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Autore: piccolo_uragano_    11/10/2015    3 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Girasoli nella tempesta – capitolo quattro: devi guardarti allo specchio.
“Mamma?”
“Sì, campione?”
“Come era la tua vita, prima di papà?”

Canticchio Wonderwall con la sigaretta in bocca, ricordando quando la sola persona che me la dedicasse era Nicole. Sono passati tre giorni, eppure ho ancora i brividi all’idea di Ben con la chitarra in mano, che mi rivolge quel sorriso. Tre giorni e ancora non ci hanno dato quel dannato cuore per Danny. Tre giorni con Iris che tira su il morale a tutti, ha persino fatto una torta per le infermiere che si occupano di Jack, e ha voluto conoscere Danny non appena Jack le ha parlato di lui. Mi piace, Iris, è una forte. Me ne sto seduta sul divano, che poi è anche il tavolo, della casetta mobile. Indosso una maglia rubata a Ben, perché porta il suo odore, e io ho scoperto di stare bene con il suo odore addosso. La finestra è aperta, è mattina presto, oggi non lavoro e Ben si sta preparando per andare a correre. Lo sento trafficare di là, e il nostro silenzio non ci pesa. Guardo il resto del campeggio fuori dalla finestra, quasi deserto, e poi guardo qui, guardo dentro, guardo il posto in cui vivo da due anni, e forse per la prima volta lo vedo davvero. I libri di medicina sono ovunque, così come foto, regali e vestiti.
La decisione di trasferirmi a Seattle la presi talmente in fretta che non ebbi il tempo nemmeno di cercare un appartamento in affitto. Un giorno sono saltata su un aereo, con i miei libri, la mia fede ancora al dito e Nicole, che è rimasta qui con me per due settimane. Con i soldi che avevo ho comprato questa casetta, in mezzo al verde, giurando a mia sorella che in meno di sei mesi l’avrei rivenduta e mi sarei comprata una casa vera.
Forse è arrivato il momento.
Poi, ho un flash, le porte dell’ambulanza che si aprono, il corpo di Jack ustionato, e gli occhi di Ben. Sento un clic dietro di me e vedo Ben con il telefono in mano, e la macchina fotografica puntata verso di me.
“Perché mi hai fotografata?” domando.
Lui allontana l’obbiettivo dal suo viso. “Perché a volte non mi sembri vera.”
Io sorrido e scuoto la testa, appoggiando la sigaretta sulle labbra. “Ben?” Lui mi guarda e si siede davanti a me, come in attesa.
“Ma che ci faceva Jack sul tetto?”
Lui sorride, con la maglietta da corsa nera quasi quanto i suoi occhi. “E io che immaginavo che ti stessi interrogando su un qualche principio della vita umana.”
Io scuoto la testa. “Stavo pensando che sarebbe ora di comprarmi un vero appartamento, in realtà.”
“Bene!” esclama lui. “Quando torno, chiamo Parker e gli chiedo di cercarmi qualche buona offerta.”
“Parker?” chiedo, confusa.
“Parker. Il mio agente inglese e prevedibile.”
Quasi mi ingozzo con il fumo. “Ah, scusa, tesoro. Io al massimo la casa me la cerco su internet. Non ho chi si sporca le mani al mio posto.”
Lui ride e scuote la testa. “Ma ci pensavi per te o per noi?”
Stranamente, la prospettiva di un ‘noi’ mi fa meno paura di quanto immaginassi. Faccio spallucce. “Per te e per noi.” Tronco il suo sorriso sul nascere. “Ma non torni da tua madre, qualche volta?”
“C’è tempo, c’è tempo.” Taglia lui. Mi bacio velocemente le labbra, e afferra l’iPod. “Tra un’ora sono a casa.”
Io annuisco. “Io cerco una casa come tutti i comuni mortali che non hanno un’agente che lo faccia per loro.”
Lui mi strizza l’occhio, e io lo guardo iniziare a correre. Assaporo l’ultimo tiro, spengo la sigaretta, e accendo il computer.
Subito, noto tre messaggi di Nikki su Skype.
‘Oddio, Julie, ma è vero che Ben farà Dorian Gray?’
‘Terra chiama sorella. Ho bisogno di parlarti.’
‘Chiamami appena ti connetti, per favore.’

Schiaccio il pulsante di videochiamata immediata mentre storco il naso e mi mangio un biscotto. E dire che dovevo cercare una casa.
“Julie!” esclama subito mia sorella. La vedo seduta sul letto, in mezzo a fogli pieni di scritte evidenziate.
“Buongiorno.” Saluto. “Si può sapere che è successo?”
Nicole è identica a me da giovane. Stessi lineamenti, stessi occhi azzurri, stessi colori sgargianti addosso, ma i suoi capelli sono castani, più corti ed è molto più bassa di me. Si allunga per cercare qualcosa dietro al suo computer, e pochi secondi dopo torna con un giornalino. “Ben Barnes …”
“È andato a correre.” Taglio corto, addentando un altro biscotto.
Lei alza gli occhi dal giornale per guardarmi male. “Stavo leggendo.”
“Senti, hai iniziato a fare da ufficio stampa?”
“No, no, sto solo dicendo che …”
“Si, Dorian Gray, me lo ha detto la prima sera che è stato qui.” Scuoto la testa, pensando a quel primo timido bacio sulla veranda.
“Oh, e quindi che farete?”
“Riguardo a cosa?”
Lei porta di nuovo gli occhi sul giornale, cercando una riga. “Le riprese avverranno a Londra tra il mese di dicembre ed il mese di febbraio.”
Mi sbagliavo. La storia della casa non era stata uno schiaffo. Questo, questo è uno schiaffo. In pieno viso, appena sveglia. E fa male. Rimango basita davanti allo schermo, sentendo il chiaro impulso di chiudere la porta, il computer, tutto, e non far entrare più nessuno. Appoggio il gomito sul tavolo, per tenermi la testa con la mano, mentre una vocina fastidiosa nella mia testa mi ricorda che era esattamente per questo che avevo giurato che non avrei più avuto una storia seria.
“Non … non me ne ha parlato.” Rispondo, in un fiato. Guardo la data sullo schermo del computer. Sedici novembre. Magari aveva intenzione di sparire nel giro di due settimane.
“Oh.” Mi risponde lei. “Io ... te ne ho parlato perché pensavo che saresti andata a Londra con lui, e immaginavo che se tu fossi partita con lui, avrei potuto passare qualche giorno a Londra con te e con voi.”
Per te o per noi? Per me e per noi. “Certo.” dico. “Sarebbe fantastico, Ben e Jack muoiono dalla voglia di conoscerti. Ma io non credo tornerò in Europa molto presto.”
“Non ci vuoi nemmeno pensare, Julie?”
Wonderwall.” Sussurro. “Tre giorni fa mi ha cantato wonderwall’. E tra due settimane se ne andrà dall’altra parte del mondo.”
“Calmati, Julie, calmati.”
“Sono calmissima.” Mento. Nicole non vede le gambe nude tremare sotto al tavolo. “Calmissima.”
“Non mi sembra.”
“Sto pensando … sto pensando che era esattamente per questo motivo che avevo detto che non avrei più avuto una storia, ricordi? Per le bugie.”
“So perché lo avevi promesso. Me lo ricordo. Ma lui è diverso.”
“Esatto.” Ringhio. “Lui è diverso perché mentire è il suo mestiere.”

Di solito, cerco di fumare una sigaretta al giorno. Seduta in veranda, dopo una doccia che mi aveva ordinato Nicole, mi accorgo di essere già alla terza. Ho freddo, ha iniziato a piovere e non m’importa, tremo di rabbia e anche di paura. Ben è il più bel regalo che la vita mi abbia fatto dopo Manuel. Oh, Manuel. Se solo tu potessi vedermi adesso.
Sento i passi eleganti di Ben sull’erba bagnata, mentre lo guardo tornare fradicio e sorridente. “Ciao, bionda.” Mi dice.
Mi basta guardarlo perché lui possa capire che sono furiosa. “Julie?” chiede ancora.
“Benjamin Thomas Barnes. Quando avevi intenzione di dirmi che devi tornare a Londra tra meno di due settimane?”
Lui perde il sorriso. I suoi occhi si svuotano, e sembra soffrire il freddo della pioggia solo ora. Si porta le mani ai fianchi e guarda a destra e a sinistra, incapace di sostenere il mio sguardo ferito, deluso e furioso.
‘Hai gli occhi che tagliano, a volte’. Me lo disse Addison, la rossa responsabile di chirurgia neonatale, e Ben sembra proprio spezzettato dal mio sguardo.
“Te lo ha detto Jack?”
“No. Ma a quanto pare sono l’ultima a saperlo.” Rispondo.
Lui getta un’occhiata alla sigaretta, mentre io mi tengo il fumo dentro. Lo sento scivolare nei polmoni e morire, mentre gli occhi di Ben sono pieni di parole.
“Due al giorno ti fanno male.”
E io perdo le staffe. “Non dirmi cosa è bene e cosa è male per me, Benjamin!” mi alzo e mi avvicino, gettando la sigaretta, incurante del diluvio. “Mi hai mentito, cazzo, Ben, mi hai mentito!”
“Tu non mi hai mai chiesto dove dovessi andare a girare!”
“Oh, quindi adesso è colpa mia?!” Nicole dice che faccio paura quando ringhio così. E non si rende conto di quanto a me faccia paura non sapere la verità. “Scusami, Benjamin, scusami tanto se non ti ho chiesto dove dovessi girare Dorian Gray, è colpa mia!!”
“Non ho detto questo!”
“Si che lo hai detto!”
“No, questo è …”
“Se Nicole non mi avesse chiamata.” Lo interrompo. “Se Nicole non mi avesse chiamata, dicendo che aveva letto su un giornale che ti saresti trovato a Londra per lavoro tra dicembre e febbraio, come avresti fatto? Saresti partito mentre dormivo? O mentre operavo?”
“No, Julie, te ne avrei parlato prima.”
“Prima quando?! Prima di salire sull’aereo? ‘Ehi, tesoro, mi daresti un strappo in aeroporto? Sai com’è, torno in Inghilterra’! Ma certo, come no?”
“Hai parlato di vivere con me solo un’ora fa, Julie, non-“
Tu  hai parlato di vivere insieme!” punto il dito. “Tu ne hai parlato, dannazione, ed è questo che io non riesco a capire! Sono stata un’ora seduta lì a chiedermi perché mi avessi mentito, perché mi avessi parlato della casa e di tutto il resto, perché mi avessi cantato ‘Wonderwall’ se hai intenzione di lasciarmi subito!”
NON HO NESSUNA INTENZIONE DI LASCIARTI!
“Certo, allora avremmo continuato a stare insieme con un Oceano di distanza! L’hai mai avuta una relazione a distanza, Ben? È come stare con un fantasma!
“Ti avrei portata con me, Julie.” Risponde calmo.
“Dopo avermi fatto comprare una casa, certo.”
“No, no. La tua vita è qui, e io amo questa cosa. Ti avrei chiesto di passare Natale, Capodanno e una parte di gennaio a Londra con me, nel mio mondo, e poi tu saresti tornata qui e io ti avrei raggiunta nel giro di un paio di mesi.”
“Non posso prendere le ferie tra Natale e metà gennaio, Benjamin, non posso perdere così tanti soldi.”
“I soldi non sono un problema.”
“Io non ti permetterei mai di mantenermi. Sono un fottutissimo medico, ed è questo che voglio fare nella vita. Non la compagna mantenuta di un grande attore!”
“Vedi, è per queste cose che mi piaci da impazzire, è per questo! Perché sei indipendente, sei diversa, ti sei costruita questa vita mattone dopo mattone, giorno dopo giorno e la difendi come merita.”
La pioggia mi entra anche nelle ossa, mentre le parole di Ben rimangono nell’aria. “Quando … prima che arrivassi tu, prima che tu entrassi a fare parte di questa vita, Benjamin, io avevo giurato a me stessa che non avrei più avuto nessun uomo. L’ho fatto perché ero stanca, perché ho passato trent’anni con accanto persone bugiarde, e false. Ho toccato il fondo quando ho partorito, e ho scoperto che mio marito aveva un’altra donna, per questo sono partita, per le bugie della gente, per …”
“Io non ti tradirei mai.”
“Non si parla di tradimenti solo fisici, Ben. Mi hai mentito. Quando sei uscito ti ho chiesto se avessi intenzione di tornare in Inghilterra.”
“E io ho detto che c’era tempo. E non stavo mentendo. Abbiamo ancora due settimane.”
“Il fatto è che io pensavo di avere davanti giorni infiniti con te, Ben. Non di dover contare i giorni che mi mancano prima di vederti salire su un aereo.”
Il mio telefono, posato sul tavolo dentro la casetta, suona con insistenza.  Lentamente, entro in casa e afferro il piccolo Samsung. “Stevens?” dico, rispondendo.
“Ho tagliato la pompa di Danny.”

Ben corre dietro di me, precipitandosi nella camera di Danny. “Che diamine è successo?!” domando, ancora fradicia e senza essermi messa il camice. Trovo Danny pallido, sudato, quasi stanco di vivere, Izzie al suo capezzale e gli altri quattro specializzandi dietro di lei, mentre la Bailey li fissa con aria furiosa.
“Stevens, dì alla dottoressa Martin che diamine è successo.”
Ben afferra la mano libera di Danny e si siede accanto a lui.
“Stamattina Burke e Alex sono andati a prendere il cuore, ma il donatore è morto prima che arrivassero. C’era un altro cuore, destinato ad un altro paziente, che era stato inserito nella lista diciassette secondi prima di Danny.”
Di conseguenza aveva la precedenza.” Ringhia la Bailey.
“Era più grave lui, era più grave l’altro di Danny, ma Danny non sarebbe ugualmente resistito a lungo.” Continua la Grey. “Burke stava tornando qui, ma c’è stata una sparatoria e lui è rimasto coinvolto.”
“Che cosa?!”  domando, basita.
Oh, gli sta bene.
“Si, è stato appena operato da Sheperd.” Conferma la Yang.
“E tu che ci fai qui? Perché non sei dal tuo uomo?”
“Perché noi abbiamo tagliato il LVAD per aggravare la situazione di Danny e dargli la precedenza.”
La freddezza di Cristina Yang mi porta a spalancare la bocca.
“Che cosa?” domanda Ben, incredulo quanto me.
“Avete praticamente ucciso quest’uomo, dannazione, avete compromesso la sua situazione, avete mentito!”
“Si, ma-“
“Zitta!” strillo alla Stevens. “Zitta, Isobel, stai zitta, perché hai preso il tuo uomo malato di cuore e hai permesso che per ore stesse in balia del destino!”
Prima che possa aggiungere altro, un’infermiera mi informa che il trapianto verrà effettuato immediatamente. Tutto ricomincia a muoversi, mentre Izzie bacia Danny sulla fronte e lo implora di rimanere vivo. Io lo guardo e mi azzardo ad avvicinarmi. “Mi fido di te, Danny Duquette.” Sussurro. Lui annuisce. Ben gli accarezza il viso mentre io distolgo lo sguardo e chiedo all’infermiera informazioni, e maledico la vita, la pioggia, Seattle e le bugie.

“Ben?” lo trovo seduto sul letto di Jack, con i pugni serrati.
“Si?” mi chiede, girandosi verso di me.
Entro nella stanza. “Io vado a vedere il trapianto.”
“Okay.”
“Vieni con me?”
Per la prima volta, Ben mi sembra davvero distrutto. Jack mi scruta, Iris tiene le braccia incrociate sul petto e la faccia di Ben è un libro aperto. “Non … non so se ce la faccio.” Mi rendo conto che Ben si è affezionato a Danny più in fretta di quanto pensassi. Lo ha visto praticamente morto per due volte in una settimana, ed è abbastanza intelligente per capire quanto male possa andare un trapianto cardiaco.
“E io non ce la faccio senza di te.”
“Ti ho mentito.” Mi ricorda lui. “Tu odi le bugie.”
“Appunto. Tu mi hai mentito. E abbiamo solo quattordici giorni.”
Ben si alza e mi guarda. Lentamente, si china e mi bacia con delicatezza. “Quattordici giorni e una vita.”

Odio la gente che mi fissa dalla galleria quando opero. Odio gli occhi di chi è pronto a giudicare, e odio chi si siede qui con aria preoccupata. Ho dato un camice da specializzando a Ben e l’ho fatto sedere accanto a me, mentre guardo un medico che non conosco mettere le mani nel petto di un mio amico, mentre penso che Ben tra due settimane tornerà in Inghilterra e io passerò il Natale da sola – insomma, perché mi illudevo che sarebbe stato diverso?
“Julie?”
Mi volto verso Ben.
“Non si può fare, vero? Questa cosa del camice e dell’intervento.”
“Se Izzie ha tagliato la pompa, nessuno dirà niente per un camice in prestito o un esterno in galleria.” Replico scettica.
“Julie?” domanda di nuovo.
“Sì?”
“Dorian Gray verrà girato a Londra.”
Io sto per strillare. Perché me lo deve ricordare? Mi concedo di pensare per qualche secondo, prima di capire che gli dispiace davvero tanto. Quattordici giorni e una vita.
“Dovrò partire il primo dicembre. So che tu avrai da fare, qui, so che se dovessi tornare in Europa andresti dalla tua famiglia, ma vorrei chiederti di far passare le vacanze di Natale e poi passare gennaio con me, perché Londra con la neve è meravigliosa e perché io ti vorrei accanto.”
“Un giorno ti stancherai di me, Benjamin.”
“Ah sì?” domanda lui.
“E ti pentirai di avermi fatta entrare nella tua vita da inglese strafottente e prevedibile.”
“Ne sembri molto sicura.”
Inglese strafottente.
“Ne sono più che certa.”
“Quindi non verrai con me a Londra?”
“Non so se verrò con te a Londra. Non so se Danny vivrà, non so se comprerò una casa, non so se voglio lasciare Seattle. Mi sembra di avere di nuovo sedici anni quando non sapevo cosa fare della mia vita.”
“Sicuramente, a sedici anni avresti seguito a Londra un inglese strafottente e prevedibile innamorato di te.”
Io mi passo la mano nei capelli e mi lascio andare sulla sedia, mentre assaporo le sue parole. No, dice una vocina nella mia testa. No, questo è troppo.
“Stammi bene, Julie.”
Ben si alza e se ne va, gettando una veloce occhiata al corpo di Danny aperto in due.

“Sono vivo, Julie.”
Controllo la cartella di Danny. “Sì.”
Il trapianto è andato bene.
Il suo cuore batte.
Il suo sangue circola.
Ben ne sarebbe felice.
“Ho le mani calde.”
“È normale.”
“Ben è passato a salutarmi.”
“Credo che Ben se ne sia andato.”
Mi concedo di guardare Danny, e so che vede nei miei occhi ciò che è successo mentre lui era sotto ai ferri. “Perché?”
“Ha detto che mi ama.”
“E se n’è andato?”
Sono passata in camera di Jack. Ed era vuota. Ho ordinato alle infermiere di dirmi cosa fosse successo, e loro mi hanno detto che Jack Barnes, su insistenza del fratello, ha chiesto di essere cambiato di medico, e che la Bailey ha acconsentito al fatto che venisse dimesso, messo su un aereo e portato in Inghilterra.
“Ha portato via Jack e se ne sono andati. Sono tornati in Inghilterra.”
Danny mi guarda come se avessi parlato un’altra lingua. “E perché non sei a cercare di fermare il loro aereo?”
“Hai dormito sei ore dopo l’intervento, Danny, e loro sono partiti da almeno dieci.”
“Vai da lui.”
“Non mi muoverò da qui fino a quando non ti vedrò prendere le tue cose e andartene da questo ospedale, Danny.” Mi siedo sul suo letto. “Non so se hai capito, che sono una persona sola.”

La casetta mobile mi è sempre piaciuta moltissimo. Mi piaceva da bambina, quando le vedevo in tv, e mi piaceva anche quando ne ho comprata una. La prima cosa che ho fatto in  questa casetta è stata mettere le tende, sistemato le lenzuola e messo i miei vestiti nell’armadio, mentre ripetevo a Nicole che si, ci sarei stata solo qualche settimana, qui dentro.
Non avrei mai immaginato di trovarla vuota. Di sentirla vuota. Una casetta mobile come questa nasce vuota e rimane vuota fino a quando non verrà demolita.
Non avrei pensato che Ben Barnes avrebbe riempito la mia meravigliosa casa mobile. Maledetto Ben Barnes. Prendo a calci la porta del bagno, ripensando al sesso fatto nella doccia o un po’ dove capitava, come capitava, semplicemente perché ci andava di fare l’amore come se nell’amore ci credessimo davvero.
Mi raggomitolo sotto al lavandino. Non c’è un solo angolo qui dentro che non mi ricordi Ben Barnes. Maledetto ragazzo.
Ho passato trentatré anni senza di lui, due settimane con lui e la mia vita senza di lui mi sembra vuota. Come diamine è possibile? Io lo odio, stupido inglese strafottente. Lo odio. Non ho nemmeno salutato Jack, o Iris, non ho detto a Jack che se avessi avuto un fratello, avrei voluto che fosse un fratello come lui. Non ho detto a Iris che non deve dubitare dell’amore di Jack, o dell’amicizia di Ben, perché loro sono Ben e Jack, e sono stati procreati per amare le persone.
Io invece sono Julie Martin e non sono capace di dire a Ben che credo di amarlo anche io.
Mi rendo conto di stare piangendo, piangendo per un uomo, piangendo seriamente, fino ai singhiozzi, fino a volermi strappare il cuore dal petto. Mi alzo. Non voglio stare qui, non voglio vivere su un pavimento, piegata dal dolore per una persona che ha deciso di andarsene.

“Gin tonic. Forte.”
Joe mi scruta. “Caspian dov’è?”
“Se n’è andato.”
“Mi sembrava vi piaceste.”
“Julie?”  La voce di Addison, la rossa di chirurgia neonatale, una delle poche persone che hanno cercato di avvicinarsi a me, mi guarda come se fossi un relitto umano. “Che è successo?”
“Ben se n’è andato.” Confesso.
“Mio marito è innamorato della tua specializzanda.” Mi dice lei di rimando. “Posso sedermi?”  Io annuisco. “Per me, della vodka.” Dice a Joe. “Perché Ben se n’è andato?”
“Lavoro.” Sussurro.
“E perché non sei con lui?”
“Perché lui mi ama.”
“E perché non sei con lui a Londra?!”
“Perché tutti mi chiedete questa cosa?! Perché nessuno pensa che io possa aver avuto paura, che possa essermi paralizzata, che la paura di amarlo anche io possa avermi bloccata? Perché nessuno pensa che è proprio perché credo di amarlo anche io che non riesco a prendere l’aereo, e andare a Londra a prenderlo a calci?!” afferro il bicchierino e trangugio il gin tonic, lasciando che mi bruci nella gola, che faccia male, desiderando che mi riempia, perché non mi sono mai sentita così vuota.
“Ehi, vacci piano!” esclama Joe.
“Perché non avresti nessuno da chiamare se fossi ubriaca al punto di non stare in piedi?” domando, scettica.
“Perché non mi va di vederti perdere la tua dignità.” Risponde prontamente lui.
Lo fisso intensamente. Ha gli occhi azzurri, come me. E forse immagina quanto faccia male il vuoto che ho dentro. “Un altro, per favore.”
“Domani ci sarà un ballo.” Butta lì Addison.
“Si, un ballo in ospedale. Pare assurdo.”
“Hai un vestito?”
“Non ci verrò.”
“E perché no?”
“Perché il principe Caspian è tornato a Narnia.” Joe sta per puntualizzare che il principe Caspian non era di Narnia, ma io lo zittisco con un gesto.
“E questo dovrebbe impedirti di venire al ballo?”
“Addison, è già tanto che io mi sia alzata dal pavimento di casa mia.”
“Oh.” Risponde lei. “Allora un altro giro anche per me.”

“Ciao, Danny.” Dico, entrando.
Lui mi sorride. “Che ci fai ancora qui?”
Io mi guardo attorno. “Sono anche in anticipo. Il mio turno inizia dopo pranzo.”
“No, no. Che ci fai ancora entro i confini dello stato di Washington?”
“Stavo bene prima di Ben, starò bene anche dopo Ben.”
“Quanti bicchieri hai trangugiato prima di partorire questa frase?”
“Un paio, forse. Non importa. Vino veritas.”
Lui sorride e scuote la testa. “Ti devo dire una cosa.” Io mi siedo sul letto. “Ben e Jack mi hanno telefonato.”
Non riesco a fingere che non m’importi. Non posso. Non con l’uomo più sincero della terra. Mi passo una mano nei capelli e cerco di non piangere. Ho già pianto abbastanza per lui. “E come stanno?”
“Bene. Jack ha già ripreso le chemio a Londra, vicino a casa, e sta bene. Ben sta studiando il copione. E mi ha chiesto di te.”
“Carino da parte sua.” Ironizzo. “Che gli hai risposto?”
“Che sembri la vecchia comparsa di un film in bianco e nero che sa dire solo ‘sto bene’. Non temere, l’ho pure insultato. Ma lui ha paura quanto te.”
“Allora è un codardo. Strafottente inglese codardo sexy e prevedibile.”
Lui sorride. “C’è un’altra cosa che vorrei dirti, e una cosa che vorrei chiederti. E vorrei che  tu fingessi di essere felice per me.”
“Ci provo.” Tiro su col naso e rimango in attesa.
“Izzie ha accettato di sposarmi.”
Nonostante tutto, il mezzo sorriso che mi compare sul viso cerca di essere un sorriso sincero. “Mi fa davvero piacere. Mi dispiace di averle urlato contro, ieri, glielo dirò appena la vedo.”
“Può venire qui solo in orario di visita.”
“Sì, ho incrociato la Bailey, prima.”
Ho incrociato Miranda Bailey che mi informava che Izzie Stevens non ha confessato di aver tagliato il cuore artificiale. Lo hanno confessato tutti, in gruppo, davanti al primario, ma singolarmente nessuno ha confessato. Questo vuol dire essere un gruppo. E io sono fiera di loro anche se non lo posso mostrare.
Loro non hanno paura di stare accanto alle persone che amano.
“La cosa che vorrei chiederti, invece …”
“Non andrò a Londra.”
“… è di farmi da testimone.”
Ci provo, ci provo a sorridere sul serio, ma mi ritrovo un smorfia che probabilmente fa pure paura, ma lui è un vero amico e non si spaventa. “Ne sarei onorata.”
“Ti voglio bene, Julie.”

Tu tu tu. Può dirmelo solo lui se devo salire sul primo aereo per Londra. Può dirmelo solo lui se ho avuto paura o se non ho risposto perché non lo amo. Solo Adam, solo tutto ciò che mi resta di Manuel. Il telefono suona, mentre io me ne sto seduta per terra nella stanza del medico di guardia.
“Julie?”
“Adam, ti ricordi quando studiavamo biologia a scuola?” replico.
“Si, si, mi ricordo.” Replica nostalgico.
“No, non devo parlare di Manuel. Dovevo parlare di atomi e dei loro legami.”
“Sei laureata in Medicina, Julie, e non ricordi …”
“Stai zitto, ricordi che protoni e neutrono si attraggono e poi rimangono uniti?”
“Sì.” Risponde dubbioso lui.
“Ho trovato il mio neutrone.”
“Ti chiamerò elettrone Martin!” scherza lui.
“Ho conosciuto un uomo, Adam.”
“Spero che sia uno che ti abbia dato del filo da torcere.”
“Oh, eccome!” Racconto di ogni particolare di Ben. Dal primo sguardo, appena sceso dall’ambulanza, alla sua arroganza, la preoccupazione per Jack, i rumori nella siepe. Il bacio in veranda, Danny, l’operazione, i racconti sul molo, come la chimica tra noi sia cresciuta ora dopo ora, senza che ce ne rendessimo conto, senza che potessimo controllarlo. Iris, Jack, la chitarra, la canzone. La casa da comprare, la pioggia, Londra, i giorni contati, la litigata, Danny di nuovo, l’operazione dalla galleria. Stammi bene, Julie. La mia casa che improvvisamente sembra vuota, la mezza sbronza, essere tornata a non sapere chi sono, cosa voglio. Quando ho finito di vomitargli tutto il mio dolore addosso, quando ho pianto di nuovo, quando non riesco più a respirare, quando gli ho confessato “Non so cosa fare, Adam, non so cosa voglio, non so più nulla. Tu sei la sola persona che mi conosce davvero.”
Lui aspetta qualche secondo e poi sospira. “Devi guardarti allo specchio, Julie. Devi essere egoista e guardarti allo specchio. Il fatto che tu stessi bene prima di lui, non significa che starai bene anche dopo. Quindi vatti a guardare allo specchio, asciugati le lacrime, assicurati che Danny stia bene, affida i tuoi pazienti a qualcuno, saluta la gente del ballo, poi prenditi un’aspettativa fino a febbraio e vola a Londra. Vola da lui.”
“Perché?” chiedo.
“Perché non mi hai mai parlato così bene di qualcuno, come se ti avesse salvata. Mai. Nemmeno prima di sposarti.”
“E quindi?”
“Quindi vai da lui, piccola, perché te lo meriti. E non voglio più sentirti ridotta così.”

Mi precipito verso la camera di Danny, e l’odore che sento è un odore che conosco troppo bene. È l’odore della morte. Guardo allarmata l’infermiera dai capelli rossi, e lei mi porge la cartella. Quando leggo l’ultimo appunto, sento il terreno mancare sotto i piedi.
Il paziente è deceduto alle 19:42 del giorno successivo all’intervento.
“Non può essere vero.” Sussurro. “Olivia, dimmi che non è vero.” Lei scuote la teste visibilmente dispiaciuta. “Non lui.” Olivia mi batte una mano sulla spalla e si allontana.
Io entro nella stanza, aggrappandomi ad una forza che non pensavo di avere, e vedo Danny pallido, fermo, freddo. Immobile. Morto.
Non so come il mondo possa andare avanti senza il suo ottimismo. Non so come potrò andare avanti io senza Danny che mi dice che andrà tutto bene. Che devo parlare con Ben.
Ben. Ben dovrebbe essere qui. Ben dovrebbe saperlo.
Mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare per terra, facendo del mio meglio per non evocare le immagini del corpo di Manuel, della siringa, dei suoi occhi sbarrati, della sensazione che era tremendamente simile a questa. L’infermiera si china su di me e mi porge un bicchiere di acqua, con occhi tristi.
Non riesco a ringraziarla, non riesco a dire una parola. Afferro il bicchiere, ma lo stringo troppo.
Il tempo è immobile. La mia mano è piena di pezzi di vetro, di sangue caldo.
Il tempo è immobile. Olivia mi medica, mentre io non sento niente. Non sento dolore, non sento la sua voce. Vedo. Vedo Izzie entrare nella stanza, con un abito da sera, la vedo bloccarsi alla vista di Danny. E poi, lentamente si avvicina e gli accarezza il viso. Lo sposta leggermente, si fa spazio e si stende accanto a lui. Ha gli occhi spenti, e non so con quale forza non pianga, non so con quale forza riesca ad accarezzare il viso freddo di Danny.
Il tempo è immobile, e non so quante ore siano passate, forse giorni, forse anni, ma adesso la stanza di Danny è vuota, e Olivia mi dice che deve cambiarmi la medicazione alla mano. Non riesco nemmeno a pensare, riesco solo a guardare questa ragazza dai capelli rossi, senza vederla.
Il tempo è immobile. L’ufficio del primario è luminoso, lui è seduto dietro la scrivania e mi scruta con occhi sinceri. “Ho bisogno di prendermi un po’ di tempo.” Dico. E lui sa quanto me che sono sincera. “Ero amica di Danny Duquette. E non so se voglio più fare il medico. Ho bisogno che tu mi lasci un po’ di tempo, Richard.” Lui annuisce lentamente, mentre cerca di sorridere.
Il tempo è immobile. Guardo la ragazza negli occhi, aspettandomi quasi che cerchi di fermarmi. “Il prossimo volo per Londra, per favore.”
Il tempo è immobile.



 
Da notare che la storia del legame tra gli atomi non mi sembra da averla capita bene, ma il mio prof di biologia l'ha spiegata con un tale entusiasmo che mi sembrava doveroso paragonare il legame covalente a Ben e Julie.
Spero davvero di aver reso giustizia a Danny, e ringrazio di nuovo la sistah vivis_ compagna di anzzzzzia.
   
 
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