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Autore: piccolo_uragano_    03/10/2015    2 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Girasoli nella tempesta – Capitolo due: bomba a orologeria.
“Papà?”
“Sì, principessa?”
“Come hai fatto a conquistare la mamma?”

“No, ti prego!” esclama Jack. “Non ci credo che hai detto una cosa del genere!”
Io lo osservo.  Da bambino, mi divertiva il volto di mio fratello, perché era tremendamente simile al mio. Solo che i suoi capelli sono più chiari, i suoi occhi leggermente più piccoli e lui è più basso. Ora, lo guardo ridere del mio errore.  Seduto sul suo letto d’ospedale, guarda dolo mentre entrambi fingiamo di non essere preoccupati. Non sono nemmeno le cinque del mattino, e io sono corso qui per svegliarlo, perché lui, alla fine, è mio fratello ed il mio migliore amico.
“Non ti racconterò più nulla, Jack, se devi ridere di me.” Lo richiamo.
Lui alza le mani, come in segno di resa. “Chiedo perdono.” Cerca di non ridere, ma poi non riesce a trattenersi. Io lo mando a quel paese con una mano, mentre lo osservo ridere come se tutto questo fosse davvero divertente. “Perdonami, Ben, ti prego. Ma tu avevi tra le braccia la dottoressa sexy e lei hai detto ‘non posso fare l’amore con te perché mi piaci troppo’?! Ma cosa ti dice la testa, Benjamin?!”  Io rimango indispettito dal mio nome completo, ma lui ormai è un lavandino stappato. “Eri tu quello che avevi scritto ‘carpe diem’ sopra al letto, o sbaglio? No, perché forse mi confondo con qualcun altro. Non sei tu quello che predica giorno e notte a me e a chiunque ti capiti a tiro, che la vita è un dono, che è breve, che in un battito di ciglia sarà già finito tutto, che un giorno ti sei svegliato e avevi trent’anni ed eri solo?”
“Io non sono solo, Jack!”
“Oh, scusa.  Di quale storia di letto stiamo parlando?”
Alzo gli occhi al cielo. “Non hai capito, Jack.” Mi alzo e mi passo la mano nei capelli.
“L’ho capito, Ben, l’ho capito. Me lo ricordo, sai, me lo ricordo come stavi quando ti sei concesso di amare una donna. Ma sono passati quasi dieci anni. Tu sei cresciuto, si spera, e nulla dovrebbe impedirti di concederti di amare Julie.”
Tiro un pugno alla finestra, appena Jack pronuncia la parola ‘amare’. Mi accorgo che il vetro è doppio, antiproiettile, e che la mano mi fa male. ‘Amare Julie’. Amare una donna che conosco a malapena. ‘Amare’. Amare Julie. Eppure, sento che è una cosa che in qualche modo potrei fare.
“Lo sai perché lo hai fatto?”
“Perché sono un cretino?” dico, muovendo la mano nervosamente, mentre sento come un fuoco sotto la pelle.
“Si, e perché hai paura.” Mi risponde Jack, poi lo vedo fare un cenno. Immediatamente, la specializzanda bionda, Izzie, entra nella stanza. “Mi scusi, dottoressa, ma io ho un fratello cretino.” Esordisce mio fratello.
“Non ti preoccupare, Izzie.” Dico io. “Non sono io il fratello cretino, qui.”
La bionda sorride. “Posso vedere la tua mano, Ben?” mi chiede, indicando con la sua mano da chirurgo la mia mano livida. Io incenerisco Jack con lo sguardo, e poso la mia mano su quella della bionda.
Lei scuote la testa. “Cosa ti ha fatto scattare in questo modo?”
“La parola ‘amare’.” Risponde subito Jack.
Stronzo. “Questa me la paghi, Jack Barnes.” Dico.
Izzie ci fa segno di fermarci. “Calmi.” Si allontana dalla mia mano e mi fissa intensamente con due grandi occhi castani. “Immagino che Julie non dovrà saperlo, vero?” mi domanda.
“Non m’importa di ciò che pensa Julie.” Replico, secco.
Lei annuisce. “Vado a prendere le garze.” Dice, uscendo.
Quando svolta l’angolo, io mi giro verso Jack. “Era necessario?”
“Julie penserà che hai fatto a botte, se non la trova medicata.”
“E che ti frega di Julie?!”
Julie è la donna che fra poche ore metterà le mani nelle mie budella.”
Io allargo le braccia. “Ecco, ecco perché mi sono dovuto fermare.”
“Oh, perché averla portata in camera da letto e poi essersi tirato indietro, non aggraverà la mia situazione?”
Jack fissa un punto dietro di me. La specializzanda bionda, sulla porta, sogghigna.
“Dottoressa Stevens!” esclama Jack. “Che sa dirci della dottoressa Martin?”
Io porgo la mano dolorante e alzo gli occhi al cielo. La bionda sembra pensarci su.
“È un ottimo medico, e anche una bravissima persona. Tenace, comprensiva, astuta. Vive qui da un paio di anni. Si è trasferita dopo aver lasciato suo marito, in Italia.”
Ci sono dettagli di Julie Martin che il mondo non nota. Il segno di un anello portato troppo a lungo sull’anulare sinistro, il neo dietro l’orecchio, un tatuaggio sul polso. Il suo modo di piegare gli angoli della bocca quando si imbarazza, e come con l’indice si gratti il pollice quando sta pensando.
Jack spalanca la bocca. “Marito?”
La bionda annuisce. “Marito.” Mi mette sulla mano (che sta diventando viola) una crema trasparente. “Di tutti gli strutturati, è quella che a noi specializzandi piace di più. Ci capisce e ci aiuta, senza smettere di essere l’insegnante che deve essere.” Applica una fascia attorno alla mano, senza stringere troppo. “Quindi, se dovesse arrivare di cattivo umore, ti verremo a cercare, Ben Barnes.” Fissa la garza e mi fissa con odio. “Devi cambiarla tra dodici ore.” Comunica, e poi se ne va.  Io sorrido e scuoto la testa, guardando Jack.
“Secondo me, la rossa è più informata. Mi sembrano molto amiche.”
“Mi hanno preso per Dorian Gray.” Comunico, come se non avesse importanza.

Julie entra in camera di Jack, seguita dai soliti cinque ragazzi e dalla donna bassa e di colore, che, da quel che ho capito, è il capo dei cinque ragazzi. Noto che Julie è la sola ad indossare la tuta blu sotto al camice, mentre gli altri ne usano una azzurrina. Julie sembra stanca, come se non avesse dormito.
Quando sono uscito dalla camera da letto, sono andato in bagno e mi sono fatto una doccia ghiacciata. Quando sono uscito dal piccolo bagno, deciso a scusarmi, lei era stesa sotto le coperte del suo letto. Ho notato dal suo respiro irregolare che non stava dormendo, ma mi dava le spalle e io non riuscivo a mettere insieme una frase di senso compiuto. Allora ho preso una felpa, il telefono, e sono uscito dalla casetta mobile. Ho trovato il bar di ‘Joe’, come lo aveva chiamato lei, aperto ma quasi deserto, e mi sono seduto dove era seduta lei due giorni fa. Ho chiesto a ‘Joe’ una birra, mentre lui mi ha chiesto perché non fossi a casa a dormire alle tre di notte. Io ho preso la scusa del get lag e lui ha sorriso. Ho preso la mia birra, e sono venuto qui, pensando a quando Julie mi ha detto che a Seattle piove sempre.
Stamattina, a Seattle c’è il sole. È Julie ad essere spenta.
“Jack Barnes, ventisette anni, verrà operato oggi per un …” le parole della specializzanda con i capelli scuri sono vane. Io sono concentrato sullo sguardo perso di Julie.
“Come stai, Jack?” gli domanda, avvicinandosi.
“Benissimo, bella. Ho solo voglia di togliermi questo tumore!” esclama lui.
Lei sorride tristemente, abbassando lo sguardo. “Bene. Ti verrò a prendere alle dieci.”
“Julie, non è che potrei mangiare, vero?” chiede, come un bambino che chiede le caramelle.
“Ti hanno già detto di no in tre, Jack.” Lo rimprovero io.
Per la prima volta, Julie mi guarda. Non sembra arrabbiata, rancorosa o triste. È solo spenta. Poi si gira di nuovo verso Jack. “No.” dice, annotando qualcosa su quella che deve essere la sua cartella clinica. “E con questo fanno quattro no. Dai retta a tuo fratello, qualche volta qualcosa di giusto lo dice.” Chiude la cartella, rivolge a me e Jack un sorriso finto, forzato e schifoso, e se ne va prima che io possa dire qualcosa.
Guardo mio fratello ridere di nuovo. “Difendi il tuo onore, Benjamin!” dice.
“Come?”
“Segui l’istinto.” Mi sussurra lui.
Io, facendo la prima cosa che mi capita per la testa, esco di corsa dalla stanza. Guardo a destra e a sinistra, e la trovo a parlare con il capo dei camici azzurri e un paio di altri camici blu, tutti la ascoltano e lei annota qualcosa.
Qualche volta qualcosa di giusto lo dice?” chiedo, scoprendomi più furioso di quanto volessi.
Lei nemmeno mi guarda. “Sto lavorando, Ben.” Dice, fredda.
“Io sono il solo familiare del tuo paziente. Sei moralmente obbligata ad ascoltarmi.”
“Non ho nessun obbligo verso di te.” Alza lo sguardo verso le persone con cui stava parlando. “Allora io prendo la Stevens?”
“Sì.” Conferma un uomo alto, muscoloso e di colore. “Domani però mi serve in cardio.”
“Tu lo sai che quella ragazza si sta innamorando di quella bomba a orologeria, vero, Burke?” chiede Julie.
Bomba a orologeria?” risponde l’uomo, incrociando le braccia sul petto. “Rinominiamo così i pazienti, ora?”
“Era per farti capire, diamine. Conosco quell’uomo.” Replica Julie, spazientita.
“Bomba a orologeria!” esclama lui, di nuovo.
“No, no, calmatevi.” Li ferma la rossa. “Julie, stai sfogando su Danny Duquette e la Stevens una cosa che non c’entra niente.”
“Io non sto sfogando proprio nulla.” Le risponde Julie secca.
“Meglio avere pazienti che sono bombe ad orologeria che farsela con i familiari dei pazienti, Martin.”
Ma questo come si permette? Perché parla di me come se io non ci fossi?
“Io almeno non metto incinta nessuna specializzanda, Burke.”
“Non avresti con che farlo, tu.”
“Il fatto che io non abbia un pene per te significa che io non abbia le palle, vero?” allarga le braccia e alza gli occhi al cielo. “Quanto sei indietro, Burke, cazzo.” E si allontana con passo deciso, mentre Burke e la rossa mi fissano.
“Farai meglio a rimediare, Ben Barnes.” Mi dice la rossa, prima di puntare l’indice sul petto di Burke. “Che bisogno avevi di rispondere all’attacco, tu? Non lo hai visto il vuoto che ha negli occhi, oggi?”

Ritrovo Julie pochi minuti dopo, mentre studia una lavagna gigantesca, accanto alle scale, piena di colonne e righe con parole come ‘craniotomia’ , ‘laparoscopia’ e ‘trapianto’.
“Mi dispiace che tu abbia sentito me e Burke.” Dice subito lei, senza voltarsi a guardarmi.
“Quale specializzanda aveva messo incinta?” domando, fingendomi interessato.
“Quella con gli occhi a mandorla e i riccioli scuri.” Poi scuote la testa. “Posso sapere che ti sei fatto alla mano?”
Io sorrido. Mi ha guardato negli occhi solo una volta, oggi, venti minuti fa, eppure è riuscita a notare la mano fasciata. “Ha importanza?”
“Voglio solo sapere se le hai anche prese.”
Tocca a me scuotere la testa. “La finestra non ha contrattaccato.”  Comunico.
E lei, finalmente, mi guarda. “Benjamin Barnes.” Mi richiama.
“Te lo ha detto Jack, il nome completo?” chiedo, fingendomi offeso.
Lei accenna un sorriso. “Sei inglese. Gli inglesi hanno questa passione per i nomi lunghi e noiosi.”
“Non ti piacciono gli inglesi?”
“No, no, amo l’Inghilterra.”
“Allora perché a Seattle?”
“Perché l’Inghilterra era troppo vicina.” Risponde, e mi sembra sincera.
“Da cosa sei scappata?”
Lei perde il sorriso. “Dalle aspettative della gente.”
“Riguardo al tuo matrimonio?”
Lei mi scruta. “Come …?”
“Hai il segno bianco dell’anello.” Rispondo subito.
Lei sospira. “Beh, è una storia lunga.”
Osservo il suo profilo, stupendomi come la prima volta della su bellezza semplice. “Io ho tempo.”
“Io no.” risponde, ridendo. Per la prima volta, oggi, ride davvero. “Devo mettere il bisturi magico nella pancia di Jack.”
Io non smetto di guardarla. “Julie, ti devo delle scuse.” Esordisco.
“Non le voglio le tue scuse, Benjamin Barnes.”
“Thomas.” Aggiungo.
“Come?”
“Benjamin Thomas Barnes, se vuoi chiamarmi come mi chiama mia madre quando sono nei guai.”
“Benjamin Thomas Barnes.” Ripete lei. “Non voglio le tue scuse.”
“Quindi non sei arrabbiata con me, Julie?”
“Certo che sono arrabbiata con te, Ben.”
“E allora perché non vuoi le mie scuse?”
“Perché chi si scusa senza essere accusato, fa palese il suo peccato.”
Io scuoto la testa. “Questa dove l’hai presa?”
Julie alza le sopracciglia. “Mia nonna. Questa è un citazione di mia nonna Julie.”
“Porti il nome di tua nonna?”
Lei mi guarda scettica. “Scommetto cinque dollari che Benjamin era il nome di tuo nonno, e che Thomas è il nome di tuo padre.” Prima che io possa chiederle come fa a saperlo, lei fa spallucce. “Sei inglese.” Si giustifica. “Sei prevedibile.”  Poi si allontana dalla lavagna piena di righe e colonne, e io la seguo con le mani in tasca.
“Dove andiamo?” chiedo.
“Dalla Stevens.”
“Perché dalla Stevens?”
“Per la tua mano.”
“Come sai che me l’ha medicata lei?”
“Lei era di turno, stanotte.” Fa capolino in una stanza con le pareti di vetro, trovando la bionda seduta sul letto, che si alza di scatto.  “No, Izzie, non preoccuparti.” Dice, con aria cordiale. Poi entra, mentre la Stevens si risiede sul letto. “Ciao Danny, come stai oggi?”
L’uomo muscoloso seduto sul letto le sorride. “Se mi lasci Izzie, Julie, starò sempre meglio.” Poi lui pare accorgersi di me. “Tu sei il principe Caspian, vero?”
Io sorrido. “Lontano da Narnia sono solo Ben.” Rispondo.
Lui mi sorride, poi guarda Julie. “Il tuo amico è simpatico. Perché non me lo porti più spesso?”
“Appunto, Danny. Oggi devo chiederti un favore, ma prima, vorrei che Izzie” e indicò la bionda “confermasse che questo cretino ha preso a pugni una finestra.”
Izzie sorride. “Confermo, dottoressa. Ma che vuole da Danny?”
“Un po’ di sangue? Pipì? Esame sotto sforzo?” scherza lui.
Julie scuote la testa, e mi fa segno di avvicinarmi a lei. Io la guardo incerto. “Oggi io e Izzie dobbiamo operare il fratellino di Caspian.” Scherza. “Vorrei che tu lo tenessi qui con te, per la durata dell’operazione, e che ti assicurassi che telefoni a sua madre.”
Io mi porto la mano alla fronte. “Non ho detto a mia madre che operano Jack!” esclamo.
Lei mi indica. “Te l’ho già detto tre volte, Ben. Sei inglese, sei prevedibile.”
Io, istintivamente, le bacio una tempia, stringendole i fianchi. Lei risponde all’abbraccio mentre Izzie e l’uomo parlano del fatto che io sia inglese.
Julie lo guarda. “Danny, pensi di poter badare al mio inglese prevedibile per qualche ora?”
Lui finge di cercare qualcosa. “Oh, aspetta, aspetta Julie, devo controllare quanti impegni ho oggi!”
Io e Julie ridiamo, ma abbasso lo sguardo quando mi rendo conto che era lui la bomba a orologeria di cui parlavano lei e ‘Burke’ poco fa.

Jack non fa più niente per nascondere di essere agitato. Si guarda attorno e non riesce a tenere le gambe ferme.
“Calmati, cazzo.” Gli dico.
“Ti stanno per aprire in due, Ben?”
“No.”
“Allora non dirmi di stare calmo!”
“Non accadrà nulla.”
Prima che lui possa ribattere, Julie, il capo dei camici azzurri e Izzie Stevens entrano nella stanza. “Allora, Jack, siamo pronti?” domanda Julie.
“Ci sono possibilità che vada male, dottoressa Martin?” domanda Jack.
“Alcune.” Ammette lei.
“E se muoio?”
“Non nella mia sala operatoria, Barnes.” Replica lei, con un tono freddo.
“Jack” gli dico io. “se muori ti ammazzo.” Scherzo, riuscendo a strappare un sorriso a tutti quanti. “Quando sarai là dentro, chiamerò la mamma.”
“Così se muoio ti ammazza a te.”
Julie alza le protezioni del letto, mentre lo incenerisce con lo sguardo. “Non so se hai capito, Jackson.”
Lui arriccia il naso e mi guarda. Io alzo le spalle. “Non gliel’ho detto io. Siamo inglesi, siamo prevedibili.”
La sento sorridere mentre inizia a muovere il letto di Jack verso la porta. “Non morirai sotto al mio bisturi, idiota. Non te lo permetterò.”
“Ah, ti avverto, la mamma vorrà che chiami anche Iris.” Lo allarmo.
“Iris non deve sapere del tumore!”
“Le donne amano i tumori.” Replico, mentre attraversiamo il corridoio.
“Non voglio che lo sappia.” Replica lui in modo categorico.
“Potrebbe ricredersi.”  Azzardo.
Julie mi guarda, sorride, e probabilmente non si rende conto di essere così bella. Io scuoto la testa, mentre con lo sguardo mi chiede di Iris. Abbiamo tempo, penso, abbiamo tempo. In qualche modo, troveremo il tempo per raccontarci chi siamo.

Scopro due carte del memory, mentre Danny alza gli occhi al cielo e ride. Le ho azzeccate di nuovo.
“Ma come fai?” domanda.
“La memoria è il mio lavoro, Danny.”
“Facile, troppo facile così.” Sbuffa lui. “Scommetto che a Scarabeo ti batto, però.”
“Scommetto di no.” replico, riordinando le carte del memory. “Tu e Izzie vi conoscevate anche prima che tu fossi bloccato qui?”
Lui scuote la testa. “No, no. Prima venivo qui per dei controlli, due volte a settimana. Burke mi segue da anni. Poi questo stupido cuore ci è indebolito ancora di più, e sono stato portato qua subito. Sono arrivato qui, e la mattina dopo è apparsa lei. Come … come un angelo.” Io accenno un sorriso. “Tu non credi nell’amore, vero, Ben?”
“No, non ci credo.” Rispondo, alzandomi e prendendo la scatola di Scarabeo.
“Sei stato ferito?”
“Possiamo dire di sì.” Tengo il tono basso. Ma per la prima volta, dopo più di nove anni, parlare di lei non mi fa così male. È un ricordo caldo, è un ricordo dolce. Alzo gli occhi e incontro quelli castani e comprensivi di Danny. “Stavamo insieme dal secondo anno di liceo, circa. Sai, quando … quando hai sedici anni e hai il mondo in tasca? Ecco, in quel periodo della mia vita, mi sono innamorato come un coglione. Passavo il mio tempo con lei, ogni minuto, e poi la riaccompagnavo a casa prima di cena, perché i suoi ci tenevano. Andavo al corso di teatro e poi passavo sotto casa sua, sotto casa di Anne, di proposito, per controllare che la  luce della sua stanza fosse spenta. Siamo andati avanti così fino al diploma, crescendo insieme, mano nella mano. Io ho iniziato a studiare Letteratura Inglese e Arte Drammatica, lei studiava Storia, lei amava la storia.” Sistemo il tabellone e le lettere. “Un giorno, nove anni e otto mesi fa, era il ventesimo compleanno di Iris, la sua più cara amica, e lei aveva appena preso la macchina. Mi disse che sarebbe passata a prendermi, lei, era così entusiasta di quella macchina. Mi siedo in salotto, con mio padre, davanti alla televisione, e aspetto. Quando Anne ormai era in ritardo di un quarto d’ora, il telefono di casa mia squilla. Io rispondo, senza pensarci, e la voce di un uomo dall’altra parte mi dice che Anne ha fatto un incidente con la macchina, a trecento metri da casa mia. Un coglione le ha tagliato la strada, e lei … lei è morta sul colpo.”
Guardo Danny, trovando un ottimo ascoltatore. Guardo Danny, sommerso dalle mie parole, e mi rendo conto che Anne non fa più male. Anne è solo un gran bel ricordo.
“E poi?” domanda lui.
“Poi cosa?”
“Lei è morta. Ma tu no.”
“Ho avuto altre donne, ovviamente. Parecchie altre donne. Alcune di loro hanno anche avuto la pretesa di essere importanti, di essere qualcosa di più, ma mai nessuna lo è stata davvero. Mai nessuna mi ha toccato l’anima … come Julie.”
Danny sorride. “Tu e Julie siete come due pezzi dello stesso puzzle, alla fine.”
“Perché dici questo?”
“Beh …” inizia a giocare con le letterine di legno. “Non sta a me raccontarti la sua storia, temo. Ma le vostre vite sono molto simili, perché l’amore – si, io ci credo – è stato bastardo con voi. Ed è per questo che vi appartenente, ed è per questo che ti ha toccato l’anima.” Danny sistema le lettere sul tabellone, mentre io osservo la parola che ha formato. Destino.

“Dì alla mamma che la chiamo appena so qualcosa, papà.”
“Sì, Benjamin, ma tua madre è arrabbiata perché non …”
“Perché non le ho detto subito cosa era successo, sì.”
“Te lo avevo già detto, vero?”
“Sì, papà, mezz’ora fa. E io ti ho detto che è giusto così.”
“Ma i medici che lo stanno operando, sono bravi?”
Sorrido. Oh, papà se solo tu potessi conoscerla, le metteresti in mano il mondo intero. “Sì, persone molto brave.”
“E non sai niente, niente di niente?”
“Te l’ho detto. La dottoressa arriva ogni ora a dirci come sta andando.”
“E come sta andando?”
“Bene, papà, bene.” Alzo gli occhi al cielo, e senza troppi complimenti lo saluto. Poi guardo Danny. “Ricordami di non diventare mai un padre così.”
“Io sono scappato, dal mio ‘padre così’.”
Mi siedo ai piedi del letto e lo guardo. “Tocca a te.” Dico. E lui capisce che non parlo solo dello Scarabeo, ma anche che tocca a lui raccontarmi la sua storia.
“Ho scoperto di essere malato più o meno dieci anni fa. Per i primi anni ho deciso di curarmi in Irlanda, a casa, perché i miei non si preoccupassero troppo, mentre i medici mi parlavano di fantastici ospedali americani in cui mi avrebbero salvato. Dopo tre anni di ricoveri, flebo, notti bianche e pianti di mia madre, ho chiesto al mio medici di darmi il nome del miglior cardiochirurgo americano.”
“E lui ti ha dato il nome di Burke.” Concludo, componendo la parola viaggiare.
“Lui mi ha dato il nome di Burke. Ho lasciato una lettera ai miei, e ho detto che sarebbe stato meglio se non mi avessero guardato morire. Sono venuto qui, ho trovato un monolocale in affitto per fare avanti e indietro dall’ospedale, portandomi tutti i risparmi dell’irlandese benestante che ero stato. Poi mi sono aggravato, ed ora … eccomi qui. Attaccato ad una pompa in attesa che qualcuno muoia e mi doni il suo cuore.”
“Sei in attesa di un cuore?” domando. “Julie non me lo aveva detto.”
“Sono in attesa che qualcuno muoia. Dimmi, Ben, credi che questo sia vivere?” 
Guardo le lettere che ho davanti. Ne prendo due, e scrivo no sul tabellone. “Però hai Izzie.”
“Però ho Izzie.” Lui usa la o del mio no per scrivere amore. “E se dovessi uscire vivo di qui, mi basterà lei per essere felice.”
“Perché non le chiedi di sposarti?” azzardo.
“Come?”
“Tu credi nell’amore, Danny. Credi in tutte queste cose belle, l’amore, il destino, e cose così. Vivi in attesa che qualcuno muoia, e siccome potrebbe volerci del tempo, perché non cogli la palla al balzo e non le chiedi di sposarti?”
“Perché poi l’infarto verrebbe a lei.” Ride lui, in risposta.
“Hai una donna che ti ama, Danny.”
“Sono un uomo fortunato.” Conclude lui.
Qualcuno picchia sulla porta, e Julie, che indossa una cuffia con delle nuvolette e sembra esausta, mi guarda e sorride.
“Sono passate solo quattro ore.” Sussurro.
Lei alza le spalle. “Mi sono bastate.” Si leva la cuffia e libera i capelli biondi. “L’ho tolto tutto, Ben. Non so come ho fatto, non mi era mai successo.”
Io vengo invaso da una ondata di felicità e la prendo per i fianchi, la sollevo da terra e giriamo insieme per la stanza, mentre lei si aggrappa a me.  La poso a terra mentre lei ancora ride, e le passo un braccio dietro il collo, trovandolo sudato e probabilmente stanco. Le bacio nuovamente la tempia, più volte.
“Sei un angelo, Julie.” Sussurro.
Lei alza le sopracciglia. “Come no.” ironizza. “Ad ogni modo, vorrei lo stesso che facesse le sedute di chemio che sono richieste, qui, sotto la mia supervisione.”
“Certo.” le dico. “Non accetterebbe di farsi curare da qualcuno di diverso da te.”
Lei sorride e mi posa una mano sul braccio. “Si sveglierà tra meno di un’ora.” Poi si rivolge a Danny. “Ho dato a Izzie il permesso di richiudere, Danny. Arriverà presto.”
Lui le sorride. “Grazie, sweetheart.”
Julie entra nella stanza di Jack, che dorme ancora beato. Mi sorride, con aria dolce, mentre controlla il flusso della flebo. “Hai chiamato tua madre?” mi domanda. Si sfila lo stetoscopio che tiene al collo, per infilarlo come deve e auscultare il cuore di mio fratello.
“Sì.” Rispondo. Seduto su questa poltrona, con le gambe incrociate sul petto, la ammiro, illuminata dalla luce del sole che a Seattle non c’è mai.
“E che ti ha detto?” chiede ancora, mentre sposta quell’aggeggio.
“Che avrei dovuto dirglielo prima.” Ammetto.
“E io, io che ti avevo detto?”
“Siamo inglesi, Julie. Siamo prevedibili.”
Lei sorride, rimettendosi lo stetoscopio al collo, infilando le mani nella tasca del camice, e guardandomi con quegli occhi che hanno il colore del cielo che solo oggi c’è su Seattle.
“Julie, Danny … è Danny, la ‘bomba a orologeria’, vero?”
Lei si morde un labbro, e annuisce con aria amareggiata.
“Quindi Danny morirà presto?” domando, triste.
“Dipende.” Incrocia le braccia sul petto.
“Da cosa?”
“Dalla valvola, dall’aorta, dal suo cuore, e dal cuore che deve arrivare.”
“Danny non si merita di morire.”
Lei fissa un punto, dietro di me, lontano dal mondo. “Non se lo meritano mai.”
“Perché me lo hai fatto conoscere, se sai che morirà?”
“Perché dovresti rinunciare alla vita, se questa comporta la morte?”
Rimango qualche secondo a cercare una buona risposta, e mi rendo conto che non esiste una risposta. Forse è una di quelle domande che si pone ogni medico, o forse è solo una domanda che mi ha appena posto lei, o magari questa domanda lei se la pone da tutta la vita, ed è per questo che è diventata un medico. Forse, magari. Le cose che non so di lei improvvisamente mi pesano.
“Julie Martin?”
Lei sorride. “Dimmi.”
“Usciresti con me?”
Inclina leggermente la testa, mentre studia la mia espressione. “Perché dovrei farlo?”
Faccio spallucce. “Perché io ho finito le ragioni per non farlo.”

 
Ciao, persone :3 
Ho pubblicato entrambi i capitoli oggi, mentre lavoro sul terzo, perchè tenevo molto al fatto che capiste subito i caratteri dei nostri personaggi. 
Ben tende ad essere più riflessivo, a notare i dettagli, mentre Julie è impulsiva, e spesso non pensa prima di parlare. 
Ringrazio Nadie e vivis_ per avermi spronata a scrivere questa storia, ancora prima di conoscermi. 
Ah, si. L'ultima battuta, non è farina del mio sacco. L'ho liberamente rubata a 'The Holiday', che sarebbe, per inciso, il mio film preferito. Spero che Jude Law sarà in grado di perdonarmi, ma trovo che quelle parole stessero benissimo anche sulle labbra di Ben. 
Spero che la storia vi piaccia, gente. 


 
   
 
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