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Autore: _Pulse_    14/10/2015    1 recensioni
La bambina sorrise contenta e una volta agganciata al sedile aspettò che il suo papà facesse di nuovo il giro per mettersi al volante. Aveva appena acceso il motore, quando esclamò: «È da un po’ che non vedo lo zio Steve, gli chiedi se vuole venire con noi?».
La sorpresa fu tanta che nel giro di tre secondi rivisse nuovamente tutto ciò che aveva provato il giorno in cui – una settimana prima, ormai – aveva scoperto che Steve se n’era andato. Lo shock, la rabbia, la delusione, la paura… Tutte quelle sensazioni lo travolsero con la stessa potenza devastante di un’onda anomala, impedendogli di rispondere prontamente a sua figlia. Dovette sforzarsi per recuperare il controllo di sé, per ristabilire quel precario equilibrio che aveva impiegato giorni a trovare.
«No piccola», rispose alla fine, schiarendosi la gola. «Steve è partito».
«È andato in vacanza?».
[McDanno - Spoiler! 2x20 & 2x21]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Danny Williams, Steve McGarrett
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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IV

PAURA

 
«Sergente Danny Williams, finalmente ci conosciamo».
Il biondo sentì ancora una volta quella mano gelida afferrarlo da dentro, dolorosa come una tagliola.
«Chi parla?», chiese alla voce misteriosa che lo aveva svegliato nel cuore della notte.
Si era addormentato ancora vestito – cravatta compresa – sul divano di Steve, con la TV accesa a sovrastare il respiro dell’oceano, il tavolino cosparso di bottiglie di birra vuote e il cellulare stretto in mano, come se fosse in attesa di una telefonata importante. E lo era.
«Ma come, non mi riconosce? Eppure l’ha visto anche lei il video che ha scagionato McGarrett».
«Wo Fat», mormorò, impallidendo.
«È un piacere anche per me».
Danny avvistò il cordless di Steve e continuando a parlare digitò a memoria il numero della scientifica: dovevano assolutamente rintracciare la chiamata.
«Che cosa vuoi?», gli chiese digrignando i denti. Per quanto ci provasse, non riusciva a prendere la linea, come se non ci fosse campo.
«Non sprechi il suo tempo, detective. Nessuno correrà in vostro aiuto, questa volta».
Il sudore ormai gli imperlava la fronte e gli appiccicava il cotone leggero della camicia alla schiena. Lanciò il cordless tra i cuscini del divano e si passò una mano tra i capelli, teso come una corda di violino.
«In nostro aiuto? Di che cosa stai parlando?».
«Oh, giusto. C’è qui una persona che vorrebbe tanto salutarla...».
Danny rimase in silenzio, col fiato sospeso, fino a quando non sentì un respiro rantolante e la voce fuori campo di Wo Fat dire: «Coraggio Steve, parla. Nelle ultime tre ore insieme non hai fatto altro che dire il suo nome… Sei diventato timido?».
«Adesso basta!», urlò il detective, nonostante la paura gli avesse ghiacciato il sangue nelle vene. «Vuoi solo spaventarmi, Steve non è lì con te. Lo saprei, se...».
«Danno...». Nonostante la voce strozzata di Steve lo avesse raggiunto a malapena, il biondo sentì il proprio cuore sprofondare in una voragine senza fondo.
«Steve? Steve, dove sei? Cosa ti ha fatto quel figlio di puttana?».
«Danno, mi dispiace... Mi dispiace davvero...».
«Sistemeremo tutto, okay? Tieni duro, ti prego. Dimmi solo dove sei».
Il silenzio che ottenne in risposta non fu per nulla rassicurante e Danny iniziò a chiamarlo, alzando così tanto la voce che temette di spezzarsi le corde vocali. Alla fine fu di nuovo Wo Fat a parlare, con tono pacato e quasi gentile: «Spero vi siate detti addio, sergente».
«Non ti azzardare a toccarlo. Toccalo e sei morto», ringhiò, sentendo le lacrime premergli contro le ciglia.
Wo Fat schioccò la lingua contro il palato e rispose: «Se l’è cercata».
Ci fu un lunghissimo istante di silenzio, che Danny non riuscì a spezzare a causa del nodo d’angoscia che gli aveva stretto la gola, e poi un fragoroso scoppio che gli fece cedere le ginocchia.

 
Si svegliò di soprassalto, il cuore che gli martellava nel petto e la camicia incollata alla pelle.
Ai suoi piedi, i cocci di una delle bottiglie di birra che aveva abbandonato sul tavolino. Agitandosi doveva averla fatta cadere.
Aveva letto da qualche parte che spesso i sogni venivano influenzati dall’ambiente circostante: quando nella realtà la bottiglia si era infranta sul pavimento, nel suo incubo Wo Fat aveva sparato a Steve.
Si alzò, facendo attenzione a non pestare i pezzi di vetro, e si diresse verso le porte finestre. Aveva decisamente bisogno di un po’ d’aria fresca, in grado di schiarirgli i pensieri e tranquillizzarlo.
Si sedette su una delle sdraio della spiaggetta privata e allentandosi il nodo della cravatta respirò a fondo l’aria intrisa di salsedine, gli occhi fissati sull’orizzonte e sulla grande luna il cui riflesso illuminava di scaglie argentate la superficie dell’oceano.
Quando si fu calmato a sufficienza, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare e lo chiamò per l’ennesima volta.
«Ciao. Sono io, di nuovo. Ho perso il conto ormai delle volte in cui ho provato a contattarti, ma non mi arrenderò, hai capito? Non ti libererai di me così facilmente, non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme.
«È solo che non capisco... Perché te ne sei andato via così? Perché da solo? Pensavo che l’esperienza in Corea del Nord ti avesse insegnato qualcosa in merito al non imbarcarsi in missioni folli senza supporto. Non voglio rivederti in quello stato, non voglio recuperarti per il rotto della cuffia. Ma lo sai che lo farei se solo me lo chiedessi, farei di tutto per te».
Danny era troppo sbronzo, troppo spossato e preoccupato, per rendersi conto del vero e più profondo significato delle sue parole. Il mattino seguente se ne sarebbe pentito forse, ma non in quel momento.
Si passò nuovamente una mano tra i capelli, un po’ appiattiti da un lato per via del cuscino, e riprese: «Ciò che mi manda fuori di testa è che non so nemmeno dove sei, Steve... Come faccio a sapere se stai bene, se non mi rispondi? Nella lettera che mi hai lasciato in ufficio mi hai scritto che ti saresti tenuto in contatto. Scherzavi? No, perché se era solo uno scherzo avresti dovuto scriverlo tra parentesi, amico».
Sospirò, abbandonandosi contro lo schienale della sdraio per guardare le stelle. 
La fresca brezza notturna fece rabbrividire la sua pelle ancora sudata a causa dell’incubo e decise di alzarsi per tornare in casa. Prima di dare le spalle all’oceano però, mormorò dentro il microfono: «Non so che cosa farei, se tu morissi». 

 

 

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Questo è uno dei capitoli che ho scritto con più trasporto e spero vi sia piaciuto!
Grazie a chi ha letto fin'ora e a Red lady per aver commentato.
A domani sera, un bacio!

Vostra,

_Pulse_

   
 
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