sto morendo di fame», disse Elizabeth studiando il menu. 

Tom le sorrise. «Cosa preferisci?»

 

(Sarebbero andati a casa di lui quella sera e avrebbero fatto l’amore. Come spesso, ultimamente, ad ogni modo. E anche nell’oscurità Tom avrebbe riconosciuto quello sguardo in Elizabeth, quell’espressione di trasparente attrazione che da tempo lei non faceva nulla per mascherare. E quella strano istinto che gli diceva che lei avrebbe voluto di più da lui, da quella loro strana relazione-non relazione, ma che comunque lei preferiva non mettere a parole, lasciando Tom libero di far finta di non sapere che fosse lì.)  

 

*

 

Il camerino era ancora vuoto quella mattina.

Olive era di nuovo arrivata ad un’ora assurda, accompagnata da un freddo indecente ed un cielo che non era più notturno ma non ancora mattutino. 

Quanto meno la sera prima le avevano finalmente consegnato la copia della stella dell’Ordine, e da quel momento in poi era fondamentale - “cruciale, Olive”, l’avrebbe corretta M - era quindi cruciale che da quel momento in poi la portasse sempre con sé. 

Per ragioni di sicurezza non era stato fatto ancora sapere a nessuno quando avrebbero filmato la scena che prevedeva l’utilizzo dell’originale e, di conseguenza, Olive doveva essere pronta a qualsiasi eventualità. Anche a sostituire l’originale con una copia, se necessario.

Perché se all’Interpol credevano di essere gli unici a nascondere particolari ed assi nelle maniche, allora non avevano proprio capito nulla di Olive o M.

 

Quando aveva portato una foto della replica usata nel film al suo uomo di fiducia per quel genere di lavori, lui si era messo a ridere. 

«E questa la chiamano una copia esatta?», aveva domandato sarcastico, lasciando cadere la foto su di un tavolo coperto di gemme, pinze, tronchesine e chissà cos’altro. «Dammi un po’ di tempo e gliela faccio vedere io una replica degna del nome. A lavoro finito nemmeno Giorgio V sarebbe capace di riconoscere quella vera da quella falsa.»

«Giorgio V è morto quasi un secolo fa», aveva fatto notare placidamente Olive prendendo dal tavolo quello che sembrava uno zaffiro della grandezza di un uovo di quaglia.

L’uomo di fiducia le aveva tolto la pietra di mano e le aveva lanciato un’occhiataccia. «Non hai niente di meglio da fare?»

Olive aveva sorriso quasi zuccherina. «A dire il vero sì. Devo chiederti un favore. Da parte di M.»

L’uomo di fiducia aveva alzato entrambe le sopracciglia guardandola incuriosito.

 

Ma battibecchi o meno, l’uomo di fiducia non aveva mentito. Quando Olive aveva estratto la stella dal pacchetto che le era stato consegnato, era rimasta in osservazione meravigliata per lunghi istanti. Era un pezzo stupendo. 

E quella mattina - dove era troppo presto, troppo freddo e troppo buio - esaminando invece la copia del gioiello della produzione, anche Olive nella sua relativa ignoranza non poteva negare che la differenza tra i due pezzi era tanta e notevole.

 

«Quis separabit

Olive sobbalzò. Sulla soglia del camerino Tom la osservava con l’accenno di un sorriso. 

«E’ scritto sullo scudo», continuò lui avvicinandosi di qualche passo. Prese la stella dalle mani di Olive e la voltò in favore della luce. «Vedi? Quis separabit. E’ un motto latino, “chi ci separerà”. La stavi osservando così attentamente che ho pensato stessi cercando di leggere l’incisione.»

Olive ripose la spilla nella scatola, quando Tom gliela riconsegnò. «Chi dovrebbe separare chi da cosa? O da chi?»

Tom infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? E’ una citazione dalla Bibbia.»

Olive si lasciò sfuggire una piccola risata. «E io che pensavo avesse qualcosa a che fare con ricchezze o soldi o qualcosa di più prosaico.»

Tom s’incuriosì. «E come mai?»

«Beh, alla fin fine è pur sempre l’Ordine di San Patrizio.»

«E quindi?»

«Uno si aspetta che quello da cui non vogliano essere separati sia il denaro, non l’amore.»

Tom non riuscì a trattenere una risata. 

Lei gli lanciò un’occhiata leggera, curiosa. «Sei terribilmente mattiniero per qualcuno che non ha nessuna necessità di esserlo.»

«Mi sono svegliato presto.»

Olive lo soppesò. Priya le aveva accennato qualcosa in merito a Tom ed un’attrice americana con cui recentemente era stato fotografato in giro per Londra. Olive aveva fatto finta di nulla. Non erano affari suoi, del resto. Nemmeno - o soprattutto - quando ci passava la notte insieme.

 

«Come sta andando con il lavoro?», le chiese Tom dal nulla. «Ti trovi bene, per così dire?»

«Tutto sotto controllo, per ora», replicò Olive con un tono allegro, capace di nascondere i dubbi, gli ultimi aggiornamenti di M, le complicazioni che si erano aggiunte e i generali cambiamenti di piano ed azioni. 

Ma Tom era diventato più bravo a leggere le persone od Olive non era più capace di mentirgli particolarmente bene, perché lui le lanciò un’occhiata scettica e si piegò un po’ su di lei.

«Spero che tu sappia che puoi sempre parlarmi di quello che vuoi, se ti va. O se ne hai bisogno.» Non aspettò però un risposta dalla ragazza, ma le aggiustò invece distrattamente un ciuffo di capelli e si diresse verso l’uscita del camerino. «A più tardi.»

Olive alzò una mano salutando di rimando. 

E un’idea - che era potenzialmente compromettente e sicuramente discutibile - prese forma nella sua testa. 

Ne avrebbe discusso con M.

 

*

 

Il generico “a più tardi” di Tom si era trasformato quella sera in qualcosa di più concreto, quando Mrs Cavendish aveva annunciato alla fine della giornata che il giorno seguente nessuno avrebbe lavorato, perché Tom era caduto da cavallo e si era infortunato. 

«Nulla di grave», aveva aggiunto Mrs Cavendish, «ma è stato comunque portato all’ospedale. Domani è riposo per tutti.»

 

Olive era rimasta in silenzio, ma le mani si erano strette così tanto attorno al vestito che stava riponendo sull’appendiabiti da sbiancare le nocche delle dita.

Si era costretta a non commentare o non fare nulla fino a quando non aveva salutato Poppy e Susan ed aveva lasciato gli studi di registrazione. Ma nell’instante in cui si era trovata da sola per strada, aveva digitato immediatamente un messaggio a Tom con un che di ansioso di cui si era pentita - aveva scritto “stai bene?”, in fondo, che era una domanda piuttosto stupida. Ovvio che non stava bene. Era caduto da cavallo. Era stato portato all’ospedale. 

 

Aspettò una sua risposta controllando inutilmente il cellulare ogni cinque minuti, ogni volta agitandosi una frazione di più.

Dopo due ore Tom le scrisse. 

“Tutto bene”, diceva il messaggio. “Finalmente lasciato libero dall’ospedale. Nulla di cui preoccuparsi”.

Ma era troppo tardi. Olive era già preoccupata. Lo era stata per tutta la serata.

Senza pensarci oltre, prese le chiavi di casa e si chiuse la porta dell’appartamento alle spalle, scendendo i gradini due alla volta, cercando di raggiungere Tom il più velocemente possibile.

 

*

 

«Nam tok mu», annunciò Tom soddisfatto appoggiando un piatto di fronte ad Olive ed uno di fronte a sé. «E’ una specie di insalata tailandese.»

Olive lo guardò con un accenno di perplessità. «Posso ripetere di nuovo che sono passata solo per vedere come stavi e non per essere invitata a cena? E comunque sei tu quello invalido, quindi ancora non capisco perché ti sia messo a cucinare. Avremmo potuto ordinare della pizza o cibo indiano o-»

«Olive, zitta e mangia», la fermò Tom.

Olive tacque. Prese la forchetta ed assaggiò il piatto che Tom aveva preparato per loro. Al primo boccone, sgranò appena gli occhi con stupore. «Wow.»

Tom sorrise contento. «Non c’è di che.»

 

Non era riuscito a non sorprendersi quando quasi un’ora prima aveva sentito il campanello dell’appartamento suonare ed aveva trovato Olive in attesa. Sulla soglia dell’ingresso l’aveva vista esitare un attimo, come a controllarlo, prima di chiedergli con una nota nervosa se stesse bene.

Tom aveva sorriso aprendo le braccia. «Ancora intero, come vedi. Nulla di serio, solo la spall-»

Il resto della frase era sparito nell’abbraccio in cui Olive lo aveva avvolto.

Un momento più tardi Tom aveva chiuso le braccia attorno a lei. «Sto bene.»

Olive non aveva detto nulla, ma la sua testa contro il petto di Tom aveva accennato un sì. 

«E sono anche affamato. Vuoi mangiare qualcosa con me?»

 

L’arrivo di un messaggio sul cellulare lo distrasse dal vago stupore che ancora sentiva nell’avere Olive lì, con lui, così.

Prese il telefono e lesse silenziosamente quello che Elizabeth gli aveva scritto.

“Ho sentito che ti sei fatto male. Stai bene? Hai bisogno di aiuto?”

Tom lanciò un’occhiata ad Olive, prima di rispondere.

“Niente di grave. Grazie. Ho tutto quello di cui ho bisogno per ora”.

 

*

 

Un mese prima

(34 giorni al colpo)

 

«Sarà uno spasso», proclamò Poppy che, come Olive aveva da poco scoperto, preferiva farsi chiamare Pops. E francamente Olive non riusciva ad immaginare perché una qualsiasi persona con un minimo di rispetto per se stessa volesse farsi chiamare “Pops”. Ma tant’è.

 

«Il quasi-fidanzato di Susan ha detto che ci sarà anche Tom», aveva continuato Poppy.

Olive le aveva lanciato uno sguardo confuso. «Il quasi-fidanzato?»

Poppy aveva teatralmente alzato gli occhi e le mani al cielo. «Secondo le regole di Susan è successo qualcosa, ma non abbastanza per definirlo fidanzato-fidanzato. Quindi al momento è solo un quasi-fidanzato.»

Olive era tornata a dedicarsi alla camicia che stava drappeggiando su di un manichino e che Poppy avrebbe modificato in un momento. «Non sono una grande bevitrice», fece notare debolmente.

«Allora vieni e bevi poco», replicò Poppy con cinque spilli in bocca - ed Olive ammirò la maestria con cui lo fece senza ingoiarne un paio per sbaglio. «Da quando abbiamo iniziato a lavorare è la prima volta che finalmente qualcuno organizza un’uscita per tutti. E’ un’occasione per conoscere meglio anche gli altri.»

«E con “altri” intendi?»

Poppy sorrise maliziosa. «Intendo “altri”. Se poi questi “altri” sono attori, cosa ci posso fare? Lavoriamo per un film, dopotutto.»

Olive, nonostante tutto, rise.

«Allora lo prendo come un sì?»

«Prendilo come un forse.»

Poppy batté le mani in una perfetta imitazione di Mrs Cavendish. «Eccellente. Devo ricordarmi di dirlo anche al nuovo tecnico del suono.»

Olive guardò la ragazza con rinnovato interesse. «Abbiamo un nuovo tecnico del suono?»

«Già», rispose Poppy iniziando a lavorare sulla camicia. «A quanto pare quello vecchio ha vinto una vacanza attraverso qualche tipo di lotto o sorteggio. E figurati che ha giurato che nemmeno si ricordava di aver giocato! Certe persone hanno proprio tutte le fortune.»

Olive fissò il vuoto per qualche instante, prima di riprendere lentamente a parlare. «Già, tutte le fortune.»

 

*

 

«Ma guarda chi fa il suo ingresso! Le nostre sartine preferite!»

«Sartina la chiami tua nonna», replicò secca Poppy al quasi-fidanzato di Susan, che rispondeva la nome di Carl e lavorava con il gruppo delle luci.

 

Olive, che contro il suo buon senso aveva deciso di unirsi al gruppo per quella serata, scrutò il resto del pub. Il sopralluogo, però, ebbe vita breve, dato che Susan la prese per un braccio e la trascinò in mezzo alla conversazione.

«Esatto. La nostra Hollis, per esempio», disse la ragazza allegramente, «è un modello di multi-tasking.»

«Quello che Susan vuole dire», corresse Olive, «è che faccio un po’ di tutto, ma niente veramente bene.»

«Beh, comunque sia», disse Carl con un sorriso rivolto a loro tre, ma in modo particolare a Susan, «siamo contenti che siate venute.»

 

Olive si rese conto che “siamo” era da prendersi in senso lato, dato che la maggior parte delle persone che affollavano il pub non si erano nemmeno accorte del loro arrivo. 

Poppy aggirò Susan e il quasi-fidanzato, e raggiunse Olive fermandosi accanto a lei.

«Troviamo un posto da cui si possa osservare bene cosa succede e chi c’è», disse guardandosi attorno.

Olive puntò ad un tavolo vuoto. «Quello. L’angolatura del tavolo permette di avere una chiara visuale dell’ingresso e del bancone del bar, mentre il riflesso dello specchio ti consente di tenere d’occhio l’ingresso ai bagni.»

Poppy la guardò ammutolita per un attimo, poi scoppiò a ridere. «Accidenti Hols, complimenti! Mi piace, fa tanto film di spionaggio.»

 

Olive arrossì, accennò una debole risata imbarazzata maledicendosi per la distrazione e si lasciò guidare tra i tavoli da Poppy, seguita da Susan e Carl. Si sedettero chiacchierando e cercando di decidere cosa ordinare, ma quasi subito una delle cameriere arrivò con un piccolo vassoio carico di birre. «Dai ragazzi laggiù», annunciò sorridendo, puntando ad un piccolo gruppo che occupava un angolo del bancone. 

Olive vide Tom e riconobbe un altro paio degli attori del cast. Lui accennò un saluto con la testa, al quale Poppy rispose entusiasticamente.

«Ma quant’è adorabile», commentò poi rivolgendosi ad Olive. «Non esattamente il mio tipo, ma è davvero un amore. Il nuovo tecnico del suono, invece, è decisamente il mio tipo.»

Olive si guardò attorno con cautela. «Dov’è?»

Poppy fece una smorfia. «Non c’è. Aveva altri impegni. Sospetto sia già occupato.»

 

La risata di Tom le raggiunse in quel momento ed Olive ne approfittò per non commentare. 

«Tom è sempre così educato e alla mano», continuò Poppy prendendo uno dei bicchieri. «Uno si domanda come possa essere ancora single. Voglio dire, nonostante le voci che girano ultimamente.»

«Non deve essere facile per lui», ragionò pacatamente Olive.

«Immaginò di no», concordò Poppy guardandosi attorno discretamente. «Ah. Tom e il resto del gruppo si stanno avvicinando.»

Olive fece per voltarsi a guardare, ma fu bloccata da Poppy. «No! Fa finta di niente, come se non li avessi visti.»

«Ma non li ho visti», fece notare Olive.

Poppy si lanciò allora in una risata un po’ troppo allegra nello stesso istante in cui i ragazzi raggiunsero il tavolo. «Sei sempre così divertente, Hols!»

Olive abbassò lo sguardo imbarazzata.

 

«C’è posto anche per noi?», domandò Tom guardando Poppy divertito.

La domanda era, ovviamente, da prendersi retoricamente, perché anche se lo spazio non ci fosse stato, probabilmente avrebbero trovato il modo di crearlo. Quindi, qualche “prendi un’altra sedia” e “ce la fai a spostarsi un po’ più in là” più tardi, tutti erano seduti con un bicchiere di birra od altro davanti a sé.

E tutti parlavano troppo, considerò Olive.

Non riusciva a seguire una conversazione dall’inizio alla fine, né tanto meno cominciarne una. Osservava, certo, ma c’era troppo da osservare. 

Fu quasi con disagio e una punta di invidia che si rese conto che le persone che la circondavano in quel momento - uno strano gruppo di attori, tecnici, aiutanti - più o meno si conoscevano di già tra di loro, avendo collaborato insieme in questa o quella produzione. 

E c’era un senso di cameratismo che era evidente e che Olive non aveva mai sperimentato nel suo campo di azione, perché generalmente quando si lavorava con un gruppo di ladri, se ti trovavi seduto attorno ad un tavolo non era per bere qualcosa, ma per definire un colpo. E il cameratismo, francamente, quando dovevi rubare qualcosa non era davvero molto utile.

 

Qualcuno batté un paio di volte un bicchiere sul tavolo ed Olive venne distratta dai suoi pensieri. Alzando gli occhi si rese conto che era stato Tom a farlo, attirando l’attenzione del resto del gruppo. Si schiarì la voce e si alzò in piedi.

«Seguendo l’antica e nobile tradizione che ci accompagna da quanto tutti noi abbiamo deciso di seguire l’effimera arte dell’intrattenimento», recitò con voce impostata alzando il bicchiere, «diamo il benvenuto al nuovo membro del gruppo, che nella sua ingenuità ancora non sa cosa l’aspetta.»

Olive sgranò gli occhi ed arrossì, sentendo gli occhi degli altri puntati su di lei. Aveva passato anni ad evitare situazioni del genere ed improvvisamente ci si trovava in mezzo.

«Ad Hollis!», esclamò Tom.

«Ad Hollis!», rispose in coro il resto del tavolo, alzando i bicchieri.

Poi, qualcosa di freddo e bagnato le scivolò lungo il collo e sulla schiena, ed un attimo più tardi - in mezzo alle risate del resto del gruppo - due bicchieri di acqua le furono rovesciati sulla testa. 

Dopo lo shock iniziale, incredibilmente Olive si trovò a ridere.

«Ecco», le disse Tom sorridendo, «ora fai ufficialmente parte del circo. Benvenuta.»

Olive ricambiò il sorriso, prese il suo bicchiere e lo alzò nella sua direzione. «Grazie.»

 

*

 

Olive non aveva la più pallida idea di quando o come la voce avesse iniziato a diffondersi, ma da quando era arrivata quella mattina agli studi di registrazione, aveva già incontrato cinque persone diverse che le avevano raccontato più o meno la stessa versione dei fatti.

 

Apparentemente qualcuno ai piani alti di Dublino aveva sentito voci di possibili piani per rubare la stella dell’Ordine di San Patrizio. Apparentemente avevano richiesto l’aiuto dell’Interpol. Apparentemente l’Interpol voleva - o aveva intenzione di, a seconda delle versioni della storia - mandare un agente in incognito. Giusto per tenere d’occhio la situazione, dicevano le voci.

Altre voci, invece, dicevano che la persona scelta dall’Interpol non era un agente vero e proprio. Si trattava, in realtà, di un ladro.

 

«Merda, merda, merda», aveva mormorato Olive quando era riuscita a ritagliarsi un attimo lontana da tutti. Aveva mantenuto un’aria neutrale, quasi divertita davanti alle voci e alle storia che aveva sentito, ma dentro il panico si era lentamente alzato.

Si era imposta calma, aveva inspirato profondamente ed era poi tornata sui suoi passi. Ed esattamente sedici passi più in là si era bloccata, gli occhi incollati sulla fantomatica figura del nuovo tecnico del suono. E lì aveva capito.

 

Il bastardo.

M l’aveva aggiornata sul fatto che l’agente Hagarty era stato affidato a quel caso particolare, ma non aveva immaginato di dover incrociare strada con lui così presto.

Sì, certo, non era davvero evidente ad occhi non allenati, ma a quelli di Olive l’uomo saltava davanti come una mela in un cestino di arance. Una mela avvelenata, per la precisione, alle dipendenze dell’Interpol e apparentemente - se M non si sbagliava - anche di qualcun altro.

Inclinò appena la testa, osservandolo con più attenzione e cercando di elaborare un piano. Olive non era certo una ragazza particolarmente forte, ma forse poteva contare sul fattore sorpresa. E il fattore sorpresa avrebbe-

 

«Buongiorno.»

Olive sussultò appena e Tom accanto a lei ridacchiò. «Scusa, non avevo intenzione di spaventarti.»

«Buongiorno», rispose lei cercando velocemente un tono calmo e un sorriso di circostanza.

«Allora, cosa osservavi con tanto interesse? O dovrei dire chi?»

Ad Olive non sfuggì la nota strana, stonata nel resto dell’intonazione divertita e leggera di Tom. «Stavo solo pensando», si trovò a rispondere, che non era davvero una menzogna.

Lui la osservò per un attimo, gli occhi stretti un poco, prima di spostare lo sguardo sui preparativi del set che erano da poco cominciati di fronte a loro. «Hai sentito l’ultima novità?»

Olive gli lanciò un’occhiata appena esasperata.

«Abbiamo una spia tra di noi», continuò lui con una mezza risata ed un tono melodrammatico. «Mi domando chi potrebbe essere.»

La ragazza scosse la testa, ignorando il sarcasmo di Tom. «Praticamente non ho sentito altro da questa mattina.»

«Io ho sentito dire che si tratta di una specie di James Bond che ha sventato un tentativo di furto della Gioconda al Louvre. Di fronte a decine di turisti.»

Olive fece per replicare ma non ne ebbe modo. La risata di Poppy, alle loro spalle, fu più veloce ad insinuarsi nella conversazione. 

«Ma per l’amor del cielo, non crederete mica ad una simile sciocchezza.» Salutò entrambi con una mano. «Era La Classe di Danza al Musée d’Orsay.»

Susan, immediatamente dietro a Poppy, scosse la testa. «Avete tutti la storia sbagliata. Tanto per cominciare non è una spia, ma un ex ladro. E non era lì per sventare un tentativo di furto, ma per rubare. E non si trattava della Gioconda o La Classe di Danza, ma della statua della Sirenetta a Copenaghen.»

 

Tom, Poppy ed Olive guardarono Susan con sorpresa.

Fu Olive la prima a parlare. «Quella statua pesa centosettantacinque chili ed è ancorata ad una roccia.»

Susan alzò le spalle. «E’ un ladro molto bravo.»

«Sai», disse Tom dando una leggera gomitata a Susan con un sorriso malizioso, «se non ti conoscessi da tempo, mi verrebbe il dubbio che potresti essere tu la fantomatica spia/ex ladro. Sei così informata.»

Susan ridacchiò e diede una piccola pacca al braccio di Tom. «Ma piantala.»

 

«Ecco dove siete finite tutte!»

L’esclamazione fece voltare il piccolo gruppo di persone, per farle trovare a fissare una Mrs Cavendish poco divertita. Tuttavia, appena vide Tom tra le ragazze, la donna addolcì immediatamente l’aria di rimprovero. «Tom, non puoi sempre distrarre le mie ragazze. Sono qui per lavorare.»

Tom s’inchinò appena verso Mrs Cavendish con un’espressione mortificata. «Hai assolutamente ragione, Dotty. Ma non colpa mia se le tue ragazze sono così carine. Sarà che imparano ad essere così affascinanti dalla loro mentore?»

Susan e Poppy trattennero a stento il divertimento, mentre Mrs Cavendish arrossì un po’, nascondendo l’imbarazzo dietro una breve risata quasi pudica.

Olive, dal canto suo, guardò Tom con un che di soddisfatto.

Tom Hiddleston sapeva come usare il fascino che aveva a suo vantaggio. E Tom Hiddleston non aveva problemi ad usarlo per tirare fuori dai casini le persone che reputava sue amiche. In altre parole, Tom Hiddleston aveva un dono.

Ed Olive aveva intenzione di sfruttarlo.

  
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