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Autore: PaleMagnolia    14/02/2009    3 recensioni
Una tragedia storica di proporzioni epiche, un uomo esile e scialbo, una bambina dagli occhi pallidi: due vite cambiate per sempre da un fatale istante - brusca virata e schianto, giubbotti bianchi sotto il cielo nero, freddo.
Una piccola, perfetta bellezza dodicenne, col viso serio di una bambola di porcellana; un uomo pallido e schivo.
Quando l'amore è a prima vista, a ultima vista, a eterna vista.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se, com'è assai probabile se non avete mai visto una ricostruzione del naufragio di cui si parla, non riuscite a visualizzare bene la scena, guardate questa immagine
http://s243.photobucket.com/albums/ff202/Tanarx/?action=view¤t=spiegazione.jpg (non metto il direct link perchè sennò l'amministrazione di EFP mi spara) - lo so, una buona storia dovrebbe essere in grado di trasmettere esattamente lo stato delle cose: ma questa è una fanfiction, mica un romanzo di Nabokov.
Se volete leggere qualcosa di perfetto, prendete Lolita.

Girò lo sguardo, stranito, sulle persone aggrappate, come lui, al parapetto della nave, inclinata in uno sbalorditivo angolo d

Girò lo sguardo, stranito, sulle persone aggrappate, come lui, al parapetto della nave, inclinata in uno sbalorditivo angolo di quasi novanta gradi.

“Non sta succedendo, non può succedere”, pensò Irwing, con una sorta di quieta, trasognata lucidità. “Non è possibile, non può essere possibile”.

Guardò alla sua destra. Un uomo sulla cinquantina, barbuto, ricambiò il suo sguardo, gli occhi sbarrati in folle, muto terrore. Le luci della nave in agonia, che si accendevano ancora in angoscianti, fuggevoli flash, ne illuminarono il viso contratto. Irwing si voltò dall’altra parte, per evitare l’orrore di quello sguardo, e in quel momento la vide.

Un bambina, che non poteva avere più di dodici anni, con un soprabito grigio chiaro e capelli nerissimi, lo fissava con calmi occhi grigi. Un rapido lampo di luce agonizzante le inondò il viso, disegnando con sconvolgente chiarezza il profilo della bocca, le ciglia scure, i fermi, pallidi occhi.

Non era aggrappata all'esterno della ringhiera, come Irwing, ma stava dall’altro lato del parapetto, sul ponte, appoggiata con la schiena a una bassa colonna d’acciaio – una bitta? - , il viso sollevato e radioso, le braccia lungo i fianchi, le mani appena appoggiate al metallo liscio, come se fosse in posa per una foto: e lo guardava con un’espressione talmente serena e distaccata, da fargli venire i brividi. Irwing capì immediatamente che, nel giro di pochi secondi, quel sostegno non sarebbe più stato sufficiente a trattenerla –soprattutto perchè lei stessa non faceva nessuno sforzo per tenersi aggrappata - , e la ragazzina sarebbe scivolata all’indietro verso l’acqua nera. Non era, infatti, avvinghiata alla colonna con le braccia, bensì stava sdraiata con la schiena su di essa, parallela a Irwing.

L’immagine dell’esile figuretta chiara che cadeva all’indietro, come un fantoccio, rimbalzando sull’assito distrutto, i capelli neri che si allargavano come un ventaglio attorno al viso pallido, furono più di quanto la mente, sconvolta e prossima al cedimento, di Irwing, potesse sopportare: improvvisamente, fu come se si fosse risvegliato da un angosciante dormiveglia. Sapeva che, anche riuscendo ad afferrarla e a portarla al di là della ringhiera, non avrebbe fatto altro che ritardare la sua morte: ma vederla precipitare nel vuoto senza far nulla era un’idea che trovò, improvvisamente, intollerabile.

Sbattè più volte le palpebre, proprio come per scacciare un sogno, poi si decise ad agire: scavalcò di nuovo il parapetto, dandosi un colpo di reni, poi si aggrappò al lato interno della ringhiera – quello che, una volta, aveva protetto i passeggeri dal rischio di cadere, e che ora, invece, era proprio la parte più pericolosa.

Sentendo l’aria gelida salire dall’acqua ribollente sulla schiena, Irwing si appese ad una sbarra della ringhiera, piegandoci attorno il braccio in modo da incastrarla nell’incavo del gomito, poi allungò l’altro braccio verso la bambina.

“Prendi la mia mano”, disse, la voce arrochita dal freddo, nuvolette di condensa che gli uscivano dalla bocca. “Forza, dai”, la esortò, dato che lei si era limitata a guardarlo con blanda curiosità.

Irwing agitò la mano verso di lei, e finalmente la bambina staccò, con esasperante lentezza, la mano dal fianco, e la alzò verso la sua.

Quando il braccino esile fu teso al massimo, Irwing si rese conto, frustrato, che fra la sua mano e quella di lei c’era più di mezzo metro.

Irwing si impose di rimanere calmo. Respirò a fondo, poi tornò a guardare la bambina.

“Va bene, tesoro. Ora prova ad allungarti un po’ di più, d’accordo?”

Lasciò scivolare il braccio piegato – quello con cui si teneva aggrappato alla sbarra del parapetto – e afferrò la ringhiera con la mano. Non sapeva come avrebbe fatto a reggere il suo peso e quello della bambina, se fosse riuscito ad afferrarla, ma tenendo la sbarra di metallo nell’incavo del gomito non riusciva ad arrivare abbastanza lontano.

Tornò ad allungarsi verso di lei, tenendosi stretto con la mano ghiacciata e dolorante. I piedi, con cui tentava di far presa sulle assi, scivolavano miseramente.

“Tesoro”, ripetè, angosciato. “Devi prendere la mia mano. Mettiti in piedi sulla colonna e spingiti verso di me”.

In un altro lampo di luce, Irwing vide che gli occhi di lei si allargavano appena.

“Forza”, disse, disperato. “Devi abbassarti e metterti a sedere sui talloni – hai capito quello che intendo?”

La ragazzina gli rivolse uno sguardo vacuo, poi annuì appena. Si lasciò scivolare, lentissimamente, lungo la bitta, fino a ritrovarsi accucciata nell’angolo fra la base della colonna e il pavimento del ponte.

Irwing sospirò di sollievo. “Ora”, disse rapidamente “appoggia le mani sulle assi del pavimento.”

La bambina allungò, titubante, una mano verso il ponte, ma appena sentì la superficie metallica della bitta mancarle sotto le spalle, si accovacciò di nuovo con un sussulto contro di essa, e si aggrappò alla colonna allungando le mani all’indietro.

Irwing venne preso dall’ansia: se la bambina cedeva al panico e s’immobilizzava, lui non avrebbe mai potuto raggiungerla.

“Coraggio, ce l’avevi quasi fatta”, la incoraggiò, cercando di non far trasparire la disperazione dalla sua voce. “Prova di nuovo”.

Irwing si protese verso la ragazzina, ormai incurante delle grida e degli schianti che continuavano attorno a loro.

La bambina chiuse gli occhi e allungò di nuovo le braccia davanti a sè, riuscendo a poggiarle contro le assi.

Irwing fu stupito del coraggio dimostrato da quella bimba pallida; molti, al suo posto, si sarebbero paralizzati per il terrore, e avrebbero rifiutato di muoversi.

“Bravissima”, disse, trionfante. “Ora sposta i piedi sulla colonna, e datti una spinta verso di me”.

Vide una nuvoletta di vapore allargarsi attorno al viso della ragazzina, quando lei prese un gran respiro. Poi, vide che faceva scivolare un piede per volta sulla superficie della colonna.

Poi, incredibilmente, cominciò a sollevarsi verso di lui, trascinandosi, sdraiata sulla pancia, sulle assi del pavimento. Col cuore che batteva all’impazzata, Irwing vide che la distanza fra loro diminuiva: la bambina, sdraiata sul ponte quasi verticale, era ormai a pochi centimetri dalla sua mano tesa.

Senza guardare in su, ma col viso appoggiato alle assi del ponte, la bambina tese un braccio verso l’alto.

Irwing le afferrò il polso, con una sensazione di esultanza.

“Ti tengo”, disse, trionfante. “Ti tengo io, ora.”

Con uno sforzo terribile, la tirò verso di se. Non appena si sentì afferrata, la bambina si aggrappò con tutte e due le mani al braccio di Irwing, e cominciò a spingersi verso di lui, strisciando sul ponte, puntando i gomiti, piegati, per non scivolare all’indietro.

“Brava, bravissima”, la incoraggiava Irwin, affannato, tirandola verso la ringhiera. Quando furono abbastanza vicini, Irwing passò di nuovo il braccio attorno alle sbarre, e ci spinse la bambina contro; lei staccò una mano dal suo avambraccio e strinse le dita attorno ad una sbarra del parapetto, poi ci si appese anche con l’altra mano. Irwing passò di nuovo sul lato esterno del parapetto e, benchè le braccia gli dolessero e fosse scosso dai brividi, afferrò la ragazzina per il bavero del cappotto e le fece scavalcare la ringhiera.

La trasse a se: la sentiva respirare pesantemente e tremare contro il suo petto.

Quando lui stesso smise di ansimare, la cinse meglio col braccio. “Come ti chiami, tesoro?”, chiese.

Lei alzò il viso verso il suo.

“Catherine Ann Lennox.” Sorrise debolmente. “Annie”.

  
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