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Autore: crimsontriforce    19/02/2009    0 recensioni
AMAZING MYSTery ADVENTURES #0: Il Terrore degli Abissi!
Azione! Tentacoli! Steampunk! Due eroi, due menti, una sola speranza: sopravvivere!
O, per dirla in quadroglifi Narayani: grossi tentacoli aiutano l'introspezione.
...suppergiù. Un pagina di diario Exileggiante, Voltaic-centrica, seria in tutto fuorché nelle intenzioni.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Atrus, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie '3. Storia antica ma non troppo'
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Capitolo 2 di 2 e completa. =( Niente più tentacoli. =( Mi mancheranno tanto, i tentacoli. Alla prossima!












24-1-1816


L'abbondante riposo non sembra aver inficiato la memoria degli eventi di ieri mattina. Procedo dunque a completare il resoconto prima che il tempo, tiranno, me ne strappi di mente anche una sola parola.

§

Ripresi conoscenza nel buio quasi totale.
L'aria era calda e umida, il silenzio rotto da tre principali elementi: il ronzio dei macchinari, il mio amico alle prese con un congegno che scattava a vuoto e le rabbiose frustate sul metallo al di fuori.
Il terzo elemento fugò ogni timore che le credenze D'ni sull'oltretomba potessero avere più di un fondo di verità, o almeno ogni timore relativo ad una mia personale partecipazione alle stesse. Macchinari nell'Era Perfetta? Probabile, molto probabile. Atrus? Certamente, quando giungerà il suo tempo, se un tal dualismo è nella realtà delle cose. Grossi tentacoli viscidi? Mi permetto di dubitarne.
Questi ultimi lasciavano aperta, per contro, l'ipotesi di Jakooth, ma confliggeva con la presenza di Atrus e ad ogni modo preferii non soffermarmici.
Di fatto, però, mi sentivo peggio che morta.

“Beh?”, chiesi intontita.
Quasi a comando della mia voce sgraziata, l'interruttore si attivò e l'area venne illuminata dalla luce fioca ma salda di una minuscola fire marble dalle tonalità giallastre.

Ero distesa sul terreno, ancora viva (l'infallibile spirito deduttivo non mi aveva, dunque, abbandonata: il misticismo D'ni poteva attendere) e con l'avambraccio sinistro fasciato alla meno peggio per proteggere un'escoriazione.
Atrus era seduto a gambe incrociate vicino a me, appoggiato alla parete rocciosa. Sopra le nostre teste, le sbarre erano state ricoperte da una corazza di piastre bronzee, impenetrabile dal sole quanto dal nostro avversario.

Esausta, scoppiai a ridere. Un rivestimento di piastre! Così assurdo, superfluo e al contempo così... appropriato, non trovo un termine migliore. Feci leva sul braccio sano e mi voltai a studiarne il progettista, con un sorriso sarcastico involontariamente stampato in volto.
“Dicevano lo stesso del camino”, rispose lui con un'alzata di spalle e tornò a confrontarsi con la stabilità della lampada.
Risi di nuovo, questa volta di cuore, a quel suo umorismo quieto, secco, come dicono gli Inglesi, e mi aiutò a ricordare che, nonostante tutto, ero – eravamo – in buone mani. In qualche modo ne saremmo usciti.
Come, però, era ancora oggetto di dibattito.

Nota: Deviatore rosso in prima posizione; |< | tacche a destra, | | | a sinistra, |) | a destra sulla manopola di regolazione dell'assetto. Da memorizzare in previsione della prossima permanenza sull'Era, prima che il tempo necessario a reperire l'informazione su un diario, per quanto ordinato, finisca per costare la vita a qualcuno.

Appreso quanto sopra esposto, levai lo sguardo al diario sopraccitato, ancora una volta grata a quelle espressioni di uno spirito vivace e metodico. Da lì, risalii naturalmente alla sacca che l'aveva contenuto, colta da una speranza improvvisa.
“Saremmo già lontani, amica mia.”
Chiesi conferma: “Nessun Libro?”
“Due, a ben vedere. Entrambi alla fine della corsa del dirigibile.”
“Avremmo potuto prenderne uno.”
“Avrei dovuto”, precisò, ma non gli lasciai modo di addossarsene tutta la colpa.

§

Mi alzai, con qualche fatica, e camminai fino al margine dello spiazzo in cerca di idee. Lì ebbi modo di osservare l'intricato gioco di ruote dentate che aveva innalzato lo scudo e lo reggeva. Diressi poi la mia attenzione al centro, ai controlli, analizzandone ogni leva alla luce delle conoscenze apprese.
Atrus mi osservava.

“È possibile invertire il flusso delle turbine?”, chiesi.
Scosse la testa.
“Eiettare materiale?”
Il solco sulla sua fronte si fece più profondo.
“Cosa intendi fare?”, chiese.
“Spaventarlo”, risposi, com'era naturale.
“Già l'abbiamo spaventato”, disse indicando lo scudo. “E non ha desistito. E, se necessario, intendi ferirlo?”
“Il minimo per permetterci di fuggire.”

Mi squadrò a lungo da dov'era seduto, stanco com'è sempre e deluso proprio da quella figlia grande che non aveva mai avuto. Quanto avrei voluto rimangiare quelle parole! Eppure ormai erano pronunciate e, con esse, la mia pochezza esposta a infiniti mondi.
Di tutte le immagini di una giornata tumultuosa, questa non mi lascerà per molto tempo:
“D'ni serve le Ere”, mi disse. “Non il contrario.” Ed era tutta la sua storia, la Storia, la morte di una civiltà.
Non c'era altro da aggiungere. Le sue parole mi sembrarono risuonare fra il brontolio delle macchine e il gocciare che seguiva ogni colpo rabbioso al di fuori e caricarsi di verità a ogni eco. Eravamo noi gli intrusi, noi gli ospiti indesiderati. Servitori forse, giammai padroni.
Abbandonai l'idea con un pugno al bancone, arrabbiata per aver cullato una falsa speranza di salvezza e non vederne altre, e andai a sedermi al suo fianco.

“Una fuga in corsa?”, chiesi dopo poco, ma già mentre davo voce al pensiero lo sentivo senza fondamenta e passai a pensare ad altro senza attender risposta.
La fuga sarebbe stata mia soltanto, senza dubbio. Abbassato lo scudo per il tempo necessario ad aprire la porticina, Atrus sarebbe rimasto in attesa mentre io mi sarei affidata alle gambe per tornare verso Tomahna e richiedere l'aiuto di Katran. Ma ciascuno può vedere – come già in parte ho illustrato – la fallacia di un tale piano. Che gambe, infatti, sarebbero sfuggite a una tal furia? Non le mie, non nelle condizioni in cui versavo. E a quanto ammontava il tempo 'necessario', sarebbe stato sufficientemente breve a garantire la sicurezza di Atrus? Probabilmente no. Per tacer dell'incognita che era Katran. Cos'avrebbe potuto fare? Tutto, se l'esperienza m'insegna, o nulla affatto.

Quest'ultimo punto fallava allo stesso modo la mia speranza successiva, che pure discutemmo a lungo. Quando Katran si fosse accorta del nostro ritardo si sarebbe allarmata... e? Ha i suoi mezzi, questo è indubbio, ma per loro stessa natura non sono affidabili in una situazione definita com'era la nostra. E dopo quanto ci avrebbe dati per dispersi (punto doppiamente dubbio dato che ben conosce suo marito)?

Così sedevamo fianco a fianco, mentre l'ottimismo scemava fino ad abbandonarci. La creatura non sembrava soffrire di un tale affanno dell'animo e perseguiva il suo scopo con una tenacia che ci parve soprannaturale, sia che ci avesse eletti a misero pasto, sia che fosse animata da una malignità che di norma è assente in natura.

§

Ricordo come un sogno il discorso che seguì, quasi fosse un frammento di calma incastonato fra emozioni che mi fiaccarono ben più degli effettivi sforzi compiuti.
Se la memoria mi sostiene, si svolse pressappoco così:

Eravamo assorti in riflessioni personali quando l'interruttore della lampada, unico nostro conforto, scattò e si spense, lasciandoci al buio. Non ci fu verso di riavviarla, convincendola a servirci per qualche tempo ancora prima di venir messa a riposo. Atrus raggiunse a tentoni i suoi attrezzi e ne svitò il coperchio, così che potessimo godere almeno del bagliore naturale della fire marble che vi era contenuta. Non amplificato, era sufficiente appena per vedere a poche spanne dai nostri nasi, ma sempre meglio di nulla.
“Hai paura, amica mia?”, mi chiese ad un tratto, mentre ancora ci lavorava.
Annuii.
“Sì”, risposi poi, dato che non mi poteva vedere. “Per Katran, per Yeesha e per le Ere”, aggiunsi, che era un modo meno diretto di dire: “Per te”.
Era un pensiero che mi risultava insopportabile. Riconoscevo la verità del suo insegnamento di prima – siamo stranieri in casa d'altri, il potere ci pone solo in una condizione di sudditanza verso chi dev'esserne beneficiario – ma! Parte di me, pur sapendo di essere nel torto, non riusciva ad abbandonare il pensiero che la vita di un calamaro troppo cresciuto non valesse quella di quello scrittore di mondi, e non mi davo pace.
“Per te, neanche un po'?”, mi chiese incuriosito.
“Qualcosa. Ma ho già visto più meraviglie di quante il più erudito professore possa dire di aver sognato e, se anche dovesse finire così... Tu?”
“Ovviamente.”
“Ma non è giusto”, lamentai.

In quel momento, il coperchio della lampada cedette e venimmo avvolti dal bagliore ambrato della sferetta al suo interno.
“Non sta a noi giudicarlo”, mi rispose, io cercai il suo sguardo e vidi che chi non aveva rinunciato a sperare, dei due, era lui.

§

“Cosa senti, amica mia?”
Sentivo un mostro battere al di fuori e uno scricchiolio sinistro che mi mandò il cuore in gola, così che per un poco non sentii altro. Ma dubitai che fosse quello il senso inteso, così mi concentrai sulle mie orecchie e ascoltai quel che avevano da dire.

Sentii il mare infrangersi più in basso: la marea stava calando.
Sentii lo stridio di uccelli ignoti che volavano in cerchio sopra di noi: lui non li infastidiva, loro non lo temevano.
Sentii la tensione della catena che manteneva alto lo scudo.
Sentii il ticchettio degli indicatori.
Sentii il tonfo ritmico del motore, lontano, sott'acqua, simile a quello dei pistoni di un motore a vapore.
A quel punto mi fermò. Mi chiese di riattivare lo schermo e sintonizzarlo sulla telecamera simboleggiata da una luna crescente (quella, come si premurò di ricordarmi, con la gobba a destra).
Gliene chiesi il motivo.

“Non ne sono certo”, rispose, “ma quello che cerchiamo è qualcosa che possa averlo spaventato.”
“Non gli uccelli, né un ticchettio gentile, ma...”, gli feci eco.
“Esatto. Cosa mostra la telecamera?”

Si alzò e mi raggiunse al pannello.
La telecamera ruotò fino a mostrarci la grotta che custodiva l'imponente struttura dei motori, fonte d'energia per l'intera rete: sensori, calcolatori per le analisi e la nostra stessa postazione. La grata che ne proteggeva l'ingresso era piegata. A una decina di gradi da quella, una seconda grotta si distingueva dalle tante che componevano il fondale: il tappeto d'alghe antistante era devastato, a testimonianza di una massa immane che avesse più volte attraversato l'entrata. La tana della creatura.
Atrus si appoggiò coi gomiti allo schermo. “È un problema”, mormorò.
“Perché?”, domandai. Il mio ragionamento era imbarazzante, nella sua ingenuità: trovata l'origine del problema, e non c'era dubbio che fosse quella, trovata la soluzione.
“Non ho mai installato un generatore autonomo.”

Iniziai a comprendere il dramma, mentre il mio amico recriminava schemi tecnici. Guardai in alto, verso quello che era diventato il tetto a placche del nostro piccolo mondo e che prometteva ora di crollarci addosso a un passo dalla libertà. La verità era semplice quanto un interruttore: posizione uno, motori accesi, stallo finché la creatura non avesse desistito, la protezione avesse ceduto o fame e sete ci avessero colti. Posizione due, motori spenti, forzatura. Ma verso quale finale? Lo scudo sarebbe sprofondato al cessare dell'energia. L'ira dell'avversario, invece?

“Capirà”, disse Atrus.
Ribattei che non poteva esserne certo, anzi.
“È stato abbastanza intelligente da risalire dai motori fin qui. Capirà che non intendiamo più disturbarlo.”
“La tua fiducia nel prossimo è ammirevole, amico mio, ma...”
“Finora, la storia mi ha dato ragione.”
Non era sicuro di quello che stava per fare: stava racimolando un coraggio che non gli apparteneva, traendolo dalla più cupa necessità. Ma non vedeva alternative.
“Appena la barriera scenderà”, mi disse, con la mano già stretta sulla prima leva dello spegnimento, “corri verso Tomahna. Sarà confuso dal cambiamento e questo ti darà un vantaggio. Io... spero di seguirti a breve.”
“Hai detto che capirà”, obiettai.
“Non possiamo esserne certi. Questa è la possibilità migliore che abbiamo.”
Annuii, per nulla convinta, in assenza di argomenti validi da opporre.
Ma nella mia testa andava formandosi un parallelo, ancora confuso, con un tempo vicino in cui le barriere erano due, l'attacco ugualmente disperato e le prime possibilità dettate da una logica semplice... tutte perdenti.

Lo sentii appena mormorare un saluto che avrei dovuto riportare a Katran.
C'è qualcosa di magico nelle idee risolutive, che un momento non esistono e quello dopo spingono a forza verso la follia, che pure è l'unica via d'uscita. Sono muse che vanno seguite senza che ci concedano il beneficio del dialogo, o del ragionamento, ché le mitigherebbe e le ricondurrebbe al rango di pensieri comuni.
O, forse, quel parallelo di cui narravo prima aveva preso piede nella mia mente con tutte le emozioni primitive che aveva portato con sé e ancora una volta agii d'istinto.
Di fatto non lo ascoltai nemmeno. Mi affrettai invece verso la borsa degli attrezzi e afferrai una grossa tenaglia. Mentre Atrus portava a termine i brevi passaggi della procedura di spegnimento, alle sue spalle mi avvicinai alla magnifica colonna d'ingranaggi che era la spina dorsale dello scudo e che si sarebbe presto inabissata insieme ad esso. S'innalzava come un gigantesco serpente e come tale sibilava, ora che le valvole stavano sfiatando in mille sbuffi di vapore. Con impeto simile a quello che animò San Giorgio nel trafiggere il drago (o, almeno, così mi sembrò sul momento, anche se a scriverlo stamane sembra puerile), mi avventai sull'ingranaggio portante e, con tutta la forza che mi è concessa, conficcai la tenaglia fra i suoi denti, bloccando il movimento di quello e dell'intera struttura.
Lo scudo tremò e si ribellò con uno schianto sinistro, ma cedette di poco più di un metro prima di arrestare la sua franata verso il basso.
Restammo immobili. Dopo un tempo che non saprei quantificare, l'ultimo assalto della creatura risuonò come una campana sulle placche e ci rilassammo a sufficienza da guardarci attorno.

§

Tutto taceva, fuorché il mare al di sotto. Un fascio di luce batteva sulla parete rocciosa alle nostre spalle, un segno del del tardo mattino filtrato attraverso la nuova apertura. Fu funesto per i nostri occhi abituati all'oscurità, ma tuttavia araldo di pace e ospite gradito.
Dovetti aver assunto un'espressione di rara comicità mentre cercavo parole che spiegassero il mio gesto. Vorrei avere avuto modo di osservarmi. Di fatto, Atrus mi squadrò come fossi un animale esotico, esterrefatto dallo svolgersi degli eventi.
“Non... avevamo la qualità”, balbettai aggrappandomi al comune interesse per il nobil giuoco. “Sciocco forzare lo scambio.”
Sembrava divertito.
“Al contrario dell'eleganza sottile di un'impedonatura?”, commentò saggiando la resistenza della tenaglia, ben salda sotto una pressione di migliaia di migliaia di torr.
Era, quello, un dettaglio che nella foga del momento mi era del tutto sfuggito. Mi offrii senza troppo entusiasmo di tentare una scalata, ma convenimmo presto che la soluzione migliore consistesse nel ridare pressione minima per il solo tempo necessario a disincastrare l'attrezzo... quando la creatura fosse stata ragionevolmente lontana.

Attendemmo, riposando sotto il sole a picco.

§

Trovammo l'ardire di riaccendere i motori che l'astro si era ormai ritirato oltre le rocce. Le placche che formavano lo scudo si ritrassero le une sulle altre e discesero oltre la piattaforma, lasciandoci liberi di uscire.
Ci stavamo giusto incamminando quando sentimmo l'acqua ribollire alle nostre spalle. Con un brivido, mi girai e vidi il corpo bitorzoluto della creatura emergere al largo della costa. Credo che il ritorno temporaneo del rumore l'abbia insospettita e sia ritornata a controllare. Nessun motore stava più turbando la sua pace, però, né sarebbe accaduto in futuro. Innalzò due tentacoli (forse sede del suo udito?) e con quelli sembrò salutarci prima di voltarsi verso l'orizzonte e allontanarsi nuotando in superficie.

Ora, non ho mai visto un elefante, una balena o altri di quegli animali di cui gli esploratori parlano come se provenissero da mondi lontani e meravigliosi, e le mie passate esperienze col grande Wahrk non furono 'nulla di cui raccontare a casa'. Eppure penso di non dire il falso nell'affermare che non c'è spettacolo pari alla maestà con cui quel corpo verde e lucido fendeva l'acqua, seguito dalla massa frusciante dei suoi tentacoli, sotto la luce vespertina di Voltaic, quando già s'intravvedevano le prime stelle.

Tornammo a casa.






P.S.: A breve, Atrus troverà un nome scientifico per la creatura. So che aveva intenzione di consultarsi con Katran, dato che aveva battezzato lei l'Era, e la questione potrebbe conseguentemente tirare per le lunghe. Per quel che mi riguarda, nel mentre, il nostro suscettibile ospite si chiama Con, in memoria di mia zia Connie: appiccicosi alla stessa maniera.
















Nerdaggine & credits, parte 2 di 2

@ dry humour: quello è più Rand che Atrus, non fosse che di regola non riesce a star serio fino alla fine della battuta, ma vabbe'.

@ come dicono gli Inglesi: la mia Straniera non è madrelingua inglese, è un punto fermo di come la immagino da quando... da quando nessuno mi aveva detto che non ero propriamente io, là dentro. Fra l'altro, il tutto ha l'indubbio vantaggio che può scrivere ogni fregnaccia & fangirlata nel suo diario senza che i padroni di casa sbircino (aka 'Se il lab journal di Gehn mi ha insegnato qualcosa...')

@ fire marble birichina: è puro bashing sulle fottute biglie... ho un codice d'onore per quel che riguarda i personaggi (a parte che in Myst li amo tutti, svantaggiati inclusi e, sì, anche Marrim e Sirrus) che non si applica agli enigmi. è_é

@ emozioni primitive: primitive come un martello in selce, ahr ahr...oklasmetto.

@ sagacia scacchistica: sono arrugginitissima, mi sembra avere un senso, ma se non l'avesse ditemelo, vi prego >_< Lo scambio è idealmente alla pari: la protezione contro la rabbia del calamarone. Ma i due sono in svantaggio e devono guadagnare qualità, uno scambio alla pari è svantaggioso. L'impedonamento è perché in seguito a quella 'mossa' si sono ritrovati in una situazione scomoda, un po' stupida e da cui è dannatamente lungo uscire.

@ Kathy battezzatrice di Voltaic: losolosolosoèunasvicolatalamermaèpiùfortedime.

@ titolo: Con come preposizione semplice, per un'avventura meno in solitario del solito. Con come con-servative, perché per qualcosa che era partito per essere l'esatto opposto di quel che scrivo e del canone ha finito per avere molto dell'uno e (soprattutto?°°) dell'altro. Con come con-vict: prigionieri dell'ignooooooto!!11 Con come trucco, perché l'intro non è del tutto onesta (ma quanto mi ci son divertita!). Con come con-sensual, che coi tentacoli ci sta sempre be...no? Infine, Con come Connie, il calamaro locale. Di' ciao, Connie!

   
 
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