Giochi di Ruolo > Altro
Segui la storia  |       
Autore: Marti5    20/10/2015    0 recensioni
[Apocalypse GDR]
[Apocalypse GDR]//Un'altra serie di FanFiction sulle coppie del Gdr Apocalypse, che non smettono mai di stupirmi e soprattutto non perdono mai smalto (spero di inserirle tutte, più in là).
Dedicata alle meravigliose Player con cui ho il piacere di ruolare
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mountain.
Thalìa masticava la spiga tra i denti con fare nervoso, come al solito, osservando il calare del sole oltre i picchi delle montagne. 
Aveva sempre odiato quel genere di mansioni. Le bestie al pascolo erano troppo quiete, troppo insulse per poterle davvero interessare, ma in quel buco di paese dove s'era andata a cacciare sembrava l'unica cosa degna di nota che potesse accaderle. O almeno, questo era prima dell'arrivo di Electra.
Aveva storto il naso, quando le avevano comunicato l'arrivo di una nuova allevatrice. Quel lavoro l'aveva sempre svolto lei, lei si erano spaccata la schiena dormendo sui sassi nelle notti calde d'estate, e lei aveva tenuto quel gregge lontano dai pericoli delle montagne. Era un compito cui aveva adempiuto per qualche mese da sola, e se l'era cavata benissimo senza l'ausilio di nessuno.
Il fatto che le avessero messo alle calcagna un'altra persona l'aveva infastidita non poco, sulle prime. E a quanto pareva nemmeno Electra era del tutto entusiasta di trovarsi a lavorare con lei. 
Avevano passato i primi tempi senza nemmeno guardarsi, dormendo nella tenda dandosi le spalle ed evitando qualsiasi argomento di conversazione che non fosse strettamente necessario.
Le settimane erano diventate mesi, e le due ancora non accennavano a voler cedere davanti alla ritrosia dell'altra. 
Tuttavia nemmeno il più cocciuto degli animi può sopportare tre mesi di silenzio incessante, e così gli sguardi arcigni avevano finito col trasformarsi in occhiate curiose. 
Thalìa ricordava perfettamente la loro prima conversazione. Una pecora era scappata per un passo tra falde del monte ove si erano sistemate, e lei aveva ben pensato di allontanarsi il minimo indispensabile per recuperarla senza perdere di vista il gregge.
Non aveva fatto caso al paio d'occhi che l'avevano seguita, l'aria famelica intrisa nello sguardo quanto nell'istinto animale che muoveva le mosse del lupo grigio. Thalìa fece in tempo ad afferrare la lana della pecora smarrita, prima di percepire il pericolo alle sue spalle.
S'era voltata lentamente, ed aveva visto la propria paura riflessa negli occhi gialli dell'animale. Una paura fottuta, che tuttavia stentava a mostrare persino a sé stessa. Aveva cercato il coltello che teneva sempre legato alla cintola, ma non aveva trovato nulla. Se Electra non avesse sparato, probabilmente ci avrebbe rimesso un braccio.
Forse la vita.
Thalià rise del ricordo di quella prima interazione, iniziata con un "Me la cavo da sola"sputato con astio e finita con un bacio insensato, assurdo, fuori contesto, eppure incredibilmente vero. 
Era sbagliato, era privo di senso, e se l'era ripetuto anche mentre ne ricambiava l'irruenza. Electra aveva labbra morbide, e un sapore speziato che le faceva girare la testa. Era stato uno shock scoprire quell'attrazione che aveva smosso la ragazza verso di lei fin dalle prime volte, attrazione che a lei era rimasta estranea fino a quel momento.
Credeva fosse colpa della solitudine che le stringeva ogni anno l'una contro l'altra, sempre più vicine, se quella situazione assumeva ai suoi occhi sfumature insperate giorno dopo giorno. Era certa che, lontana da lei, quella sensazione alla bocca dello stomaco si sarebbe dissipata. 
Anche Electra lo credeva. Eppure l'autunno arrivato dopo quel bacio rubato non portò altro che vuoto, e quell'inverno in cui rimasero lontane fu gelido, ma non per le basse temperature. Entrambe bramavano la presenza dell'altra, entrambe richiedevano i silenzi e le rare parole. E fino al giugno successivo tutte e due s'erano appassite ed erano rifiorite nella speranza di ritrovarsi.
Da quei giorni erano passati due anni. Gli incontri s'erano estesi anche ai mesi invernali, e Thalìa aveva preso casa nella stessa stradina ove abitava Electra, fingendo il nulla quando la incontrava di giorno, accendendo il proprio sguardo quando di notte restavano sole, a stringersi nel gelo di dicembre.
Scese dalla staccionata, il gregge tranquillo brucava indisturbato sul pendio. S'avvicinò a lei, posando una mano delicata sulla spalla e aggirandola, ponendosi di fronte a quel paio d'occhi che aveva imparato ad amare senza avere paura.
"Quest'anno non ci sono molti branchi in giro" Asserì distrattamente, portando lo sguardo oltre i pini secolari e le vallate. La vita da quel punto era straordinaria, eppure Thalìa non poté evitare di essere attratta da un elemento lontano miglia dai picchi dei monti, eppure racchiuso nell'azzurro delle sue iridi.
Electra rise, posando la fronte contro quella di lei, e socchiudendo gli occhi.
"Già. Possiamo stare più tranquille, una buona volta." Proferì divertita, portando il corpo ad aderire contro quello di Thalìa e cingendole la vita. "Più o meno..."
La giovane aprì gli occhi, sorridendo maliziosa e stampando un bacio semplice sulle labbra piene dell'altra. 
Non sapeva ancora come avrebbero affrontato quell'ennesima estate, ma in cuor suo sentiva che finché c'era lei avrebbe potuto affrontare tutti gli orsi e i lupi che Dio gli avesse mandato contro.


Sparkling.
La fiumana di persone presenti alla serata sembrava non avere fine, e si estendeva per svariati metri fuori dal Moulin Rouge.
Tuttavia Tristane non aveva nessuna intenzione di restare fuori. Aveva qualcosa di importante da fare, da dire, e se a stento sapeva come lei avrebbe potuto prendere quell'improvviso moto da parte sua, quel poco di incoscienza che aveva lo avrebbe fatto arrivare sotto quel palco anche a costo d'oltrepassare con la forza la calca.
Era stato sciocco. L'illusione di un amore sicuro gli aveva distorto la vista, inebriato dalla sicurezza di due braccia che non sarebbero mai state le sue, di due occhi che non potevano eguagliare la luce nelle sue iridi.
L'aveva lasciata andare via, e non sapeva se si sarebbe mai perdonato per questo. Non sapeva nemmeno se la propria contrizione sarebbe bastata come prova, ma avrebbe dovuto provare, quantomeno.
Perlopiù uomini accalcavano l'entrata, e Tristane provò un lieve senso di rabbia invadergli il petto.
Erano tutti lì per un motivo, e quel motivo era la sola luce che potesse illuminare davvero il palcoscenico del Moulin Rouge. Diamante Splendente, la chiamavano ora.
A lui era arrivata voce da una vecchia conoscenza. Non credeva che lei avrebbe mai potuto lavorare in un luogo del genere: se la ricordava timida, introversa, vulnerabile come un pulcino. E l'aveva amata da sempre, forse proprio per questo, senza rendersi conto. L'aveva trascurato, quel sentimento, ed era appassito lentamente sotto il suo sguardo, offuscato dalla figura di un'altra.
Ora che Tristane cercava di rimettere insieme i pezzi della sua vita, ora che lo spirito bohemien premeva sulle pareti del suo animo redento, l'unica Musa che avrebbe potuto ispirarlo era lì, nelle sale di piacere del più grande locale di Parigi.
La sicurezza aveva lasciato la sua mente nel momento stesso in cui aveva capito che stava marcendo dentro, che aveva perso la propria voglia di vivere dietro certezze effimere.
Ora, scavalcando le persone all'interno della grande sala, sentiva di non avere altro da fare che aggrapparsi ad un'altalena, lasciando che decidesse il suo fato. Un'altalena che ora calava dall'alto, e gli mostrava di nuovo le sembianze di lei. Paradossalmente non s'era mai sentito così vivo, come quando le sue dita avrebbero potuto saggiare l'ebbrezza di una fine definitiva.
Gli era sfuggita dalle mani per interi anni, e finalmente, allo smorzarsi delle luci, la vedeva. Un faro ne illuminava la figura, pallida ed eterea quanto la stella del vespro, e gli abiti ricoperti di gioielli lasciavano ben poco all'immaginazione.
Tristane non riuscì tuttavia a staccare lo sguardo dal viso perlaceo di lei, che con fare sicuro restava sospesa, inafferrabile e lontana, cantando la sua ostentazione al potere dei diamanti.
Sulle note di quella canzone Tristane s'avvicinò al palco, ove le gambe lunghe di Merope si stagliarono ben presto. Non sapeva perché, ma ora il nome da legare a lei era diverso da Daisy, così com'anche la sua natura sembrava del tutto differente. Era una donna a calcare quel palco, era una donna colei che danzava e cantava come fosse la dannazione più profana e la benedizione più pura al tempo stesso.
Il ragazzo intercettò il suo sguardo, e per un istante interminabile rimasero immobili, la gente e la musica dissolti nell'aria intorno a loro. Merope tentennò un attimo soltanto, prima di puntare lo sguardo con maggior sicurezza negli occhi di lui.
Che recitasse a Tristane apparve persino troppo chiaro, ma l'ombra dello stupore sul volto di lei gli diede la certezza che l'aveva riconosciuto. Non sapeva cosa fare, o cosa poterle dire in quel frangente.
Fu lei a rompere quel divario, avvicinandosi e continuando a cantare, senza distogliere lo sguardo dagli occhi cristallini di lui. Era certa che potesse scorgere nei propri occhi la paura, l'incognita che quella visita le aveva scaturito dentro. Tristane era sempre stato capace di leggerle dentro, come nessuno mai. E forse fu proprio quella consapevolezza a spingerla contro di lui, in una recita che sapeva fin troppo di verità non dette. 
Roteò attorno a lui, molto attenta a non toccarlo eccessivamente: persino sotto i guanti lo sfiorarlo ancora gli dava alla testa, la faceva ribollire e per quanto cercasse di combattere quelle sensazioni che aveva relegato per sempre in un angolo della sua mente, era inevitabile che provasse ancora così forte quelle sensazioni, sotto lo sguardo sempre pulito di Tristane.
S'accostò al suo orecchio, sul finire dello show, schioccandogli un bacio semplice sullo zigomo.
"Vieni dietro le quinte, e dimmi perché." Il suo tono avrebbe voluto essere freddo ed algido, ma quel turbine di domande che le balenavano in mente ogni secondo tradirono l'irrequietezza che non avrebbe più dovuto esistere, in lei. 
Tristane serrò la mandibola, vedendola sparire dietro le pesanti coltri di velluto rosso, e s'apprestò a raggiungere il retro.
Che fosse o meno una splendida attrice, la sua vista l'aveva sconvolta quanto lei l'aveva colpito, quella sera, mostrando una donna che avrebbe voluto essere diversa, ma che volente o nolente restava Daisy.
La sua Daisy, forse.
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Giochi di Ruolo > Altro / Vai alla pagina dell'autore: Marti5