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Autore: piccolo_uragano_    06/10/2015    2 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Girasoli nella tempesta – capitolo tre: hai gli occhi felici.
“Papà?”
“Si, campione?”
“Tu ci credi nel destino?”

“No.” mi risponde lei. “E non ci ho mai creduto.”
Il porto, attorno a noi, conduce la sua vita notturna. Seduti su questo molo traballante, con due birre e  quattro occhi che si cercano. Davanti a noi, l’Oceano.
“Mai? Nemmeno quando ti sei sposata?” azzardo.
Lei si gira, lentamente, per osservarmi. “Come sai di lui?” non mi accusa, non sembra arrabbiata. È curiosa, e nel suo sguardo c’è solo rancore.
Io indico l’anulare della mia mano sinistra. “Hai il segno dell’anello.”
“Magari ho portato uno stupido anello di plastica per trent’anni.” Ironizza.
“Ne dubito. Hai appena chiesto come sapessi di ‘lui’.” Ricordo.
Lei scuote la testa. “No, non ci credevo nemmeno quando mi sono sposata.”
“E nell’amore?”
“A modo mio ci credevo.” Estrae dalla borsa il solito pacchetto di sigarette. “Ti da fastidio?”
“No.” ammetto.
Lei la accende e manda giù il fumo, subito. Io guardo di nuovo il tatuaggio, sotto alla giacca di pelle rovinata. È una M, con accanto una stellina. “Che significa il tuo tatuaggio?”
Lei sembra pensarci su. “Che ho partorito un bambino morto.” Dice, in un sospiro.
Io sento i muscoli del collo tendersi di nervosismo. “Che significa?”
Lei scuote la testa. “Non lo so, quanti significati conosci di questa frase?” butta fuori il fumo, come a volersene liberare. “Ecco, ecco perché il mio matrimonio è finito. Lui non c’era, era via. Io davo alla luce suo figlio, morto, e lui non c’era. Sai, una donna diventa mamma nel momento in cui si rende conto di essere incinta, ma un uomo diventa papà solo quando prende in braccio il suo bambino. Lui non lo ha mai visto, quel bambino, quel bambino morto, e quindi non si è reso conto di non essere diventato papà, non si è reso conto che io ero stata una mamma, e ora non lo ero più.”
La guardo, mentre si porta di nuovo la sigaretta alla bocca, con lo sguardo fisso in un punto lontano. “Una volta che diventi mamma, non smetti di esserlo.”
Sorride, malinconica. “Grazie.” Mi dice, tornando a guardarmi.
“Di cosa?”
“La gente di solito dice cose come ‘mi dispiace’, o ‘posso capire’, anche se non capiscono un cazzo. Tu hai detto che io sono ancora la mamma di quel bambino.” Torna a fissare il mare. “Comunque, la M sta per Manuel. Era il nome del mio bambino, ed era anche il nome del mio migliore amico.”
“E lui dov’è, oggi?”
Lei cerca le stelle, perché oggi a Seattle c’era il sole e perché si vedono anche un po’ le stelle. “Cerca la stella più luminosa. In Italia lo facevo sempre. Lui è la stella più luminosa.”
Sei tu la stella più luminosa, vorrei dire, ma capisco che non è il caso.”Che gli è successo?”
“Si è sfondato di eroina.” Ammette, come se fosse anche colpa sua. “Lo abbiamo trovato in bagno, la mattina dopo, con gli occhi sbarrati e la siringa nella vena.”
“E hai deciso di diventare un medico?”
“Oh, no, no, Manuel non c’entra. Ero già al terzo anno di università.” La sigaretta la illumina, e lei non lo sa. “Non credevo che ci si potesse sentire così. In un certo senso, una parte di me è morta con lui.”
“Beh” ammetto. “la morte si diverte a fare la stronza.”
Julie si volta a guardarmi. “Tocca a te.” Mi dice.
Io, senza pensarci, le racconto tutto. Anne, Anne e i suoi capelli biondi, come quelli di Julie, è per quello che la fissavo, quando l’ho incontrata, perché ha i capelli molto simili a quelli di Anne. Ma Anne ci teneva come l’oro, ai suoi capelli biondi, lei e Iris passavano le ore a decidere come pettinarsi. Iris era la sua migliore amica, Iris ha i capelli neri, non biondi. Iris e Anne erano il giorno e la notte, e non sono come hanno fatto a scovare me e Jack. Un giorno io mi sono invaghito della bionda, dico, di Anne, avevo meno di sedici anni e tutto era troppo semplice. Iris iniziò a stringere con Jack un pomeriggio dopo scuola, e Jack non lo ammetterà mai, ma lui l’ha amata da lì, io lo so perché glielo leggo negli occhi. Racconto a Julie di ogni particolare, il corso di teatro, la scuola, i sogni, i pomeriggi passati a fare l’amore e ad ascoltare la musica, a rivestirci in fretta perché i miei stavano tornando. Le dico che io e Anne siamo cresciuti insieme, parte di una cosa sola, perché noi eravamo noi, e il mondo poteva andare al diavolo. Io e Anne che improvvisamente era ora di scegliere l’università, Anne amava la Storia e io amavo l’Arte e la Letteratura, ed erano cose diverse ma cose simili. Anne che ‘amore, arrivo alle otto’. Anne che, alle otto e trenta era fredda, sotto ad un lenzuolo bianco. Anne che mi è stata portata via, perché Anne era un po’ un angelo, e gli angeli non devono stare sulla terra.
Vomito addosso a Julie questo mare di parole, senza che lei si stanchi o mi interrompa o cambi espressione. Ascoltare è parte del suo lavoro, e io, inevitabilmente, sono parte della sua vita.

Seduto qui, sulla stessa veranda di ieri sera, mentre sento l’acqua della doccia scorrere e Julie canta i Green Day. Appena ci siamo allontanati dal molo, le è suonato il telefono, e lei mi ha chiesto scusa, dicendo che doveva rispondere. Le ho baciato la guancia e le ho detto che l’avrei aspettata alla casetta. Non avevo ancora finito la mia birra, e avevo molte cose a cui pensare. Pensavo anche che al telefono fosse l’ospedale, poi l’ho sentita parlare in francese stretto. Mezz’ora dopo è corsa verso la casetta, spiegandomi che Adam, che era stato il vero amore di Manuel, Manuel che si era ammazzato di eroina, si era lasciato con il suo ragazzo ventenne, di nuovo, e che fra un paio di settimane verrà a Seattle. Senza che io potessi dire niente, mi ha baciato dolcemente le labbra ed è corsa in bagno. È nella doccia da venti minuti, e io ho finito la birra.
Penso a Anne, a Manuel, al marito di Julie, al loro bambino. Alla vita, alla morte. Alla luce e al buio. A tutto e a niente.
Julie, con i capelli umidi, si siede qui e si appoggia alla mia spalla. “Non sei obbligato a rimanermi accanto, sai?”
Io sbuffo. “Forse è l’unica cosa che mi va davvero di fare.”
“E se fosse la cosa sbagliata?”
“Allora la aggiungerò alle mille cose sbagliate che ho fatto nella vita.”
“Il mio nome è al primo posto, in quella lista.”
Mi giro verso di lei. “No.” sussurro. “No, Julie, tu sei una delle cose più belle che mi sia mai capitata.”
E questa volta non abbiamo paura. Non esitiamo. Non ci fermiamo. La bacio, che ho già fatto, ma ha un sapore nuovo, ha un sapore di speranza. Non ho paura nemmeno di alzarmi e avviarmi lentamente verso quel letto in cui da soli si sta larghi ma in due si sta stretti. Noi non ci stiamo stretti, noi ci stiamo perfetti. Come se questa camera fosse stata creata per noi, come se questa città fosse solo nostra, come se in questo mondo esistessimo solo noi.
Noi.

Ascolto il respiro regolare di Julie, mentre su Seattle ha ricominciato a piovere, e io ho appena fatto l’amore, ma l’amore sul serio, come non pensavo, come nei film, con noi due in una cosa sola, più in alto delle stelle. Appoggio il gomito al cuscino e la testa sulla mano, per chinarmi ad annusarle i capelli, mentre ascolto il mondo fuori da quella finestra.
Lei, lentamente, si gira e mi guarda. “Che ci fai sveglio?”
Io le bacio le labbra. “Ascolto.”  Rispondo, a pochi millimetri da lei.
“Che cosa ascolti?”
“Il mondo che passa qui fuori.”
“E perché?”
“Perché la gente di notte, quando piove, ha dialoghi interessanti.”
“E perché a te, Ben, piace spiare la gente.”
Io sorrido. “Anche. Prima sono passati due donne che parlavano di un film che hanno visto al cinema, ma il finale a una non era piaciuto.”
“Ah, i dialoghi interessanti della gente di notte!” mi prende in giro. Ma io ho voglia di raccontarle.
“Prima ancora, una mamma furiosa con sua figlia che era tornata tardissimo, la rimproverava perché domani hanno l’aereo presto e avevano tutti bisogno di dormire.”
Lei sorride, ma prima che possa rispondere, sento dei passi e delle voci. Le faccio segno di ascoltare, ma mi butto sul letto con aria scoraggiata quando mi accorgo che parlano tedesco. Sono un uomo e una donna, e lei sembra davvero furiosa. Julie si appoggia al mio petto.
“Fanculo.” Dico. “Io non lo so, il tedesco.”
Lei mi fa segno di stare zitto. Poi sorride.”Lui le ha detto che non sopporta di avere sua sorella tra i piedi anche in vacanza, e lei ha risposto che lui dovrebbe mostrare un po’ più di affetto e riconoscenza verso la loro famiglia.”
“Tu parli tedesco?” domando, stupito.
“Più o meno.”
“Quindi quante lingue parli?”
“Inglese, francese, italiano e spagnolo.”
“E quante vite hai vissuto?”
“Meno di quelle che avrei desiderato.”

“Ciao, fratello.” L’umore di Jack pare essere sotto le scarpe. “Indovina chi mi ha telefonato?”
Io fingo di stupirmi. “Chi?” è più che sottinteso che la mamma abbia chiamato Iris.
“Iris! La mia migliore amica.”
“Mettiti il cuore in pace, Jack.” Dico. “Sei un lupo solitario.”
“O forse un cane randagio.” Risponde lui, sorridendo. “La tua super serata?” domanda.
Io guardo un po’ dovunque e poi mi avvicino al letto. Racconto di Manuel, il migliore amico morto di overdose, di Manuel, il bambino nato morto, di Adam, che arriverà a Seattle e che ha lasciato il suo ragazzo, ma perché questo attraversa il pianeta per Julie? Del marito che non l’ha mai capita, delle vite che non ha vissuto, dell’amore più ‘amore’ e meno ‘sesso’ che io abbiamo mai fatto, del suo sorriso stamattina, di quando abbiamo fatto la doccia e del caffè che abbiamo preso ridendo perché il mondo è bello quando hai qualcuno accanto.
Lui sorride. “Gesù, Ben. Ce l’hai fatta.”
“A fare cosa?”
“Hai trovato una donna che ti sopporta.”
Io sorrido. “Credo che sia stata lei a trovare me, Jack.” Poi alzo le sopracciglia. “Ma è ancora presto.”
“Benjamin.”
“Jackson?”
Usiamo i nostri nomi completi solo quando l’argomento è più che serio.
“Immagino che ‘Dorian Gray’ non verrà girato a Seattle.” Butta lì.
Ecco. Ecco, ecco mio fratello che sa sempre tutto. Io stavo riuscendo a non pensarci, alla voce di Oliver Parker, il regista, che mi chiede di essere a casa prima dell’inizio dell’inverno, perchè volevo pensare solo a Julie e noi, giorno dopo giorno.
Mi mordo le labbra. “C’è ancora un mese, prima che io debba presentarmi a Londra.”
Gliel’ho detto, vorrei dire, gliel’ho spiegato a Parker come stanno le cose qui, ma la sua risposta è stata che mi avrebbe mandato il copione e ‘buona giornata’.
“E Julie che ha detto?”
“Julie non lo sa.”
“E un giorno la lascerai a svegliarsi da sola, come fai con tutte le donne che ti stanno aspettando a braccia aperte a Londra?”
“Che stai cercando di dirmi, Jack?” domando, irritato.
“Che sono felice che tu e Julie siate felici. Ma dovresti scendere dalla tua nuvoletta.”
Io lo scruto. Mi allontano leggermente. Dov’è Jackson-la-vita-è-bella-Barnes?” “Jack?”
“Sì?”
“Che ti ha detto, esattamente, Iris?”
Colpito e affondato. Jack socchiude leggermente un occhio nervosamente e stringe i pugni. “Ha importanza?”
“Sei di un pessimismo cronico.” Contesto.
“Iris verrà qui perché dice che non ci vede da troppo tempo.”
Il motivo per cui Jack ama viaggiare, provare donne di ogni etnia diversa, vedere ogni stagione posti nuovi e vivere su un aereo, è che a Londra ha una vita così normale da fare schifo. Si occupa di beneficienza, vive in un appartamento vicino alla fermata della metro, scende tutte le mattina al bar a prendere il caffè ed è innamorato della sua migliore amica.
“Oh, beh, si deve essere accorta che scappi da anni.”
Jack fa una smorfia. “Io non scappo. Io non riesco a divertirmi se c’è lei nei paraggi.”
“Londra è molto grande, Jack.”
“Londra a volte mi soffoca, Ben.” Ammette lui.
Sento la stanza inondata di un odore di lavanda, shampoo, miele e caffè. Prima che possa riconoscerla, lei esordisce dicendo “Scusa, Jack, gli specializzandi ne hanno combinata una delle loro.” Io mi volto e le sorrido, e lei mi fissa con quei suoi occhi azzurri. È passata per il giro mezz’ora fa.
“Che hanno combinato quelle povere creature?”domanda Jack, abile quanto me a nascondere le preoccupazioni.
“Hanno rubato un paziente a psichiatria.” Ringhia lei. “Rubare un paziente!” controlla il flusso della flebo di Jack.
“Come hanno fatto?” chiede, stupito.
“Lui è convinto di non essere pazzo, allora gli hanno detto che in chirurgia lo avrebbero curato. Lo hanno fatto camminare e lo hanno messo in una stanza qui del piano.”
“Perché è convinto di non essere pazzo?” domando io, mentre lei ausculta il cuore di mio fratello.
“Ha una gravidanza isterica, ma è convinto di essere incinta.”
Jack scoppia a ridere, mentre io fingo di trattenermi. Ma non ci riesco. “Come … perché ….” Rido, rumorosamente. “Perché crede di avere un utero?”
Lei mi sorride. “Perché viene da psichiatria.”
“Ma che significa, cioè, che … che vuol dire gravidanza isterica?” domanda Jack.
Lei  si riposiziona lo stetoscopio al collo e mette le mani in tasca, pronta ad assumere il tono da insegnante. “Le donne che hanno una gravidanza isterica, nella maggior parte dei casi, sono donne che hanno un forte istinto materno ma hanno una relazione instabile. La paziente è nervosa, il ciclo è in ritardo, e il suo corpo si convince di aspettare un bambino.”
“Poi viene qui e tu le dici che ha torto?”
Lei sorride. “Più o meno è così.”
“E quest’uomo ha un forte istinto materno?”
“No, no. Può essere dato anche da un fattore psicologico, una cosa importante che succede nella tua vita. Nel suo caso, sua moglie è incinta.”
Jack ride, di nuovo. “Jaaack!” lo richiamo io.
Il cercapersone di Julie suona, e lei si allarma. “Danny.” Dice solo. Io faccio per alzarmi, ma lei mi fa segno che non posso. La guardo allontanarsi con aria preoccupata, e vorrei poter salvare la vita a quell’uomo.
“Chi è Danny?” mi chiede Jack.
“Una bomba a orologeria.” Rispondo io. Gli racconto che, mentre lui era sotto i ferri, io ero con Danny, trovando un amico dove non mi sarei mai aspettato.
“Quindi lui sta qui con una pompa che fa il lavoro che dovrebbe fare il suo cuore, mentre aspetta che qualcuno muoia?” Io annuisco. “Che cosa triste.”  Poi mi guarda. “Che ci fai ancora qui? Vai fuori dalla sua stanza a fare l’amico.”

La stanza di Danny ha le pareti di vetro. Cioè, sembrano di vetro, perché le finestre sono talmente grandi che sembrano dei muri interi. Da fuori, si vede tutto. Vedo medici  muoversi, strillare, vedo Julie urlare ‘non adesso, Danny, non adesso, dacci tempo’, mentre prende in mano un defibrillatore e Danny sobbalza a causa delle scariche elettrice. Io stringo i pugni, sperando solo che ce la possa fare. Mi avvicino, e noto appostata davanti all’altra parete del vetro la bionda Izzie, con le lacrime agli occhi e la mano sul cuore, che a volerlo stringere per donarlo al suo uomo.
Anche lei mi nota, e mi fa segno di avvicinarmi. A me sembra di invadere un dolore troppo grande perché io possa comprenderlo. Le poso una mano sulla spalla, mentre lei si lascia andare al pianto, appoggiando la testa, come se si aggrappasse a me per non cadere, mentre mi concentro sulla tenacia di Julie per non vedere Danny contorcersi ancora.
“Chiamate Burke, dannazione, io non lo posso toccare un paziente di cardio!” strilla.
Leggo nel labiale dell’infermiera ‘non risponde’.
Julie sembra furiosa, con le gote arrossate e gli occhi fuori dalle orbite. “Non mi interessa. Andate ad aprire tutte le stanze del medico di guardia, non mi interessa, ma portatemi Preston Burke!”
Credo che le ultime tre parole le abbia sentite anche mia madre in Inghilterra.
L’infermiera annuisce spaventata, mentre Julie torna a concentrarsi su Danny e su quella pompa che ha smesso di fare ciò che doveva. Prende di nuovo in mano le piastre del defibrillatore. “Carica a duecento!” Ordina. Poi guarda Danny negli occhi. “Ti prego, ti prego, sii forte.” Leggo sulle sue labbra la paura di perdere un amico.
“Ben, mi crederesti se ti dicessi che ora vorrei strapparmi il cuore dal petto a mani nude per permettergli di vivere?” mi chiede Izzie tra i singhiozzi.
“Lui non vorrebbe vivere senza averti accanto.” la rassicuro, stringendola, sentendo di nuovo la sensazione di aver trovato un’amica, ma una di quelle vere.
Sono stato a Seattle moltissime volte, perché Jack ama lo Space Needle e io amo la pioggia. E non avrei mai immaginato che dentro questo ospedale ci fosse un mondo intero, degli amici, e una donna da amare. Stai a vedere che mi toccherà ringraziare Jack e quel maledetto tumore.
“E come pretende che io possa vivere senza di lui, allora?” mi chiede lei.
“L’amore è molto strano.” È l’unica risposta che so darle.
“Danny, Danny, cazzo, resta con me!” Julie schiaffeggia la guancia di Danny, che apre gli occhi e le afferra la mano. Non so se la bionda accanto a me sia sto in grado di percepirlo, ma io sono più che sicuro che lui abbia detto ‘Izzie’.
Julie si volta di scatto, probabilmente inondando la stanza dell’odore di lavanda che hanno i suoi capelli, e prima di poter ordinare qualcosa a qualcuno, nota me e Izzie, dietro di lei. E nel momento in cui Julie mi guarda, io mi rendo conto delle due lacrime che, lentamente, hanno rigato il mio viso. Julie non ha tempo per consolarmi, né per piangere con me, meccanicamente, mi fa segno di entrare. Non riesco a mollare la presa sulle spalle di Izzie, perché ho idea che se la lasciassi, cadrebbe a terra e si spezzerebbe in mille pezzi di vetro fragilissimo. Così, tenendola stretta a me, la accompagno da lui.
Danny, la bomba a orologeria che ha capito più di me in un pomeriggio che  tanta gente in trent’anni, mi guarda con riconoscenza. Io sorrido e abbasso la testa, mentre Julie continua ad ordinare alle infermiere diverse dosi di sostanze chimiche che io nemmeno sapevo esistessero, chiedendo sempre ‘dove diamine è Burke’, mentre Izzie piange su Danny e Danny piange su Izzie.
Burke entra di corsa nella stanza, chiedendo cosa sia successo, e Julie strilla come non credevo fosse possibile. Lo accusa di averla lasciata da sola con un ‘LVAD’ non più funzionante, di non aver scritto cosa avesse preso, e gli ordina di chiamare per comunicare che le condizioni del paziente si sono aggravate.
“Danny è in lista d’attesa da anni, e …”
“DANNY NON ARRIVERA’ A DOMANI SENZA QUEL CUORE, BURKE!”
Non so come faccia, Julie, ad  essere tanto dolce e tanto dura allo stesso tempo. Io giro lentamente la testa verso il letto di Danny, che ha già la morte negli occhi.
“Questo è il tuo problema, Martin! Ti fai coinvolgere troppo, dannazione!”
“E tu troppo poco, Burke, perché io sono arrivata e lui era praticamente morto, la Stevens era stata cacciata dalla stanza da delle infermiere impiccione, e …”
“E tu hai messo il tuo fidanzato a farle da badante!”
Julie porta avanti la mascella e guarda Burke con odio. “Io ti ho salvato il culo, Burke, e non ti devi permettere di criticare come l’ho fatto. Cerca di essere minimante riconoscente.”
Lancia la cartella clinica sul tavolino ai piedi del letto, mentre impreca in francese contro ‘dannati americani egoisti’, ed esce dalla stanza. Io la guardo camminare furiosa, rimanendo come incollato qui.  La guardo girare l’angolo e spero solo riesca a contenere la rabbia prima che io riesca a raggiungerla.
Lentamente, mi giro verso Danny e gli poggio una mano sulla spalla. “Ascoltami, amico.” Gli dico. Mi chino, arrivando quasi a sedermi per terra. “Tu sei forte.”
“No, Ben, non …”
“Zitto. Tu hai capito tutto di me in un pomeriggio, e ti giuro che c’è gente che mi conosce da sempre e non ci è ancora riuscita.” Parlo con il cuore, e la cosa mi è nuova. “Tu sei forte. Tu starai bene. E quando starai bene andremo a Londra, a fare il giro della città come due cretini.” Lui annuisce e sorride, o almeno ci prova. “Però devi promettermi che rimarrai tra noi fino a quando Burke e Julie non ti troveranno quel cuore.”
Non mi va di piangere, ma la mia voce trema e Danny sembra distrutto. “Te lo prometto.” Mi dice. Io gli batto una mano sulla spalla, carezzo la testa di Izzie, mi alzo e scruto Burke, mentre lui mi guarda cercando di capire cosa passi per la mia testa.
La verità è che non lo so nemmeno io.

Trovo Julie dopo aver sorriso ad un infermiera che mi ha indicato i bagni delle donne. Julie sta davanti allo specchio, con le mani posate sui lavandini, mentre osserva le lacrime salate che le hanno accarezzato il viso. Mi vede nello specchio, e nota quanto stia male anche io.
“Mi dispiace. Non avrei voluto che assistessi a tutto questo. Non avrei voluto metterti dentro in questa cosa. Non ti meriteresti una come me. Mi dispiace.” Mi dice, attraverso lo specchio.
“Ho visto una cosa, in quella stanza.” Rispondo. “Ho visto una donna piena di grinta, tenacia, che si accanisce su un uomo praticamente morto e lo riporta in vita come se fosse Dio.” Mi avvicino. “Ho visto la donna che ho accarezzato per tutta la notte combattere contro la morte e vincere, ho visto la ragazzina vulnerabile che era sul molo con me ieri sera discutere con un uomo venti centimetri più alto e più largo che era partito accusandola, e l’ho vista uscirne limpida. Di tutto questo, non c’è nulla di cui tu ti debba dispiacere.”
“Avevi ragione tu, Benjamin.” Mi dice, girandosi verso di me. “La morte si diverte a fare la stronza.”
Io cerco di sorridere. Prima che possa rispondere, il dannatissimo cercapersone che tiene attaccato al camice blu suona. Lei lo guarda, e dice “Forse ci siamo.” Fa per correre via, ma poi si volta verso di me. Torna indietro e mi bacia dolcemente le labbra, sfiorandomi il viso con una mano. Sa di lacrime e caffè.  “Non so perché tu sia rimasto con me anche oggi, Ben. Ma ti ringrazio.”
“Perché sono rimasto?”
“Per avermi trovata.”

“Pronto?” rispondo al telefono come se non avessi letto il nome di Iris sul display.
“Ciao, sfigato!” esclama la sua vocina dall’altra parte. Io scuoto la testa e mi siedo, qui, dove ero ieri sera con Julie.
“Ciao, Iris.” Rispondo.
“Quel deficiente di tuo fratello è stato operato.”
“Oh, davvero? Non me ne ero accorto.”
Il rapporto tra me e Iris è strano, strano davvero. Lei all’inizio non approvava il fatto che io stessi con Anne, diceva che ero un poco di buono, che l’avrei fatta soffrire. La risposta di Anne fu ‘ma ci hai mai parlato, con Ben?’ Iris fu costretta ad ammettere di aver  basato quella litigata su dei pregiudizi, e io, lei ed Anne iniziammo a passare la pausa pranzo insieme. Iris mi piaceva, era dinamica, intelligente, e non si dava mai per scontata.
“Sei un cretino.” Mi dice.
Molti, vedendoci, ci giudicano male. Le persone non sanno che, in realtà, insultarci è il solo modo che abbiamo per volerci bene.
“È sempre un piacere avere a che fare con te, emerita testa di cazzo.”
La sento scoppiare a ridere dall’altra parte. “Dove sei?”
“Su un molo.”
“A fare cosa?”
“A pensare.”
“Hai qualcuna a cui pensare?”
“Può essere.”
Lei rimane in silenzio.
“Iris?”
“Sei davvero uscito dal buco e ti sei trovato una donna seria?” domanda lei, improvvisamente seria.
“Può essere.” Ripeto io.
“Ah, ecco, cretino, perché ho preso il biglietto per il primo volo per Seattle. Perché la devo conoscere.”
“Non c’entra il fatto che Jack stia male?” ironizzo.
“Si, si, certo. Ma voglio assicurarmi che questa qui sia a posto.”
“Te lo dico io, Iris. È a posto.”
“Tu sei un attore, Ben Barnes.”
“Oh, grazie! Non ricordavo nemmeno questo.”
Lei ride di nuovo, e io sorrido di rimando.
“Senti, sfigato. Mi verresti a prendere in aeroporto?”
Io sorrido. “Senza di me, come faresti a vivere?”

“Non capisco, perché ne parlate anche con me?” mi chiede Julie, appoggiata ai piedi del letto.
“Perché sei il suo medico, perché vivo con te, perché sembra che io e te stiamo quasi insieme.” Rispondo, subito. Lei non obbietta.
“Dovevi dirle che non ho bisogno di lei, Ben!” mi attacca Jack.
“Perché mentirle?”
“Perché fare stare male me?” contrattacca lui.
“Perché devi smetterla di annullarti per colpa sua.”
“Che mi dovrebbe importare di lei, Ben?”
“Te lo vedo negli occhi da metà della nostra vita, Jack, che la ami.”
“E anche se fosse?”
“O la smetti, o glielo dici. Sicuramente non continueremo a scappare in giro per il mondo.” Lui sembra toccato da quelle parole, ma io ho imparato di più oggi che in tutta la mia vita. “La andrò a prendere in aeroporto tra un’ora e mezza, Jack, poi verremo qui, le farò conoscere Julie, perché se lo meritano entrambe, dannazione, e Iris è tutto ciò che mi rimane di Anne, è la mia più cara amica, e non sopporto il fatto che dopo quindici anni tu stia ancora male per lei!”
“Ben, calmati.” Mi sussurra Julie.
“Okay, stronzo!” esclama mio fratello. “Farò in modo di non recarti più fastidio.”
“Cioè?”
“Fingerò di non esserne innamorato.”
“Come se potesse bastare.”
Lui incrocia le braccia sul petto. “Me lo farò bastare.”

Iris si è tagliata i capelli, penso, mentre mi corre incontro. Sono cortissimi, sparati in aria. Sembra un po’ un folletto. Mi stringe, mentre io rido, e lei mi dice che sull’aereo accanto a lei c’era un tipo che russava e non ha potuto dormire. Iris ha sempre avuto questo fare dinamico, questa capacità di ridere delle disgrazie, che la lega a mio fratello da anni. Ero io quello riflessivo, quello dubbioso, mentre Anne ci guardava e rideva.
Guardo il suo zaino, domandandomi per quanti giorni abbia pensato di rimanere, ma Iris odia i programmi e ama viaggiare.
“Ho una cosa da darti.” Mi dice, facendomi segno di andare al ritiro bagagli.
“Ah, sapevo che non avevi tutto nello zaino!” esclamo.
“No, no, il bagaglio da ritirare è per te.”
“Per me?”
“Per te, idiota. L’ho trovata quando sei partito l’ultima volta.” Mentre il nastro dei bagagli scorre, la gente indica me e la strana donna-folletto che sta accanto a me a sorridere a tutti, io mi chiedo di cosa stia parlando. “Sono stata un po’ di tempo a Chicago, comunque.” Mi annuncia. “Manco da casa da tre mesi, almeno.”
“Noi sei.” Le dico. “Ti ho battuta.”
“Sei sempre stato più avanti di me.” Scherza. “Allora, parliamo di questa donna.”
Io la guardo. “Sei venuta qui per accertarti che lei non sia un’allucinazione o per il tumore di Jack?” ironizzo.
“Oh, non è un’allucinazione, ho chiesto anche a Jack, ma mi ha detto che sono robe tue.”
“Esatto. Robe mie.”
Iris si catapulta verso il nastro dei bagagli, e io vedo una custodia rossa a forma di chitarra. Prima che possa sgridarla, dirle di no, lei l’ha afferrata e sta correndo verso di me con la stessa espressione di una bambina a Disneyland.
“Aspetta, a dire di no, a insultarmi, a …”
“Non suono più, Iris.” Le ricordo.
“Ecco! Io non sapevo se fosse giusto dartela, ma … ma tu hai una donna, ora, Ben, ed è giusto che tu torni a suonare!”
Ho un flash dell’ultimo falò, con tutti i nostri amici che ora hanno una casa, una famiglia, un lavoro, e forse di quel falò con la chitarra, le canzoni e la birra si sono dimenticati.
“Il fatto che io abbia una donna è-“
“Vuol dire che l’hai lasciata andare, Ben, e quindi hai diritto alla sua chitarra.”
L’hai lasciata andare. Il fatto che lì dentro ci sia la chitarra di Anne mi stringe lo stomaco, perché lei è stata il mio tutto, e anche se la sua mancanza non mi fa più male, ci sarà sempre un pezzo di me che si è portata via. Con l’indice, picchietto sul naso della mia amica. “Tu, piccola stronza.”
“Si, si, come ti pare.” Mi risponde. “Non vedo l’ora che tu possa tornare a suonarla!”
“Che ci facevi, a Chicago?”
Ecco il trucco per sviare ogni argomento con lei. Chiederle di un viaggio. Perché si perderà nei dettagli, nel suo entusiasmo, nel racconto di quella gita, di quella piazza meravigliosa o di quel cameriere scortese. Non sempre la ascolto, non sempre le do retta: Iris è un vulcano, e il motivo per cui lei e Jack si rincorrono in giro per il mondo è che nessuno dei due sopporta l’altro troppo a lungo. Perché alla fine, anche lei, a suo modo, ama mio fratello.
Mi racconta che starà da una sua vecchia amica, qui a Seattle, perché non vuole pesare a me. Le racconto che sto da Julie, e lei dice “Ecco, ecco, vedi, mi sarei ritrovata a fare il terzo incomodo.”
Io sorrido,  chiudendo il bagagliaio. “Come fai ad avere una macchina?”
“Oh, è di Jack, l’ha comprata l’ultima volta per lasciarla da questa parte del pianeta.” Ironizzo.
“Hai intenzione di trasferirti da questa parte del pianeta, allora?”
Mi sistemo sul sedile e metto in moto. “Non lo so.”
“Prima o poi dovrai tornare dai tuoi.”
“Prima o poi.” Faccio manovra mentre lei mi guarda e ride. Nel riprendere in mano il volante, la guardo e lei non smette di sorridere. “Che c’è?”
“Hai gli occhi felici, Ben. Erano dieci anni che non vedevo i tuoi occhi pieni e felici.”
Prima che io possa chiedermi cosa possa voler dire vedere gli occhi di un tuo amico pieni, il mio telefono suona e leggo sul display il nome di Julie Martin.
“Pronto, bionda?” scherzo.
“Oh ti è andata male, amico!” esclama la voce calda di Danny.
Io scoppio a ridere. Quando sono passato dalla sua stanza, prima di uscire, era stordito dai farmaci e dalla mattinata in cui l’odore di morte aveva avvolto la sua stanza. Salto sul sedile. “Gesù, Danny, stai meglio?”
“Abbastanza. Senti, ho il dovere di informarti che io, Julie, Izzie e Jack siamo qui a ridere di te.”
Scuoto la testa. “Dì a mio fratello che ha le ore contate, se vi sta raccontando cose false.” Lo sento sorridere, e poi mi viene in mente una cosa. “Ehi, ma Jack si è alzato?”
“Si, ha smesso di fare la femminuccia e si è alzato.”
“Allora gli lascerò qualche ora in più di vita.”
“Oh, ne sarà felice. Comunque, pare che la tua donna mi abbia trovato un cuore.”
Freno, di scatto. Iris mi guarda senza capire. “Che cosa?!”
“Non è sicuro, amico. Ci sono altri pazienti, altri casi. Ma c’è un donatore.”
Appoggio la testa sul volante. C’è un cuore. “Ripetilo, amico.”
“C’è un donatore, Ben.”
C’è un donatore. Un cuore, un cuore nuovo, che funzioni, e che dia a Danny la vita che si merita. Danny vivrà. Danny starà bene. Scoppio a ridere, sentendo odore di vita e di cose belle in questa macchina nuova, perché Danny vivrà, perché andrà tutto bene, perché non sarà più la ‘bomba a orologeria’.
“Arrivo, amico. Dobbiamo festeggiare.”

Il momento in cui gli occhi di Iris ritrovano gli occhi di Jack, ecco, quella è pura magia. Jack se ne sta seduto ai piedi del suo letto, in pigiama, pallido e stanco, ma sorride, sorride guardandola, come se non fosse passato un solo giorno. Lei si fionda tra le sue braccia, stringendolo alla vita, perché Iris è un folletto e Jack arriva al metro e novanta senza problemi.
Julie, appoggiata alla porta, li guarda e sorride, mentre io le passo un braccio attorno alle spalle e le bacio i capelli.  Lei mi stringe i fianchi, e io mi sento al sicuro. Capisco al volo cosa intendesse Iris: lei mi riempie.
“Ciao, honey.” Saluta Jack con tono dolce. “Ti sei proprio presa un bello spavento, eh?”
“Sei un cretino, Jack Barnes. Sei stato operato e me lo ha dovuto dire tua madre!”
Jack alza le spalle. “Non sapevo in quale emisfero ti trovassi, Iris.”
“Nemmeno io sapevo dove foste voi due cretini.” Si gira verso di me, e nota Julie. Per un istante, pare scrutarla, ma poi sorride. “Perdonami, tesoro, non mi sono presentata.”  Si avvicina a lei e porge la mano destra. “Sono Iris, Iris Morgan, in teoria migliore amica di questi due cretini.”
Julie sorride e le porge la mano. “Julie Martin, tanto piacere.”
“Julie? Oh, che bel nome!” esclama lei.
“È francese.” Ricorda Jack.
“Oh, dai? Non ci ero arrivata!” esclama Iris. Poi torna a guardare Julie. “Lo hai operato tu?”
“Si.” Conferma lei, osservando la chitarra che Iris tiene a tracolla. “Suoni la chitarra?”
“Non io, cara. Ben!” Iris mi indica e mi porge la chitarra, con la sua solita espressione di bambina che ha appena combinato un guaio.
Julie, lentamente, si volta a guardarmi. “Ben?” domanda, spostando la mascella come se la dovesse trattenere.
“No, no. Non più.”
“Oh, Ben, è arrivato il momento!”
“Non so cantare.”
“Certo che lo sai fare.” Interviene mio fratello, facendomi segno di passargli la chitarra. “Sei solo un po’ arrugginito.”

“Ciao, campione.” Dico, entrando in camera di Danny, con la chitarra a tracolla. Iris non ha voluto che la accompagnassi a casa della sua amica, così io e Julie l’abbiamo guardata allontanarsi su un taxi giallo con quel suo sorriso gigante.
Danny mi sorride, e io ho ragione di credere che non fosse così felice da anni. Indica la chitarra. “Tua?”
Io seguo il suo sguardo. “Me l’ha portata Iris. È … è quella di Anne.”
“Scommetto che te l’ha data quando ha saputo di Julie.”
“Hai vinto.” Sorrido. Lui mi fa segno di aprire il suo armadio, con sguardo gentile. Appena apro le ante, noto una chitarra. “Una folk?” domando, stupito.
“Passamela, per favore.” Risponde lui. La sola differenza con la mia, classica, è la cassa più grande che consente di dare al suono una forza maggiore. Io eseguo e lo guardo, aspettando che faccia qualcosa.
“Quant’è che non suoni?” mi chiede.
“Nove anni e otto mesi.” Rispondo, sicuro. Perché Iris farà presto i trenta, e saranno dieci anni che Anne non c’è più. L’ultima volta che ho suonato, è stato il giorno prima della festa di Iris che non sapremo mai come sarebbe andata.
“Dieci anni e quattro mesi.” Fa verso lui. “Da quando ho scoperto di essere malato di cuore.” Posa le dita sugli accordi. “Direi che è ora di ricominciare per entrambi.” Aggiunge, guardandomi.
Ed è per il mio nuovo amico, per il mio amico che starà bene, è per lui che mi siedo sul letto e impugno la chitarra. Non ci metto un secondo per trovare la canzone, e le note scorrono nella mia mente come se non avessi mai smesso.  Suono le prime note, e la chitarra riprende vita, per la prima volta.
Julie entra nella stanza, mentre sento Jack lamentarsi per essersi dovuto di nuovo sedere sulla sedia a rotelle, rimangono increduli di vedermi con la chitarra in mano.
“Today is gonna be the day that they’re gonna throw it back to you.”
Danny riconosce subito la canzone e inizia ad accordarla anche lui.
By now you should ‘ve have somehow realized what you gotta do.”
Julie sorride. Io la guardo, rendendomi conto che queste parole sono per lei.
I don’t belive that anybody feels the way I do about you now.”
Julie sorride e l’altra bionda entra in scena. È come a teatro, le comparse si susseguono, la musica non cessa, e io so che questo è il turno di Danny. Per Izzie.
Backbeat the word was on the street that the fire in your heart is out.”
A sorpresa, è Izzie che si diverte a prendere la parola e a cantare con lui.
“I’m sure you’ve heard it all before but you never really had a doubt.
Julie ride e mi posa una mano sulla spalla, guardandomi come se fossi una medaglia. E tocca di nuovo a me.
“I don’t believe that anybody feels the way I do about you now.”
Vedo Julie e Jack muovere le labbra, mentre mio fratello mi guarda commosso, mentre io, Danny e Izzie intoniamo il ritornello.
And all the roads we have to walk along are winding, and all the lights that lead us there are blinding. There are many things that I would Like to say to you I don’t know how.”
E sento, chiaramente, la voce di Julie aggiungersi, dolce e delicata.
Because maybe  you’re gonna be the one who saves me? And after all, you’re my wonderwall!”
Picchio la mano sulla chitarra, mentre sorrido come non mai, contento di questo piccolo e assurdo angolo di mondo.
 
Siii, so che il testo in grassetto così in mezzo ad un caitolo sta malissimo. Ma solo così il testo degli Oasis risalta. 
E non abituatevi ad aggiornamenti così recenti, ma sono in un periodo di Ben-Barnes-Mania e non riesco a smettere di scrivere.
Spero che il capitolo piaccia, e ringrazio vivis_ il suo entusiasmo e la sua anzzzzia. :3
 
   
 
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