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Autore: WickedSwan    27/09/2015    5 recensioni
A #Larry Fanfiction!
DAL TESTO: "Che schifo.
Ridotto a trascinarmi in locali sconosciuti dei sobborghi di Londra, pur di essere me stesso.
Che poi, forse, non sono me stesso neanche così.
No, non sono più me stesso da un po’ di tempo ormai.
Come sempre, il mio autista mi sta aspettando in una via laterale, pronto ad accogliermi in macchina, una berlina, ovviamente, e riportarmi a casa.
Sono sicuro che qualche sera non mi vedrà arrivare.
Prima o poi qualche pazzo mi rapirà, con la speranza di tirarci fuori un bel riscatto. O magari solo per il gusto di torturarmi ed uccidermi lentamente e con gusto.
Come se non ci stessi già pensando da solo."
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Grazie Marti per il banner) CAPITOLO 20 –MAY I HOLD YOU?
 
 
All that's made me is all worth trading
Just to have one moment with you
So I will let go with all that I know
Knowing that you're here with me
For your love is changing me

May I hold you as you fall to sleep
When the world is closing in
And you can't breathe
May I love you, may I be your shield
When no one can be found
May I lay you down

(May I - Trading Yesterday)
 
“A causa di gravi problemi dovuti al mal tempo, che ha creato grandi disagi a Vienna e nella maggioranza dello stato austriaco, l’attesissimo concerto degli OneDirection è stato rimandatoa data da destinarsi.
Probabilmente i ragazzi sbarcheranno a Vienna nel mese di Maggio, con il nuovo singolo in uscita ed uno dei membri ormai felicemente sposato.
Eh sì, ragazze, Louis Tomlinson abbandona definitivamente il suo status di playboy per dedicarsi completamente alla ancora per poco signorina Calder.
Rumors molto insistenti affermano che il matrimonio avrà luogo durante le prime settimane di pausa, in un luogo ancora segreto e con diverse decine di invitati, perlopiù appartenenti allo star system.
Che dire, speriamo di riuscire ad avere l’esclusiva su uno degli eventi più attesi dell’anno, ma soprattutto, non vediamo l’ora di avere nuove foto in HD dei ragazzi, rigorosamente in giacca e cravatta per l’occasione!
Alcune fonti danno per certo che le damigelle della sposa saranno le due maggiori sorelle Tomlinson, ma ancora è oscuro il nome del testimone dello sposo; sarà forse il suo (ex?) migliore amico Harry Styles? Potremo finalmente vederli di nuovo uniti come un paio di anni fa?
Vi lasciamo con l’ultima notizia bomba della giornata: questa mattina la nostra Eleanor è stata pizzicata mentre entrava al RoyalLondon Hospital, con il suo immancabile frappuccino di Starbucks. Alcuni testimoni affermano di averla vista dirigersi nel reparto ginecologia… che ci sia qualche altra sorpresa in arrivo per il giovane Louis?
Beh, che dire, lo scopriremo solo vivendo!”

 
“Niall, spegni quel maledetto affare!”ringhia Zayn, proprio quando il biondo mette via il pc, dato che ormai quello che dovevamo sentire l’abbiamo sentito.
Io torno a guardare fuori dal finestrino del Van, mentre vedo passarmi davanti le strade di Parigi, che in questi giorni ho imparato a conoscere un po’ più da vicino.
Le parole della giornalista continuano a risuonarmi in testa come un irrefrenabile martello pneumatico.

“Sorpresa in arrivo.”

“Harry”
Zayn cerca di attirare la mia attenzione, ma ormai i miei pensieri mi hanno risucchiato in un vortice molto lontano da qui.

“Harry, mi dispiace, io pensavo che parlassero soltanto della tappa rinviata, non di… tutto il resto”, si giustifica Niall. Ma la sua voce è un’eco soffocata.

“Reparto di ginecologia.”

“Harry, ehi… guarda che non è come pensi”prova ancora Zayn.

“Ex migliore amico.”

“Stronzate!” esclamo, seguendo il filo dei miei pensieri e facendo sgranare gli occhi ad entrambi i miei compagni di viaggio.

“No no, sul serio Harry, non so cosa ci facesse all’ospedale, ma di sicuro non era per quello che pensa la giornalista!” risponde Zayn, pensando che la mia imprecazione fosse rivolta a lui.

Finalmente mi volto, senza togliermi gli occhiali scuri, tanto per non mostrare le borse di tre notti passate quasi in bianco.
“Che hai detto?” chiedo, focalizzando la mia attenzione su di lui, per quanto possibile.

Testimone.
Ma manco morto che partecipo a quella farsa, figuriamoci se faccio il testimone.

“Louis ed Eleanor non sono più andati a letto insieme dalla sera del suo compleanno” afferma Zayn, sicuro.

“Uno, che schifo, magari se smetti di parlarmi di quei due insieme evito di vomitare nel Van” rispondo, cercando di mascherare il sollievo che si è impadronito del mio cuore. “Due, cosa vuoi che me ne freghi. Se ha fatto la stronzata sono cazzi suoi. Io non ho più niente da dire sulla sua vita” concludo, sperando di chiudere la conversazione in questo modo.

Il silenzio che segue la mia dichiarazione impregna l’aria di attesa.
Mi azzardo ad alzare la testa e mi accorgo che Niall e Zayn si stanno guardando, con due sorrisetti compiaciuti sul viso, prima di scoppiare a ridere uno dopo l’altro.

“Che diavolo avete da ridere?” chiedo, ancora più innervosito di prima.
Louis si sposa e questi stronzi ridono.
È come ridere alla fine della Madama Butterfly.


“Senti, se pensi davvero che noi possiamo credere anche solo per un attimo alle cazzate che hai appena detto, allora non ci conosci affatto” risponde Niall, afflosciandosi comodamente sul sedile del Van.

“Già. In più lo sanno tutti che non sai mentire, Harry. E con tutti intendo tutti” aggiunge Zayn, tirando fuori il suo sguardo da ‘ti conosco più di quanto tu non conosca te stesso’.

“Scusate, ma cosa dovrei rispondere allora, secondo voi?” chiedo, frustrato.

“Intanto, visto che questa fila ritarderà il nostro arrivo all’aeroporto, potresti raccontarci che hai fatto in questi giorni. Dove sei andato, chi hai conosciuto… ma soprattutto che è successo col barista”risponde Zayn, tranquillo.

“Il barista?” chiedo. Non pensavo che Zayn sapesse. Non l’ha neanche mai incontrato.

Louis” mi dice lui, scrollando le spalle, come se quel nome fosse la risposta alla mia domanda.

Louis che?” chiedo, mentre il suo nome brucia come sempre, uscendo dalla mia bocca.

“Harry ma ci sei? Louis è impazzito quando sei rimasto al pub, l’altra sera. Ha passato le tre ore successive ad impazzire nel cercare di capire le tue mosse” risponde Niall, intromettendosi nella conversazione.

“Ha ragione Niall. Io c’ero Harry. Non hai idea di come fosse messo. Quando ha saputo che sei andato a casa sua poi… pensavo che stesse per avere un infarto!” esclama allora Zayn, confermando le parole di Niall.

“Io… non lo sapevo. Cioè, non sapevo che ve ne avesse parlato. Comunque non è successo niente. Ero troppo ubriaco per mettere in fila due parole, figuriamoci per altro. Però è stato un incontro interessante. Jean è una persona… particolare, ecco”

“Jean?” domandano, in coro.

“Sì, Jean. Fa il pittore, anche se non di professione. In realtà è anche molto bravo a disegnare, guardate qui” propongo, tirando fuori il portafoglio dai miei pantaloni e mostrando lo schizzo che avevo trovato sul cuscino quella mattina.

Niall impazzisce all’istante, dato che continua a dire di non aver visto niente di più simile al vero me, neanche fra i tanti disegni che ci arrivano ogni giorno tramite Twitter o Istagram.
Zayn sembra molto sorpreso e me lo strappa di mano senza troppa gentilezza, per poi iniziare a studiarne anche i più piccoli particolari.

“Beh,” dice infine, “Ovviamente si vede che il tipo è bravo. Ma ti ha disegnato ad occhi chiusi, Harry e gli occhi sono la parte più difficile da disegnare. Sono quelli che definiscono la persona. Quindi, in fin dei conti, non posso dare un giudizio completo”conclude, professionale.

“Sai, anche lui ha detto la stessa cosa. Cioè, non proprio, ma dice di non averli disegnati per un motivo” rispondo, prendendolo in contropiede.

“Un motivo? In che senso?” chiede Zayn, adesso molto più incuriosito.

“Dice che vuole aspettare e disegnarli quando” ed inizio a citare a memoria, copiando la sua erre moscia“Non saranno affogati dalla tristezza”.

“Wow”sospira Niall, che in questo momento sembra più una lettrice di Harmony che il mio compagno di band.
Beh, in effetti ha ragione, come frase ha il suo peso.

“Cioè, spiegami. Quello ti ha portato a casa sua, ti ha lasciato dormire nel suo appartamento-”
“Nel suo letto” lo correggo.
“-nel suo letto, e la mattina dopo ti ha fatto trovare un tuo ritratto, per poi dirti questo?” mi chiede allora Zayn, stranito.

“Sì. E mi ha anche cucinato i pancakes se è per questo. È una persona molto gentile e disponibile” rispondo, cercando di fargli capire quanto davvero Jean fosse stato perfetto.

“E tu mi dici che non è successo niente? Non capisco Harry. Probabilmente anche io al tuo posto avrei fatto succedere qualcosa!” esclama Zayn, incredulo.

“Beh, sarò anche etero, ma se qualcuno mi facesse un ritratto così –uomo o donna che fosse–ci farei un pensierino pure io” conclude Niall, stupendomi ancora di più.

“Ecco… abbiamo parlato e… ci è sembrato meglio restare amici, ecco” mi difendo.

“Ah, ho capito. Quindi è con lui che sei uscito in questi tre giorni!” esclama Zayn, riprendendosi un attimo dallo shock precedente. “Avete recuperato la nottata, ecco perché hai quelle borse sotto gli occhi” aggiunge, rabbuiandosi.

Prendo fiato per rispondere, cercando di spiegare cosa ho fatto in questi giorni, ma Niall mi interrompe ancora prima di cominciare.
“Ah. Quindi… siete tipo una ‘cosa’ adesso? Cioè, se davvero avete passato tre giorni insieme è perché vi trovate bene. Io pensavo che...beh insomma, che ci fosse ancora..”

“Niall aspetta” lo ferma Zayn, che deve aver notato la mia espressione corrucciata, “Facciamo parlare Harry” conclude, voltandosi di nuovo verso di me.

“Oh, menomale” rispondo, stanco.“No, non ci siamo più visti. In realtà in questi giorni ho passato molto tempo da solo. Avevo bisogno di pensare”.

“A Louis”dice Zayn, molto lentamente, come se fosse la conclusione naturale al mio ragionamento.

Resto in silenzio.
Perché non ha affatto ragione.
In questi giorni ho pensato a tutto, meno che a lui.
Ho pensato al suo matrimonio, alla sua ‘ragazza’, al fatto che vorrei morire piuttosto che vederlo con una fede al dito, alla possibilità di scappare ai Caraibi; ma non ho pensato a lui.
Non in senso stretto almeno.


Certo, se poi contiamo come ‘pensare a Louis’ i momenti in cui ricordavo le sue piccole mani o i suoi occhi brillanti o vedevo qualche pantalone nelle vetrine e lo immaginavo indossato da lui allora…
Va beh, però pensavo a delle parti di Louis.
Mica a lui nella totalità.
Beccati questa Zayn, ti sei sbagliato.

“Non pensavo a Louis” rispondo, fingendo calma.
Credo di essere appena riuscito a rendere la mia voce stridula. Incredibile.

“Harry. Un uomo bello, intelligente ed evidentemente gentile ti porta a casa sua e ti cucina la colazione. Ti regala un disegno, ti dice quelle cose e tu decidi di ‘restare suo amico’. C’è solo un motivo per cui si rifiuta tutto questo”.

“Quale?” chiedo, pronto a sputare tutti i rospi che ho in gola.

“Essere innamorato di qualcun altro. E tu lo sei. Di Louis” conclude Niall, rubando di nuovo la scena al moro.

Li guardo in silenzio, aspettando per qualche secondo che un miracolo possa salvarmi dall’inevitabile, ma poi mi rendo conto di essere ormai stretto all’angolo.
Mi tolgo gli occhiali –che senso ha nasconderle se anche Niall se n’è accorto?– e mostro ad entrambi il mio viso tirato e triste.

“Sì. Lo sono. E dato che ho provato di tutto per andare avanti, senza nessun risultato, penso davvero di non poterne uscire. Sono innamorato di Louis da cinque anni e da più di due vivo guardandolo amare un’altra persona. Ma non posso farci niente, credo davvero di essere fregato per la vita” ammetto, sconfitto.

“Sì cazzo, lo sapevo!” esclama Niall, felice, aspettando che Zayn gli dia il cinque. Cosa che, ovviamente, accade un attimo dopo.

“Scusate, io vi dico che non l’ho affatto superata e voi mi ridete in faccia? Di nuovo? Begli amici del cazzo che siete!” esclamo, mettendo il broncio.

“Tu lo sai vero, che Louis ha mandato Alberto a controllarti tre sere fa” inizia Zayn, come se stesse intavolando uno dei suoi discorsi alla ‘duh, ma tu non capisci l’ovvio.’

“Io pensavo che fosse stato Paul a mandarlo, dato che Louis non ne aveva bisogno” rispondo, sorpreso.

“Bene, ora sai la verità. Oh, e lo sapevi che Louis sta prendendo da dicembre delle pillole per controllare l’umore? Perché il suo dottore voleva evitare nuovi attacchi?” continua Niall, imperterrito.
Impallidisco.

“Che cosa?” chiedo.
No, Louis non avrebbe mai potuto accettare una cosa del genere.

“Già. E noi sospettiamo che sia stata una richiesta di Eleanor. Crediamo che il dottore che ha in cura Louis sia più una pedina che altro” riprende Zayn, cauto.

“Che cazzo state dicendo!?” urlo io, cercando di capire cosa stia succedendo.

“Harry. Louis stava ricordando. Louis sta ricordando. Non è felice, non sta bene. Il vostro incontro la notte del suo compleanno ha cambiato tutto. Tu hai cambiato tutto” continua Zayn.

“Ma… ma lui le ha chiesto di sposarlo! Io… cazzo, Eleanor lo sapeva. Lo sapeva che se me ne fossi accorto avrei ricominciato a combattere”

“Esatto” mi interrompeNiall.

“Quindi ha pensato bene di trovare un modo per bloccare i ricordi prima che fosse troppo tardi!”

“Esatto ancora” ripete Niall.

“Ma questo non cambia il fatto che Louis mi ha mollato in casa con il naso rotto ed è corso da lei per chiederle di sposarlo!” rispondo allora, rendendomi conto che non può davvero essere tutta colpa di Eleanor.

“Harry”, mi riprende Zayn “Stiamo parlando di Louis Tomlinson. Quando mai non ha fatto cazzate? Lo sai quanto ci ha messo per accettare quello che provava per te la prima volta. Pensa adesso, con tutti quei falsi ricordi che gli sono stati imposti e i casini che ha in testa. Già di suo era abbastanza confuso, tutta questa situazione non può certo averlo aiutato” conclude, guardandomi negli occhi con fare incoraggiante.

Lo so cazzo.
Lo so anch’io che è così.
Ma ogni volta che chiudo gli occhi le immagini di quel dannato 25 dicembre mi tornano davanti, ancora nitide.

Come faccio a provarci di nuovo, dopo che il primo rifiuto mi ha quasi distrutto?
Come posso accettare di nuovo di rischiare, sapendo che questa potrebbe davvero essere l’ultima possibilità?

Eppure, il mio cuore sembra aver già deciso per me.

Ha deciso, mentre camminavo in riva alla Senna e mi fermavo vicino ai lucchetti, per ascoltare il cantante di strada che non lascia mai Notre Dame.
Ha deciso, mentre osservavo Parigi dal Sacro Cuore e fotografavo i pittori della Piazza degli Artisti.
Ha deciso, mentre visitavo il Museo d’Orsay ed ammiravo le opere al suo interno.

Perché tutto quello che riuscivo a pensare era che avrei voluto portarci lui, in riva alla Senna.
Che sarebbe stato bellissimo vederlo insieme a quegli artisti, mentre cercava di farsi capire con quel suo orrendo francese stentato.
Che le sue battute sarcastiche e la sua voglia di scoprire ogni angolo avrebbe reso ogni museo ancora più divertente ed interessante di quanto non lo fosse già.
Mi sembrava quasi di sentirlo, mentre osservava stranito la ‘Camera di Van Gogh ad Arles’ e mi pregava di raccontargli la sua storia, oppure chiedeva informazioni sull’ ‘Origine du Monde’ e ridacchiava sotto i baffi sperando che l’ignara guida non se ne accorgesse.

In qualche modo era sempre stato con me, solo che non me n’ero reso conto, fino ad ora.
Aveva avuto ragione Jean; era stata Parigi a farmi cambiare idea ed io non potevo fare niente per oppormi.
Che poi, in fondo, quando mai sono riuscito ad oppormi a quella valanga che è Louis Tomlinson?

Ormai mi ha travolto ed è impossibile per me tornare indietro.
Non posso più farlo.
Non voglio più farlo.

“Okay” rispondo, come in un déjà vu.

Niall e Zayn si guardano, soddisfatti.
Che bastardi.

“Ragazzi, fra un minuto arriviamo, iniziate a prepararvi. E copritevi, fuori è molto freddo. Gli altri sono già vicino all’aereo!” esclama George, per prepararci al vento invernale che da oggi è tornato ad abbattersi su Parigi.

“Perfetto, allora sappi che noi abbiamo un piano” sussurra Niall, ammiccante.

“Un piano?” chiedo, preoccupato.
Quando nei film hanno dei piani, va sempre a finire molto male.

“Niall, stai zitto, così lo spaventi” lo rimbecca Zayn. “Non è proprio un piano Harry, è più… un aiutino organizzativo che vogliamo darti. E poi, non è che l’abbiamo fatto apposta” continua, criptico.

“Zayn, stiamo arrivando, vuoi dirmi che sta per succedere? Perché non vorrei ritrovarmi catapultato fuori dall’aereo con Louis ed un solo paracadute. Sai che lo terrebbe tutto per sé”.

Non è vero.
Più probabilmente si aggrapperebbe a me senza lasciarmi andare neanche per tirare il filo e ci schianteremmo entrambi al suolo.

“Okay, ascolta. Io, Niall e Liam abbiamo un appuntamento a Londra. Quindi non appena scendiamo dall’aereo ce ne andiamo dritti a fare questa cosa, mentre tu e Louis ve ne andrete a casa con lo stesso Van!” esclama, tutto contento.

Certo, come se Louis potrebbe mai accettare di...
“Liam ha già parlato con Louis. Ha detto di sì”conferma Niall, come se potesse leggere nei miei pensieri.

Beh, forse dopo cinque anni è probabile che abbia imparato a farlo.

“Ma… come mai...” inizio a chiedere, sinceramente sorpreso.

“E che ne so io, sono tre giorni che sta chiuso in camera, chissà cosa gli frulla in testa. È il momento di agire Harry, lo sai anche tu. O adesso o mai più” conclude il biondo, mentre iniziamo a scendere dal Van con le nostre borse ed i bagagli a mano.

Mi volto verso l’aereo che ci porterà a Londra e scorgo subito tre figure in lontananza.

Sono Paul, Liam e Louis, imbacuccati ma ancora riconoscibili.
Specialmente Lou, che nonostante i cinque maglioni che –freddoloso com’è–avrà sicuramente indossato, sembra ancora più minuto del solito, con le guance scavate ed il nasino rosso.

È adorabile.
Fottutamente adorabile, cazzo.

“Pss” sibila Zayn, per attirare la mia attenzione, mentre ci avviciniamo ai nostri compagni.

“Un’ultima cosa Harry. Hai presente le pillole che ti ho detto?” chiede, con fare cospiratorio.

“Sì”, rispondo, formando una nuvoletta di vapore.

“Ecco, diciamo che ho scoperto che… in questo momento non li sta prendendo” mi dice, tutto d’un fiato.

“Come non li prende? Da quando?” chiedo, interessato.

“Ha detto che se le è scordate a casa, prima di partire per le ultime due tappe.” riprende,“È un po’ che non li prende, quindi l’effetto ha iniziato a svanire. Per questo era geloso l’altra sera. È davvero il momento buono Harry” conclude, proprio mentre ci fermiamo di fronte a loro e Liam ci saluta tranquillo.

Io annuisco deciso e continuo a fissare Louis che, invece, ha lo sguardo fisso a terra e la mascella contratta.
Non mi sbagliavo, sembra davvero dimagrito. Ed è più stanco del solito, ma io non sto certo messo meglio di lui.

Lo guardo, anche mentre saliamo le scalette dell’aereo.

Sembra malfermo sulle gambe, come se potesse cadere a terra da un momento all’altro, ed il suo sguardo è concentrato ma lontano.
Sembra quasi che i suoi stessi pensieri lo stiano divorando e per un attimo mi chiedo se non siano i suoi ricordi.

Ci sediamo, dopo aver sistemato i borsoni ed esserci liberati degli strati superflui e solo dopo qualche minuto torno a far vagare lo sguardo dalla sua parte.
Lui è lì, dall’altro lato dell’aereo, accucciato su se stesso e stretto nell’enorme felpa verde che sembra essere la sua unica compagna,di questi tempi.

La mia felpa verde.

Quella che mi aveva rubato poco prima dell’incidente e che sembra indossare ogni volta che ha bisogno di pensare.
Forse, inconsciamente, in quella felpa si sente protetto.

Ed è quando la annusa distrattamente, per poi arricciare il naso insoddisfatto, come se non avesse trovato il profumo che stava cercando – il mio? – che accetto definitivamente la proposta dei ragazzi.

Oggi è il giorno in cui mi gioco il tutto per tutto.
Oggi è il giorno in cui metto da parte le paure e ci provo un’ultima volta.
Oggi è il giorno in cui vado a riprendermi il mio Louis.


 
LOUIS POV

Oggi è il giorno in cui finirò per impazzire definitivamente.
Anzi, credo di essere ormai già un pezzo avanti, sulla strada della follia.

Le ultime 36 ore sono state un inferno: non ho dormito quasi per niente, vagando per la suite senza una meta precisa ed evitando qualsiasi contatto umano che non fosse il servizio in camera.

Che poi, visto quanto sono riuscito a buttare giù, col senno dipoi avrei anche potuto evitare di richiederlo.
All’inizio credevo fosse solo e unicamente colpa delle pasticche; non le prendo per qualche giorno e gli attacchi si ripresentano, come se non se ne fossero mai andati.

Ed io che pensavo di stare meglio.
Ma dopo quello che ho rivissuto in questi due giorni, inizio anche a dubitare che quello volesse dire stare meglio.

Dopo la discussione con Zayn, alla fine di quella serata troppo movimentata per i miei gusti, mi ero rintanato in camera mia, con l’intenzione di smaltire la sbornia con una bella dormita di almeno dodici ore.

Fanculo il francese.
Fanculo Zayn e le sue parole incomprensibili.
Fanculo Styles.
No, questo no. Non più ormai.

Invece, l’unica cosa che se n’è andata affanculo è stata la poca lucidità che mi era rimasta.

All’inizio non sembrava andare così male; dopo una doccia veloce –durante la quale avevo cercato di non pensare a niente– mi ero infilato sotto le coperte, addormentandomi senza fatica.
Una serata storta non poteva certo compromettere il precario equilibrio che avevo raggiunto, mi dicevo.

E così era stato, fino a quando poche ore dopo non mi ero svegliato di soprassalto, madido di sudore e scosso da profondi brividi che invadevano il mio corpo senza controllo.

Non ricordavo niente, ma sapevo di aver sognato qualcosa di importante.
Solo che non riuscivo a mettere insieme i pezzi.
Ancora, come succedeva qualche mese fa.
Ma la consapevolezza di voler sapere, quella era nuova.

Perché il suo viso sconvolto, anche se più bambino e contornato dai ricci che ancora non aveva lasciato crescere, era l’ultima cosa che avevo visto, prima di aprire gli occhi.

Niente pasticche, niente riparo, niente via di fuga.
Così era iniziata la mia dolce agonia.

Mi ero alzato, in tempo per osservare l’alba dalla finestra, ma non avevo trovato il coraggio di uscire dalla stanza.
Non sapevo ancora cosa avrei vissuto, ma dentro di me avevo la consapevolezza che qualsiasi cosa fosse successa, l’avrei affrontata da solo.
Dovevo affrontarla da solo.

Con il mio corpo debole per la mancanza di sonno, la mente annebbiata e ancora confusa dall’erba di poco prima, o forse da altro, mi ero ritrovato sdraiato sul pavimento ad osservare le ombre che la tv proiettava su di esso, senza prestare attenzione a quello che stava trasmettendo.

Irrequieto.
Affamato.
Deciso ad arrivare in fondo a questa storia.

Il mal di testa che non mi abbandonava, mentre i minuti scorrevano lenti e il blocco che sentivo nello stomaco continuava ad intensificarsi fino a diventare insopportabile.
Ormai la consapevolezza di aver perso qualcosa di importante era troppo reale per essere accantonata in un angolo, e sapevo di avere in mano la chiave per la verità.

Mi ero raccontato una bugia dopo l’altra, per mesi.
Mi ero arrampicato su specchi che si stavano sgretolando sotto il mio tocco pesante.

Il primo giorno era passato così; intervallato dalle visite dei ragazzi –Liam in particolare– e le ordinazioni alla reception.
Inutile dire che avevo cercato di liberarmi di loro il più velocemente possibile –spiegando che volevo restare solo per pensare al matrimonio– mentre anche ordinare il cibo stava iniziando a diventare stancante.

Dissimulare Louis, dissimulare sempre.

Era ormai la sera del nostro penultimo giorno qui a Parigi, quando tutto aveva finalmente iniziato a trovare un senso.
Quando tutti i pezzi, poco alla volta, avevano iniziato a tornare al loro posto.

Il cellulare aveva iniziato a squillare di nuovo.
Eleanor, ancora.

Non le avevo risposto e avevo chiuso l’applicazione dei messaggi, arrabbiato perché non stava succedendo niente.
Che cosa doveva succedere poi, neanche lo sapevo.
Ad un certo punto ero arrivato a sperare nella visita dei fantasmi di Dickens, avrebbe giustificato la pazzia che stavo vivendo.

Ed eccola lì Eleanor, sullo sfondo della mia home, col suo sorriso timido e le guance arrossate le per il freddo.
Ma non doveva esserci lei, lì.
Era sbagliato ed io lo sapevo.


Ed ecco che, come nei migliori film, il mal di testa si era intensificato di colpo e le mie mani si erano irrigidite, dando inizio al mio primo vero attacco dopo il 24 dicembre.
Il primo attacco che io stesso avevo cercato.
 
“Ciao, io sono Eleanor”.
Stavo cercando di mettere a fuoco quello che sapevo essere un ricordo.
Vedevo la faccia della mia ragazza, ma non capivo, non era così che ci eravamo incontrati.

Dannazione, concentrati Lou
.

Finalmente, una scena vera e propria si era presentata di fronte a me.

“Hey Lou, ti presento Eleanor. È qui per aiutarci”,Harry, di nuovo.
Lo fisso, mentre lui tira fuori le fossette e mi guarda emozionato.
“Ciao, io sono Eleanor”, dice una voce al suo fianco.


Soltanto adesso sposto lo sguardo sulla ragazza dai capelli lunghi che mi sta offrendo la mano per fare le presentazioni.
La stringo con sicurezza, prima di pronunciare il mio nome e tornare a guardare Harry.

“Quindi, tu saresti la mia nuova fidanzata?” chiedo, nascondendo l’imbarazzo del momento con il mio solito sarcasmo.
Arrossisce, sotto il mio sguardo.

“Sì, sarei io.”

Avevo aperto gli occhi, cercando di regolarizzare il respiro e maledicendomi a lungo per aver scelto di mia spontanea volontà una tortura del genere.
Ma sentivo di doverlo fare, nonostante il dolore.

Dovevo farlo per qualcuno.
Per il mio qualcuno.

Harry mi aveva presentato Eleanor.
Ma ancora non capivo la mia battuta.
Come potevo sapere che sarebbe diventata la mia ragazza?

A meno che…

“Prendiamo un gelato Louis?” mi chiede Eleanor, sorridendo.
“Mhm… okay. Laggiù c’è il gelataio preferito di Harry, che ne dici se lo prendiamo là così tornando a casa ne porto un po’ anche a lui?” Le propongo, pensando già alla sorpresa sul viso di Hazza, quando lo vedrà.
“Va bene, certo” mi risponde lei, con molto meno entusiasmo di poco prima, iniziando a trascinarmi verso il negozio.


C’è la fila, quindi ci mettiamo ad aspettare tranquillamente, finché non notiamo un paio di paparazzi che ci stanno scattando delle foto.
“Louis, credo che sia arrivato il momento di rendere il tutto ufficiale” mi dice e, senza lasciarmi il tempo di reagire, prende il mio viso fra le sue mani e mi bacia.


Io resto lì, impalato, per qualche secondo, sapendo di dover reggere il gioco.


Di nuovo, un cambio di scena, questa volta mi trovavo al mio vecchio appartamento.
Di nuovo la testa riccia di Harry, che mi attraeva come una calamita.

Ogni volta che lo vedevo nei miei ricordi, era come se non potessi focalizzarmi su nient’altro.
Solo Harry.

“Ho visto le foto Louis” inizia, insicuro.

Mi avvicino e gli passo casualmente un braccio dietro alle spalle.
“Foto?” chiedo, anche se so benissimo a cosa si riferisce.
“Vi siete baciati. È per questo che hai voluto che non finissi il gelato ieri? Sapevi che avrei avuto bisogno di tirarmi su il morale con qualcosa di forte, oggi?” Mi chiede, con voce triste ma comprensiva.

“Già”, rispondo, andando a recuperare la vaschetta e due cucchiai, per poi tornare da lui che intanto si è raggomitolato sul divano come un piccolo gattino.
“È tutto finto Louis, vero?” domanda, facendosi ancora più piccolo.


Appoggio tutto sul tavolo, prima di buttarmi su di lui e fargli il solletico.
Ho bisogno di sentirlo ridere.
“Harry, lo sai”, gli dico alla fine, ad un palmo dal suo naso, sperando che capisca.
“Lo so, non preoccuparti”


Eleanor ed io non stavamo insieme davvero?
Ma stiamo per sposarci e lei mi ama… non capisco.
E Harry?

Che avesse ragione lui fin dall’inizio?

Qualcuno aveva bussato alla porta.

Avevo aperto gli occhi e mi ero accorto di alcuni raggi di sole che facevano capolino, dalla portafinestra.
Cavolo era già mattina –la penultima– ed io non me ne ero neanche accorto.

Non sapevo neanche se avevo dormito o se quelli che avevo fatto fossero stato soltanto sogni.
Ma sapevo che era soltanto la punta dell’iceberg.

Alla porta c’era Liam –di nuovo– con due brioches calde e del caffè bollente in mano ed un sorriso mesto stampato sulla faccia.
Non appena si era accorto del mio stato e dello stato in cui si trovava la mia camera –ehi, non mi andava di far entrare la donna delle pulizie– si era precipitato all’interno, corrucciato.

Mi mancava la sua paternale.

Invece, ecco che mi aveva stupito un’altra volta.
Dopo aver spalancato le persiane e aperto le finestre per cambiare l’aria viziata, si era semplicemente seduto al tavolino, guardando il telegiornale e mangiando il suo cornetto con gusto.

Io ero rimasto in piedi, con i boxer e la canottiera blu, a fissarlo per qualche minuto.
Stavo cercando di capire perché non mi chiedesse che diavolo avessi fatto chiuso in quella stanza per un giorno intero, o perché avessi l’aspetto di uno zombie con l’influenza, ma il mio stomaco non me ne aveva lasciato il tempo.

“Fame Lou?” Aveva chiesto Liam, indicandomi la sedia di fronte a lui, prima di dare un altro morso al suo dolce.

“Già.” Avevo risposto, prima di sedermi ed introdurre finalmente degli zuccheri nel mio organismo.

“C’è anche il caffè. Smetti di mangiare così velocemente o ti strozzerai!” Aveva detto.

Caffè.
Io non lo volevo il caffè.

“Il caffè bevilo tu, Leeyum. Io non ci tengo a tradire il mio paese!” Gli avevo risposto, convinto.

Pensavo che avrebbe apprezzato la battuta, invece sembrava che fosse stato appena colpito da un fulmine.
Si era bloccato col cornetto a mezz’aria e la bocca spalancata, mentre la tizia della tv stava spiegando come cucinare una perfetta Crème Brulée.

“Che hai detto?”
“Ho detto che il caffè non lo voglio. Sono inglese, quindi è giusto che io beva il tè. Anzi, dovresti smettere anche tu, fino a prova contraria sei abbastanza inglese” Avevo concluso, serio.

“No Harold, in casa niente caffè!”
“Perché?”
“Non vuoi entrare nell’MI6 un giorno?”
“No”
“Beh, io sì, e non ho certo intenzione di essere beccato a convivere con un traditore della patria. Quindi da oggi berrai soltanto tè, come prova della tua inglesità”.


Silenzio.
Una risata sibillina.


“Tu sei folle.”
“Lo so.”
“Ma ti a-



“Ehi Lou, sei sempre con me?” Liam mi aveva risvegliato dall’ennesima scena sfocata.
Una scena che davvero mi sembrava di ricordare.

“Sì, tutto okay, ma ho un po’ di mal di testa, quindi… ecco vorrei cercare di dormire un po’” avevo mentito.

Liam mi aveva osservato per qualche secondo ancora, prima di alzarsi e pulire il tavolino dalle briciole che aveva lasciato cadere.
Speravo che avesse ricevuto il messaggio: volevo stare solo.

“Va bene Lou, ma se hai voglia di uscire vieni pure a cercarmi, okay? È l’ultimo giorno che abbiamo qui a Parigi e sarebbe un peccato sprecarlo chiuso in albergo”aveva detto, avviandosi alla porta.

“Sì certo, magari usciamo nel primo pomeriggio” era stata la mia proposta, controvoglia.

“Mhm… senti, purtroppo ho una cosa importante da fare verso le tre”
Cosa importante? In che senso?

“Quindi… mettiamoci d’accordo dopo, va bene? Mi faccio vivo io!” aveva esclamato, prima di chiudersi velocemente la porta alle spalle e sparire dalla mia vista.

Ero rimasto interdetto.
Anche questa conversazione sembrava essere frutto della mia mente.
Ormai non capivo più quale fosse la realtà e quale fosse il sogno.
Ma non erano sogni quelli. Erano ricordi.

L’orologio segnava le undici e trenta ed io non avevo idea di come passare le ultime ore a Parigi.

Quello che avevo ricordato – Dio suona strano solo a pensarlo– mi aveva fatto capire che la verità si avvicinava molto di più a quello che mi aveva raccontato Harry, piuttosto che a quello che mi aveva lasciato intendere Eleanor.

Eleanor.
La persona che sto per sposare e che, a quanto pare, non conosco affatto.

Ma c’erano ancora troppe cose che non mi tornavano: possibile che i miei compagni di band non sapessero niente? E la mia famiglia?
Possibile che Eleanor, la mia Eleanor, mi avesse preso in giro per tutto questo tempo?

E qual era effettivamente il mio rapporto con Harry? Cosa eravamo io e lui prima di tutto questo?
Troppe domande.
Troppo dolore.
Ancora nessuna risposta certa.

Immagini continuavano a presentarsi davanti ai miei occhi: ricordi sfocati di litigi inutili, cene disgustose ma divertenti, infinite partite a Fifa e nottate passate a parlare di tutto.
 
Quando torni?”
“Credo di aver bruciato il tostapane, Haz!”

“Devo stirare la camicia Lou, un attimo!”
“Dov’è l’asciugacapelli?”

“Sì, lo sappiamo tutti che sei innamorato di James Bond!”
“Sempre nel mio cuore!”
 
Ero di nuovo caduto negli abissi del mio cervello mal ridotto ma il dolore era troppo forte e le immagini si accavallavano confuse, una sopra l’altra, come in un film dal pessimo montaggio.

Dovevo uscire da lì.

Dovevo vestirmi, coprirmi per nascondermi dai paparazzi e proteggermi dal freddo di Parigi e scappare da quel posto.

Jeans. Maglietta.
Felpa verde, la mia preferita.
Giaccone. Cappello.

Dovevo scappare e cercare di dare un senso a quello che continuavo a vedere.

Ed ecco che dopo una lunga passeggiata, mi ritrovo qui, sulla riva della Senna, mentre osservo Notre Dame.
È piccola.

“Me la immaginavo più…”

“Più?” Chiede Harry.

“…grande?”

“Più grande di così?”

“Che ne so, nel cartone sembrava enorme!”

“Oh mio Dio, hai visto il Gobbo di Notre Dame?” mi chiede Harry, stupito.

“Harold, chi non ha visto il Gobbo?” ma per chi mi ha preso.

Lui mi guarda, con quel suo sorriso dolce.
“Quindi sai anche le canzoni?” oh, piccolo. Non sai in che situazione ti sei messo.


Mi allontano di qualche passo, finché non trovo un lampione abbastanza isolato, per poi schiarirmi la voce.

“Non lo stai facendo davvero” mormora Harry, già sul punto di scoppiare a ridere.
E invece sì.
Lo sto facendo.


“Là fuoooori! Che darei non soo!” Alcune persone si voltano a guardarci, ma io vedo solo lui. Tanto qui non siamo ancora così famosi..

“Solo un giorno fuori, so che basteràà…” Harry si avvicina ed inizia a canticchiare con me.


Ridiamo e cantiamo, senza uno scopo.
Non mi sono mai divertito tanto.


“Per ricordare fuori! Dove tutti vivonoo.”
“Harry, a te!” esclamo.


“Che darei.”

“Che farei.”
“Insieme Lou!” insieme, sì.


“Per un giorno Via di Quaaaaa!”
Finiamo sopra una panchina, con le braccia alzate e gli occhi brillanti.


Scoppio a ridere improvvisamente.
Ma come ho fatto a dimenticare questa cosa?

Noto che qualcuno intorno a me ha iniziato a lanciarmi sguardi strani –adesso, purtroppo, siamo famosi anche qui– perciò mi affretto ad allontanarmi.

Mi avvicino al lungo fiume, passando alla destra della grande cattedrale, addentrandomi nel viale che porta al ponte dei lucchetti.
Torno a canticchiare la canzone fra me e me, mentre osservo l’acqua che scorre ed ascolto distrattamente il chiacchiericcio delle persone che mi camminano intorno.
Ormai sono molto vicino al ponte, tanto che riesco a vedere le sagome dei lucchetti e posso sentire la chitarra del ragazzo che suona lì da anni, come dice la guida turistica dell’albergo.

“Lo conoscono tutti, nel quartiere. Lui si siede lì, ogni volta che il tempo lo permette, e regala canzoni ai passanti. Ma non ha cappelli. Non ha custodie aperte davanti ai propri piedi. Non accetta spiccioli. Canta perché ne ha bisogno. Canta per l’amore che ha perso e che continua ad aspettare, da anni”

Ma non è lui che attira la mia attenzione.
Neanche la metto a fuoco la figura minuta concentrata sulle corde della sua chitarra.

Perché di fronte a me, con i gomiti appoggiati al parapetto del ponte e gli occhiali da sole a coprire gli inconfondibili occhi verdi, c’è Harry.

Mi nascondo meglio sotto il cappello di lana, mentre cerco di avvicinarmi ancora senza essere scoperto.

Ma mi basta poco per capire che anche se improvvisassi un flashmob, Harry non se ne accorgerebbe affatto.
Non posso vedere il suo sguardo, ma immagino che sia perso nei meandri della sua mente, dato che no ha mosso muscolo dal momento in cui ho iniziato ad osservarlo.

Soltanto i suoi capelli sembrano non trovare pace, agitati dallo sferzante vento di Parigi, che li rendono ancora più ribelli di quanto non siano già.

“Vorrei essere Harry, perché mi piacerebbe avere i capelli ricci!”
“Tu, smetti di avere i capelli ricci!”
“Sto lentamente per essere sedotto dai tuoi ricci!”


Mi sono sempre piaciuti i suoi capelli.
Liberi, esattamente come lui.

Ricci e incasinati inizialmente, proprio come la sua personalità ancora acerba, di sedicenne che ancora non conosceva le proprie potenzialità.
Sono cresciuti con lui, sono diventati più lunghi e forti, più definiti, esattamente come il carattere del ventunenne che ho di fronte.
L’uomo che ogni notte affronta il palco come se fosse nato per stare lì sopra; l’uomo che ogni notte mi rende orgoglioso di lui.

Perché, Dio mio, io lo riconobbi subito.
Seppi subito che niente lo avrebbe mai fermato.

“Hey curly, sarà il caso che tu mi faccia un autografo!”
Lo ricordo bene, mentre sorride davanti a me e le fossette si affacciano prepotenti sulle guance arrossate.

“Io… ehm… okay?” Chiede, nel pallone più completo.


Vorrei riuscire a farlo arrossire per sempre, mi dissi.

Lui rideva e io non potevo che pensare ‘cazzo, non ho mai visto niente di più bello in tutta la mia vita.’

Ed ora, dopo molto tempo, lo vedo assorto nei suoi pensieri e finalmente torno a vedere.

Vedo
la sua schiena leggermente ricurva.
Vedo le mani che si torturano a vicenda.
Vedo le labbra strette in quella smorfia che è solo sua.

Lo vedo.
Lo riconosco.

Una fitta alla parte sinistra del mio povero cervello mi risveglia dalla lunga contemplazione e mi costringe a strizzare gli occhi, respirando lentamente per alleviare la morsa.

Proprio in quel momento il cellulare vibra nella tasca dei Jeans e capisco che devono essere passate almeno quattro ore da quando ho lasciato la mia camera d’albergo.
Tiro fuori il telefono, mentre con la coda dell’occhio vedo Harry fare lo stesso.

Meraviglioso.
Probabilmente abbiamo entrambi dimenticato un impegno importante ed ora mezzo staff ci starà cercando.

“Pronto” dico, all’unisono con Harry, ancora ignaro della mia presenza.

“Louis! Dove diavolo sei?” chiede Liam, allarmato.

“Io...niente, sono uscito a fare due passi. Avevo bisogno di schiarirmi le idee Li” rispondo, vago.

“Oh… okay, ma almeno potevi dirlo a qualcuno! Devi tornare in Hotel adesso… il volo è stato anticipato!” mi informa Liam, agitato.

“Sì… dammi una mezz’oretta”.

“Mezz’ora?” mi interrompe, “Altro che due passi Louis! Fra tu e Harry non so chi sia più incosciente. Niall sta parlando con lui in questo momento. Chissà in che parte di Parigi è” aggiunge, quasi come se volesse farmi intendere qualcosa.

Non credo che gli parlerò del mio incontro.
Lo terrò per me.

“Senti, forse è meglio se ti passiamo a prendere, altrimenti non ce la facciamo con i tempi. Alberto si sta occupando della tua valigia, quindi manchi soltanto tu!” continua, spiegandomi l’elaborato piano che ha in mente.

“Benissimo. Ficcate tranquillamente il naso nella mia roba, tanto non esiste una cosa chiamata, che ne so, privacy!” rispondo, seccato all’idea che continuino a prendere decisioni senza chiedermelo.

“Hai ragione Lou, ma con la cancellazione di Vienna e tutto il resto...”

“Cancellazione di Vienna?” Chiedo, proprio mentre supero di nuovo la piccola Cattedrale.
Cosa vuol dire cancellazione?

“Lou, ma non hai letto i messaggi? Dio, sei impossibile! Purtroppo il mal tempo sta creando dei profondi disagi in Austria, quindi hanno rimandato il concerto a dopo la pausa!” mi informa, in perfetto stile bollettino meteo.

“Okay okay” rispondo, sovrappensiero.
Questo vuol dire che dopo il viaggio Parigi-Londra non avrò più modo di parlare con Harry.
Merda.

“Allora che fai, ti passiamo a prendere? Niall e Zayn aspettano Harry in Hotel, ma io vorrei arrivare un po’ prima in aeroporto… per controllare che tutto sia in ordine, sai?”
Ovvio.

“Io… sì, va bene. Passatemi a prendere. E…” Probabilmente dovrei chiedere consiglio a qualcuno.

“E cosa Lou?” Chiede, già allarmato.

“No, niente. Parliamone in auto. È un discorso lungo” concludo, nervoso.
Niente Liam, spero solo di non essere impazzito.

“Siamo in macchina Lou. Alberto è incazzato nero, lo sai? Dice che non solo sei, e quoto, ‘una scimmia senza bussola’, ma anche ‘un casinista assurdo che riesce ad infilare pantaloni ovunque’!” esclama, ridendo istericamente a questa battuta di pessimo gusto.

Non fa ridere.
Non sono una scimmia, io.

“Mi sto rotolando in terra dalle risate Liam. Sul serio” dico, freddo.

“Scusa, scusa Lou, dimmi solo dove sei, che arriviamo in un attimo” tenta di riparare Liam.
Lasciamo perdere.

R-Rue de la cité” dico,nel mio, più che terribile, accento.
Sì, di francese ho solo il nome.
E la puzza sotto il naso… a volte.

“Un po’ più preciso, magari?” chiede Alberto, dal cellulare di Liam.

Mi accorgo di essere vicino ad un incrocio, così mi affretto a dare le coordinate nel miglior modo che conosco.

Liam mi attacca praticamente in faccia, dopo avermi assicurato che arriveranno fra pochi minuti, così mi nascondo meglio nel cappello di lana e fumo una sigaretta nell’attesa.
Il mal di testa non accenna a diminuire.

Non l’ho neanche finita, che il Van grigio si accosta vicino a me, aprendosi di scatto e mostrandomi la faccia sorridente di Payno.

“Monta Lou, che altrimenti mi fai fuori la mezz’ora di anticipo che sono riuscito a guadagnare!” esclama, risoluto.

Lo guardo con aria di sfida, prima di aspirare molto lentamente dalla sigaretta ancora una volta. E un’altra. E un’altra.
Lui sbatte il piede in terra, sempre più nervoso.
È dolce la vendetta.

Quando mi accorgo che è davvero nervoso decido di abbandonare la tortura e montare nell’auto, chiudendomi dietro lo sportello, con un tonfo sordo.

“Bene allora.”

“Devo parlare con Harry” lo interrompo subito, volendo andare al sodo.

“Cosa? In che senso parlare?” mi chiede lui, con uno sguardo fra lo scioccato, lo speranzoso e lo spaventato.
Uno sguardo inquietante, devo ammetterlo.

“Nel senso che devo parlare con lui. Chiarire alcune… cose, ecco. Come posso fare?” Chiedo, desiderando ardentemente che Liam non mi ponga altre domande a cui –davvero– non so ancora dare risposta.

Devo parlare con Harry perché lui è la chiave.
Devo parlare con Harry perché questo mal di testa mi consuma.
Perché ne ho bisogno.
Perché mi manca?

Lui sembra pensarci qualche minuto, assorto, mentre io inizio a mordicchiarmi le pellicine delle dita intirizzite dal freddo.

“Okay” dice.
“Okay che?” chiedo, nervoso.

“Okay, possiamo fare così. Io e i ragazzi dobbiamo… fare una cosa, appena arriviamo a Londra. Quindi noi potremmo prendere questo Van e voi quello nero, in modo da rimanere soli e poter… parlare?” conclude Liam, col tono che sembra più quello di una domanda che di un’affermazione.

Se non altro è una possibilità.
L’unica che ho.

“Perfetto” rispondo, già intento a preparare un discorso di cui ancora non so neanche il senso.

Perché ancora mi manca qualcosa.
La cosa più importante, lo sento.
Quella che cambierebbe tutto.

“Bene, allora mando un messaggio a Zayn, va bene? Loro dovrebbero arrivare insieme all’aeroporto, quindi avrà tutto il tempo di spiegarlo ad Harry.”

“No” lo interrompo. “Non spiegate niente a Harry. Ditegli solo… ditegli che è così e basta. Che voi avete questo impegno e che io non ho problemi a viaggiare con lui, ecco”
Dato che ancora non ho un piano, è meglio che per adesso le carte restino ben coperte.

“Va bene” mi risponde Liam, prima di iniziare a scrivere un sms e riempire il Van silenzioso con il monotono suono dei tasti del cellulare.
Probabilmente sta scrivendo a Zayn in questo momento.

Quello che è fatto è fatto e non voglio tirarmi indietro.
Non più.

Penso ad Eleanor, che sicuramente sarà impegnata in una delle sue assurde telefonate con la Wedding Planner, e per la prima volta mi rendo conto che quella che provo non è paura.

No, è un sentimento diverso, più profondo, più inconscio.

Io so che questo matrimonio è sbagliato.
E so che tutto torna sempre allo stesso punto.

Mi manca qualcosa, ancora non ho tutti i tasselli, ma inizio davvero a dubitare che mi sposerò, fra qualche giorno.

Arriviamo all’aeroporto in poco tempo –probabilmente perché abbiamo preso una via secondaria e non la strada principale– e scendo con calma dal Van, mentre Liam inizia subito a parlare con Alberto e Paul per organizzare la divisione nelle auto, una volta arrivati a Londra.

Cazzo, sembra quasi che tenga più di me al fatto di farmi parlare con Harry.

Mi stringo nel cappotto e cerco di passare un livello a caso di Candy Crush, tanto per passare il tempo e cercare di distrarmi un po’.
Il dolore sembra essere diminuito leggermente, ma non accenna a sparire, provocandomi un senso di nausea che mi indebolisce sempre di più.
Che schifo, vorrei solo che tutto questo smettesse di fare così male.

“HeyLou… arrivano” mi dice Liam, mentre perdo di nuovo e blocco di scatto il cellulare.

Alzo la testa e scorgo il Van nero avvicinarsi lentamente, i vetri oscurati che mi impediscono di vedere all’interno.
Le porte si aprono e Niall, Zayn ed Harry escono, ancora più incappucciati di noi.
Chissà il freddo che farà a Londra.

Harry ci saluta, con un tono neutro, ma quando il suo sguardo si posa su di me, io abbasso il mio, velocemente, in modo da non incontrare i suoi occhi.
Non voglio leggervi dentro niente che possa distogliermi dalla mia decisione.

Potrei sopportare che mi guardassero con la rabbia, il risentimento e la tristezza di qualche mese fa.
Ma non riuscirei ad accettare lo sguardo impassibile e indifferente che mi hanno riservato negli ultimi mesi.
Non adesso.

Perciò mi limito a sorridere mestamente, mentre ci avviamo tutti insieme verso scalette che portano all’interno dell’aereo.

Soltanto quando mi ritrovo a dover mettere un piede dopo l’altro su ogni scalino, mi rendo conto di quanto sono effettivamente stanco.
È come se ogni energia mi fosse stata strappata dal corpo, lasciandomi tremante e poco stabile su queste scale che sembrano infinite.
Devo essere uno spettacolo veramente patetico, da osservare.

Finalmente raggiungo il mio posto designato all’interno della cabina passeggeri e, con le ultime energie, mi libero del cappello e del giaccone, prima di accasciarmi poco gentilmente sul comodo ed enorme sedile.

Bevo qualche sorso dalla bottiglietta che mi porge l’hostess –sì, abbiamo un’hostess privata a quanto pare– e cerco di farmi piccolo piccolo, mentre la morbida felpa mi avvolge completamente.

Nuova fitta.
Stringo gli occhi e poche ma nitide immagini mi si presentano davanti.

“Se vuoi te la regalo, Lou” Mi dice Harry, mentre infila il ‘Il Gladiatore’ nel lettore dvd e recupera il telecomando dal tavolino.
“Cosa?” Gli chiedo, mentre gli faccio segno di sedersi accanto a me.
Fa troppo freddo oggi, ho bisogno di qualcosa che mi scaldi.


Lui mi guarda, mette su un faccino adorabile –sono sicuro che stia cercando di riprodurre il mio broncioe mi si accoccola addosso, coprendo entrambi con la coperta celeste e dando il via al film.
Poi abbassa la testa ed inizia a strusciare il naso sulla stoffa della felpa che sto indossando, mentre io infilo le mie dita nei suoi ricci, incapace di resistere a tanta morbidezza.

“Questa, Lou”
Oh, intendeva la felpa.
La sua felpa verde.


Arrossisco violentemente, mentre lui appoggia ancora di più la punta del naso ed inspira forte.

“Quasi quasi odora più di te che di me da quante volte la porti. Non che mi dispiaccia eh” continua, imperterrito nella sua tortura.

Decido quindi di riprendere in mano la situazione e tentare di batterlo al suo stesso gioco.
Anche se è difficile, mentre continua a strusciarsi su di me come un piccolo gatto.


“Fidati Haz, questa felpa profuma di te” inizio, quasi casualmente.
Lui mi guarda, curioso e tranquillo, mentre mi avvicino al suo orecchio e sussurro, più lentamente che posso, “Perché pensi che io te la faccia portare per un po’, ogni volta che la laviamo? Aspetto che si impregni di nuovo del tuo profumo e poi te la rubo. Così è come se ti avessi sempre addosso” concludo, sentendolo agitarsi sopra di me.

Ho raggiunto il mio obiettivo.


“Mmmhm… che ne dici di guardare il film adesso?” mi chiede allora, con voce più che agitata, strappandomi una risata sincera. Sta cercando di cambiare discorso.
Povero illuso.


“Oh Hazza, dovresti saperlo. Mai iniziare una guerra che sai di non poter vincere!” lo ammonisco, iniziando a fargli il solletico.

In un attimo quel divano si trasforma in un campo di battaglia, la coperta cade insieme ai nostri cuscini personalizzati, mentre i nostri corpi assumono posizioni assurde in un intreccio di braccia, gambe, risate e capelli.

Non so bene come, ma ad un certo punto finisco con la schiena sul divano e Harry a cavalcioni sopra di me, il respiro affannato e le guance rosse per la fatica.
Ci guardiamo per un po’, finché la sua mano tremante non si avvicina al mio viso, lasciandovi la più leggera delle carezze.


Resto immobile, mentre lui inizia ad osservare ogni particolare della mia faccia, prima di passarci le dita, come a volerlo stampare nella memoria per sempre.

“Mi piace che tu abbia il mio odore addosso. Almeno quando non saremo vicini potrai sempre annusare la felpa, chiudere gli occhi e… immaginare che io sia lì con te. Così non potrai mai dimenticarmi” sussurra poi, imbarazzato e un po' insicuro.

Oh, Harry.

“Allora voglio che anche tu abbia qualcosa di mio, scusa. Altrimenti come faccio a sapere che non ti scorderai di me?” Gli chiedo, cercando di alleggerire la tensione.
Lui si ferma, serio.

“Non mi serve Lou. Non credo che potrei farlo neanche volendo. Dimenticarti, intendo” Mi risponde, spiazzandomi completamente.

Questa frase scatena in me la voglia di avvolgerlo fra le mie braccia e non lasciarlo mai andare.
Mi sento quasi pronto ad ammettere, almeno a me stesso, quelle tre parole che da giorni mi girano in testa.

Ma per adesso mi limito ad afferrare la sua nuca e baciarlo, sentendolo aderire al mio corpo come nessun altro potrebbe.



Apro gli occhi di scatto.
La felpa.
La sua felpa.

Con un gesto inconscio avvicino il naso ad una delle maniche, ispirando per cercare il suo odore.

Ma tutto quello che sento è odore di detersivo, mischiato al profumo che ho messo stamattina e non riesco a trattenere una smorfia di disappunto.
Questa era la felpa di Harry.

Io e Harry ci siamo baciati su quel divano.
Io… in quel momento, io pensavo di amarlo.
Ma che diavolo è successo, dopo?

Continuo a vagare fra le immagini e le parole, in uno stato di semi incoscienza che ad un certo punto dev’essere diventato vero e proprio sonno, senza che me ne accorgessi.
Infatti, mi sembra di aver chiuso gli occhi soltanto per pochi attimi, quando qualcuno mi scuote leggermente le spalle, chiamando il mio nome e diradando le tenebre della mia mente.

“Louis.” Eppure è così difficile aprire gli occhi.

“Louis, andiamo, Alberto ci sta aspettando.” La mano si sposta sul mio ciuffo scomposto, sfiorandolo leggermente.

Conosco questo tocco.

“Puoi dormire a casa.” La voce si sposta alla mia sinistra, proprio sul seggiolino accanto al mio.

Le dita che giocano con i miei capelli sono così invitanti e familiari che non posso fare altro se non appoggiare il capo su di esse, emettendo un sospiro contento.
Accettando il mio invito, scendono delicate, a sfiorarmi gli zigomi e le guance.
Il naso.
La bocca.

Harry.

Apro gli occhi di scatto e la mano che mi stava donando tanto sollievo si ritrae bruscamente dal mio viso.

“Ehm… siamo arrivati. Dobbiamo… sì, dobbiamo scendere” balbetta Harry, alzandosi dal seggiolino alla velocità della luce e tossendo per alleviare l’imbarazzo.

Harry.
Harry.
Il mio piccolo Harry.

“Oh… okay. Certo Hazza” Rispondo, piantando i piedi a terra e stiracchiandomi per liberarmi dagli ultimi residui del sonno.
Quando mi sento un po’ meno addormentato –e un po’ più ansioso per quello che sto per fare– mi volto verso Harry, che nel frattempo è rimasto fermo sul posto, aspettandomi.

In effetti, dal suo sguardo, sembrerebbe quasi che abbia appena visto un fantasma.
Oppure sono io che agitato come sono vedo anche cose che non esistono.

Così scendiamo dalle scalette, in un silenzio imbarazzato e raggiungiamo velocemente il Van nero –tutto per noi– mentre la pioggia leggera di Londra ci dà il bentornato a casa.

Di solito, respirare l’umida aria londinese mi infonde sempre un senso di appartenenza; ogni volta che torno in Inghilterra è come se tornassi a respirare di nuovo, anche se non mi accorgo mai quando sto trattenendo il respiro.

Oggi però, nonostante le settimane di concerti in tutta Europa, mettere piede sul suolo inglese non mi fa lo stesso effetto.
Continuo a respirare affannosamente.
Continuo a lottare per rimanere sveglio.

Perché, semplicemente, ancora non mi sento davvero a casa.

Eppure la sento vicina.
E forse è per questo che le mie mani stanno tremando e la testa rimbomba di un dolore fatto di aspettativa, desiderio e frustrazione.
È come se la mia casa fosse davanti a me e io non riuscissi a riconoscerla.

Mi siedo nel Van e torno a guardare fuori dal finestrino, mentre sento la presenza di Harry che prende posto vicino a me.
Alberto chiude il portellone e prende posto accanto all’autista, iniziando a discutere con lui sulla strada da prendere.

“Allora, com’è andata l’altra notte?” Chiedo, enfatizzando la parola notte per fargli capire esattamente a cosa mi riferisca.
Se poi la mia voce esce quasi come un sussurro spaventato, questo è un altro discorso.

“In discoteca dici? Bene direi… Boo” Mi risponde Harry, guardingo.

No, aspetta.
Boo?

Lo guardo, stupito, mentre nuovi flussi di ricordi –perché è questo che sono, ricordi–mi fa vibrare i timpani.

“Boo, sei pronto? Guarda che arriviamo tardi!”

“Mi raccomando, quando dovete dire il suo nome state attenti a dire Boobear!”

“EhyBoo… sei sveglio?”


“Posso trovarti un soprannome solo nostro?”
“Tipo?”
“Mhmm… tipo Boobear? Potrei anche accorciarlo e chiamarti Boo!”


“Louis, sei sempre con me?” La voce di Harry mi riporta al presente.
“Sì.” Rispondo.

Finalmente sì, vorrei aggiungere.
Ma ho paura.

E se fosse troppo tardi?
E se non volesse più aiutarmi?

Più immagini riempiono la mia memoria, più mi accorgo che una grande parte della mia vita mi è stata negata.
Me l’hanno nascosta.

E Harry ha davvero lasciato che me la portassero via?
Nonostante il rapporto che, a quanto sembra, avevamo?

Se tutto quello che mi ha detto la notte del mio compleanno è vero, perché diavolo ha aspettato due anni, prima di fare qualcosa?
Perché ha lasciato che Eleanor mi riempisse di bugie e falsi ricordi?

È come se avesse deciso di lasciarmi andare.
Come se non fossi abbastanza importante per lui.

“Non è successo niente.”cosa?
“Cosa?” quando?
“Con il francese. L’altra notte. Non è successo niente. Io… avevo altro per la testa” oh, parla del francese.

“Sei uscito di casa sua la mattina dopo. Mi risulta difficile da credere” rispondo, guardandolo negli occhi per un attimo, la gelosia che si impossessa di ogni fibra del mio essere.
“E tu come faresti a saperlo? Ah no, aspetta, hai ragione. Mi hai fatto spiare” ribatte lui, mentre la pioggia si fa sempre più violenta sul tettuccio del Van.

Probabilmente i nostri compagni di viaggio stanno ascoltando ogni parola, ma ormai non mi interessa più.
Voglio solo arrivare al fondo di questa storia.

“Non ti sembra di esagerare, adesso?” chiedo, arrabbiato e ferito più per tutto il resto che per questo.

Perché lo sento. Lo so che Harry sta dicendo la verità.
Ma non me l’ha detta per troppo tempo.

“Senti Louis, mi pare che tu non abbia alcun diritto di controllare i miei spostamenti o rimproverarmi per quello che faccio” ringhia, cercando di mantenere la calma che io ho perso qualche ora fa, ormai.

È sempre stato così.
Io che mi incazzo, urlo e strepito e lui che tira fuori quella voce da baritono che tanto incute timore.
Ma non ho mai avuto tanta paura di lui quanta ne ho adesso.

“Hai perso questo diritto tanto tempo fa” conclude, livido.
Certo, è arrivata la vittima.

“Che cazzo stai dicendo adesso? Sono mesi che mi tratti come se fossi la persona più orrenda di questa Terra, che mi guardi come se sperassi vedermi sparire per sempre, che eviti di parlarmi perché ti fa schifo anche solo sentire il suono della mia voce! E tutto questo perché ho rifiutato di credere alla storia assurda che mi hai raccontato a Natale? Pensavi che cadessi ai tuoi piedi credendo ad ogni tua parola come se fossi un oracolo? Beh, avevi fatto male i conti!” sbraito, agitandomi sul sedile che inizia a starmi troppo stretto.

Qui dentro c’è troppo poco spazio.
E il suo profumo è ovunque.

“Oh beh, non che tu dovessi credermi per forza, ma addirittura chiedere ad Eleanor di sposarti lo stesso giorno che io ti confesso i miei sentimenti? Vaffanculo Louis. Vaffanculo, cazzo!” esclama, prima di cambiare completamente sguardo, come a rendersi conto di aver detto troppo.

Mi odia e adesso non riesce neanche ad insultarmi senza provare rimorso.

“Ragazzi, che ne dite di calmarvi? C’è un po’ di traffico, quindi resteremo chiusi qui dentro per un bel po’. Vedete di non uccidervi” ci avverte Alberto, più apprensivo che arrabbiato.

Io mi guardo intorno, per quanto i finestrini inondati dall’acqua me lo permettono, e fermo lo sguardo su una particolare pizzeria.
Ha un’insegna luminosa ed intermittente; la bandiera italiana che non riesce a sventolare, appesantita dall’acqua incessante.

Sento una sirena che si avvicina sempre di più, quella di un’ambulanza.

Questo posto mi ricorda qualcosa.
Dio, qualcosa di fondamentale.

L’ambulanza sfreccia accanto a noi e per un attimo quel suono fastidioso e fortissimo è l’unica cosa che riempie la mia testa.
Una nuova fitta, più forte delle precedenti e tutto si fa buio intorno a me.

"Non posso venire da te. Non ora”
"Louis, cosa stai dicendo? E dove vorresti dormire?"
"A casa. Da Harry. Non dovevo uscire, non sarei mai dovuto andarmene!"

Pioggia.
Freddo.

"Sei mai stata innamorata, Eleanor?"

Questo è il luogo dove è avvenuto il mio incidente.

"Sì"
"Allora sai che se ami qualcuno devi combattere fino alla fine. Stiamo soffrendo, ci faremo del male, litigheremo, ma ci aggrapperemo l’uno all' altro e, ti giuro, ci sarò fino alla fine. Combatterò fino alla fine e devo correre a casa a dirglielo, urlarlo, se necessario. Lui dice che preferirebbe dimenticare? Io sarò lì, giorno dopo giorno a ricordargli quanto invece sia importante ricordare, ricordare sempre. L’amore che proviamo, le sfide che vinciamo, le sofferenze che proviamo. Tutto. Io sarò lì a ricordargli di non mollare!”

Respiro affannosamente, mentre tutto di quella notte si fa chiaro davanti a me.

Il litigio con Harry.
Le lacrime.
La voglia di scappare.
La telefonata con Eleanor.
La consapevolezza di dover combattere.
La corsa verso casa.
I fari della macchina.
Le urla.
Il buio.

Apro gli occhi, mi guardo intorno e capisco di essere ancora dentro il Van, con Harry che mi guarda preoccupato e pallido e Alberto che cerca di richiamare la mia attenzione.

Qui dentro fa improvvisamente troppo caldo, mi sento soffocare.

“Io… Io..” tento di dire, ma la mia gola sembra essere chiusa da una morsa invincibile.

“Louis? Louis, respira. Ti prego devi calmarti. Vuoi dire qualcosa? Lou…” Harry stacca velocemente la sua cintura di sicurezza e si avvicina a me, prendendo il mio viso fra le sue mani e aiutandomi a respirare meglio.

"Dentro, fuori. Dentro, fuori. Dentro, fuori. Bravo Lou, continua, respira con me”.

La sua voce è calda, avvolgente e per un attimo riesce ad acquietare tutti i rumori nella mia testa.
Apro di nuovo gli occhi, lentamente stavolta, e mi ritrovo ad affogare nei suoi, verdi, liquidi, bellissimi.

Solo adesso mi accorgo che l’aria la sto rubando direttamente dal suo respiro.
E la testa ha smesso di fare male.

“Lou, amore, questo pollo è buonissimo”

“Non me ne vado Harry, mai”


“Credo di essermi innamorato di te nel momento in cui mi sei saltato addosso sul palco. Era come se, per un attimo, quella gioia volessi condividerla solo con me. E il bello è che io stavo pensando la stessa cosa, Lou”

“Ti prego, aiutami a restare”

“Non te l’ho detto stanotte perché pensavo che fosse tutto un sogno. Ma sentirti dire quelle tre parole Boo… vabbeh, insomma, ti amo anche io. Tantissimo”

“Ti aiuterò a restare.”
 
“Io ti amo Harry.”
 
Aria.
Aria, mi serve aria.
Devo uscire da qui.

Con le ultime e poche forze che mi restano strattono Harry, liberandomi dalla sua presa, e apro di scatto il portellone del Van, catapultandomi fuori, senza neanche coprirmi con il giaccone o il cappello di lana.

Non scherzavo quando dicevo che stava piovendo.

In un attimo tutti i miei vestiti si inzuppano d’acqua, rendendo la felpa molto più pesante di quello che era fino a poco fa.

Ma non mi importa, perché ho bisogno di liberarmi di tutto e correre, correre fino a non sentirmi più le gambe.
Non voglio restare in questo posto.
Non voglio rimanere bloccato dove tutto è andato storto.

No, io voglio andare a casa.

Così inizio a muovermi, un passo dopo l’altro, all’inizio più incerto sulla strada da prendere, poi sempre più consapevole della mia meta.

Sento qualcuno che mi chiama, cercando di raggiungermi –Harry forse?– ma ormai il mio corpo si muove da sé, spinto dalle nuove certezze, dalla nuova rabbia, dal desiderio di sentirmi di nuovo me.

L’acqua mi appanna la vista, proprio come in quella tremenda notte, ma stavolta so che niente può fermarmi.

Supero l’angolo della strada, la pizzeria, il fioraio, le villette che compongono il vicinato.
L’asfalto è scivoloso, ma dopo appena sette o otto minuti di corsa raggiungo la mia meta.
Mi fermo e resto immobile ad ammirarla.

Casa.

Registro tutto; i fiori alle finestre ormai appassiti, le luci spente dietro persiane ben chiuse, il silenzio che sembra circondarla e preservarla dal resto del mondo.
Il cartello ‘Vendesi’ appeso al cancellino d’ingresso.

“Louis! Louis, ma che fai sei impazzito?” urla Harry, alle mie spalle, mentre ancora sta correndo per raggiungermi.

Non mi volto, ma rimango a fissare quel cartello, imprimendolo nella mia mente e chiedendomi come siamo potuti arrivare a questo punto.
La pioggia sembra diminuire, riducendosi a poche e rare goccioline.

“Quando l’hai messa in vendita?” chiedo, sul punto di scoppiare in un pianto isterico.

Lui si ferma dietro di me, a pochi metri di distanza, probabilmente preso in contropiede dalla mia domanda.
Perché, in fondo, lui ancora non lo sa.

“Io… ehm… ho deciso di venderla il 25 dicembre. Ma ancora non ho ricevuto un’offerta che mi abbia convinto” risponde, avvicinandosi ancora di qualche passo, ma in modo più lento di prima, quasi guardingo.

“Pensi che riceverai mai un’offerta accettabile?” chiedo, sempre rivolto verso la casa.

Ormai la pioggia non la sento neanche più.
Siamo io e lui.

“Sinceramente? Non credo che si possa mai ricevere un’offerta accettabile per qualcosa che non si vuole vendere” mi risponde, abbassando le difese.

Io rimango in silenzio.
Perché se da una parte vorrei correre fra le sue braccia e nascondere il viso nel suo collo e respirare il suo odore fino a perdere contatto con la realtà, dall’altra mi sento ancora abbandonato e pieno di domande.

“Perché??” Urlo, infine, esprimendo a voce alta l’unico pensiero coerente che riesco a formulare.

“Non lo so, io non la voglio vendere, ecco.”

“No no, non parlo della casa!” Esclamo, voltandomi nella sua direzione e lasciando che le lacrime scivolino libere sul mio viso.
Non riesco più a frenarmi.
Devo sapere.

“Perché non hai detto niente? Perché hai lasciato che io mi svegliassi in quel letto da solo e che la mia testa venisse riempita da tutte quelle bugie?”

Lui si blocca; lo vedo benissimo il momento in cui i suoi occhi si allargano per la sorpresa e la bocca si apre leggermente come se per lui fosse impossibile capire completamente le parole che ho appena detto.

“Lou tu… non capisco tu..”, più sembra cadere dalle nuvole più mi viene voglia di tirargli un pugno.

“Due anni, Harry. Due anni di mal di testa, due anni di menzogne, due anni di notti insonni. Lo sai cosa vuol dire alzarsi ogni giorno dal letto e sentire nelle ossa che la vita che stai vivendo è quella sbagliata? Hai idea di cosa voglia dire sentire dentro un vuoto che ti lacera l’anima e non riuscire a capire che diavolo sia??” continuo ad urlare, avvicinandomi ma non troppo, cercando di mantenere un minimo di contegno.

Certamente.

“Lou, tu… ti è tornata la memoria? Dio tu… ricordi” esala Harry, avvicinandosi a me con veloci falcate e allungando le mani per toccarmi.

Anche i suoi occhi sono completamente lucidi adesso e, nonostante la rabbia, non posso non gioire per l’espressione di pura estasi che si dipinge sul suo viso.
Ma no, io… sono troppo arrabbiato.
Troppo.

Così mi scosto, allontanandomi da lui, cercando di fermare il tremore del mio corpo.

“Rispondimi cazzo! Perché non hai detto niente? Perché mi hai… abbandonato?” Mi deve una spiegazione. Me la deve.

Harry abbassa le mani e inizia a guardarsi le scarpe.
Come se si vergognasse, come se si pentisse di non essere intervenuto subito.
Rimaniamo in silenzio, ad osservarci, mentre la mia domanda resta sospesa nell’aria, in attesa di una risposta di cui ho paura.

“Io… credimi Lou. L’ho fatto perché pensavo che fosse la cosa giusta. Ho pensato che –cazzo sono stato uno stupido– ho pensato che forse questo fosse il tuo modo di lasciarmi andare. Ho pensato che meritassi una vita diversa. Una vita da vivere alla luce del sole.” Inspira, cercando di continuare il suo discorso senza scoppiare a piangere.“Era qualcosa che io non potevo darti. È una cosa che tutt’ora non posso darti”Continua, mentre io mi avvolgo con le braccia, dato che il freddo sta iniziando a farsi sentire.
“Quando ti ho visto su quel letto e ho capito che ci avevi dimenticato… lì per lì avrei voluto soltanto scuoterti e raccontarti tutto, sperando di convincerti a restare con me. Ma poi ti ho visto, con Eleanor. Ho visto come la guardavi. Magari inconsciamente avevi scelto questo. Insomma, ho capito che te la saresti cavata lo stesso.”

“Me la sarei cavata?” Lo interrompo, mentre un singhiozzo lascia la sua gola.

“Harry, ti rendi conto di cosa stai dicendo? Io ti amavo. Io amavo te. Non Eleanor. Che cazzo me ne frega di essermela cavata, se ho vissuto due anni in questo modo? Come hai potuto pensare che avrei scelto questa vita? Chi ti ha fatto pensare una cosa del genere? Io sicuramente no. Ti avevo detto che sarei tornato quella notte. Ti avevo detto che non ti avrei lasciato!”

Non può aver pensato davvero una cosa del genere.
Non può essersi davvero sacrificato in questo modo.

“Ma non era la verità!” Risponde, il pianto nella voce. “Tu non saresti tornato. Tu stavi andando da lei! Eri uscito e hai avuto l’incidente mentre stavi andando da lei! Avevi scelto di lasciarmi andare… ho semplicemente finito quello che avevi iniziato. E non sai quanto mi sia pentito di questa decisione” aggiunge, a bassa voce.

 Si sta avvicinando di nuovo e, complice la confessione che ho appena sentito, non riesco ad allontanarmi ancora.

“Harry” lo chiamo, quasi sussurrando.
Lui alza la testa e deve vedere qualcosa di nuovo nel mio sguardo, perché in un attimo è ad un passo da me. Gli basterebbe alzare un braccio, per toccarmi, ma non lo fa.

Ha paura che io lo respinga.
Ha paura che quello che ha appena detto sia la verità.

“Harry. Quella notte avevo deciso di andare da Eleanor, è vero” gli confesso, capendo che l’unica cosa necessaria adesso è la verità.
Lui fa una smorfia di dolore e butta giù la testa, in segno di sconfitta, sicuro che io stia per confermare i suoi timori, ma non posso lasciarlo scappare.
Non voglio più farlo stare male.

Così copio il suo gesto di pochi minuti fa e con mani tremanti raggiungo il suo viso, iniziando a sfiorarlo come non faccio da troppo tempo.
Dio, quanto mi è mancata la sua pelle.

“Guardami” gli ordino, gentilmente. “Stavo andando, avevo già chiamato un taxi che mi portasse da lei. Ma poi ci ho ripensato” riprendo, cercando di parlare con il tono più rassicurante che posso.

È così alto che devo alzare il viso per guardarlo, adesso.
Quante cose sono cambiate in questi due anni ed io non me ne sono neanche accorto.
Ero troppo impegnato a vivere la vita di qualcun altro.

Quello che non è cambiato affatto è lo sguardo che Harry mi sta regalando.
Lo sguardo emozionato, impaurito, speranzoso e innamorato che mi fa capire di avere davanti il mio Harry.

“Stavo tornando qui” dico, alzando la testa per indicare l’edificio bianco alla nostra destra. “Volevo tornare a casa. Da te. Avevo anche fatto ad Eleanor uno di quei discorsi patetici sul lottare sempre… Harry io non avevo intenzione di lasciarti. Non avrei mai potuto farlo. Eri tutto per me. Tutto” concludo, marcando ogni mia parola, in modo che anche nella pioggia e nel pianto possa essergli tutto chiaro.

“Tu… tu stavi tornando? Non volevi lasciarmi?” Mi chiede, incredulo.

Sembra così piccolo.
Il mio piccolino.

“No Harry. Non volevo lasciarti” ripeto. Potrei anche ripeterlo per sempre, pur di farglielo capire.

Ma non serve.
Perché non appena i nostri occhi si incontrano di nuovo, è come se anche l’ultima barriera costruita fra noi si sciogliesse sotto la pioggia di Londra.

Harry si abbandona su di me, incurvando la schiena per farsi più piccolo, e piange.

Piange come qualcuno che ha trattenuto le proprie emozioni per troppo tempo.
Piange, come qualcuno che ha lottato per restare forte per anni e che adesso non ha più bisogno di combattere.
Piange come chi, finalmente, può tornare a vivere.

Piange con il viso incastrato sul mio collo, le braccia tremanti che mi avvolgono ed i capelli che profumano di lui.
Singhiozza, tirandomi leggeri pugni sullo stomaco, prima di aggrapparsi nuovamente alla mia (sua) felpa e cominciare tutto da capo.

“Boo… Boo, sei tornato davvero...”

“Sì Hazza. Sono qui. Finalmente sono qui” lo cullo, fra le mie braccia.

“Non lasciarmi più, ti prego. Non farlo più.”

Il respiro irregolare rende le parole quasi incomprensibili, ma non è difficile capire quello che sta dicendo.
Non per me.

Mi rendo conto di quanto deve essere stato orribile per lui.
Vivere ogni giorno sapendo che la persona che amava non si ricordava più di lui.
Andare avanti, ora dopo ora, sperando in qualcosa che sembrava impossibile.
Pensando di averla persa, per sempre.

E nonostante questo adesso è qui, con me.
Mi sta abbracciando esattamente come faceva anni fa.
Con la stessa tenerezza, lo stesso bisogno, lo stesso amore.

Proprio in questo momento, un forte tuono annuncia una nuova ondata di pioggia, che torna a scrosciare sulle nostre teste.

“Mai più Harry… mai più.” Rispondo, il tono più forte per superare la pioggia.
“Mi dispiace per tutto, Harry. Dio, mi dispiace per come ti ho trattato a Natale, mi dispiace per il pugno. Per questi anni di distanza. Mi dispiace per essere stato un cretino… io avrei dovuto crederti! Che stupido. Sembrava tutto così assurdo… spero solo che potrai perdonarmi un giorno. Ti ho fatto soffrire così tanto” Sussurro scuse su scuse, tra i suoi capelli, lasciando baci leggeri su ogni superficie disponibile che mi trovo davanti. Collo, spalle, viso.

Mio.

Passa un altro minuto, durante il quale i singhiozzi di Harry si fanno sempre più radi ed il suo respiro si regolarizza.
Alla fine alza la testa, unendo per l’ennesima volta il suo sguardo al mio, gli occhi gonfi, rossi e ancora pieni di lacrime inespresse.
Sono comunque perfetti.

“Ti amo anch’io Lou” Dice.“E ti perdono, se davvero c’è qualcosa da perdonare. Solo, promettimelo. Prometti che non te ne andrai mai più” Nuovo singhiozzo. “Tu sei quello per me.Non c’è mai stato e non ci sarà mai nessun altro. Mai

“Lo prometto, piccolo. Lo prometto, non ti lascio più” Gli rispondo, proprio mentre la pioggia aumenta e torna a scrosciare sulle nostre teste.

Lo abbraccio di nuovo, perché mi sembra impossibile di essere finalmente felice.
Finalmente libero.
Finalmente me stesso.

Il primo bacio che ci scambiamo dopo tanto tempo è un leggero, quasi inesistente, sfioramento di labbra.

Ci assaggiamo, reverenti, quasi timorosi inizialmente, per poi lasciarci andare, l’uno verso l’altro.

Scompare la pioggia
Scompare il risentimento.
Scompaiono gli anni di lontananza.

È come se la vita mi avesse dato una seconda chance di portare a termine quello che avevo iniziato la notte dell’incidente.

Le nostre bocche iniziano ad aprirsi, sempre più decise.
Ormai si sono riconosciute e non smettono di cercarsi.
Davvero, sento che potrei restare così per ore.

Ma, improvvisamente, lui si riscuote e si allontana di qualche passo, la fronte aggrottata e l’espressione piuttosto arrabbiata.
Una morsa si stringe intorno al mio cuore: che abbia cambiato idea?

“Quella stronza!” urla. “Lei aveva detto che te ne stavi andando! Mi ha manipolato e ha manipolato te e ti ha fatto prendere quello schifo di pillole! Io la uccido, Lou io la uccido!” Continua, in un attacco di rabbia effettivamente più che giustificato.

Lo capisco.
Non vedo l’ora di far passare ad Eleanor le ore peggiori della sua vita.

Ma in questo momento non voglio pensare a lei.
Non adesso che ho ritrovato il mio Hazza.

“Harry, ti prego calmati. Ci occuperemo di questo più tardi. Adesso potremmo continuare quello che abbiamo iniziato?” gli chiedo, sperando di distrarlo.
Lui mi guarda e si abbuia ancora di più, tirando su la schiena, con fare minaccioso.

È davvero molto alto, adesso.

Harry si avvicina pericolosamente a me, il suo naso che sfiora il mio, un’intenzione completamente diversa da quella di pochi minuti fa.
I suoi occhi sono neri; il verde delle iridi quasi scomparso, le pupille dilatate e attente.

“Lei ti ha toccato Louis. Tu sei mio. Sei sempre stato mio. E ho lasciato che ti toccasse. Che ti avesse. Come cazzo faccio a stare calmo?” ringhia, prendendomi per le spalle con tanta forza da lasciarmi stupito.

Ed eccitato.
Dio quanto è cresciuto.

“Hai ragione Harry. Sono tuo. Sono sempre stato tuo. Ora dimostrami cosa sai fare..”. Rispondo, incapace di controllarmi ancora.

Lui è di fronte a me, con un’espressione selvaggia e i capelli bagnati.
Ed ora che ho assaggiato di nuovo il sapore delle sue labbra sulle mie, non credo che potrò mai averne abbastanza.

Mio” conclude, prima di attaccare di nuovo la mia bocca e soddisfare il mio desiderio.

Questo bacio è molto diverso da quello che ci siamo scambiati poco fa.
È un bacio carico di mancanza, desiderio e frustrazione.
Una lotta di denti e lingue.

Entrambi cerchiamo di dominare, assaporare e prendere il controllo.
Adesso che ci siamo riconosciuti, dobbiamo scoprirci di nuovo.

Harry sa di casa, ma anche di nuovo, di diverso.

È davvero cresciuto e con questo bacio riesco a sentirlo ancora di più.
Non è più il ragazzino impacciato e imbarazzato che ricordavo; ormai è un uomo, formato dalla sofferenza, che ha dovuto fare scelte difficili ed affrontare situazioni ben più grandi di lui.

La voglia che sento nel movimento della sua lingua, nella forza con cui le sue mani si addentrano sotto la felpa, è tanto profonda da destabilizzarmi.
Questo è Harry che ha bisogno di me con ogni fibra del suo essere.

Così, mi lascio andare.
Mi abbandono alle sue dolci ma possessive carezze, ai suoi morsi, al suo modo di accarezzare il mio naso con il suo, ai suoi ‘mio’ ripetuti come un mantra, al suo amore.

Neanche penso a quanto questa situazione sia un incredibile cliché, perché un passato assurdo come il nostro si merita un finale da film.
Sì, ce lo siamo meritati.

Anche se ormai la pioggia si è infiltrata ovunque, sotto i miei vestiti.
Sarebbe meglio andare in un posto caldo, o le mie ossa inizieranno a chiedere aiuto.

“Harry… andiamo a casa?” chiedo, fra un bacio e l’altro, con la speranza di poter continuare questa conversazione nella doccia, sul letto, in cucina, sul divano e anche sulla lavatrice.

“Casa nostra?” Domanda lui, con un sorriso dolce e le fossette in mostra, prima di iniziare a darmi una serie di baci a stampo, facendomi ridere come non facevo da tanto tempo.

È così felice.
Sono così felice.


“Sì, Harry. Andiamo a casa nostra” Gli rispondo, prima di prenderlo per mano e condurlo verso il cancello della villetta.
 
A togliere quel cartello, ci penserò più tardi.


 
HELLO GUYYYYYYS Qui è Scody che vi parla!
No, non sono morta ed ecco il capitoletto (:

In realtà, per come avevo pensato la storia inizialmente, doveva andare in modo leggermente diverso.
Ma, come sapete, questo è un momentaccio.
Per le Directioner in generale, non solo per le Larry Shipper.

Quindi niente, spero di avervi potuto donare quel sorriso che ci manca da un po’ di tempo <3

Voglio ringraziare Fabi perché senza di lei questa storia non avrebbe trovato una fine; ringrazio Clodia per il betaggio ed i consigli e ringrazio Marti che è la mia Manager (:

 
Voglio dedicare il capitolo a Ross e France, che MI HANNO CHIAMATA DAL CONCERTO PER FARMI ASCOLTARE LE CANZONI IN DIRETTA AFGDYCIUSWHH All the love.

Ringrazio tutte le persone del Fake, che ogni giorno mi illuminano la vita e tutti quelli che ancora stanno leggendo la ff (:

Un bacione, al prossimo capitolo!
-2 e abbiamo finito!

Scody



PS: Sì, c'è una 'Camera di Vincent ad Arles' anche al d'Orsay (:
PS2: Domani pubblico un capitolo in cui ci sono tutti i titoli e gli autori delle canzoni che ho messo all'inizio di ogni capitolo, perché qualcuno me l'ha chiesto ed ha assolutamente ragione!!

 
   
 
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