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Autore: TimeKeeper    16/10/2015    0 recensioni
Jace estrasse dalla tasca la sua strega luce e inspirò profondamente. Sotto l’odore della vernice fresca, un altro aroma ben più ripugnante ferì le sue narici.
Demone. Odore di demone.
Genere: Azione, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jace Lightwood
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo 1 – Snowflakes on the Sidewalk
 
Jace si fermò di scatto di fronte alla scala che conduceva alla stazione della metropolitana; il telefono aveva cominciato a squillare insistentemente nella tasca dei pantaloni e non accennava a smettere.
“Hey Izzy - rispose, sfilandosi un guanto –Qualcosa non va?”
“Puoi dirlo forte! – tuonò la shadowhunter oltre la cornetta – Dove sei finito di nuovo?”
Il Nephilim cominciò a camminare in tondo, lasciando lunghe strisce sulla neve fresca: “Non si era parlato di vacanza? Non ho nessuna intenzione di rimanere chiuso nell’Istituto quando siamo nella città del divertimento per antonomasia”
“Senti, lo so che avresti preferito Parigi, ma non è il caso di tenere il muso con me e Alec… e soprattutto Max – rispose Isabelle con voce pacata – Potevi almeno dirci che uscivi, avremmo potuto bere qualcosa insieme”
Jace inspirò profondamente. L’Istituto di Londra era stato famoso in passato per le sue feste di Natale: stupendi party a tema a cui partecipavano rappresentanti di Istituti di tutto il mondo; ma la tradizione era pian piano svanita e il vecchio Arthur Blackthorn che dirigeva ora la struttura, si era spento e piegato sui libri, fino ad estraniarsi dal mondo esterno. Quell’anno, in un sforzo vano di riaccendere le usanze del passato, i più giovani tra gli shadowhunters di Londra avevano spedito una serie di inviti nel tentativo, se non di eguagliare le antiche glorie, almeno di offrire qualche giorno di svago a tutti coloro avessero voluto partecipare.
Una vacanza oltre oceano non gli era sembrata una buona idea fin dall’inizio, ma la madre di Alec, Isabelle e Max aveva tanto insistito che alla fine avevano dovuto cedere: Isabelle sospettava che si trattasse di una scusa di Maryse per dedicarsi ad alcuni affari urgenti, senza i ragazzi a cui pensare.
“Senti Iz, non ce l’ho con voi: ho solo bisogno di stare un po’ da solo… okay? – continuò poi il Nephilim, riprendendosi dai suoi pensieri – Da quando quel vecchio ha scoperto che so giocare a scacchi non mi molla più”
Isabelle rise: “Va bene, però vedi di esserci a colazione altrimenti dovrò preparare qualcosa io” lo minacciò.
Jace soffocò una risata: “No, grazie: ci tengo alla mia vita”
Con uno scatto chiuse il telefono e lo infilò in tasca; la scusa che aveva inventato non era delle migliori, ma avrebbe retto per un po’. Forse avrebbe dovuto raccontare ai Lightwood che cosa aveva visto alla National Gallery, ma prima voleva capirci qualcosa di più, prima di coinvolgere i suoi amici doveva comprendere cosa stava realmente succedendo.
Era cominciato tutto il giorno del loro arrivo, quando avevano deciso di esplorare i dintorni e mangiare qualcosa in un piccolo locale su Fleet Street nascosto ai mondani da un incantesimo. Avevano riso ascoltando l’accento del posto e assaggiato una strepitosa jacket potatoe, accompagnata da una pinta di sidro. Max si era rovesciato un intero budino al cioccolato sui pantaloni e Jace si era offerto di accompagnarlo al bagno, mentre Alec ed Isabelle ridevano a crepapelle; in attesa fuori dalla porta, il ragazzo aveva ascoltato una bizzarra conversazione tra un giovane ifrit dalle piccole corna bitorzolute e uno stregone, che riguardava una strana concentrazione demoniaca, la sparizione di alcuni mondani e speculazioni riguardo a chi o cosa quel branco di demoni stessero proteggendo o nascondendo.
La faccenda gli era sembrata interessante, così aveva pensato di distrarsi un po’ e andare a dare un’occhiata: l’impatto con l’Istituto di Londra era stato di una noia insopportabile e il clima natalizio non faceva che incrinare il suo umore. Non avrebbe mai pensato di ritrovarsi in una trappola, tantomeno una così ben congeniata: invece eccolo lì, in un’imboscata di iblis senzienti ed organizzati. Come poteva un branco di demoni pensare un piano del genere? Organizzare voci attraenti nei bassifondi, storie di oggetti segreti nascosti, indizi in attesa del giusto uditore: era stato tutto meticolosamente calcolato per attirare prede. Gli iblis cacciano in branco, è vero, ma nessuno si era mai dimostrato così brillante. Senza parlare di quella sconosciuta.
Jace scese le scale della stazione di Blackfriars e raggiunse la piattaforma in attesa della Disctrict Line. Mentre scrutava attentamente la banchina in cerca di qualcuno, il soffio freddo del treno in arrivo scompigliò i suoi capelli biondi.
Ora che aveva cominciato non poteva tirarsi indietro, doveva scoprire di più. Un paio di domande alle persone giuste lo avevano già messo sulla buona strada e ora era pronto per le prime risposte concrete dall’unica persona che, a quel punto, avrebbe potuto dargliele: il ragazzo ifrit che aveva ascoltato al pub.
Quando lo vide avvicinarsi al treno ancora in movimento, il Nephilim si accodò a lui e salì sullo stesso vagone, confondendosi tra la folla. Ad osservarlo ora, nella moltitudine di mondani, sembrava un ragazzo normale: ascoltava una musica assordante da un paio di grandi cuffie e la lunga frangia scura copriva il suo marchio, due minuscole corna, piatte e tozze, che gli spuntavano dalla fronte.
Jace si avvicinò lentamente e si sedette accanto a lui. Quando il ragazzo si accorse dello shadowhunter fece un balzo sgraziato e si alzò dal sedile, poi con le mani tremanti sollevò le cuffie e cominciò a balbettare.
“Non voglio farti del male - gli disse Jace, con tono calmo – Voglio solo che tu risponda a qualche domanda”
Una voce femminile metallica annunciò l’avvicinarsi della fermata e l’ifrit scattò verso le porte automatiche. Il Nephilim fu più veloce: con la destra afferrò il cappuccio del ragazzo e lo spinse contro un palo di sostegno, mentre con la sinistra afferrava un coltello dalla cintura. Il mezzo stregone crollò a terra con il naso sanguinante, nell’incredulità degli altri passeggeri; Jace si chinò su di lui, spingendo la lama verso il collo del ragazzo.
“E’ stata colpa tua: io non volevo farti del male, ma tu hai cercato di fuggire – sussurrò lo shadowhunter, senza allontanare la lama – Allora ricominciamo: voglio che tu risponda a qualche domanda”
“Va bene, va bene, ma non qui” biascicò l’ifrit, cercando di pulire via il sangue dal viso con la manica della felpa.
Jace lo trascinò in piedi e poi fuori dalla carrozza, tra gli sguardi attoniti dei mondani: dato l’incantesomo che aveva usato per nascondersi dalla folla, doveva essere molto suggestivo vedere un ragazzo sbattere da solo contro un palo e poi trascinarsi sulla banchina, gocciolante di sangue.
L’ifrit si voltò: “Senti io non so niente, non è colpa mia!”
“Infatti stavi scappando proprio perché non è colpa tua… secondo me non sono il primo che ha tentato di spaccarti la testa”
“Ascolta, c’è un tipo, uno che sa sempre tutto di tutti, un re del gossip: è lui che mi ha raccontato ‘sta cosa della National Gallery”
Jace schiacciò il ragazzo contro il muro, spingendolo forte: “Voglio il nome e dove posso trovarlo”
“Io, ti giuro, non ho fatto niente! – sputò l’ifrit, sull’orlo delle lacrime – Io vado a farmi raccontare i pettegolezzi, quelli grossi, per impressionare i figli di Lilith. Tu non sai cosa vuol dire essere come me: nessuno ti vuole, non i mondani né i Nascosti… nessuno”
“Sto perdendo la pazienza: un nome!”gli intimò il Nephilim.
“Davis, Davis McKellen. Lo trovi all’Angels di Stringfellow a Soho; di solito preferisce le moldave”
 
Quando Jace riemerse in superficie, la neve aveva ricominciato a cadere copiosamente sulla città già dipinta di riflessi argentati. All’esterno del Dominion Theatre la gente faceva la fila in attesa dell’inizio dello spettacolo serale, cercando di riscaldarsi con una tazza di tè o caffè americano.
Jace svoltò a sinistra su Oxford Street, sgusciando delicatamente tra la folla di londoners di ritorno dal lavoro, protetta dagli ombrelli scuri. La brezza gelida si faceva sempre più intensa e alcuni fiocchi di neve si stavano insinuando nel collo della sua giacca e all’interno dei guanti.
Il freddo di Londra era diverso da qualsiasi altro che avesse mai provato: penetrava come veleno fino alle ossa, in una conquista silenziosa e devastante di ogni nervo e muscolo. A volte, perso nell’osservare lo scorrere incessante delle acque del Tamigi, gli era capitato di perdere momentaneamente la sensibilità delle dita e di dover tornare a casa sfregando insistentemente le mani come in una danza primitiva. I guanti di cuoio perfezionati dalle Sorelle di Ferro per la tenuta da Shadowhunters proteggevano da quasi tutti i veleni demoniaci, ma non dalla morsa del freddo pungente.
Il Nephilim si scosse dalla neve e si fermò all’imbocco con Wardour Street ad osservare l’ingresso del locale: il disegno di una donna angelo sormontava un’insegna nera e oro, senza decori o fronzoli.
Con l’aiuto di una runa di persuasione superò la guardia e venne investito da una musica assordante. Il rimbombo dei bassi gli premeva ritmicamente sul petto, mentre osservava stupito e divertito lo spettacolo che gli parava davanti.
Ora capiva cosa gli aveva suggerito l’ifrit a proposito dello Stringfellow’s Angels: una serie di ragazze seminude volteggiavano a tempo di musica, aggrappandosi a pali da lapdance su piccoli palchi foderati di stoffa leopardata; ai tavoli ricoperti di rosso, uomini mondani di tutte le taglie e forme sorseggiavano drink da calici raffinati, seguendo attentamente l’originale spettacolo.
Attraverso la foschia delle macchine del fumo e i lampi ritmici delle luci stroboscopiche, una figura dalla parte opposta della sala attirò la sua attenzione: era una donna, l’unica tra il pubblico. Indossava un lungo cappotto bianco che fasciava il suo corpo snello e affusolato, il cappuccio le ricadeva sul volto, nonostante la temperatura nel locale fosse quasi insopportabile; si muoveva a passo spedito verso la zona privé, zigzagando tra gli uomini intenti ad osservare le ballerine discinte.
Jace la seguì istintivamente e aprì la porta su un lungo corridoio dalle pareti dipinte d’oro. Su entrambi i lati della corsia si aprivano alcove protette da tende di velluto rosso, dove i clienti del locale potevano intrattenersi con stupende ragazze seminude; una di queste stava correndo nella sua direzione, incespicando sui tacchi a spillo, i capelli biondi sciolti e disordinati.
“Buttafuori!” urlava, con uno spiccato accento dell’est.
Jace si spostò di lato per non urtarla e un fruscio bianco richiamò di nuovo la sua attenzione. La ragazza con il cappotto si stava dirigendo a passo spedito verso l’uscita opposta del corridoio e teneva saldamente per la camicia un uomo sulla cinquantina: lo scosse violentemente, intimandogli di seguirla e sparì rapidamente oltre la porta sul retro.
Jace accelerò il passo e spinse la maniglia antipanico, stringendo le spalle contro l’ondata di freddo che lo investì. Si trovava all’esterno dell’edificio, in un cortile di servizio dove erano stati ammassati vecchie sedie e tavoli in disuso: si accovacciò dietro ad una catasta ormai ricoperta di neve, in ascolto.
“Ti giuro che non ne so niente, davvero!” gridava l’uomo, la voce spezzata dal freddo “Perché dovrei mentirti?”
“Non ne ho idea, Davis, ma io so quello che ho visto” rispose la donna, con voce ferma; era la stessa voce che Jace aveva sentito alla National Gallery “Se non è stata un’idea tua, significa che qualcuno sta tramando qualcosa di più grande di quanto pensiamo”
“Io non c’entro: mi hai chiesto di movimenti sospetti e ti ho riferito quello che viene dai bassifondi, tutto qua”
Dopo un istante di silenzio la donna continuò: “Chi è la tua fonte?”
“Non mi paghi abbastanza per questo!” rispose la voce maschile.
Un gridio strozzato sfuggì dalla bocca dell’uomo e Jace capì che lei doveva averlo colpito o afferrato saldamente al collo.
“Sentimi bene: nel giro di poche ore nascosti, esperti di ombre, stregoni… in molti si sono presentati alla National alla ricerca di qualcosa, come se ci fossero stati mandati. Non credo che sia una coincidenza, qualcuno sta cercando di liberarsi di gente scomoda. Compresa la sottoscritta” il tono della donna era fermo, la voce calma, il respiro regolare “Visto che sei tu che mi hai indicato quel posto, mi viene logico pensare che…”
“Ma non è colpa mia!” interruppe l’uomo, singhiozzando “Lui mi ucciderà se ti dico qualcosa, non posso!”
Uno schianto violento spezzò la frase a metà, seguito da un grido lacerante. Jace scattò in piedi per capirne la fonte e vide un enorme ravener scaraventare a terra l’uomo e affondare i denti nella sua spalla. Il lungo corpo squamoso del demone proiettava un’ombra sinistra sulla neve fresca: la coda era alta e pronta a colpire con la sua lancia mortale.
La ragazza con il cappotto brandiva già una strana spada ricurva simile ad una sciabola e caricava il peso sulle gambe pronta a saltare. Il Nephilim estrasse la sua lama angelica e si lanciò di corsa verso il demone, chiamando la spada per nome.
“Ezechiel!”
La sconosciuta non si voltò a guardarlo, ma si lanciò contro il muso del ravener con un colpo netto e con uno strattone gli spezzò la mascella; un fiotto di ichor nerastro schizzò violentemente, seguito da un grido inumano. Il demone ferito, lanciò a terra la coda in uno spasmo: Jace la schivò rotolando e la tranciò con la sua lama angelica. Approfittando dell’attacco del Nephilim, la sconosciuta lanciò la propria arma dritta verso il torso del demone: colpito agli organi vitali, il ravener si accasciò con un gemito e scomparve, come carta erosa dal fuoco.
Jace rimase impietrito di fronte a quella scena surreale: un’enorme pozza di ichor imbrattava il cortile di riflessi argentati, frammisti a quelli rubino del sangue umano; la spada della donna giaceva ricoperta di liquido nerastro al centro di quella pozza di rifrazioni contrastanti. La neve continuava a cadere inarrestabile e presto avrebbe nascosto con la sua coperta quell’inquietante spettacolo. Il loro attacco combinato era stato efficace e fulmineo, eppure…
Come poteva un’arma mondana abbattere un demone?
Quando Jace si voltò verso la sconosciuta, lei era già accasciata vicino al corpo dell’uomo ferito dal ravener.
“Mi dispiace…” sbiascicava lui, ferito e intirizzito dal veleno.
“Fai la cosa giusta, Davis” rispose lei, risoluta.
L’uomo tentò di alzare una mano per toccarla, ma non aveva abbastanza forze per farlo. La fissò per un lungo istante in silenzio: “Eccles John” disse infine, prima di giacere immobile. La sua mano cadde senza suono sulla neve fresca. La ferita sulla sua spalla si stava già trasformando in necrosi: presto il veleno del ravener avrebbe tramutato il suo corpo in cenere.
La sconosciuta si alzò in piedi. Il cappuccio le era scivolato dalla testa durante il combattimento e ora il suo volto era visibile nella timida luce di un lampione: i capelli corti e arruffati le tagliavano la fronte ampia con ciocche irregolari e i grandi occhi chiari brillavano di una luce felina. Raccolse la sua spada e la ripose nell’elsa, sotto il cappotto. Senza dire una parola, rialzò il cappuccio e cominciò a correre.
“Merda” sussurrò il Nephilim, partendo all’inseguimento.
Le domande, al posto di sciogliersi, si stavano moltiplicando nella sua mente e l’unica soluzione era riuscire a fermare quella donna.
Jace si lanciò a perdifiato verso un basso muretto interno, dove l’aveva vista saltare: oltre l’ostacolo un secondo cortile interno dava verso un patio e poi un portone d’ingresso. Si ritrovò in una parallela di Wardour Street e svoltò a destra seguendo le tracce della ragazza, ma lei correva troppo veloce, non l’avrebbe mai raggiunta. Il Nephilim piantò saldamente i piedi sul ghiaccio del marciapiede con uno stridio ed afferrò un coltello dalla cintura.
La sconosciuta si fermò di scatto: la lama lanciata da Jace aveva colpito un palo della luce e pochi centimetri dalla sua nuca.
“Vedo che ho attirato la tua attenzione” disse lui, avvicinandosi a passo spedito.
La ragazza si voltò verso lo shadowhunter, stringendo le labbra in un’espressione di disappunto: “Arroganza: tipico di un cacciatore di ombre”
“Vogliamo parlare della tua maleducazione?” rispose Jace, ora a pochi metri da lei “Ogni volta che cerco di parlarti, tu scappi via”
La sconosciuta sfilò dal legno la lama del Nephilim e la trattenne nella mano destra: “Parlarmi?”
“Perché mi hai salvato da quegli iblis alla National Gallery?” chiese lui, abbassando lo sguardo.
La ragazza s’immobilizzò di colpo: si era forse aspettata una domanda diversa? Di domande ce n’erano parecchie nella testa di Jace - Come aveva fatto ad eliminare un demone con una spada comune? Perché si preoccupava di proteggere i mondani ed eliminare i demoni, lei che non era una cacciatrice? Che cos’era allora, una strega? Ma da quando i nascosti si preoccupavano per le sorti dei loro informatori? -  ma nessuna, in quel momento, era più importante.
“Un guerriero non merita di morire in un’imboscata” rispose lei guardandolo finalmente negli occhi. Nonostante il cappuccio gettasse un velo opaco sul viso di lei, i suoi occhi chiari risplendevano di una sfumatura grigio-verde.
Jace si sentì vulnerabile, scoperto, fragile; tentò di proteggersi con una maschera di sarcasmo: “E tu che cosa puoi saperne?”
La luce negli occhi della sconosciuta si spense: abbassò il capo e strinse saldamente la lama del Nephilim.  “Non ha importanza” tagliò corto poi, pronta a voltarsi di nuovo “Questo non è affar tuo”
Jace l’afferrò per il polso; “Demoni riuniti per una trappola? Ravener che attaccano informatori come se seguissero ordini? Certo che mi riguarda! Ho fatto un voto” aggiunse stringendo il polso di lei sempre più tenacemente “Difendo questo mondo e questa è la mia battaglia, non importa quello che pensi di noi”.
Il silenzio era diventato irreale: neppure i passi barcollanti di un passante ubriaco scalfivano il velo muto della coltre di neve. Alcuni fiocchi si erano fermati sul cappuccio della sconosciuta e si scioglievano torpidamente creando rivoli sulle sue guance e sulle spalle.
Jace si rese conto che le stava ancora stringendo il polso: da quanto erano immobili a guardarsi?
“Dimmi che sta succedendo” disse infine, lasciando la presa sul braccio di lei.
La donna inspirò profondamente: “Va bene, ma non qui e non ora. Dopo quello che è successo ci staranno sicuramente seguendo” tese la mano a Jace, restituendogli il suo pugnale “Domani: District Line, fermata Kensington Olympia. Corsa delle 18.20”
Con un fruscio, la sconosciuta uscì dalla pozza di luce del lampione e scomparve nell’oscurità notturna.

Nota dell’autrice: Se siete arrivati fin qui, avete cominciato a viaggiare con me e speso resterete  a lungo. Vi lascio solo qualche parola di precisazione e poi ci rivediamo al prossimo capitolo!
Questa storia non contiene spoiler perché è ambientata prima dell’intera saga di TMI.
Mi piace essere molto precisa riguardo ai luoghi perché il racconto possa essere il più verosimile possibile, quindi strade, fermate della metro e locali sono tutti realmente esistenti a Londra.

Per ogni domanda, sono prontissima! Recensite e alla prossima!
   
 
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