Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: teabox    27/09/2015    5 recensioni
Tom non avrebbe saputo dire cosa esattamente lo incuriosisse tanto di lei. Il fatto che fosse strana, forse. Terribilmente riservata. Il modo in cui a volte gli sorrideva. Altro.
Non sapeva.
Quello che aveva capito, però, è che quando una ladra entra nella tua vita, sei inevitabilmente destinato a vedere qualcosa sparire.
Lei, a volte. Lui, altre. Entrambi, nei migliori dei casi.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Olive aspettava seduta su di un muretto, quasi del tutto nascosta da alcuni riflettori momentaneamente lasciati fuori da uno degli studi di registrazione.

Aveva chiesto a Priya se c’era modo di tenere sott’occhio i movimenti dell’agente Hagarty e lei qualche giorno più tardi le aveva mandato una email piena di annotazioni. Priya era riuscita a catalogare un numero sufficiente di informazioni perché Olive si facesse un’idea abbastanza precisa di cosa l’agente Hagarty facesse, dove e quando.

Il dato più utile era che quasi tutti i giorni spariva misteriosamente per una decina di minuti durante la pausa pranzo. Più precisamente, spariva tra i capannoni 11a e 11b.

Ed Olive, in quel momento, aspettava proprio nei pressi di quell’angolo, pronta a non dargli l’occasione di svanire nel nulla.

 

Lo vide arrivare da una certa distanza, l’attenzione concentrata sul cellulare che stava usando per mandare un messaggio. Appena svoltò l’angolo, Olive lo raggiunse silenziosamente, decisa a sfruttare l’elemento sorpresa.

Afferrò con una mano il polso dell’uomo, gli piegò il braccio dietro la schiena, lo spinse contro il muro e gli premette un braccio sulla gola. 

«Ehi, Marty, sempre un piacere rivederti.»

L’agente Hagarty tradì dello stupore solo per un momento. Cercò poi di scoppiare a ridere, ma il braccio di Olive sulla sua gola fece uscire un suono rauco e faticoso. «Ma tu guarda. La pecorella pensa di essere un leone.»

Olive gli piegò un po’ di più il braccio dietro la schiena. Sul viso dell’uomo comparve una smorfia di dolore. «Dimmi un po’, ancora incazzato dal fatto che l’Interpol ha chiesto l’aiuto di M di nuovo

«L’Interpol-»

«L’Interpol», lo interruppe Olive, «non ti ha detto di andare a spargere voci in giro.»

Martin Hagarty provò a ridere di nuovo. «Ho pensato che sarebbe stato più divertente così.»

Olive gli piegò nuovamente il braccio, ma dopo l’ennesima espressione di dolore l’agente - come se si fosse stancato del gioco - alzò il braccio che aveva ancora libero e spinse Olive contro il muro opposto. 

Lei, all’impatto della testa contro la parete, chiuse gli occhi per un istante e quando li riaprì, sentì la mano di Hagarty chiudersi sulla sua gola.

«Ora», disse lui con un tono calmo, passandosi la mano libera tra i capelli, «vediamo di chiarire una cosa o due. Se pensi di potermi minacciare, allora non hai proprio capito un cazzo, signorina.»

La mano dell’uomo si strinse un po’ di più attorno alla gola di Olive.

«E, soprattutto. vedi di stare al tuo posto e recitare la tua parte, perché - fattelo dire - non hai la più pallida idea su quello che-»

 

Hagarty non finì la frase.

Lasciò immediatamente la presa sulla gola di Olive e fece un passo indietro, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.

Un attimo più tardi una figura comparve all’angolo dei capannoni.

«Ol…Hollis?», domandò Tom con un che di appena strano nella voce. Aveva spostato lo sguardo da lei ad Hagarty, per poi tornare su di lei. Qualcosa gli aveva sfiorato per un attimo i lineamenti del volto, come se avesse avvertito la nota tesa nell’aria.

Olive cercò di sorride, ma prima di riuscire a dire qualsiasi cosa, l’agente la precedette.

«Abbiamo scoperto di essere conoscenze, questa signorina ed io», disse appoggiando una mano sulla spalla di Olive, stringendola appena un po’. «Piccolo il mondo a volte, no?»

 

Tom guardò l’uomo senza far trapelare nessuna emozione, ma doveva aver colto il modo in cui il corpo di Olive si era irrigidito al contatto di Hagarty. Allungò allora una mano verso di lei, perché la prendesse. 

«Dotty ha bisogno di te», disse chiudendo le dita su quelle di Olive nell’istante in cui lei appoggiò la mano nella sua. Fece un cenno con la testa in direzione dell’agente Hagarty senza dire di più.

Olive notò l’espressione beffarda sul volto dell’uomo, ma ingoiò la rabbia che sentiva in quel momento.

«Ci si vede in giro, signorina», cantilenò l’agente guardandoli allontanarsi.

Lei istintivamente strinse la mano di Tom un po’ di più, ma quando se ne rese conto, la lasciò andare come se scottasse. «Scusa», disse incapace di guardarlo - in parte per l’imbarazzo, in parte per la frustrazione che sentiva.

 

Tom non disse nulla per qualche istante. Si fermò prima di raggiungere il set e la scrutò in silenzio per la lunghezza di un momento. «Tutto bene?»

Olive accennò un sì. «Tutto bene.»

«E lo conosci davvero quel tipo?»

«Sì», rispose lei senza esitare.

«Perché se-»

Olive scosse la testa. «E’ tutto okay, Tom. Davvero.»

Lui trattenne gli occhi su di lei per un altro attimo, poi sospirò scuotendo la testa. «Okay.»

 

Ripresero a camminare silenziosamente, cercando di ignorare la strana tensione che sembrava aver trovato spazio fra loro due. Olive si trovava alla rincorsa di pensieri sfuggenti e piani d’azione e valutazioni su quel poco che Hagarty le aveva detto, mentre Tom sembrava essersi perso in chissà quali riflessioni.

Nei pressi del set si fermarono di nuovo ed Olive fece un mezzo passo indietro quando le dita di Tom si chiusero sul suo mento, spostandole il viso di lato. 

Si rese conto con un attimo di ritardo che quello che lui stava probabilmente osservando erano i primi segni che la mano dell’agente le aveva lasciato sul collo. 

Arrossì cercando una qualsiasi scusa da dare a Tom, ma lui la lasciò andare senza dire una parola.

 

E forse quello fu più umiliante che inventarsi una qualche giustificazione. Essere cosciente che Tom sapeva che lei - se non esattamente una bugia - non gli aveva comunque detto tutta la verità.

Aprì la bocca per dire qualcosa - non sapeva cosa - ma Tom alzò una mano in saluto e si allontanò senza dire nulla.

Ed Olive rimase un momento immobile, cercando di far tacere il rumore nella sua testa e nel suo cuore.

 

*

 

Quella stessa sera Tom l’aspettava appoggiato alla sua-non sua Mini.

Era così evidente che Olive non ritenne necessario trovare un’altra ragione che spiegasse il fatto che lui fosse lì, lungo la strada davanti agli studi di registrazione, a giocherellare con le chiavi della macchina, quando invece avrebbe dovuto essere a casa (o da qualsiasi altra parte) da già almeno mezz’ora.

 

«Sali, ti accompagno a casa», le disse appena la vide. 

Aveva usato un tono di voce che non ammetteva repliche, probabilmente perché in primis quello che aveva detto non era stata una domanda.

Olive rimase per un istante a tormentare la tracolla della sua borsa, prima di aprire la portiera ed infilarsi nella macchina. «Se è per quello che è successo prima-»

«Certo che è per quello che è successo prima», la interruppe Tom bruscamente. Le lanciò un’involontaria occhiata al collo, prima di mettere in moto la macchina. «Non sono affari miei, ma…»

Lasciò morire la frase per un attimo, perdendosi in qualche ragionamento. Olive poi sussultò quando Tom diede un improvviso colpo al volante.

«Sai cosa, invece? Sono affari miei. Non puoi semplicemente alzare le spalle e dire “è tutto okay” ed aspettarti che io accetti la cosa così. Spiegami.»

Olive sospirò. La radio trasmetteva una vecchia canzone che le era sempre piaciuta. Qualcosa nel testo che trovava uno spazio perfetto nella sua vita e in quella situazione - scelte, rinunce, innamorarsi o no.

Tamburellò le dita per un attimo sul ginocchio, prima di voltarsi verso Tom.

«Ti spiego quando arriviamo a casa.»

 

*

 

«Quest’uomo», gli stava dicendo Olive mostrandogli la foto in un ritaglio di giornale, «è Liam McAlister. Collezionista privato, curatore d’arte e temporaneamente rappresentante responsabile dei Gioielli della Corona irlandese.»

Tom prese un boccone del saag gosht che Olive aveva ordinato per entrambi ed osservò l’immagine sorridente dell’uomo con la stella dell’Ordine. 

«Accidentalmente si tratta anche di una persona che non ci pensa due volte a trovare metodi alternativi - per così dire - per aggiungere particolari pezzi alla sua collezione personale di objets d’art

Olive indicò un punto sulla giacca dell’uomo. «Questa spilla, per esempio, è di M.»

Tom la guardò stupito. 

«Ed M la vorrebbe indietro.»

Tom mise da parte per un attimo il cibo indiano. «Onestamente, mi sfuggono ancora dei collegamenti.»

 

Lei - quasi con esitazione - estrasse una seconda foto. Tom la osservò perplesso. «Ma questo non è il tecnico del suono?»

Olive accennò un sì. «Martin Hagarty. Agente dell’Interpol sotto copertura, gentilmente affidato alla produzione del film per fare esattamente quello che è stato chiesto a me di fare.» Sorrise divertita. «Verrebbe da pensare che all’Interpol non si fidino di me.»

Tom ricambiò il sorriso, prima che venisse cancellato dal ricordo di quello che l’uomo aveva presumibilmente fatto ad Olive quel pomeriggio. «Ed è protocollo dell’Interpol aggredire le persone?»

«L’agente Hagarty…», rispose lei vaga spostando lo sguardo di lato, «diciamo che l’agente Hagarty sente di avere qualche conto in sospeso con M. E con me. Ma la cosa davvero importante», continuò cambiando velocemente soggetto, «è quello che M ha scoperto di recente. Pare che l’agente Hagarty stia progettando un pensionamento anticipato, dato che ultimamente ha messo da parte un bel po’ di soldi - e in modi in cui l’Interpol probabilmente non approverebbe. Da quello che M ha scoperto, Martin è al momento ufficiosamente al servizio di Liam McAlister. Fornisce informazioni, contatti, a volte semplice forza bruta. M ha parlato con il suo contatto all’Interpol ed entrambi sospettano che la stella dell’Ordine possa essere a rischio. All’Interpol sanno che c’è una talpa e sanno che McAlister non è esattamente pulito, ma non hanno prove per incastrare nessuno dei due. M, d’altra parte, ha le prove, ma vuole qualcosa in cambio.»

 

Tom tornò a guardare la foto di Liam McAlister. «La sua spilla?»

«Esattamente.»

Riprese il piatto di saag gosht affondando la forchetta nel cibo. «E avete già un piano?»

Olive accennò un sì, gli occhi puntati su di lui, un’espressione vagamente divertita e soppesata negli occhi.

«Cosa?», domandò Tom.

«Avrei bisogno di un favore», rispose lei lentamente.

Tom aspettò.

L’alone di un sorriso comparve sulle labbra di Olive. «Avrei bisogno di te.»

 

*

 

Olive non si stupì del fatto che Tom sembrasse decisamente perplesso e restio. Gli aveva, dopotutto, proposto qualcosa che anche lei avrebbe avuto dubbi ad accettare, se si fosse trovata al suo posto. 

Ma il punto era che aveva davvero bisogno di Tom.

 

«Il problema», cercò di spiegargli, «è che McAlister sa esattamente cosa aspettarsi. O meglio, chi. Tu, invece, sei fuori dal suo radar. Sei insospettabile.»

«Olive», disse Tom con un tono calmo che, tuttavia, tradiva appena un certo nervosismo, «mi stai chiedendo di rubare.»

«Non esattamente. Ti sto chiedendo di aiutarmi a riprendere qualcosa che non appartiene a quell’uomo in primo luogo. Ascolta», alzò una mano fermando la replica di Tom, «siamo stati avvisati che tra poco più di un paio di settimane la stella arriverà a Londra. Vogliono organizzare un party per celebrare l’evento - una di quelle occasioni speciali a cui tu sei abituato.»

Tom scosse appena la testa, ma Olive lo ignorò e continuò.

«La stella sarà esposta e sarà a rischio. Gli occhi saranno tutti su di lei, lasciandomi campo libero per cercare di riprendere la spilla di M.»

«Come fai a sapere che McAlister la indosserà?», domandò Tom scettico.

«Perché», rispose lentamente Olive, «M lo conosce meglio di chiunque altro. Sa che la spilla sarà lì, al bavero della giacca di McAlister, perché McAlister vuole che M provi a riprendersela.»

Tom la guardò dubbioso. «Cos’è, una specie di sfida tra ladri?»

Olive inclinò appena la testa di lato, guardandolo esitante, allungando un “hm” per un istante. «Più che altro tra ex conoscenti.»

«Si…si conoscono?»

Olive guardò Tom quasi imbarazzata. «Beh, sì. Liam è il suo ex marito.» Rise debolmente. «Le coincidenze, eh?»

 

 

«Prima che tu ti rifiuti in maniera inequivocabile», continuò poi Olive senza dare spazio a Tom di commentare, «lascia almeno che ti spieghi l’idea.»

Tom inspirò. Chiuse gli occhi per un attimo ed espirò. Poi - lentamente e quasi sconfitto - fece cenno ad Olive di proseguire.

«La sera del party», cominciò lei senza perdere tempo, «tu ovviamente avrai molte occasioni per avvicinarti a McAlister - Tom Hiddleston, la star del film, l’uomo che indosserà la stella e via dicendo. Anch’io sarò lì e se McAlister non sospetta ancora nulla - e lo trovo difficile - di sicuro saprà che M ha organizzato qualcosa nell’attimo in cui vedrà me. Dettaglio che gioca solo a nostro vantaggio, dato che la sua attenzione sarà su di me e non su di te.»

 

Tom, nonostante i suoi migliori istinti che gli gridavano di fermare Olive e non farsi tirare in mezzo a quella follia, si piegò un po’ verso di lei incuriosito. 

 

«Verso la fine della serata, quando presumibilmente un po’ tutti saranno più rilassati e avranno in circolo almeno un bicchiere di qualche cosa, tu urterai accidentalmente McAlister facendogli cadere la spilla di M. Farai in modo di raccoglierla per primo e scambiarla con una copia che ti darò io. Ti scuserai terribilmente, poi, e ti allontanerai per incontrarti con me, a cui consegnerai la spilla. Io esco di scena, tu ritorni al party come se nulla fosse. Semplice.»

 

Tom si passò una mano sugli occhi, allungando il gesto fino alla fronte e lasciandola poi per un attimo tra i capelli con un che di rassegnato. «Il piano è interessante e, davvero, non dico che non possa funzionare, Olive. Ma come accidenti urti qualcuno per sbaglio in modo da fargli cadere una spilla?»

Olive gli sorrise divertita. «Ti posso insegnare io come.»

Tom la guardò titubante.

Lei sorrise un po’ di più.

Tom scosse appena la testa.

Lei allungò una mano.

 

E Tom - incredulo per primo - dopo un momento la prese.

 

*

 

Elizabeth gli aveva mandato un messaggio.

Non c’era bisogno che Tom glielo dicesse - cosa che comunque non aveva fatto - perché Olive aveva registrato già da qualche tempo quelle particolari micro espressioni che comparivano sul viso di lui ogni volta che Elizabeth lo contattava o quell’aria peculiare che lo accompagnava dopo aver speso una notte con lei.

 

Ma quella era una parte della vita di Tom in cui Olive non aveva diritto ad entrare né a commentare. Per quanto diventasse sempre un po’ più difficile ignorarla.

 

«Devo andare», le disse Tom semplicemente. E il fatto che ci fosse una nota quasi colpevole, quasi di rammarico non aiutava. «Ma se vuoi ci vediamo domani sera per la prima lezione?»

Olive gli sorrise. In testa e nella bocca le bruciavano le parole che avrebbe voluto pronunciare, le domande che avrebbe voluto chiedere. Rimani un altro po’. Non andare. Bacia bene? Ti piace lei più di me?

Chiuse tutto dietro l’ennesima espressione leggera e lo accompagnò alla porta dell’appartamento. 

Tom sembrò esitare solo un attimo, gli occhi di nuovo sul collo di lei. 

Olive - pronta con una frase sciocca, qualcosa per alleggerire l’aria improvvisamente tesa fra loro due - non trovò modo di dire nulla. Il cervello svuotato nell’attimo in cui, delicatamente e con attenzione, Tom aveva portato una mano al collo di Olive ed aveva accarezzato i segni rossi. Le aveva poi lasciato un bacio sulla fronte e salutata con un sorriso senza imbarazzo, senza significati nascosti.

«Riposa, okay?»

Olive aveva accennato un sì. 

Si era chiusa la porta alle spalle, quando lui era sparito dal corridoio del piano, ed era rimasta lì per qualche attimo, cercando di capire cosa farsene di tutto quello.

 

*

 

Un mese prima

(26 giorni al colpo)

 

«Posso sentire le tue dita sul collo», gli disse Olive.

Tom sospirò esausto. Quasi frustrato. Aveva passato l’ultima ora nel futile tentativo di sfilare una catenella dal collo di Olive. 

Lei si voltò e lo guardò pazientemente. «Ricorda cosa ti ho detto.»

«Distrazione», disse Tom.

«Esattamente.» Sorrise incoraggiante. «Distraimi.»

Tom rise. Fece un passo indietro e mosse i muscoli delle spalle e del collo, rilassandoli. 

Olive tornò a dargli le spalle e Tom si concentrò. 

Studia il soggetto, gli aveva detto lei. Trova come distrarlo ed usa la distrazione a tuo vantaggio.

Che era terribilmente facile a dirsi, ma decisamente meno facile a farsi.

Distrarre Olive, si disse Tom. Come?

Indossava un paio di jeans a vita bassa e una maglietta che lasciava appena scoperta una sottile linea di pelle.

Tom sorrise.

Si avvicinò silenziosamente e sfiorò con la punta delle dita quella piccola parte esposta. Olive s’irrigidì. La schiena, il collo, le spalle - ogni parte del suo corpo era improvvisamente in allerta. 

Tom s’impose pazienza. Attenzione. Se avesse provato a slacciare la collana in quel momento, Olive lo avrebbe sentito di sicuro. 

Distrarre Olive, si ripeté divertito.

Spostò la mano appena sotto la maglietta di lei, lasciando che le dita conquistassero centimetri della sua palle. Assaporandone il calore. Deliziandosi del modo in cui lo stomaco di lei si era contratto sotto il suo tocco.

Si piegò appena su di lei, accarezzandole la base del collo con le labbra, sfiorandole la pelle sensibile dietro l’orecchio.

Quasi con sorpresa avvertì Olive appoggiarsi a lui, trattenere un suono di piacere, catturare per un attimo un respiro.

Tom esitò solo un momento, assaporando Olive un istante di più. 

Poi, trattenendola con un braccio contro di lui, allungò l’altro e le fece dondolare davanti al viso la catenina. 

«Com’è andata questa volta?», domandò con una nota sardonica.

Olive prese la catenina ed abbassò appena la testa. «Meglio», replicò lentamente. «Ma dubito che tu possa fare la stessa cosa a McAlister.»

Tom rise.

 

*

 

Due settimane prima

(13 giorni al colpo)

 

Tom, fermo nel mezzo del salotto, l’aspettava con le braccia incrociate sul petto e un’aria di divertita sfida. Sul bavero della giacca, la replica della spilla di M aspettava di essere sottratta.

«Stupiscimi», le aveva detto lui.

 

Olive calcolò le possibilità. Si fermò su di una. La scartò, quindi, e si decise per un’altra.

Gli sorrise, prima di avvicinarsi lentamente, fermandosi a meno di un passo da lui. Vicina, ma non abbastanza da toccarlo. Distrazione numero uno.

Appoggiò una mano sull’avambraccio di Tom che era più vicino alla spilla. Lo sguardo di lui seguì il movimento, tenendola sotto controllo.

Olive sorrise di più. «Dimmi, Tom», chiese con un tono leggero, quasi dolce, «come sta Elizabeth?»

Tom portò immediatamente gli occhi su di lei. 

Distrazione numero due.

Olive si sforzò di non cambiare espressione, registrando comunque quella sorpresa e vagamente imbarazzata di lui. Mosse la mano velocemente, aprendo il gancio della spilla e riportando la mano sull’avambraccio di Tom.

«Ah, ecco-», iniziò a rispondere Tom, ma si fermò quasi subito, probabilmente riconoscendo quello che Olive stava cercando di fare e spostando lo sguardo di nuovo sulla spilla.

Troppo tardi, cantilenò divertita lei nella sua testa. 

Tom riportò gli occhi su Olive.

Olive starnutì. 

E con un movimento veloce, leggero, la mano raggiunse il bavero della giacca. 

Il clic-clac della spilla che, caduta sul pavimento, scivolò a qualche distanza da loro decretò il successo di Olive.

Lei alzò due dita in segno di vittoria.

Tom mormorò una parolaccia.

 

*

 

Lauren O’Caffrey, seduta in una poltrona di fronte ad M ed Olive, guardò una seconda volta la foto di Tom Hiddleston.

M le aveva spiegato il piano e Lauren per conto dell’Interpol aveva accettato i termini dello scambio. Termini che - comunque - per ragioni di discrezione non sarebbero mai stati rivelati.  

Una spilla e - per una sera - completa immunità, in cambio di due uomini e molte informazioni. 

Ma come M fosse stata capace di mettere in mezzo a tutto quello Tom Hiddleston era una domanda che probabilmente non avrebbe mai avuto una risposta inequivocabile.

E, in fondo, che importanza aveva.

 

*

 

Una settimana prima

(8 giorni al colpo)

 

La prima volta che era riuscito ad aprire la spilla e farla cadere per terra senza che Olive avesse avuto nulla da dire o da correggere, Tom si era sentito come se avesse vinto un Oscar. 

L’euforia gli aveva fatto lanciare in aria un pugno ed esclamare un “sì!” che aveva fatto ridere Olive. 

«Posso provarci di nuovo?», aveva poi chiesto elettrizzato, raccogliendo la spilla e appuntandola alla maglia della ragazza.

«Devi», rispose lei sorridendo soddisfatta. «Una volta non basta, devi essere sicuro di saperlo fare bene, senza esitazioni.»

Avevano passato quindi la buona parte di due ore a ripetere i movimenti - diverse angolazioni, diverse possibilità, diversi ostacoli - e Tom scoprì che una volta insegnato alle sue dita cosa cercare e come muoverle, non aveva nemmeno davvero più bisogno di controllare dove la spilla fosse. Semplicemente riusciva a trovarla. 

 

Quando avevano finalmente deciso di finire l’allenamento per quella serata, Olive si era lasciata cadere sul divano del salotto, la schiena appoggiata ad uno dei bracciali e le gambe distese lungo il resto del divano. Tom l’aveva imitata, riflettendo la sua posa nell’angolo opposto ed incastrando le gambe sotto quelle di Olive.

 

«Continua ad esercitarti in questi giorni, mi raccomando», gli aveva detto lei pacatamente. «Ma in generale, ad ogni modo, penso che tu sia pronto.»

Tom la guardò perplesso. «Non ci alleniamo insieme?»

Olive allungò le braccia sopra la testa cercando di rilassare i muscoli della schiena. «Purtroppo nei prossimi giorni sono altrimenti occupata.»

 

Nell’ultimo mese Tom aveva scoperto cose di Olive. 

Non che lei avesse mai offerto informazioni volontariamente, piuttosto sembrava che - senza pensarci o rendersene conto - Olive si lasciasse talvolta sfuggire dettagli e piccole parti di se stessa. E le serate passate insieme ad esercitarsi avevano anche dato modo a Tom di studiarla un po’ ed assorbire certe sfumature della ragazza.

Ma, inaspettatamente e piuttosto improvvisamente, qualcosa era cambiato.

Olive si mostrava rilassata e a suo agio come sempre, eppure Tom avvertiva che una parte di lei si stava ancora una volta tirando indietro. Alzando di nuovo alcuni muri. 

 

Le prese una caviglia e la tirò un po’, catturando la sua attenzione.

«Cosa?»

Tom le sorrise. «Altrimenti occupata in cosa?»

Olive arricciò il naso in un’espressione annoiata. «Minuzie. Dettagli. Accertamenti. Cose così.»

Tom, la mano ancora chiusa sulla caviglia di Olive, la studiò per qualche momento in silenzio.

Olive sembrò quasi imbarazzata. «Che c’è?»

Lui allungò un braccio verso di lei. «Vieni qui.»

«Sono qui.»

Tom alzò gli occhi al cielo. «Qui», disse muovendo le dita della mano accennandole ad avvicinarsi.

Olive sospirò drammaticamente. Spostò le gambe, comunque, e si mosse inginocchiandosi sul divano, all’altezza del fianco di Tom.

Lui la prese per un braccio e la trascinò su di se, intrappolandola sul suo petto e in un abbraccio morbido.

Ascoltò la risata di Olive riverberarsi sul suo corpo ed appoggiò il mento sulla testa di lei. «Non farlo.»

Olive rimase per un momento in silenzio. «Cosa?»

«Non scappare.»

Le mani della ragazza si chiusero un po’ di più su di lui. 

«Okay?»

La risposta arrivò appena soffocata. «Okay.»

 

*

 

Presente

(0 giorni al colpo)

 

Alva Randolph non credeva nei titoli nobiliari.

O, meglio, Alva Randolph non credeva nell’uso eccessivo dei titoli nobiliari.

Generalmente era solo in serate come quella - e in altre rare occasioni - che l’essere chiamata Lady Randolph non suscitava il vago fastidio che collegava alla necessità che alcune persone sembravano avere di ricordarle il suo albero genealogico.

 

Tuttavia quella sera Alva Randolph aveva aperto la sua casa - una graziosa palazzina storica nel centro di Londra - ad un variegato (se non interessante) gruppo di persone che, se non altro, rendeva sopportabile il venir indirizzata in continuazione come Lady Randolph. E, nel centro della sala da ballo, protetta in una custodia di vetro infrangibile, la stella dell’Ordine di San Patrizio brillava e incantava sotto le luci degli imponenti lampadari di cristallo del salone. 

 

Si guardò attorno, cogliendo per un attimo la figura sfuggente di una ragazza. 

Altrettanto sfuggente era l’idea di non sapere cosa quella serata potesse avere in serbo per lei. Ma non tanto perché non avrebbe potuto immaginare i possibili scenari, quanto piuttosto perché aveva scelto volutamente di non farlo. 

Del resto, M ed Olive erano coinvolte, rifletté Lady Randolph. Quindi tutto era possibile.

 

*

 

«Ama le entrate teatrali», sussurrò Olive a Tom nascondendo un sorriso dietro un bicchiere di champagne. «M dice che è sempre stato così. Vedrai che arriverà presto.»

Tom sorrise di rimando, evitando però di guardare Olive e cercando di tenere a bada il nervosismo.

 

Qualche ora prima, quando si era trovato nel mezzo dei preparativi per quella serata, aveva dovuto lottare con l’agitazione derivata dall’idea di quello che lo aspettava quella sera. Non aveva minimamente preso in considerazione la possibilità di sentirsi nervoso per altre ragioni.

Olive, per la precisione.

Che aveva trovato nel foyer della palazzina di Lady Randolph, fasciata in un abito che sembrava essere stato fatto per mettere in risalto ogni deliziosamente elegante curva del suo corpo e catturare l’attenzione di più di uno degli invitati.

«Se proprio devo farmi notare, almeno vorrei farlo con stile», si era giustificata lei con un’aria divertita. 

C’era stato un po’ di colore sulle sue guance, l’unico indizio che per quanto pretendesse di essere a suo agio, non lo era poi così del tutto. 

 

Tom aveva catturato il riflesso di loro due in un ampio specchio lungo il corridoio che portava verso la sala da ballo ed era stato lì che aveva capito. Che si era reso conto che Olive, quella sera, non era davvero poi così diversa dal solito. Semplicemente, era più evidente a tutti quello che lui vedeva in lei ogni volta che la guardava.

Un certo tipo di bellezza difficile da definire o circoscrivere. Anche nel riflesso di uno specchio.

 

*

 

«La sala da ballo in realtà è formata da due spazi», stava dicendo Olive ferma in un angolo del salone con Tom. «Quando tutto questo non è necessario, due porte scorrevoli ai lati delle stanze vengono chiuse e improvvisamente hai due sale di dimensioni normali. Se invece c’è bisogno di più spazio, le porte in fondo alla sala possono essere aperte su di un terzo spazio.»

Tom le lanciò uno sguardo veloce, un che di divertito negli occhi. «Sembri conoscere bene il posto.»

Olive fece per rispondere, ma non ne ebbe il tempo.

 

«Lo spero bene», s’intromise la voce di Lady Randolph. «Dato che è cresciuta qui.»

Olive e Tom si girarono verso la donna. Tom spostò lo sguardo stupito da lei ad Olive.

Olive sorrise, quasi rassegnata. «Buonasera, mamma.»

 

*

 

Dopo una breve e vagamente imbarazzata introduzione, Olive si era allontanata notando l’arrivo di McAlister, lasciando Tom al curioso studio di Lady Randolph.

«M mi dice che lei ed Olive siete…amici? Di sicuro Olive l’ha nominata piuttosto spesso, ultimamente. Che, onestamente, è un rinfrescante cambiamento rispetto a quello che generalmente mi racconta.»

Tom rise piano, nascondendo un leggero impaccio. «Posso immaginare.»

«Ed immagino invece che non le abbia detto molto di se stessa?»

«No. Non esattamente.»

Alva Randolph sospirò appena, lasciando scorrere lo sguardo sulla sala piena di invitati. «Non mi stupisce. Anche sua madre era-». S’interruppe allo sguardo confuso di Tom e sorrise dispiaciuta. «…ah, ma ovviamente. Lasci che le spieghi.» 

Prese a camminare lentamente, gli occhi alla ricerca di qualcosa forse, e Tom la seguì senza fare domande.

 

«Olive è la figlia di mia sorella minore, per quanto sono stata io a prendermi cura di lei fin da quando era piccola. Mia sorella…Minnie era luminosa. Bruciante. Piena di troppa energia e troppa sete per la vita. I più gentili la definivano ribelle, ma in realtà era una giovane donna sciocca che odiava qualsiasi regola. Quando rimase incinta di Olive, non fece mai sapere a nessuno chi fosse il padre. E un giorno - Olive avrà avuto quattro anni - lasciò l’Inghilterra ed Olive alle spalle, con niente di più di una nota che annunciava di essere diretta in Africa e che sarebbe eventualmente tornata per Olive. Non tornò. Scoprimmo solo in seguito che morì di malaria.»

Tom rimase in silenzio per un momento. «Sono terribilmente dispiaciuto.»

Lady Randolph gli sorrise scuotendo appena la testa. «E’ storia antica, oramai. Olive ha…Non ne è sempre stata a conoscenza. Sono sempre stata io sua madre, se si vuole. Ma quando ha saputo la verità, ha passato una fase…problematica, per così dire. Fu M a trovarla, in quel periodo, e riportarla indietro. C’è voluto tempo, ma la situazione eventualmente è migliorata.»

La donna si fermò ed appoggiò una mano sul braccio di Tom, incrociando lo sguardo con il suo. «Le dico tutto questo, Mr Hiddleston, perché voglio essere sicura che lei sappia che Olive - anche al di là della sua professione - probabilmente non sarà mai come una qualsiasi altra ragazza con cui potrebbe avere una relazione. Come una qualsiasi donna inglese od un’attrice americana, per esempio.»

Tom s’irrigidì appena a quel riferimento ad Elizabeth.

«Olive è sciocca e testarda come qualsiasi altra giovane donna della sua età, ed allo stesso modo è fragile. Ma è anche diversa. Complicata.»

Tom spostò lo sguardo sugli invitati. Trovò Olive, in mezzo a tutta quella gente, e il suo sorriso, e si trovò a sorriderle in risposta. 

Ritornò allora a posare gli occhi su Lady Randolph, l’alone del sorriso ancora sulle labbra. «Credo che mi piaccia così.»

Lady Randolph lo studiò per qualche attimo, prima di accennare un sì con aria compiaciuta. «Molto bene, allora.»

 

*

 

Quando la spilla era caduta per terra, era seguito un attimo in cui Tom aveva smesso di respirare. Ma nessun poliziotto era spuntato dal nulla ad accusarlo di tentato furto, né tanto meno gli era stata rivolta attenzione più di una normale sorpresa. 

Tom si era scusato profusamente con Liam McAlister e - come Olive gli aveva pazientemente insegnato - quando si era piegato a raccoglierla dal pavimento, aveva scambiato la spilla originale con la copia. 

Nessuno sembrava essersi accorto di nulla. McAlister lo aveva perfino ringraziato.

Tom si era sentito vagamente in colpa e decisamente a disagio, ma la voce di Olive nella sua testa che gli rammentava che quella spilla era di M riuscì a tenere a freno il resto.

 

Si allontanò discretamente, appena sembrò possibile farlo senza destare sospetti, e fece un giro della sala, come Olive lo aveva istruito. Si guardò attorno, poi, nei pressi dei un paio di porte chiuse nel fondo della salone. 

Olive catturò il suo sguardo da un altro angolo della stanza. Fece un discreto cenno ad una portafinestra che si affacciava su di un balcone e si mosse lentamente, senza fretta. 

La vide poi bloccarsi con un’aria che da sorpresa era diventata decisamente preoccupata. 

Tom capì perché un attimo più tardi. 

Martin Hagarty - con un sorriso che non prometteva nulla di buono - era a qualche passo da a lei.

 

*

 

Olive girò su se stessa.

Si infilò nel mezzo della piccola folla che occupava soprattutto il centro del salone e si fece spazio velocemente, muovendosi fluida, raggiungendo Tom senza perdere tempo. 

Non gli diede modo di dire nulla, ma lo afferrò per un polso, aprì una delle porte alle sue spalle ed lo spinse dentro.

«La spilla», gli disse velocemente. 

«Cosa hai intenzione di fare?», domandò lui cercando di tenere a bada l’agitazione e passandole l’oggetto. 

«Stai qui», rispose lei ignorando la sua domanda. Si avvicinò ad una finestra nella stanza e ne spalancò le imposte. 

«Cosa diavolo!?», esclamò Tom raggiungendola nel momento in cui lei si sedette sul bordo. 

«Devo andarmene prima che McAlister faccia qualcosa di stupido o che Hagarty faccia qualcosa di peggio», disse lei sfilandosi le scarpe e mettendosi in piedi sulla cornice della finestra. 

«Non vorrai mica saltare?»

Olive rise, nonostante la situazione. «Guarda», replicò lei indicando qualcosa fuori, sul muro esterno della palazzina. Una piccola scala di metallo era puntellata lungo l’altezza dell’edificio, dal primo piano all’ultimo.

 

«Buonasera, Olive», li raggiunse la voce di McAlister.

Lei e Tom guardarono verso il basso. L’uomo - sorridente e divertito - li aspettava all’inizio della scaletta. 

«Davvero, per essere una delle allieve preferite di M, sei deludente», continuò l’uomo.

Olive lanciò uno sguardo a Tom e fece scivolare una mano sul suo braccio. «Stai qui

Quindi afferrò uno dei pioli di metallo della scala e cominciò a salire il più velocemente possibile.

 

Quasi raggiunto il tetto della palazzina, Olive sentì la scaletta vibrare. Si voltò come poté e non credette ai suoi occhi. Tom era dietro di lei. 

Ingoiò una parolaccia, raggiunse il tetto e si sporse allungando un braccio per aiutare Tom. 

«Non ti avevo detto di stare nella stanza?»

Tom la guardò irritato. «Se McAlister ti aspetta da basso, chi pensi che potrebbe aspettarti qui su? Hanno capito le tue mosse, Olive.»

 

«Ascolta il tuo fidanzatino, Olive», s’intromise la voce di Hagarty. La figura dell’agente emerse da una delle ombre del tetto. «Non vogliamo che nessuno si faccia male. La spilla, signorina, e forse te la cavi senza lividi.»

Olive chiuse la mano attorno a quella di Tom e fece un passo indietro, trascinandolo con sé. «Tom, polveri asciutte», gli sussurrò.

Tom le lanciò un’occhiata confusa, cercando di tenere a bada il panico. Gli servì solo un attimo per capire cosa lei gli stesse dicendo. Era qualcosa a cui aveva accennato durante uno degli allenamenti. 

 

Come disse Cromwell, tieni asciutte le tue polveri. Sii preparato per qualsiasi eventualità. Che generalmente si riduce ad avere almeno una distrazione a portata di mano e a saper correre velocemente. 

 

«Polveri asciutte», le ripeté allora.

«Perfetto», replicò Olive sottovoce. Alzò quindi entrambe le mani e fece un passo verso Hagarty. «Okay. Ti dò la spilla e ci lasci andare.»

Hagarty rise. «Lascio andare il tuo fidanzatino, signorina. Su di te temo che Liam abbia altri progetti.»

Tom fece un passo verso di lei, ma Olive lo fermò. Lentamente spostò una mano e dal corsetto del vestito estrasse la spilla di M. «E’ tutta tua», disse lentamente. Hagarty si mosse per prenderla, ma Olive la lanciò oltre le spalle dell’uomo.

 

Nell’attimo di distrazione che seguì, Olive e Tom si girarono e cominciarono a correre sul tetto della palazzina. La bellezza di Londra, avrebbe poi detto in seguito Tom, era il fatto che un numero quasi infinito di tetti fossero collegati fra di loro.

Olive lo guidò attraverso i primi tre, per poi girare bruscamente e fermarsi sul cornicione del quarto. Si voltò verso Tom guardandolo vagamente preoccupata. 

«Pronto?»

Tom non rispose immediatamente. «Per cosa?»

Olive indicò un punto sotto di loro.

La piscina di un’abitazione privata di qualcuno con ovviamente troppi soldi (perché, davvero, cosa te ne facevi di una piscina a Londra) sembrava essere stata messa lì ad aspettarli. 

Tom deglutì. «E’ un buon momento per informarti che non sono particolarmente a mio agio con i salti nel vuoto?»

Olive gli prese la mano. 

Tom mormorò una parolaccia lanciando una seconda occhiata alla piscina. Tornò poi a guardare Olive. «Oh, beh. Pronto per come posso essere pronto.»

«Al tre?», domandò Olive.

Tom accennò un sì. 

E al tre saltarono. 

 

*

 

C’era qualcosa nel modo in cui, quando cadevi in una massa d’acqua ad una certa velocità, che era terrificante e che, allo stesso tempo - quando capivi che sì, eri ancora vivo e che sì, eri ancora intero - ti riempiva di adrenalina.

Tom riemerse vicino ad Olive ridendo come un pazzo.

Olive stava facendo lo stesso.

 

Qualcuno, poi, si schiarì la voce.

Tom si girò in direzione del suono e con una buona dose di meraviglia si trovò a fissare M, una mano su di un fianco ed un espressione vagamente divertita.

Accanto a lei un’altra donna che Tom non conosceva, ma che il tailleur nero e l’aria decisamente perplessa conferivano un che di ufficiale. 

 

Olive uscì dalla piscina e Tom la seguì immediatamente. 

M gli sorrise con una cordialità che aggiunse solo all’assurdità del momento. «Mr Hiddleston, sempre un piacere rivederla. Vedo che la necessità di fornirle un cambio d’abiti sta diventando un’abitudine», disse allungandogli una borsa che - ovviamente - conteneva dei vestiti per lui.

«Terribilmente dispiaciuto, M. Grazie mille», rispose vagamente imbarazzato.

Olive soppresse una risata. 

«Il tuo cambio, Olive», continuò M passando un’altra borsa alla ragazza. 

«Grazie, M.»

M fece un piccolo cenno con la testa, l’aria di chi non era davvero stupito da nulla di quello che stava osservando. «La spilla, Olive?»

Tom fece un passo avanti. «L’abbiamo dovuta dare all’agente dell’Interpol.»

M guardò Tom con aria perplessa. 

Olive si parò davanti a lui e con un sorriso divertito infilò una mano nella tasca della giacca di Tom, estraendone - come un trucco di magia - la spilla di M.

Tom la guardò stupito. «Ma come…quando?»

«Sul cornicione della finestra, prima che uscissi», spiegò Olive passando l’oggetto ad M, «quando ti ho detto di stare dove stavi.»

«Avresti potuto dirmelo», disse Tom vagamente risentito.

Olive lo guardò con un’aria di finta offesa. «Vuoi dirmi che se avessi saputo di avere la spilla di M nella tasca della giacca, non mi avresti seguito sul tetto per aiutarmi con Hagarty?»

«No, lo avrei fatto comunque, ma almeno sarei stato più attento o-»

Si fermò davanti alla risata di Olive e scosse la testa. Alzò le mani al cielo. «Sei impossibile», annunciò.

Ma con un tono troppo allegro per prenderlo davvero sul serio.

 

*

 

C’era stato uno scambio di documenti e strette di mano tra M e Lauren O’Caffrey, la donna nel tailleur nero che - come Olive aveva spiegato a Tom - era il contatto di M all’Interpol.

C’erano poi stati in distanza i suoni di alcune sirene e una chiamata sul cellulare di Lauren, al termine della quale aveva annunciato che Liam McAlister era stato preso in custodia e che erano sulle tracce di Martin Hagarty. 

 

Tom ed Olive si erano cambiati ed erano entrati in una macchina con autista che M aveva messo a disposizione per loro. I primi minuti del tragitto erano quindi passati tra le molte domande di Tom ed i vari chiarimenti di Olive.

«C’è una cosa che m’incuriosisce davvero», aveva detto poi Tom rilassandosi contro lo schienale del sedile posteriore della macchina.

«Cosa?»

«Pensavo che McAlister volesse la stella dell’Ordine. Come mai era così interessato a tenersi la spilla di M?»

Olive ci aveva riflettuto per un attimo. «Forse perché è quel genere di persona che non sa perdere. O forse perché gli ricordava M.» Fece una piccola pausa. «O forse perché la spilla vale intorno alle diciottomila sterline.»

Tom imprecò. «Mi stai seriamente dicendo che avevo diciottomila sterline nella tasca della giacca?»

«Temo proprio di sì», rispose lei con una piccola risata. 

Tom si unì a lei e tornò a rilassarsi contro lo schienale del sedile. Allungò una mano, trovando le dita di Olive e sfiorandole. «E cosa succede ora?»

Lei non rispose immediatamente. «Ognuno va a casa sua a riprendersi dagli eventi traumatici di questa sera. O…»

«O?»

«O puoi venire da me a brindare ad una serata fuori dall’ordinario.»

Tom sorrise. «Brindiamo.»

 

*

 

Olive, seduta su uno dei piani della cucina, un bicchiere di vino in mano, osserva Tom preparare qualcosa da mangiare per entrambi.

E non le sfuggì la completa assurdità della situazione.

 

Aveva sempre deciso lei. Chi, come, quando. Regole. Limiti. Struttura.

Ed era - in qualche misura - terrificante rendersi conto che non era più così. Che Tom entrava nella vita di Olive accompagnato da compromessi e che - anche più destabilizzante - Olive era pronta ad accettarli.

Perché le piaceva Tom ed era ovvio probabilmente a tutti. 

 

«Sei silenziosa», la raggiunse la voce di lui.

Olive lo osservò. «Ho notato che hai parlato con mia madre stasera.»

Tom esitò solo un momento. «Sì.»

«E immagino ti abbia detto che non è davvero mia madre.»

Altra esitazione. «Sì.»

Lei prese un sorso di vino. «E qualcos’altro?»

«Niente di particolare», rispose Tom lentamente. «Solo che hai avuto qualche problema lungo la strada, ma che le cose vanno bene ora. Sei diventata un luminoso esempio di grazia ed intelligenza.»

«Per favore. Mia madre non direbbe mai una cosa del genere su di me. O su chiunque altro», replicò Olive ridendo.

 

Tom si unì alla risata, abbandonò per un attimo quello che stava cucinando e la raggiunse, fermandosi di fronte a lei. «Hai ragione, mi hai scoperto. In verità ti ha definito sciocca e testarda, ma in un modo che è suonato come un complimento.» 

Olive abbassò gli occhi a quelle parole e al sorriso con cui Tom le aveva pronunciate. Quindi sentì più che vedere le mani di lui appoggiarsi ai lati dei suoi fianchi, bloccandola con le braccia e il corpo. 

«Ha anche detto che sei fragile», continuò poi piano, pronunciando con attenzione le parole e con un che di delicato. «E che sei diversa. Complicata.»

Olive alzò il viso, trovando quello di Tom pericolosamente vicino al suo. E il suo cuore prese a battere troppo velocemente e la testa le si riempì di troppi pensieri. «E tu cosa le hai detto?»

Tom le sorrise. «La verità.»

 

Olive aspettò. 

Aspettò che lui dicesse altro, di più, qualsiasi cosa. 

Ma Tom, invece, si allontanò da lei e tornò a cucinare. Lasciando Olive, seduta sul piano della cucina, sola con il suo imbarazzo.

Non era brava a fare questo. Era, ad essere sinceri, un vero disastro. Era come se stesse cercando di imparare una danza di cui non riusciva a sentirne il ritmo, a capirne i passi.

Se Tom fosse stato una cassa forte o un sistema d’allarme, un quadro od un gioiello, Olive avrebbe saputo cosa fare. Ma Tom era Tom, un uomo che si era incastrato nella sua testa e che- 

 

Olive si fermò su di un pensiero. Lo valutò, rigirandoselo nella mente come se fosse tratto di un oggetto tra le mani.

Guardò Tom, stringendo un po’ di più le mani sul piano della cucina, cercando di rallentare il cuore, rilassare il respiro. 

«Sai cosa qualcuno mi ha detto tempo fa?», si trovò poi a dire ad alta voce.

Tom si girò appena, lanciandole un’occhiata curiosa da sopra una spalla. «Cosa?»

«Che se non riesci a toglierti qualcuno dalla testa, forse vuol dire che il suo posto è esattamente quello.»

 

Vide Tom fermare per un attimo quello che stava facendo. Non si voltò, però. «E chi c’è nella tua testa?»

Olive abbassò lo sguardo. «Tu.» 

Sorrise, poi, divertita da un altro pensiero. «Anche se, a dire il vero, ultimamente non sei solo nella mia testa, ma sembri essere dappertutto nella mia vita.»

 

Forse fu perché era distratta o forse perché lui si era mosso così velocemente, ma Olive sussultò appena quando si trovò improvvisamente Tom di fronte. Ancora una volta vicino e ancora una volta con le sue braccia ai lati del corpo di Olive. 

Non disse nulla per qualche momento e si limitò, invece, a fissarla - studiandola quasi, soppesandola. L’ombra di un piccolo sorriso, poi, gli comparve sulle labbra. «E cosa intendi fare a proposito?»

 

Olive permise ad un attimo di passare, muovendosi lentamente, fermandosi ad un respiro dalla bocca di Tom. Lui rimase immobile, lasciando che fosse lei a decidere. Olive accennò un sorriso che si perse, poi, sulle labbra di Tom nell’attimo in cui le sfiorò. 

Si spostò di un soffio, ma la bocca di Tom la lasciò libera solo per un istante. E anche se il suo bacio non aveva nulla di sfiorato, fu altrettanto delicato. 

Olive chiuse le mani attorno al collo di Tom e lo tirò un po’ di più a se, baciandolo come se avesse sete, baciandolo come se ogni bacio fosse un “finalmente, finalmente, finalmente”. 

 

Olive non aprì gli occhi immediatamente, quando Tom la lasciò libera di tornare davvero a respirare. Ma anche così, era come se si stessero baciando ancora - i loro respiri intrecciati, le labbra che si sfioravano, le mani di Olive ferme sul collo di Tom.

Aprì gli occhi piano, poi, non riuscendo a guardarlo per un momento. 

Tom - le mani chiuse sui fianchi di Olive - tamburellò le dita sulla schiena di lei. «Ehi.»

Olive alzò lo sguardo, fermandosi su quello divertito di Tom. «Ehi.»

Lui strinse un po’ di più la presa su di lei ed Olive si trovò a ridere.

«Cosa c’è di tanto divertente?»

Lei scosse la testa. «Hai una strana tendenza a fare questo.»

«Cosa?»

Olive indicò le mani di Tom. «Intrappolarmi.»

Tom le sorrise. «Perché tu hai una strana tendenza a scivolare via.»

«Non questa volta», promise lei.

Tom la soppesò con un’aria quasi esitante che si sciolse, poi, in un sorriso. Le baciò la fronte, poi, prima di lasciarla libera. «Non questa volta.»

 

Olive lo osservò tornare a quello che stava cucinando. 

C’era un sorriso cristallino e senza complicazioni sulle sue labbra.

Perché, si era detta, anche nel groviglio strano delle loro vite, quello che loro due avevano trovato era, tutto sommato, davvero semplice.

Si erano trovati a vicenda.

 

Nessun bisogno di scappare da quello.

 

 

Fin

  
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