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Autore: Peach Blossoms    14/10/2015    3 recensioni
Dopo tre anni dal primo incontro con Shinichi, l'Organizzazione scopre che il ragazzo è ancora vivo e ha intenzione di farlo tacere una volta per tutte. Lo scontro tanto temuto è alle porte: gli Uomini in nero, capeggiati dal misterioso Capo, contro Conan, spalleggiato dall'FBI e dalla CIA. Conan si trova davanti ad una dura scelta, che metterà a dura prova il suo amore per Ran e il suo spirito coraggioso di giovane detective.
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Heiji Hattori, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II, “Amare sorprese”
 

                                                                                                                                                                           Villa Kudo, ore 19.30
Non appena si svegliò, i suoi occhi ricaddero sulla finestra e notò che, al di fuori di essa,  il cielo cominciava ad imbrunire. Il dolori era spariti, ma sentiva il suo corpo intorpidito, provava la particolare sensazione che si ha dopo un periodo di convalescenza da una lunga malattia. Sentiva ancora freddo, così si rannicchiò nel letto tirando a sé le coperte calde. Passò una mano sulla fronte, accarezzandosi i capelli spettinati. Solo allora fece il punto della situazione.
Aspetta, come ho fatto a salire sul letto? Shinichi si sollevò di scatto, aiutandosi con la braccia. Effettivamente era sdraiato sul letto e le coperte prima disfatte sul pavimento, ora erano rimboccate con cura. Solo alcuni attimi dopo realizzò di essere vestito: indossava il suo pigiama preferito, quello blu con le righe bianche.
Qualcuno deve essere entrato in casa e deve avermi trovato privo di sensi. Fu l’unica sua deduzione, che tra l’altro gli sembrò alquanto inquietante considerando il fatto che non aveva detto a nessuno dove si trovava e per di più la porta era serrata.  Scese le scale per dare un’occhiata al resto della casa, magari il suo angelo custode aveva lasciato tracce del suo passaggio, oppure, nel migliore dei casi, si trovava ancora all’interno della casa.
- “Mamma, sei tu? Papà?” nelle stanze vuote rimbombava solo la sua voce, “Dottor Agasa, è lei? Ai?”.
Né in salotto, né in cucina sembrava ci fosse anima viva. Non resta che la biblioteca… pensò.
- “C’è nessuno?” chiese ancora, prima di varcare la soglia.
Stava per ritornare in camera quando sentì dei leggeri singhiozzi provenire proprio dalla biblioteca. Si avvicinò in silenzio ed intravide, adagiata sulla poltrona, un’ombra nitida. Avrebbe riconosciuto il dolce profilo di quel viso fra mille.
- “Ran” dal tono della voce con il quale aveva pronunciato quell’unica parola, si potevano cogliere i sentimenti contrastanti che travolsero il giovane in quel momento: la gioia genuina di chi dopo tanta attesa  può finalmente stringere l’oggetto dei suoi sogni ma allo stesso tempo la pressante paura generata dalla possibilità che quell’oggetto possa scivolargli dalle mani.
La ragazza alzò la testa di scatto. Era seduta sulla poltrona, con le gambe piegate in avanti e cinte dalle braccia fini; forse inconsapevolmente, si era adagiata nella stessa posizione che Shinichi era solito assumere per concentrasi quando rifletteva. Il viso, prima nascosto dalle ginocchia, ora era immobile e fisso sul ragazzo. Gli occhi lucidi e arrossati lasciavano cadere ancora qualche goccia sulle guance già umide.
 La luce riflessa dalla luna illuminava la stanza attraverso l’ampia finestra, creando nella biblioteca un’atmosfera surreale. Nessuno dei due sentì il bisogno di accendere la luce, temendo di rompere l’equilibrio e il silenzio che si erano creati. A fianco della poltrona, poggiati ordinatamente sulla scrivania, c’erano un paio di occhiali, un buffo farfallino e stracci di vestiti che ad occhio e croce parevano essere appartenuti ad un bambino.
Non ci volle molto prima che nella mente del ragazzo si concretizzò la necessità di dover spiegare una volta per tutte la verità che si celava dietro quegli oggetti, anche se l’espressione di Ran lasciava intendere che lei, la verità, l’aveva già capita da un bel pezzo.
- “Bentornato Shinichi” sussurrò, con quel poco di voce che le era rimasta in gola, “anche se, a quanto pare, non te ne sei mai andato…”.
Nessun abbraccio, nessuna parola dolce per rompere il ghiaccio, la tensione era palpabile; Ran aveva preferito puntare subito al cuore della discussione, senza tanti convenevoli. Dopotutto, aveva già aspettato abbastanza. Shinichi non ebbe nemmeno il tempo di pensare alle parole giuste da dire, che lei aveva ricominciato a parlare. Come un fiume in piena, che dopo un abbondante pioggia, rompe gli argini e travolge ogni cosa, così le sue parole uscivano dalla sua bocca e colpivano il cuore di Shinichi.
- “Mi hai mentito” i suoi occhi ora fissavano il pavimento, temeva che guardandolo il suo coraggio sarebbe affondato e dato per disperso nei suoi occhi blu oceano, “mi hai mentito così tante volte. Ed io… che stupida..” si fermò per rimproverarsi ed una lacrima le rigò il viso.  “Io mi fidavo di te, delle tue parole che dopo ogni telefonata custodivo gelosamente nel mio cuore, io ti aspettavo...”

-  flashback -
Negli ultimi tre anni, il pensiero di Shinichi era ormai un chiodo fisso nella mente di Ran, non passava minuto senza che ne sentisse la mancanza; dopotutto era abituata ad averlo sempre al suo fianco e la sua improvvisa assenza aveva lasciato in lei un vuoto incolmabile. Certo, con i suoi amici si divertiva molto, aveva conosciuto molti nuovi ragazzi che mostravano un certo interesse nei suoi confronti, ma nessuno era come lui. Avrebbe volentieri barattato tutti quei ragazzi avvenenti e facoltosi, per avere in cambio il suo amato Shinichi.
Quel pomeriggio, la sua mancanza si faceva sentire più del solito. Tornando da scuola, aveva deciso di fare un salto in quella meravigliosa villa con la scusa di voler spolverare i mobili e far arieggiare l’ambiente, anche se faticava a convincere perfino se stessa. La verità era che le piaceva farsi del male, le piaceva entrare nella sua cameretta, annusare il suo dolce profumo ancora impregnato tra la stoffa dei suoi abiti, sdraiarsi sul suo letto e farsi un sano e lungo pianto. Stava lì ferma per ore ed ogni volta che usciva da quel magico luogo, le pareva di lasciarci un pezzo di cuore.
Aveva sentito il battito del suo cuore aumentare vertiginosamente, quando salendo le scale che portavano alle camere da letto, aveva notato la luce del corridoio del piano superiore accesa. Subito la speranza che Shinichi fosse tornato a casa l’aveva inondata di gioia. I piedi frementi, si muovevano veloci e le dita delle mani tamburellavano nervose sul corrimano. Ma i suoi muscoli si erano fermati improvvisamente, paralizzati alla vista di quella scena: aveva riconosciuto all’istante i vestiti di Conan, nonostante fossero stracciati, erano buttati disordinatamente sul pavimento insieme al farfallino rosso e agli immancabili occhiali. I resti dei vestiti arrivavano d’innanzi alla porta della cameretta di Shinichi. Si era stupita di trovare la porta chiusa, ma memore delle utili quanto imbarazzanti lezioni di spionaggio e stalking impartitole da Sonoko, era riuscita ad aprirla facilmente servendosi di due mollette per i capelli.
Vedere il ragazzo che amava per terra, privo di sensi e per metà denudato l’aveva fatta gridare dallo spavento. Si era subito gettata davanti a quel corpo esanime, mentre gli occhi lucidi e colmi di lacrime cominciavano ad appannarle la vista e a scaldarle il volto pallido. Dopo qualche attimo di comprensibile smarrimento, era riuscita a farsi coraggio e pian piano aveva, non senza difficoltà e imbarazzo, poggiato il ragazzo sul letto. Lo aveva vestito e rinfrescato, passandogli con estrema delicatezza e accuratezza una pezza umida su tutto il corpo, gli aveva rimboccato le coperte e aveva lasciato che riposasse tranquillo. Dopo aver raccolto gli indumenti stracciati e gli oggetti vari, si era recata nella biblioteca, dove si era seduta sulla comoda poltrona. Qualcuno poteva pensare che quel modo particolare di sedere fosse niente di più di un gesto scaramantico o che al giovane detective piacesse semplicemente copiare le abitudini del suo idolo Holmes; ma a Ran, fin da piccola, piaceva pensare che quella poltrona fosse magica e che aiutasse a risolvere i rompicapi di chiunque vi si fosse seduto sopra. E questa volta funzionò più del solito, visto che in poco tempo, ogni tassello del puzzle le sembrava combaciare perfettamente e il risultato fu la prova di ciò che il suo cuore fin dall’inizio le aveva suggerito: Shinichi e Conan sono la stessa persona.

Non appena quell’ondata di parole si calmò, Shinichi si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia in modo che i suoi occhi fossero alla stessa altezza degli occhi di Ran; le accarezzò la guancia umida e sorrise, “non sai da quanto tempo avevo voglia di sfiorarti il viso…”. La ragazza, che in un primo momento sembrò sciogliersi a quel contatto rassicurante e caldo, poi si scansò ripetendo a se stessa di rimanere forte ed impassibile.
Non basta una carezza per farti perdonare tre anni di bugie, pensò.
- “Se ho fatto quel che ho fatto, è perché non avevo alternative. Credimi.”
- “Non riesco più a fidarmi di te…” sussurrò piano, sentendo il suo coraggio farsi sempre più flebile.
Non voglio fidarmi di te, si corresse mentalmente.
- “Ran, non sai quante volte sono stato sul punto di rivelarti tutto… E’ stato terribile per me mentirti per tutto questo tempo, ogni volta vederti piangere a causa mia, prometterti cose che sapevo di non poter mantenere!” la sua voce rotta e a momenti rauca, faceva trapelare tutto il dispiacere e i sensi di colpa che Shinichi si era tenuto dentro di sé per ben tre anni, ma questo non sembrò convincere la ragazza.
- “Ma non l’hai fatto, Shinichi! volevo, scusa, cerca di capirmi… sono solo parole!” urlò Ran, scansando da davanti il ragazzo, che non riuscendo a mantenersi in equilibrio sulle ginocchia, si lasciò cadere per terra; sollevò il busto facendo forza con i gomiti. Vedere Ran dal basso verso l’alto, gli provocò una strana sensazione: fino ad allora aveva vegliato su di lei costantemente, sentiva sempre il bisogno di proteggerla da qualsiasi pericolo e lei non aveva mai rifiutato questo tipo di attenzioni anzi, la rendevano immensamente felice, ma in quel momento la vide con occhi diversi, o più semplicemente non si era mai accorto di quanto fosse cambiata, di quanto la sofferenza l’avesse resa forte. Aveva ancora bisogno di lui?
Lo sguardo supplicante del ragazzo le strinse il cuore, neppure Dio poteva immaginare quanto avrebbe voluto abbracciarlo, ma aveva deciso di essere egoista, voleva che avesse chiaro in testa cosa si provava ad essere abbandonati. Si alzò e si diresse verso la porta, rompendo il contatto visivo che fino a quel momento era rimasto saldo.
- “Sai qual è la verità?” continuò, voltandosi per l’ultima volta verso di lui, che ancora giaceva a terra “la verità è che non mi reputi abbastanza forte da stare al tuo fianco.” Quelle parole colpirono Shinichi nel profondo.
- “L’ho fatto solo per tenerti al sicuro, non sai di cosa sono capaci quegli uomini!” provò a difendersi, nonostante avesse la piena consapevolezza di star lottando per una battaglia già persa. L’aveva letto nei suoi occhi, che non si sarebbe arresa.
- “Nessuno si salva da solo, ricordalo sempre Shinichi” fu l’ultima cosa che disse, prima di correre lontano da quel ragazzo che per lei rappresentava il mondo intero, il suo unico amore. Si sentì come se si fosse auto pugnalata: era a due passi dalla felicità, ma l’aveva respinta.  Shinichi aveva tradito la sua fiducia, l’aveva ingannata e questo le faceva ancora più male che saperlo lontano.

Shinichi la guardò allontanarsi correndo, ed ebbe un terribile presentimento. Gli ricordò quella sera al Tropical Land, lui correva e le diceva di non preoccuparsi, che sarebbe tornato presto e lei era rimasta ferma, incapace di muoversi mentre lo vedeva sparire in lontananza. Diversamente a lui Ran non aveva riservato parole rassicuranti, nessun “tornerò”, nessun “a presto”.
Non lasciarmi da solo, Ran

 
  
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