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Autore: FDV_91    03/10/2015    0 recensioni
Una storia che seguirà negli anni Greisen Rosicky, discendente della Dollmar dell'Est, che si ritroverà a scappare e nascondersi mentre si preparerà per la sua controffensiva.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fanciulla, stesa sul letto, lasciò cadere il libro sul pavimento di legno. Il rumore prodotto dall’impatto fu più forte di quanto si aspettasse. Affondò il viso sul cuscino, sospirando. Affondò le vecchie cicatrici causate dalle ustioni sul cuscino, sospirando. C’era un’altra ragazza dai capelli neri con lei, nella stanza, seduta su di un altro letto.
            - Non arrenderti ancora, Alice! Anche io sono stanca morta di ripetere, ma la verifica è fra qualche giorno.
La fanciulla dai lunghi capelli castani annuì, allungando la mano nel tentativo di recuperare il libro senza guardare dove fosse finito. Nonostante la profonda amicizia che la legava alla ragazza dai capelli neri, cercava il più possibile di coprire la sua enorme cicatrice. La guancia sinistra, lo zigomo, la parte sinistra del collo... tutto segnato da quella cicatrice. Ancora più giù. La spalla, il suo braccio sinistro, coperto dalle lunghe maniche del vestito, il suo seno, il fianco sinistro del suo torso. Cicatrici che cercava di coprire il più possibile. Non le nascondeva solo agli altri: era lei stessa a volerle vedere il meno possibile. Per questo in quella stanza non c'erano specchi: c’erano due armadi e due scrivanie, ma non un singolo specchio.
            - Alice, non so a cosa stai pensando, ma è ora di studiare. Forza, tirati su! Come fai a studiare stesa così sul letto? Da un momento all'altro potrebbero anche passare a ritirare le lenzuola: oggi è il giorno delle pulizie.
Le lenzuola erano completamente bianche. Candide. Guardando la metà della stanza della sua amica si accorse che erano quasi identiche. Ciò che rendeva diverse le due metà della stanza erano gli oggetti presenti sulle due scrivanie: quella più vicina alla fanciulla che aveva lasciato cadere il libro era perfettamente in ordine, nonostante la quasi totalità della superficie fosse ricoperta di appunti, libri e materiale da disegno. L’altra scrivania era molto più sgombra, ma vi si potevano trovare alcuni schizzi della proprietaria dai capelli neri e la sua famiglia. Senza alzare il viso dal cuscino, la fanciulla continuava a cercare il libro caduto lasciando brancolare nel buio la sua mano.
            - Alice smettila di giocare, non riesci a percepire la mia indescrivibile ansia?
La testa della ragazza ustionata sembrò annuire. Finalmente la sua mano trovò il libro e si affrettò a riportarlo vicino a sé, sul letto. Puntò lo sguardo verso il tomo.
            - Allora, Alice? Cosa ricordi delle ceramiche dell'era dell'Egemonia provenienti dalla Lega delle Città Libere?
            - ...Molto belle, molto interessanti...
            - Sii seria!
L'unica risposta fu uno strano verso. Un verso di sconforto misto a noia. Lasciò cadere il libro dal letto, di nuovo. Lo scontro col pavimento fu ancora più fastidioso di prima. Un sospiro partì dalle labbra della fanciulla dalla chioma corvina.
            - Ti capisco, sono stanca anche io, ma non posso fermarmi: rispetto ad una certa muta di nostra conoscenza io devo studiare molto per avere un voto         almeno decente.
            - Non sono muta.
La voce monotona di Alice fece sorridere Julia, la ragazza che stava studiando con lei.
            - Scherzavo, non ti offendere. Ultimamente sei ancora più permalosa.
            - Non sono permalosa. Sono una persona tra tante, non ho difetti o pregi degni di nota.
Julia si avvicinò con calma al letto di Alice, sedendosi al fianco della sua amica. Dalle sue labbra evase un sospiro di rassegnazione.
            - Alice, lascia che te lo dica chiaramente: vedere una persona speciale che si da del normale è estremamente fastidioso. Chi ha talento deve riconoscerlo o rischia di ferire chi gli sta intorno.
Alice ascoltava, come suo solito, in silenzio. Il pensiero della sua amica era sensato. Non faceva una grinza. Peccato che lei non si sentiva affatto speciale: a parte l'enorme cicatrice sul suo corpo, era una normalissima ragazza come tante altre, senza talenti e senza sogni particolari. Era lì solo perché le piaceva disegnare. Amava disegnare.  Non aveva alcun interesse nella storia dell'arte e nemmeno le interessava sapere perché quelle ceramiche di chissà quanti secoli antiche fossero così importanti. Le piaceva guardarle, però. Erano belle. Per un po' pensò anche di essere estremamente superficiale: adorava l'aspetto di quelle opere senza volerne sapere della loro storia. In realtà ciò che rendeva ai suoi occhi quelle ceramiche estremamente affascinanti era la loro età: oggetti così antichi che erano sopravvissuti allo scorrere del tempo. Questa sola caratteristica li rendeva estremamente belli. Quanto tempo ancora potevano resistere prima di andare distrutti? Quanta gente avrebbe potuto ancora godere della loro esistenza? Per quanto tempo ancora sarebbe riuscita ad osservarli? Perché quegli oggetti erano in perfette condizioni dopo tutto questo tempo mentre lei, in pochi anni, aveva parte del suo corpo rovinata? Questo fascino che gli oggetti esercitavano su di lei era l'unica cosa che le permetteva di imparare quelle noiose pagine. Amava specialmente quelli che venivano ritrovati in condizioni quasi perfette: gli ricordavano una anziana signora che, nonostante l'età, era riuscita a conservarsi meravigliosamente. Quanti anni è riuscita a conservarsi così meravigliosamente questa spada? Chi l'ha forgiata? Il voler conoscere queste risposte le permetteva anche di essere pronta agli eventuali test a cui la sottoponevano. Non studiava. Quello che sapeva lo aveva scoperto grazie alla sua curiosità e al fascino che quei reperti esercitavano su di lei.
            - Avanti, riprendiamo. Le Ceramiche di Levondell, ritrovate durante degli scavi nell'omonima città, da quale scuola derivano e, soprattutto, a quale periodo risalgono?
            - Scuola "molto bella molto interessante".
            - La smetti di scimmiottare l'insegnante?
Alice rimase in silenzio, fissando il cuscino. Voleva continuare il dipinto. Il suo sguardo migrò verso il cavalletto su cui poggiava la sua tela incompleta. No, incompleta non è il termine esatto. Era vuota. Nonostante avesse deciso di partecipare ad un concorso, su consiglio della sua compagna di stanza, non aveva ancora nemmeno cominciato a preparare una bozza. Non aveva il coraggio di posare il pennello su quel vuoto. Aveva paura di riempirlo con qualcosa di brutto. Amava disegnare, ma aveva paura di fallire. A voler essere sinceri, se anche avesse avuto il coraggio di disegnare, Julia l'avrebbe stressata troppo con la storia dei test. Voleva disegnare, ma la paura di scoprire di non avere il talento necessario la bloccava. Le impediva di prendere in mano il pennello. Intanto il tempo passava e la scadenza per il concorso si avvicinava.
            - Alice?
La fanciulla volse lo sguardo verso Julia.
            - Ultimamente sono un po' preoccupata per te. Per gli Spiriti! Mi sembri addirittura più infelice del solito.
Più infelice del solito? Cosa intendeva dire? Era forse infelice?
            - Scusa, potrei averti offesa, sono stata un po' scortese nell'esprimermi...
Davvero molto scortese, pensò Alice. Eppure non riusciva a togliersi quella frase dalla testa. Appariva davvero infelice agli altri? Lei non era infelice. Era viva. Non poteva avere avuto dono più grande. I suoi ricordi tornarono alle cicatrici. Sì. Era stata fortunata a sopravvivere. Anche in quel momento si sorprendeva al pensiero di quanto calde fossero state quelle fiamme. Era una cosa naturale, fin da bambini i genitori insegnavano ai figli che il fuoco è caldo, che non bisognava toccarlo perché scotta. Provarlo sulla propria pelle fu diverso per lei. Era più caldo di quanto immaginasse. Era più caldo di quanto potesse sopportare. No, non poteva sopportarlo. Eppure era sopravvissuta. Deturpata da una enorme cicatrice. Gli sguardi delle persone. La consapevolezza di dover sempre risaltare in mezzo alla folla, di attirare l'attenzione. Per la cicatrice. Sentì le lacrime salire agli occhi. Doveva pensare ad altro. Qualcosa che non la facesse star male. Non voleva mostrarsi debole di fronte alla sua amica. Era andata via da Lutesk sperando di poter diventare più forte e indipendente. Sperava che ricominciare da capo in una nuova terra le avrebbe permesso di affrontare le sue paure più facilmente. Niente di tutto questo si era avverato: era solo scappata dalla città dove si era procurata quelle cicatrici. Gli incubi, quelli non erano rimasti nelle terre lontane. L'avevano seguita, rincorsa, braccata. Ancora, di notte, si svegliava di soprassalto, presa dalla paura in una morsa che mai avrebbe ceduto. Era scappata per trovare una forza che l'avrebbe permessa di andare avanti, invece era ancora debole come prima. Non aveva il coraggio di guardarsi allo specchio. Era infelice? Sì. Non aveva ancora metabolizzato le ferite mortali che quell'incendio aveva causato al suo spirito, alla sua anima, alla sua mente. Non riusciva nemmeno a mascherare la sua tristezza.
            - Alice, vuoi fare una pausa? Vado a prendere una boccata d'aria.
            - Non c'è bisogno che tu vada, Julia.
La ragazza dai capelli castani sorrise gentilmente.
            - Non ti preoccupare, farà decisamente bene anche a me.
Julia uscì dalla stanza, lasciando sola Alice. Lentamente si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra che dava sul cortile. La loro stanza era all'ultimo piano del dormitorio, il terzo, e affacciava direttamente nel cortile interno dell'edificio. Ogni volta che si affacciava dalla finestra vedeva un delizioso giardino che aveva addirittura delle piante provenienti dal lontano Impero Kahren. In quel periodo dell'anno c'erano tantissimi fiori che coloravano quel piccolo panorama. Adorava i fiori. Inconsapevolmente il suo pensiero ritornò alla sua cicatrice. Alzò lentamente la mano sinistra, sfilò lentamente il guanto che la copriva, guardò le cicatrici. Lacrime cominciarono a scivolare lungo il suo viso. Chiuse quella mano in un abbraccio tra la sua mano destra e il suo petto. Alzando gli occhi verso il giardino. Vide Julia camminare e sedersi sotto un albero da frutta. Con lei c'erano altri suoi amici. Sorrideva. Rideva. Anche lei poteva riuscirci. Anche lei avrebbe potuto camminare con gli altri nel giardino. Dopotutto era per questo motivo che aveva abbandonato la sua città: ritrovare il coraggio di mostrarsi per come era. Decise di raggiungere Julia. Lasciò la finestra attraversando la stanza e avvicinandosi all'armadio, lo aprì, prese la sua sciarpa bianca, la sua preferita e con essa coprì la cicatrice sul collo. Prese la sua mantellina nera preferita e abbassò il cappuccio sul viso. Si fermò a riflettere. No. Non era il momento di indossare quella roba. Sarebbe andata nel giardino mostrando il suo viso. Posò di nuovo tutto nell'armadio e si avvicinò alla finestra per osservare di nuovo la sua amica. Speciale. Lei aveva detto che era speciale. Sospirò. Socchiuse gli occhi. Li riaprì lentamente. Il giardino era ancora lì eppure qualcosa disturbava la sua vista. Mise a fuoco il suo viso riflesso nella finestra con l'occhio destro, l'unico che ancora poteva vedere. Era felice che solo uno dei suoi due occhi fosse caduto nell'oscurità totale, ma aveva perso la possibilità di percepire la profondità. Alzò lentamente la mano sinistra verso la sua guancia. Volse via lo sguardo dal vetro. Con le lacrime che rigavano il viso si rannicchiò sul letto, piangendo. Non ora. Non era ancora abbastanza forte. Si dava della stupida. Non ci riusciva. Sapeva di dover fare qualcosa, che non poteva continuare a vivere così. Sapeva di dover cambiare, ma non ci riusciva. Passò molto tempo, il sole finì per cadere dietro le mura che fronteggiavano la sua finestra e la penombra cominciò a infiltrarsi nella stanza. Erano passate un paio d'ore da quando Julia era uscita per prendere una boccata d'aria.
            - Deve essersi fermata a parlare con gli altri...
Julia era una gran chiacchierona: una volta che cominciava a parlare di qualcosa di suo interesse non la finiva più.
            - Tra poco tornerà sicuramente: dobbiamo finire di ripetere.
Si disse Alice. Non passarono neanche dieci minuti che qualcuno bussò alla porta. Alice pensò subito che fosse Julia. Le altre sue (poche) amiche non venivano mai a farle visita in camera. Si fece forza, almeno con Julia poteva aprirsi. Si diresse verso la porta col sorriso sulle labbra, sospirò, poggiò la mano sulla maniglia e, mentre apriva la porta, disse:
            - Ce ne hai messo di tempo! Avevi detto che sarebbe stata solo una piccola pausa!
Il sorriso le morì subito sulle labbra. Il trono dei buoni propositi fu usurpato dall'ansia. Due persone sconosciute erano sulla soglia della sua stanza.
            - Scusami tanto ragazza, credo sia la prima volta che ci vediamo.
La voce maschile era gentile, addirittura affettuosa. L'uomo vestito di una mantellina marrone scuro con cappuccio mostrava un viso giovane, dei profondi occhi neri e dei capelli scuri come quelli di Julia. La carnagione era diversa, però: era più scura di quella delle persone che era abituata a incontrare, ma non dello stesso colore degli abitanti dell'Impero Kahren. Doveva essere un mezzosangue. Assieme a lui vi era una ragazza avente, all'incirca, la stessa età di Alice, se non addirittura più piccola, gli occhi incredibilmente verdi e i capelli rossi, vestita anche lei con una mantellina con cappuccio dello stesso colore. Con la coda dell'occhio destro notò che, lì dove cominciava il corridoio, altre due persone erano ferme, come di guardia. Di loro poteva vedere solo che indossavano la stessa mantellina degli altri due e che erano, probabilmente, un uomo dai capelli corti e neri e una donna dai lunghi capelli biondi. Il suo primo pensiero riguardava il colore dei capelli dei suoi ospiti: i due uomini erano gli unici ad avere i capelli dello stesso colore. Subito dopo cominciò a pensare ad un motivo per cui quattro sconosciuti avrebbero potuto cercarla fin nella sua stanza.
            - Come avete fatto ad entrare qui?
Chiese, conservando il sangue freddo.
            - Uno di noi ha conoscenze all'interno di questa accademia. A proposito: ottima scelta, è una delle migliori.
La fanciulla dai capelli rossi che le aveva appena risposto sembrava anche lei disponibile e gentile.
            - Grazie. Avete bisogno di qualcosa?
L'uomo sorrise e si rivolse a lei cercando di mostrarsi il più innocuo possibile.
            - In effetti ci sarebbe qualcosa di cui dovremmo parlarti, Alice Beckett.
Queste parole misero ancora di più in allarme la giovane. Beckett era il suo vecchio cognome, quello che portava prima di essere adottata dagli Irwing. Pensò che, forse, erano commercianti o viaggiatori che venivano da Lutesk, oppure venivano dalla città dei Beckett, Paridon. In ogni caso, non sentiva la necessità di sentirsi in pericolo immediato: per entrare nell'Accademia qualcuno li doveva aver visti per forza e, forse, non erano nemmeno così pericolosi. Volse di nuovo lo sguardo verso il corridoio e si accorse che alcune studentesse aspettavano il permesso degli altri due individui per poter tornare nelle loro stanze.
            - Entrate nella mia stanza, per favore. Liberate il corridoio così che le altre possano tornare nelle loro stanze.
La ragazza dai capelli rossi non nascose la sua sorpresa.
            - Davvero ci fai entrare così?
            - Ormai molte altre ragazze vi hanno visto parlare con me, se volevate farmi qualcosa sareste stati più cauti, immagino.
            - Immagini bene, sarebbe stato stupido da parte nostra farci vedere in faccia prima di farti del male.
La risposta dell'uomo sembrò stupida e contribuì ad aumentare i sospetti di Alice, invece che dissiparli. Il divertimento che il viso dell'uomo mostrava sembrava ancora più sospetto. Cominciò a chiedersi se fosse stata davvero una buona idea invitare quegli sconosciuti nella sua camera, ma le parole della ragazza dai capelli rossi la colsero un po' alla sprovvista.
            - Ora, se permetti, vorremmo parlarti di una storia molto antica. Hai mai sentito parlare dell'ultimo Nelesi Dollmar del Nord, Albert Beckett?
   
 
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