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Autore: Ink Voice    02/10/2015    3 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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IX
Come foglie nella tempesta della guerra

Novembre, al contrario di ottobre, scivolò via molto presto per lasciare il posto a dicembre. Fui un po’ stranita nel sentire per la prima volta che ci sarebbe stata una pausa invernale dalle lezioni, che quindi per tre settimane avremmo potuto distrarci dall’ambiente scolastico e abitare la struttura dell’Accademia come più preferivamo - sempre nei limiti imposti dal buonsenso, ovviamente, caratteristica che per fortuna sembrava comune a tutti. Non sapevo dire perché fossi così sorpresa al pensiero di smettere di “studiare” per più di venti giorni.
Forse non credevo che in una situazione come la nostra, sempre durante la fantomatica guerra, ci sarebbe stato concesso il lusso di riposare e al massimo allenare i Pokémon per conto nostro. C’era qualche eccezione come Sara, la cui più grande passione erano la danza e la ginnastica artistica, che quindi avrebbe impiegato il prezioso tempo libero a cavallo tra l’anno corrente e quello nuovo per fare quello. Per il resto dei ragazzi era previsto relax totale.
Ormai io e Chiara avevamo fatto l’abitudine a quelle che le prime volte avevamo definito stranezze. I Pokémon Spettro vaganti per i corridoi non erano spaventosi - salvo la famiglia di Duskull e qualcun altro che mi inquietava non poco; per la maggior parte dei casi si facevano un giretto e poi tornavano autonomamente dall’Allenatore che li aveva. Certo era preferibile incontrare altri tipi di Pokémon per i corridoi al vedersi sbucare attraverso la parete un Mismagius o un Haunter, ma almeno non entravano nelle camere dei ragazzi. Non sempre.
Ci eravamo ambientate e avevamo assorbito la quotidiana routine della situazione. Fermandomi a pensare mi ritrovavo a chiedermi come avessi impiegato prima di quel venerdì primo settembre le mie giornate, senza avere un’intera squadra di Pokémon a cui badare. Erano diventati il centro di ogni cosa; ogni mio obbiettivo personale aveva a che fare con loro, quasi tutti i problemi riguardavano quegli esseri e non più me. Mi chiesi questo anziché domandarmi perché non riuscissi più a fare qualcosa che non c’entrasse con loro.
Con l’entrata in squadra di Rocky erano subentrati sia effetti positivi che negativi; avevo una squadra piuttosto variegata e mi piaceva pure che i miei Pokémon imparassero mosse - quasi esclusivamente d’attacco - di vari tipi per fare fronte a più situazioni possibili, seguendo i consigli di tutti i professori ed esperti. Persino i Capipalestra, per quanto amanti di un tipo in particolare, ne avevano di specie diverse per non ritrovarsi sprovvisti di difese. Il principale svantaggio era che la scalata dei livelli era sempre più lenta e me ne lamentavo spesso.
Chiara di Pokémon ne aveva cinque e qualcuno già aveva avuto modo di evolversi sotto i suoi occhi orgogliosi: Prinplup, Flaaffy, Pidgeotto, Gyarados e Amaura. Non se la passava male ma in genere io riuscivo ad avere la meglio, anche perché lei cercava spesso di costruirsi una difesa che la maggior parte delle volte, in un modo o nell’altro, riuscivo ad aggirare prima che fosse troppo solida per portare avanti la lotta.
Con Gold la situazione era praticamente alla pari, finché non si trattava di sfidare Dragonair o Quilava: in quei casi la mia sconfitta era quasi assicurata - ma qualche volta me la cavai. In più era stato spostato al livello seguente, quello di Sara, Angelica e Melisse; pur essendo meno bravo della media del gruppo riusciva a condurre lotte assai dignitosamente e dopo qualche mese gli divenne più facile abbattere la mia autostima di Allenatrice.
E poi, poco prima dell’inizio delle fantomatiche vacanze, una notizia riportata da Daniel provocò nei presenti al tavolo - i soliti noti: io, Chià, Ile, Cyn e Lorenzo - una reazione di collettivo inarcamento delle sopracciglia. Subito gli chiesi di ripetere, insicura che avesse detto qualcosa di vero. Lui ridacchiò.
«Giuro che è vero. Anche io all’inizio, quando me l’ha detto Aristide, ci sono rimasto.»
«Aristide si è scomodato per parlare ad uno studente?» chiese Lorenzo, abbastanza incredulo.
«E che studente!» ghignò Daniel. Cynthia gli diede uno scappellotto e giudicai che quella fosse stata la cosa più sensata da lei compiuta in vita sua. Il ragazzetto si grattò la nuca come da sua abitudine.
«Aristide non è mica il tipo che scherza ma tu sì. Direi che possiamo pensare benissimo che tu ci stia prendendo allegramente per i fondelli» borbottò la bionda.
«Va be’, ammetto che non me l’ha detto Aristide in persona, ma Sandra alla fine di una sessione d’allenamento. Però il mittente è lui.» Ci fu una breve pausa. «Non è mica qualcosa di assurdo! Anzi, per me è una buona cosa.»
«Questo si vedrà» borbottai.
Ilenia scosse la testa. «Non so da chi sia partita l’idea, ma fare questa specie di sondaggio tra i vari gruppi di studenti mi sembra abbastanza strano. Sicuramente non viene da Aristide.»
«Il preside della campana di vetro non può permettersi di incrinarla» mormorai. La campana di vetro era la metafora conosciuta da tutti i ragazzi dell’Accademia per descrivere quest’ultima, perciò tutti capirono. «Chiedere così apertamente opinioni e aspettative sulla guerra in corso, quando noi non ne sappiamo niente… be’, forse non è del tutto improbabile. Ma sono le stesse persone che ci tengono al sicuro qua dentro…»
«Secondo me» esordì Cynthia con malcelata indifferenza, «era anche ora che si facesse qualcosa del genere, per quanto sulle prime mi sembri strano. Se ci ripenso, man mano che passano i minuti, non ho niente da biasimare.»
«Non dico di biasimare» insistetti, «ma in un momento ci rassicurano sul fatto che difficilmente saremo toccati dal pericolo della guerra e adesso vogliono sapere cosa ne pensiamo? Non ci hanno mai abituati e qualche ragazzo nuovo continua ad arrivare. Sarà facile abbattere l’umore collettivo mettendoci di fronte alla realtà… non che sia un male, eh, però… oh.» Improvvisamente mi fermai a pensare.
Se sulle prime ci era sembrato a dir poco assurda l’idea di chiedere a tutti gli studenti cosa ne pensassero della guerra in corso e se avessero qualche aspettativa da sé e dalle Forze del Bene, per quanto la complessità della situazione fosse invisibile alle nostre vedute ancora ristrette, quasi di colpo ci eravamo tutti resi conto che non negarci la possibilità di entrare in contatto con quello di cui avevamo più paura - la guerra e relative conseguenze - non era poi un’idea da buttar via. Anzi, era anche meglio che fossimo un minimo preparati.
Daniel sorrideva soddisfatto, velatamente sarcastico come suo solito. «Perfetto, voi come me avete capito che la novità è buona! Allora vi spiego il resto della situazione. Sandra mi ha chiamato alla fine di una sua lezione per parlarmi di questo e all’inizio non capivo dove volesse andare a parare. Poi ha iniziato a premettere che sa che io ho conoscenze un po’ in tutti i gruppi dell’Accademia e che quindi posso diffondere la notizia…
«Più o meno avevo già intuito le intenzioni di chi ha ordinato questa cosa e me lo ha confermato: saremo noi stessi studenti a chiedere a quelli del nostro gruppo, come l’intervista di un sondaggio, le cose sulla guerra. Infine mi ha chiesto di scegliere, tra le classi in cui conosco qualcuno, delle persone che possano chiedere a quelli della propria classe cosa ne pensano eccetera eccetera. Una persona per gruppo, in totale siamo sei livelli: quello infimo, in cui non conosco nessuno, il tuo» indicò me, «quello di Melisse e compagnia, il mio e di Lorenzo, quello di Ilenia e quello più avanzato. Neanche in questo conosco qualcuno.»
«Immagino tu abbia già scelto chi dovrà condividere con te questo peso» sbuffò Chiara.
Daniel annuì continuando a sorridere. «Esattamente. Cynthia fa il suo gruppo e chiede a qualcuno di quelli più bravi di scegliere qualcuno, Melisse farà il suo, e immagino che una delle due conosca almeno una persona in entrambi i livelli in cui io non ho contatti. Poi Eleonora fa il suo gruppo e io il mio.»
Recepii appieno la notizia solo quando Chiara mi diede un’energica gomitata d’intesa. Per un attimo fui divisa tra la tentazione di alzare gli occhi al soffitto o dare ancora più nell’occhio spintonandola - e magari farla cadere, visto che era seduta sul bordo della panca. Optai per la seconda possibilità e quando Daniel mi lanciò un’occhiata divertita e stupita al contempo ebbi modo di alzare gli occhi al cielo.
Ma non l’avrei scusato subito per quel colpo basso. «Perché hai scelto me e non questa cretina?»
«Perché sei l’unica che conosco nel gruppo, a parte quella cretina.» L’“Ehi!” di protesta dell’interessata passò inosservato al ragazzo, che proseguì: «Poi hai un anno in più di lei, quindi penso tu abbia anche più tatto e più conoscenze, o esperienza magari, per non farti rispondere male da chi crederà che sia uno scherzo.»
«Non avevo messo in conto questa eventualità. Non te la perdono» mormorai.
Lui continuava a sorridere, tanto che risultò non poco odioso. «Non sarà difficile. Se riesci puoi sbrigartela pure in un giorno solo. Se vuoi ti posso aiutare.»
Passò qualche secondo in cui io tentai di non dare a vedere il rossore che mi aveva tinto le gote e Daniel lanciò un’occhiata stranita a Chiara. Immaginai il perché. «Ma che hai, qualche tic?» le chiese.
Lei lo mandò a quel paese e poi scoppiò a ridere: anche qui intuii il motivo. Gli altri ragazzi si erano messi a parlottare tra di loro di chissà cosa e Cynthia non aveva opposto resistenza alla convocazione di Daniel. Il ragazzo mi guardò in cerca di una spiegazione e io scrollai semplicemente le spalle. Non sapevo dire se fossi pienamente infastidita dalla decisione di Daniel o se in fondo fossi contenta di essere stata calcolata da lui - per quanto avesse dato le sue ragioni. Per questo mi impedii di farmi troppi film, per quanto dovetti riconoscere a malincuore che, molto più in fondo, mi fossi emozionata un pochino.
«Allora credi di aver bisogno di aiuto per questa cosa? In ogni caso il mio numero di Gear lo hai» disse ancora lui. Gli lanciai un’occhiata veloce e poi evitai di guardarlo per il resto della pausa pranzo.
«Ti contatterò, se necessario» mormorai; dopodiché prendemmo tutti parte alla conversazione degli altri tre.

Mi ritrovai seriamente a sperare con tutto il cuore, mentre in compagnia di Chiara mi dirigevo verso la porta della nostra camera, che la suddetta non si mettesse a strillare come un’ossessa e a fangirlare da brava ragazzina su qualcosa di non esistente. Le mie preghiere funzionarono in parte perché ebbero l’effetto, e purtroppo solo quello, di ritardare lo scoppio di Chiara, che sicuramente mi avrebbe assordata con qualche strillo.
La situazione iniziò a degenerare nel momento in cui iniziò a ripetere come una folle: «Io lo avevo detto.»
Sapevo benissimo cosa avesse detto. «Guarda che…» esordii, ma fui interrotta.
«Non sarai mica così orgogliosa da non voler ammettere che ti piace!»
«Ti posso assicurare che non si tratta di orgoglio; sono assolutamente sincera.»
Per un po’ Chiara continuò a darmi del filo da torcere - anche se avrei voluto farlo con il suo collo, visto che non si placò se non dopo interminabili minuti di botta e risposta. Quando ci si metteva era davvero seccante. Era la mia migliore amica, simpatica ed energica, sempre pronta ad appoggiarmi e affidabile; potevo dirle qualsiasi cosa mi turbasse o di cui mi vergognassi senza che lei battesse ciglio e faceva di tutto per aiutarmi in situazioni di difficoltà che, a prima vista, mi sembravano problemi insormontabili. Ma aveva lo sgradevole difetto di insistere fin troppo su argomenti scomodi, peraltro consapevole di star dando fastidio e probabilmente gasandosi grazie a questo.
In questi casi, una delle carte che preferivo giocare era il silenzio. Siccome non sempre funzionava provavo il metodo opposto: ne dicevo in quantità alla ragazzetta, spesso andando a criticare nel modo più secco possibile per assicurarmi che si zittisse. Funzionava ma poi mi toccava consolarla, perché spesso esageravo senza accorgermene.
Quella volta non ebbi la forza di mettermi a dirgliene di tutti i colori e, con un argomento come quello che lei stava trattando tanto appassionatamente, il silenzio l’avrebbe soltanto aizzata. In genere, poi, mi mettevo a ridere per quanto la situazione si stava rendendo ridicola. Quel giorno ribattei ad ogni cosa prontamente, in modo piatto, e pur dovendo sopportare per qualche minuto di troppo riuscii a porre fine alla sua parlantina, in qualche modo.
Avevo il numero di Daniel non per qualche motivo particolare, ma semplicemente perché ci eravamo scambiati tutti quanti i nostri contatti, anche se non avevamo molto di cui parlare in privato. Preferivamo farlo di persona - come se avessimo cose di chissà quale importanza da non far trapelare e non credessimo che i dispositivi anti-intercettazione di qualsiasi oggetto consegnato dalle Forze del Bene funzionassero davvero.
Per questo motivo preferii non scrivere a Daniel e lui non si fece sentire; il giorno dopo gli domandai come funzionasse quella faccenda alla presenza di Cynthia e Melisse. La bionda conosceva un ragazzo dei più esperti il cui fratellino aveva appena cominciato all’Accademia, quindi lo avrebbe poi riferito a loro.
Con Daniel parlai poco e niente nei giorni successivi, finché finalmente non ebbe qualche notizia in più da darci in merito a quella faccenda. Mancavano un paio di giorni all’inizio delle vacanze e sarebbe stata una buona cosa portare a termine il compito durante quelle quarantott’ore.
«Allora! Mi hanno dato dei fogli su cui ci sono le istruzioni insieme a quelli che ci serviranno per raccogliere le opinioni del pubblico» esordì. Noi sei che dovevamo fare quella specie di sondaggio ci eravamo incontrati nella mensa a sera, quando ancora non era ora di cena e la sala era vuota. Melisse ammiccò più volte nella mia direzione mentre Cynthia si studiava le unghie smaltate di nero, ascoltando a malapena il ragazzo.
«Quando avremo finito questa storia, anche a noi toccherà compilare dei fogli con le stesse richieste di quelli per gli altri studenti dell’Accademia.»
«Come mai passi subito alla fine?» borbottò Cynthia, più attenta di quello che sembrava alle sue parole.
«Perché mi va. Comunque, funziona così - o meglio, questo è il consiglio che mi è stato dato da Sandra: infatti lei, che inizialmente mi aveva avvisato di questa faccenda, ha reso disponibile parte delle sue lezioni per svolgere ’sta specie di sondaggio. Dovrebbe trovare il modo di fare almeno una lezione in tutti i nostri gruppi in questi due giorni, si metterà d’accordo con gli altri professori, vista la flessibilità degli orari…» precisò poi, parlando di flessibilità quando invece le lezioni si decidevano praticamente sul momento.
«Chi non se la sentirà di parlare davanti agli altri» proseguì, «per qualsiasi motivo che possa essere timidezza, perché non ha mai pensato seriamente alla guerra e ha bisogno di tempo, perché è molto sensibile per qualche altra ragione… allora darà le sue risposte in privato, a lui la decisione se parlare con un professore o con chi di noi fa parte del suo gruppo. Chiaro?»
«Ehm… quindi Sandra avviserà i nostri compagni?» chiesi. “Perché altrimenti dubito che mi prenderebbero sul serio e, conoscendomi, sarebbe a dir poco imbarazzante per me…”
«Sì, così ci prenderanno sul serio e non penseranno ad uno scherzo.»
“Appunto…” Il ragazzo più grande di noi - che mi pareva si chiamasse Andrea - intervenne: «E questi fogli con su scritte le domande e tutto quanto? Li hai o devono ancora darteli?»
Daniel annuì e si chinò ad aprire, sotto la sua sedia, uno zaino che a me era passato inosservato; ne tirò fuori alcuni fogli, che dovevano essere una ventina in tutto. «Questi sono tutti i “moduli” da compilare. Già sono divisi per gruppi, comunque sono anonimi. Dovremo fare sottoforma di intervista generale… nessuno può compilare niente per conto proprio, sta a noi trascrivere.»
Il ragazzo passò a ciascuno di noi i fogli del nostro gruppo. Lessi velocemente i numerosi campi da compilare; il mio sguardo si soffermò un momento in più sul “Commento personale” a cui era stato dedicato un ampio spazio sull’ultimo foglio, almeno tre quarti di pagina. Chi avesse voluto aggiungere qualcosa, oltre alle risposte date al resto delle richieste, avrebbe dovuto comunicarlo - a me o ad un professore - e lì sarebbe stato trascritto. Mi lasciai sfuggire un lieve sospiro e Daniel e Melisse se ne accorsero, ma non dissi nulla.
Mi chiesi cosa avrei scritto io nel campo del commento personale, perché ero certa che fosse quasi obbligatorio - a meno che qualcuno non si fosse già espresso in maniera decisa e pienamente coerente, tanto da non lasciare dubbi sulla sua opinione, rispondendo alle altre domande. Essendo parecchio confusa sulla mia sorte e sul mio possibile ruolo in quella guerra - che probabilmente si sarebbe ridotto al “non farsi ammazzare durante un attacco nemico”, a causa delle mie scarse capacità di combattimento e simili - avrei dovuto esprimermi chiaramente grazie a quel “Commento personale”, perché appena lessi più accuratamente gli altri campi notai che le mie momentanee risposte erano molto diverse tra di loro.
Mi passai una mano tra i capelli e scostai qualche ciocca dietro l’orecchio per evitare che occupasse la visuale. Intanto il ragazzo più grande brontolò: «Non è proprio chiarissima l’impostazione di questa cosa…»
«E va be’!» disse, con mia sorpresa, Melisse. «Tanto sappiamo come sono rilassati in questa Accademia… finché non ci metteranno in riga come soldati appena lavoreremo nelle basi segrete, direi di affidarci totalmente alle spiegazioni che Sandra farà al pubblico e limitarci a scrivere! O no?»
Daniel parve molto d’accordo con lei, sogghignando divertito e anche soddisfatto dalle parole della ragazza. Io ero parecchio stupita da quell’atteggiamento, sia da parte della ragazzina che dall’organizzazione in generale, ma decisi di lasciar correre - evidentemente dovevo adattarmi in quel modo.
«Allora possiamo metterci al lavoro subito» disse Daniel apprestandosi a concludere quel breve incontro. «Se qualcosa non è chiaro chiedetelo, non fatevi scrupoli!»
Poi mi lanciò un’occhiata che non riuscii ad interpretare in alcun modo. I primi ad andarsene furono i due fratelli e Cynthia li seguì dopo essersi fermata un momento ad arruffare i lisci capelli neri di Melisse, tanto per stuzzicarla un po’ e per ricevere una linguaccia divertita in risposta. Non sapevo se andarmene per conto mio o se aspettare per vedere se gli altri due volessero trattenersi un po’; alla fine optai per la seconda.
Fu Melisse a dare il via alla conversazione. Rivolta a Daniel, guardandolo male e mettendosi le mani sui fianchi in una posizione accusatoria, disse: «Ti ho già detto che avresti dovuto chiedere come minimo il permesso per includere me - tutti noi, immagino, in un progetto del genere?»
Io sorrisi per la battuta teatrale, così come il suo modo di porsi; Daniel invece scrollò le spalle, sereno, e ribatté: «A chiedere il permesso, nessuno si sarebbe fatto avanti. Sei l’unica che si sta lamentando.»
“Perché è l’unica ad avere una certa confidenza con te - e Cynthia non ha voglia di perdere tempo” borbottai mentalmente. Melisse mi guardò e la mia espressione eloquente bastò per farla ridacchiare: doveva aver capito quale era stata la mia risposta mentale - rimasta inespressa proprio perché non ero in confidenza con Daniel.
Daniel era di nuovo in una situazione in cui non capiva cosa stesse succedendo alle due persone presenti oltre lui, come molto spesso gli accadeva quando io e Chiara c’intendevamo con un’unica occhiata. Anche con Melisse era facile intendersi al volo - ancor di più con Ilenia e pure con la riservata Sara, che sembrava indovinare ogni pensiero del prossimo. Ma quella volta il ragazzo si astenne dall’indagare, avendo ormai imparato che era inutile cercare di capire un’intera conversazione avvenuta in un muto scambio di sguardi.
«Comunque, caro Dan» riprese la ragazza, «ciò non toglie che avresti dovuto almeno chiedere. Scommetto che ci sarebbe stato qualcuno in ogni gruppo disposto ad accettare senza problemi! Invece hai messo in mezzo noi povere due, io ed Eleonora, che nulla di male abbiamo fatto…»
«Sei sempre bravissima ad ingigantire le cose e farle passare per chissà quali torti» borbottò lui. «Sia tu che Ele sapete perché vi ho chiesto di partecipare.»
«“Chiesto”.»
Fu la mia prima, laconica puntualizzazione, intrisa di un tono ironico che fece ridere Melisse e alzare gli occhi di Daniel al cielo. Fino ad allora non avevo saputo come inserirmi nel loro battibeccare.
«Ma cos’è che vi infastidisce tanto, di preciso?!»
«Niente, niente…» feci io a mezza bocca.
«Tu» disse invece Melisse con decisione, puntando il dito contro Daniel, «sei la cosa che infastidisce.»
Daniel la mandò cortesemente a lucidare Medaglie e io ero già scoppiata a ridere - più o meno appena la mora aveva individuato la causa del fastidio. Già da tempo avevo avuto prova di quanto fosse esilarante quando prendeva in giro Daniel, spesso nel modo più demenziale possibile. Si vedeva che erano amici anche se dicevano in ogni occasione di non sopportarsi reciprocamente, ma tutti vedevano nei loro battibecchi la prova di quanto i due fossero affiatati, per quanto si sforzassero di negarlo.
Tant’è che mi stupivo che Chiara trovasse tanto piacere nel fantasticare su me e il ragazzo e non loro due. La sera stessa lo chiesi, non appena cominciò a stuzzicarmi - com’era ormai previsto dalla routine.

Avevo ancora un giorno in cui prepararmi qualcosa da dire alla classe prima che Sandra avesse una sua lezione per il mio gruppo - l’avevo incontrata e aveva detto di sapere che toccava a me fare quella specie di sondaggio. Lei ovviamente avrebbe presentato ma poi stava a me descrivere il resto; non avevo nemmeno provato a chiederle se potesse essere lei a parlare e io solo a trascrivere, perché i miei occhi parlanti - che richiedevano apertamente un coinvolgimento ridotto - mi fecero rimediare un’occhiata altrettanto eloquente da parte sua.
Non sapevo spiegarmi perché mi stessi agitando parecchio per una cosa che, pensandoci bene, era semplice: ma la mia indole riluttante a mettersi in mostra e ad alzare la voce per parlare spesso comandava sul resto, per quanto stessi migliorando da quel punto di vista. Ad ogni modo arrivò l’ultimo giorno prima della pausa invernale e la mattina mi tolsi quel peso. Ebbi modo di rimproverarmi, alla fine, che ero stata una sciocca a preoccuparmi tanto per qualcosa di inesistente, come se i miei compagni avessero potuto ridere di me o prendermi in giro.
Sandra, a metà mattinata, entrò in classe e controllò che fossimo tutti presenti - quasi mai i ragazzi del mio gruppo si perdevano un allenamento Pokémon, considerando unanimemente quella materia la più importante; i professori che la tenevano erano solitamente Sandra, Rocco, Lance o alcuni dei famosi Dexholders. Insomma, i personaggi più in vista del mondo Pokémon grazie alla loro abilità nella lotta.
Quando la donna incontrò il mio sguardo, mi fece un cenno d’assenso e io mi alzai, prendendo i fogli che mi erano stati dati da Daniel. Andai alla cattedra guardando ostinatamente i campi da compilare mentre lei diceva: «I piani alti delle Forze del Bene hanno richiesto una maggiore partecipazione da parte vostra, intendendo voi come studenti di questa Accademia che vi prepara per il vostro futuro nella guerra.»
Non avevo mai avuto l’impressione che la donna sapesse parlare così bene e con tanta naturalezza. Faticavo a credere che si fosse preparata un discorso ma così pareva. «Quindi, pensando al modo migliore per coinvolgervi, è stato deciso di fare una sorta di sondaggio… un’intervista che farà capire alle Forze qual è la vostra posizione, per quanto forse ci abbiate pensato poco, rispetto a questo conflitto che va avanti da fin troppo tempo. Potrete esporre i vostri dubbi, qualcosa che vi ha colpito, le vostre aspettative… senza la minima paura, ovviamente; è anonimo.
«Il ragazzo a cui originariamente è stato chiesto di fare questo sondaggio ha scelto un po’ di colleghi nelle varie classi per farsi aiutare, ed Eleonora si deve occupare di questo gruppo. Trascriverà le vostre opinioni dopo avervi illustrato i campi che devono essere compilati.»
Ci fu qualche secondo di silenzio; capii dagli sguardi insistenti puntati addosso a me che era ora di iniziare. «Sì, allora cominciamo…»
E così passai una buona mezz’ora ad ascoltare le parole dei miei compagni di classe, con i quali non avevo mai stretto un rapporto granché stretto. Forse grazie a quel sondaggio avrei imparato qualcosa su di loro: si sarebbero aperti grazie alle domande su un tema che toccava le intimità dei loro pensieri e delle loro emozioni. Ad essere sincera con me stessa ero curiosa di capire, una volta per tutte, come fossero le persone con cui condividevo la maggior parte della mia giornata e delle quali non sapevo assolutamente nulla.
Volevo anche prendere spunto da quello che avrebbero detto loro per poi dare, in privato, una mia opinione. Io e Chiara, nonostante fossimo giunte all’Accademia agli inizi di settembre, eravamo ancora le ultime arrivate nel gruppo e non c’erano state nuove entrate.
Le prime risposte mi fecero ben sperare, perché i ragazzi che si vollero togliere per primi il pensiero di finire la loro intervista anonima avevano anche idee abbastanza chiare, pur ammettendo che non immaginavano neanche lontanamente chissà quali strutture li sovrastassero. Era assolutamente vero - e anche piuttosto ovvio; d’altronde nessuno poteva avere la presunzione di sentirsi ad un livello alto nell’organizzazione del Bene.
C’era un campo da riempire, “Rapporti avuti con il Nemico - Impressioni”, che rimase praticamente vuoto. Non uno di noi era stato strappato dalle grinfie nemiche e accurati controlli dei ricordi, avvenuti tramite i Pokémon Psico che avevano indagato nella mente di ogni ragazzo, non avevano rilevato alcuna traccia della presenza del Team malvagio nel passato altrui. A me e Chiara esso ci era stato risparmiato: avevano avuto le prove, e quelle erano bastate, dell’abbassamento delle barriere da parte del Nemico che per la prima volta aveva cercato di entrare in contatto con noi. Dopo molti mesi era sempre più evidente che quella realtà era stata per noi del tutto nuova.
Le prime opinioni contrastanti arrivarono quando ai ragazzi fu chiesto di immaginare cosa fosse successo in otto anni di conflitto e perché non ci fossero mai svolte decisive. Qualcuno disse, dopo aver ammesso che non era facile pensarlo concretamente, che le forze e le possibilità delle due fazioni si eguagliassero e perciò non si riuscisse mai a prevalere l’una sull’altra. Altri non negarono, timidamente, un certo malcontento in merito a quella guerra che quasi pareva inesistente, visti i tempi e i pochi avvenimenti salienti; altri dissero senza problemi che, secondo loro, allora il Nemico era più potente delle Forze del Bene.
Uno dei ragazzi che lo disse si chiamava Matt. Aveva un anno in più di me ma non era abbastanza forte per il livello più avanzato; ci avevo parlato ogni tanto e mi pareva che sapesse il fatto suo. Quando affermò che il Team nemico era più forte, dovetti trattenermi dal chiedergli perché; lo feci con uno sguardo eloquente e lui si spiegò.
«Non voglio mettere a confronto numeri, anche perché non li ho: non so, e credo che nessuno di noi sappia, quante basi nemiche sono state affondate e quante sono state le nostre ad essere perse. Il bilancio dei morti e delle scomparse nemmeno, non ne ho idea. Credo poi che ci eguagliamo quanto a menti e a combattenti: Capipalestra da una parte così come dall’altra, Professori, Campioni, Superquattro, Dexholders…
«Il problema è che conosciamo il nostro Nemico, almeno per buona parte; eppure non riusciamo a contrastarlo. Sappiamo quali sono i Comandanti e cosa hanno fatto nel passato. Forse i loro mezzi e le loro intenzioni non sono del tutto chiare, ma se abbiamo avuto più volte l’occasione di invadere il territorio nemico in cui erano presenti pure i Comandanti, allora perché non è stato fatto? Sembrerebbe una battaglia quasi alla pari, ma vedendo questi altri aspetti è evidente che il Nemico ha qualche mezzo che ci impedisce di colpire con più violenza.»
Il suo compagno di banco si chiamava Allyn. Non ci avevo mai scambiato più d’un saluto o una stretta di mano finita una lotta. Aveva la mia età ma sembrava più grande, non solo per il viso maturo ma anche per l’altezza. Si disse d’accordo con il suo amico e aggiunse un’altra ragione: «Io non voglio escludere la possibilità che il Nemico abbia qualcosa che a noi serve, o serve sapere. Di conseguenza è un altro punto a loro favore: non si è mai cercato di abbattere i Comandanti, quindi per qualche motivo loro… servono vivi, ecco. Se hanno in loro possesso delle informazioni di massima segretezza che a noi possono servire per arrivare alla vittoria, loro sono un grande passo avanti a noi, che ancora non possiamo sovrastarli e farli sparire… In sintesi, se le nostre armi sono alla pari c’è dell’altro sotto, come ha detto pure Matt, e questo qualcosa è conosciuto solo ai piani alti, evidentemente.»
Lanciai un’occhiata fugace a Sandra e mi stupii di vederla quasi disinteressata da quello che si stava dicendo. Mi aspettavo che replicasse qualcosa alle critiche che iniziavano ad emergere, per giustificare l’operato lento e apparentemente indeciso delle Forze del Bene, che qualcuno riteneva più passivo che attivo rispetto alla guerra. Guardai la donna con maggiore attenzione. Si limitava a squadrare con i suoi chiari, begli occhi azzurri chi stava parlando; dopo qualche momento li distoglieva. Smisi di fare caso a lei e di preoccuparmi di cosa le passasse per la testa appena il suo sguardo glaciale non incontrò il mio, curioso ma anche interdetto.
Affrettandomi a prendere nota di quello che i miei compagni dicevano, a malapena capivo le loro parole. Ma paradossalmente furono le opinioni con cui non mi trovavo d’accordo a rimanere impresse nella mia mente. Non avevo ancora molte sicurezze riguardo all’operato delle Forze del Bene ma qualche pensiero per conto mio l’avevo elaborato. Quando una ragazza si definì in disaccordo con Matt ed Allyn ed elencò una serie di ragioni per le quali i tempi della guerra potevano essersi prolungati per così tanto, notai che non la pensavo allo stesso modo.
I tradimenti, gli spostamenti da una fazione all’altra, le restaurazioni di informazioni e territori che rischiavano di cadere nella mano dell’avversario, spionaggi inefficienti a causa di una tecnologia più avanzata nelle mani del Nemico, perdite e rapimenti, sicuramente anche torture su umani e Pokémon… io non credevo che ci fosse solo questo sotto. Ero più propensa a credere a Matt ed Allyn.
Ero certa che ci fossero molti segreti oscuri riguardanti le Forze del Bene tanto quanto il Nemico. Non esclusi la possibilità che le due fazioni fossero scese a patti riguardo a svariati punti sensibili, che pur con grande riluttanza venivano rispettati dall’organizzazione di cui facevamo parte; vedevo invece il Nemico ghignare, soddisfatto e con quella spaventosa espressione di scherno, come se fosse invicibile e sapesse di esserlo. Non sapevo dire perché tendessi a vederlo in vantaggio rispetto a noi. Ad ogni modo non ero l’unica, e questo dava da pensare.
Non molti si resero disponibili per completare il campo del “Commento personale”; Chiara fu una dei pochi. La mia amica mi dimostrò una volta per tutte di essere veramente cambiata e maturata rispetto a quando eravamo arrivate all’Accademia, nonostante talvolta i suoi comportamenti mi spingessero a chiedermi perché trovasse tanto divertimento nello stuzzicarmi a proposito di Daniel.
Alle varie domande aveva risposto: «Quando, quasi quattro tre mesi fa, appresi la notizia di una guerra che va avanti da otto anni all’insaputa del mondo intero… faticai ad accettarlo finché, insieme ad Eleonora, non entrai in quest’Accademia e in questa nuova realtà. Non poteva essere più finzione, un’allucinazione data da chissà cosa. Il problema della guerra in corso mi ha dato da pensare più di quanto non abbia fatto il pensiero di cosa sia successo in otto anni, e perché una delle due fazioni ancora non crolli… che sia la nostra o il Nemico.
«Ho iniziato a chiedermi sempre più spesso: “Ma cosa si è fatto in otto anni? Perché non si riesce ad arrivare ad un punto di svolta?” E mi sono data più di una risposta, anche ascoltando le parole di nuovi amici che sono qui da anni e confrontando i miei pensieri con i loro discorsi… mi trovo totalmente d’accordo con Matt ed Allyn riguardo alla faccenda dei segreti a noi sconosciuti, quasi la ritengo ovvia. Ma voglio fidarmi delle Forze del Bene.
«La mia posizione nelle Forze del Bene?» Qui aveva vacillato un po’ e aveva fatto rispondere degli altri prima di riuscire ad elaborare le parole. «Ehm… è una domanda difficile! Non ho alcun talento particolare, né per la lotta né per il lavoro al computer… Posso dire di essere attratta dallo spionaggio, ma credo di non essere l’unica che si sente inutile rispetto alle sorti della guerra. Non so se posso essere d’aiuto più che d’intralcio.»
Sentii i suoi occhi fissi su di me per tutto il tempo in cui scrissi frettolosamente le sue parole. Non era affatto l’unica e lo sapevamo entrambe: così come lei si sentiva ispirata per lo spionaggio, io propendevo per la lotta; ma tolto questo, sia io che lei ci sentivamo soltanto un numero in più nel conteggio dei membri delle Forze del Bene.
Mi schiarii la voce dopo essere stata in silenzio per lungo tempo: l’ultimo campo da compilare aveva richiesto parecchio. «Ultima voce: commento personale. È facoltativa, ma sarebbe bene dare un’ultima risposta…»
E Chiara, appena ricevuta la parola, disse: «L’unica cosa di cui sono veramente sicura è che siamo tutti dentro questo conflitto fino al collo, che siamo in pericolo ogni giorno e che rischiamo la vita, sul serio, soltanto perché siamo in quest’Accademia delle Forze del Bene…» Fece una breve pausa. Inspirò e disse: «Però, proprio perché anche io sono parte della fazione del Bene, non voglio perdere tempo mentre mi lamento della mia inettitudine. In qualche modo, se mi sarà mai possibile, voglio rendermi utile.»
Appena finii di scrivere la sua sentita opinione, Sandra interruppe tutto. «Ragazzi, è già passata la nostra ora. Vi ringrazio per aver partecipato e per essere stati così sinceri… ai piani alti mancava un pezzo sensibile di questa organizzazione, ovvero il vostro modo di porvi rispetto alle Forze e alla guerra stessa. La vostra compagna ha avuto parecchio da scrivere, avete chiacchierato non poco» aggiunse ironica. Sorrisi appena.
Uscii dalla classe e salutai Chiara, desiderosa com’ero di saltare la lezione prima di pranzo e di tornare in classe solo dopo di esso. In più mi toccava aggiungere il mio parere: trovare qualcosa di adatto da scrivere che non fosse, possibilmente, identico a ciò che era stato già detto. Eppure, ora che mi ritrovavo davanti a molte righe rimaste vuote del campo “Commento libero”, non avevo idea di cosa aggiungere lì.
«Ehi, ciao! Dove stai andando?»
Mi sentii rivolgere quelle parole alle mie spalle ma, assorta nei miei pensieri - “Cosa scrivo ora? Ma possibile che tutte le volte in cui ho pensato alla guerra e al mondo là fuori ora non diano i propri frutti…?”, nemmeno la riconobbi e mi limitai a rispondere distrattamente: «Devo scrivere qualcosa qui…»
«Ah, io ho già fatto invece. I miei compagni mi hanno lasciato un paio di righe per poter dire la mia, pensa!»
Capii quasi per miracolo che era il momento di girarmi e capire con chi stessi parlando. Non mi aspettavo di incrociare gli occhi di quell’innaturale blu piuttosto scuro di Daniel, che sorrideva bonario e si riavviò un paio di volte i capelli nel giro di una decina di secondi.
«Ah, sei tu! Ciao» esclamai.
«Te ne sei accorta ora?» ridacchiò lui.
Arrossii un po’. «Ehm… ora ho questo problema di dover scrivere qualcosa nel commento personale. Ma non ho idea di cosa poter dire, vorrei essere sincera e non copiare le risposte degli altri.»
«Adesso che lezione hai?» cambiò discorso lui.
“Che bello il disinteresse perpetuo di questo ragazzo!” «Non ne ho idea. Sono uscita dalla classe prima che il professore arrivasse, torno a lezione oggi pomeriggio, penso… adesso voglio fare questa cosa» risposi, agitando un paio di volte sotto il suo naso cosparso di lentiggini quel po’ di fogli tutti scribacchiati.
«Bene, perché io ho deciso di iniziare le vacanze un po’ prima degli altri!» La sua espressione, da bonaria, si riappropriò della sua solita aria di sfida. «Quindi se vuoi posso aiutarti.»
Non gli dissi di no. Lo ringraziai, piuttosto colpita, e ce ne andammo nella biblioteca al piano sotterraneo, la quale neanche quel giorno era disabitata: ogniqualvolta che c’ero andata, c’era sempre qualcuno seduto ai tavoli circondati dagli altissimi scaffali, traboccanti libri che trasudavano sapere. Ci trovammo un posto e lui incrociò le braccia sul tavolo, studiandomi con fare attento e serio. Non vederlo sorridere beffardo era strano e mi sentii parecchio in soggezione.
Abbassai lo sguardo sulla minacciosa mezza pagina di “Commento libero”, ancora tutta da riempire con le mie parole. «Ehm… tu cosa hai scritto?» chiesi a Daniel dopo qualche secondo. A malapena mi accorsi, dentro di me, che in quel momento i miei pensieri non erano più riguardanti il problema di trovare qualcosa da dire. Piuttosto continuavo a chiedermi perché si fosse preso la briga di aiutarmi e non di impiegare la sua giornata in altro modo, a meno che non gli fosse stato chiesto di darmi una mano. Cosa impossibile, quindi mi confusi di più.
«Il sondaggio l’ho fatto ieri e ho già consegnato i fogli, quindi non so come farti avere uno spunto. Non ricordo cosa hanno detto gli altri; io ho scritto…» Ci pensò su qualche secondo. «Che il tempo passa ed è tiranno. Se non troviamo un modo per abbattere il Nemico prima che esso diventi anche sinonimo di morte… tanto vale cambiare identità e andare ad arruolarsi tra le sue fila.»
Inarcai le sopracciglia. «Hai davvero scritto questo?»
«Non mi credi?» ghignò. Avendolo sempre visto come un ragazzo parecchio superficiale e incurante di tutto, se non dei propri Pokémon e della sua ristretta cerchia di veri amici, non mi sarei mai aspettata un simile pensiero da parte sua. «Comunque no, non ho scritto tutto quanto quello che ti ho detto, anche se è ciò che penso. Ho evitato la parte del “tanto vale cambiare fazione” eccetera per non sembrare sospetto.»
Mi sforzai di ricambiare il suo sguardo, notando quanto insistentemente lo stessi evitando. Per compensare mi ritrovai a mordicchiarmi un angolo dell’interno delle labbra.
«Non mi dirai che non ti sei fatta un’idea a proposito della guerra» insistette lui vedendo che non rispondevo.
«Eh? No, assolutamente!» mi affrettai a negare. «Ci ho pensato molto, già dai primi tempi di permanenza qui… ma ogni cosa con cui sono d‘accordo è già stata detta. Per questo volevo scrivere un commento personale, visto che pochi hanno aggiunto qualcosa oltre agli altri campi… ma anche qui credo che sarei ripetitiva.»
«Be’, anzitutto, tu cosa pensi a proposito della guerra?»
«Credo che il Nemico sia, per certi versi, in vantaggio rispetto a noi. Forse abbiamo i mezzi per attaccarlo e distruggerlo, ma ci manca qualcosa per poter sferrare un attacco di grande portata. Questo qualcosa… dev’essere un importante segreto che condiziona le sorti della guerra già da adesso, un’informazione di cui dobbiamo entrare in possesso per distruggere definitivamente il Nemico.»
«Ma a parte questo, cosa ne pensi delle condizioni tue, mie, di chi come noi nell’Accademia? Tutti noi ragazzi… cosa stiamo facendo qui? La preparazione che stiamo ricevendo servirà davvero a qualcosa nel mondo là fuori? E se da un giorno all’altro ci ritrovassimo nella mischia e a malapena sapessimo difenderci?»
Non avevo più problemi a guardarlo. Rapita dalle sue domande e dal suo tono, dalla sua stessa voce, non avevo più bisogno di giocherellare con i bottoni della camicetta o di mordicchiarmi le labbra o un dito della mano. Io voglio fidarmi di quello che ci stanno facendo fare. Anche questo sondaggio che mette a nudo quello che pensiamo sulla guerra è motivato… non credo sia mai stato fatto qualcosa del genere prima d’ora, quindi deve essere successo qualcosa per averlo preparato per noi.»
Evitai di mettermi a dire qualcosa che in quel momento mi parve futile, come che i professori erano tutti bravi e che davano un’ottima preparazione, e aggiunsi: «Però è anche vero che questa è una campana di vetro. Se questo è uno dei soprannomi preferiti per l’Accademia, un motivo ci sarà… siamo invisibili agli occhi del resto del mondo, e spero a quelli del Nemico, ma per quanto tempo ancora reggerà? È da molti anni che esiste e il Nemico avrà qualche indizio che gli faccia pensare alla nostra presenza… e il vetro è facile da incrinare.»
Daniel stava in silenzio e mi parve di dimenticare la sua presenza quando ripresi a parlare, continuando a sfruttare quella metafora: «Penso che tutti noi siamo… come foglie, all’interno di questa campana di vetro. Non so se ci siano già delle crepe e se ci siano degli spifferi ad agitarci, ma prima o poi ci ritroveremo tutti nel mezzo della tempesta della guerra… e se saremo ancora allo stato di foglie, il nostro destino sarà quello di rinsecchire e…»
Probabilmente la parola “morire” rimase confinata nella mia mente. Mi resi conto che Daniel mi aveva ascoltata per tutto il tempo, e pure con parecchia attenzione, quando disse: «Direi che questa è un’ottima metafora che puoi condividere con i piani alti delle Forze del Bene.»
Risposi alla sua espressione gentile e velatamente soddisfatta con un sorriso un po’ timido. «Un po’ metafora, un po’ similitudine… dici che gradiranno?»
«Perché non dovrebbero? Secondo me è un bel pensiero. Ero sicuro che avresti tirato fuori qualcosa di buono.»
Non mi trattenni: «Come mai? Voglio dire, perché lo pensi?»
A quel punto fu lui a distogliere lo sguardo e a ridacchiare, lievemente imbarazzato. «Eh… vedi, all’inizio non avevo un’opinione particolare di te, perché mi sembravi la solita nuova arrivata che non riusciva ad ambientarsi, e questo è un tipo di persona che non mi piace. Però poi hai cominciato a farti valere; hai detto più volte che le lotte Pokémon ti piacciono, nonostante il tuo livello sia ancora un po’ basso. Hai ammesso, senza volerlo, il desiderio di volerti rendere utile e di imparare. Il tuo carattere è cambiato e sei diventata più decisa… quindi mi stai assai più simpatica di quanto avrei creduto le prime volte che ci siamo parlati. Ti piacciono le lotte, i Pokémon, hai appena dimostrato di sapere il fatto tuo riguardo la guerra… e non mi rompi le scatole con frecciatine ironiche come quei due cretini di George e Melisse. Ripeto… mi stai simpatica.»
Aveva parlato con un po’ d’incertezza, inizialmente, ma poi aveva deciso di dirmi una volta per tutte cosa ne pensasse di me. Mi domandai se fossi pallida o di un altrettanto imbarazzante color pomodoro.
«Ora però non prendere l’abitudine di imitare Melisse, altrimenti perdi punti!»
Spezzò la tensione con queste parole e il suo classico sorrisetto; se non l’avevo già fatto, avvampai, sentendo il cuore battere impazzito nel realizzare seriamente le sue parole gentili. Eravamo praticamente amici. «Eh, ehm… anche tu mi stai simpatico» balbettai, sforzandomi di non dare a vedere quanto fossi agitata: «All’inizio invece mi eri sembrato parecchio menefreghista e superficiale, quindi… non avevo molta voglia di parlarti o di cercare di diventare tua amica, eh… ecco. Però… mi ha colpito molto la risposta personale che hai dato tu e in questi ultimi tempi ho notato che sei diventato più disponibile nei miei confronti… e anche in quelli di Chiara.»
«Era anche ora, no? Immagino di essere stato parecchio indifferente…» ammise, affatto pensieroso.
«Un bel po’.»
Ridacchiò; mi chiesi il perché. Forse per il tono basso della mia voce, ridotta ad un mormorio. «Comunque sì, cara Ele, siamo amici! Avevi ancora qualche dubbio?»
Feci una risatina altamente imbarazzata e replicai: «Ora che l’hai detto ho avuto la conferma…!»

Daniel mi accompagnò in presidenza a consegnare i fogli del sondaggio; quel gesto forse insignificante per me fu causa di pensieri confusi ed emozioni altrettanto turbate. Ironia della sorte, incontrammo Bellocchio, colui che aveva istituito le Forze del Bene. Non parve sorpreso di vederci, al contrario di Daniel. Io rimasi indifferente - pure perché ero occupata a chiedermi, retoricamente, cosa mi stesse succedendo.
«Ah, grazie mille» mi disse appena gli porsi i fogli. «Eleonora, giusto? Ci siamo visti a settembre.»
Annuii. Solo in quel momento notai la presenza di Aristide, l’anziano “preside”, i cui occhi piccoli e freddi si spostavano velocemente dalla figura bassa e smilza di Bellocchio alla mia e a quella di Daniel. Mi chiesi perché in quel momento notassi come lui fosse l’unico alto nella stanza, visto che nessuno di noialtri tre spiccava per altezza, e come mai invece non mi domandassi cosa ci facesse il capo delle Forze del Bene un’altra volta all’Accademia, se per mesi interi non si era fatto vedere. Avevo avuto la fortuna di incontrarlo in entrambe le occasioni.
Congedati dai due uomini, Daniel esclamò appena chiudemmo la porta alle nostre spalle: «Credo sia la prima volta che lo vedo in maniera così ravvicinata! Non ho mai parlato con Bellocchio.»
«Davvero? Questa è la seconda volta che io lo incontro.»
«Lo so, ed è anche la seconda volta che viene in tutta la seconda metà dell’anno!»
Continuammo a chiacchierare; io più che altro lo lasciai parlare, ascoltando con non troppa attenzione quello che diceva. Sentivo solo il suono della sua voce, ancora in fase di sviluppo, e in maniera molto limpida, naturale e indolore capii che mi piaceva molto ascoltarlo parlare. Anche vederlo, se per questo, ma che Daniel fosse un bel ragazzo lo avevo già appurato da tempo.
Restammo insieme finché non finì l’ora di pranzo e potei tornare in classe insieme a Chiara. Doveva aver notato che ero più assente del solito, impensierita da molte cose. Con un’innaturale calma capii cosa mi stava succedendo e la sera, chiuse in camera appena la mia compagna di stanza mi chiese cosa mi prendesse, dovetti ammetterlo.
La diedi vinta alla ragazza. «Chiara, sono cotta.»









Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Vi chiedo scusa se avete trovato errori, incoerenze et similia, ma questo capitolo non sono riuscita a rileggerlo causa sconfinata pigrizia e altrettanto sonno - a occhio ho trovato le parti in corsivo e dovrei averle messe tutte. Perdonatemi e segnalate qualsiasi cosa non vi suoni, ma spero di poter rileggere il prima possibile! Ho pubblicato oggi e non tra sabato e domenica perché, con ogni probabilità, durante il finesettimana non avrò modo di usare il computer.
Ho un po' di cose da dirvi:
- breve nota sullo stile: le differenze tra dialoghi, narrazione e descrizione. Mi piacerebbe rendere tutto il più realistico possibile, per questo, per quanto a volte non lo gradisca neanch'io, ci tengo a usare registri diversi tra la prima e le altre due cose: i dialoghi, soprattutto a seconda dei personaggi parlanti, sono su un livello più basso rispetto al resto. Le differenze si notano tra Eleonora e Chiara in primis, ma anche gli altri hanno modi differenti di parlare, chi più rozzamente e chi meno (?). Spero che questa cosa non dia fastidio; a volte non mi piace molto mettermi su un livello ancora più basso, ma dall'altro lato mi diverte l'effetto sortito.
- storia del capitolo perché sì: le prime due pagine tutto liscio. Lo svolgimento è pura agonia: in preda al panico di essere nel mezzo di un blocco tanto improvviso quanto imprevisto, mi sforzo di scrivere almeno qualche riga al giorno pur di non darmi per vinta e la tiro un po’ per le lunghe, scrivendo qualsiasi cosa, anche inutile, mi venga in mente. Arrivata la metà capitolo comprendente il sondaggio e la chiacchiera con Daniel, eh bien, in un giorno scrivo tutto quanto e mi tocca pure rimuovere le parti aggiunte solo per allungare, altrimenti sforavo con la pagina.
- Matt ed Allyn sono due personaggi di Ashura_exarch che molto tempo fa inserii nella ff per una specie di scommessa tra me e lui. Non avranno un ruolo rilevante, fungeranno solo da comparse; in ogni caso mi è parso giusto reinserirli.
Dopo aver parlato fin troppo direi che è ora di ritirarmi nel mio angolino, abbandonado questo ottuso, e ci sentiamo di nuovo il prossimo weekend!
Ink
  
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