Serie TV > I Borgia (Faith and Fear)
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Autore: Greta Farnese    24/10/2015    1 recensioni
Perdonate la mia clamorosa assenza su EFP! Ritorno ora con una Fan Fiction ambientata in "Borgia - Faith and Fear", la serie francese dei Borgia, per intenderci, che ho cominciato a vedere un po' di tempo da dopo aver terminato la canadese.
Questa storia è un po' strana persino ai miei occhi, lo ammetto, ma ho voluto sperimentare e vedere cosa sarebbe successo.
Guardando la serie, dalla puntata in cui Alessandro aiuta Lucrezia ad ottenere l'annullamento dalle nozze con Giovanni Sforza, mi sono ritrovata a shippare troppo Alessandro&Lucrezia, e anche se so già che non accadrà niente tra loro (sebbene sia alla 2x02), la mia mente malata ha deciso di provare a scrivere di una loro love story.
Questa Fan Fiction esplorerà dunque il mutamento del loro rapporto dal funerale di Pedro Luis, dove si rivedono dopo un paio di anni.
Spero che possa piacere; le recensioni sono, come sempre, gradite.
Un abbraccio e buona lettura :))
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ALESSANDRO
La cena di quella sera fu la più brutta della mia vita.
Riuniti attorno al tavolo rotondo dell'umile cucina di Vannozza c'eravamo, oltre alla padrona di casa, solo io, Cesare e Lucrezia. Le pietanze erano numerose e tutte gustose, e il vino scorreva a fiotti, ma l'atmosfera era cupa e imabarazzata, tanto che in più di un momento avevo desiderato che Juan tornasse dal bordello o che Goffredo o persino il piccolo Ottaviano venissero in cucina, magari per reclamare qualcosa da mangiare.
Cesare era di umore assai cupo, parlava poco e quando lo faceva cacciava di bocca le sue frasi deprimenti; sapevo per esperienza che era meglio lasciarlo in pace quando si sentiva così. Intanto lui se la stava prendendo con la carne, mangiandola senza posate e strappando bocconi coi denti con la stessa foga di un leone affamato da settimane.
Io non potevo certo dire di apparire meglio, anzi. Tutta la mia eloquenza sembrava svanita, e tutto ciò che ero in grado di fare si riduceva al rimanere ora in silenzio, di tanto in tanto facendo qualche complimento a Vannozza per la cucina. Mi sentivo la mente come annebbiata, e non era certo colpa del vino. Lucrezia era silenziosa, e ogni tanto mi sentivo i suoi occhi puntati addosso, che non cercavo mai di incrociare. Per qualche strana ragione, sospettavo che fosse proprio la sua presenza la causa della mia inquietudine.
Perciò alla fine fu la povera Vannozza a sforzarsi di fare conversazione, sebbene fosse piuttosto difficile, con tre adolescenti muti e imbronciati che mangiavano quasi senza commentare. Quando finimmo l'ultima portata della cena, ovverossia una fetta di crostata ai lamponi, temevo che quell'atmosfera imbarazzante sarebbe proseguita, magari durante il gioco a carte del dopocena, ma proprio in quel momento con tempismo perfetto sopraggiunse Juan, che invitò me e Cesare a fare un giro fuori con lui e ad andare a bere qualcosa. 
Inutile dire che accolsi la proposta con molta gioia; in quel momento non c'era niente che desiderassi di più che lasciare quella cucina.

LUCREZIA
Nonostante la cena fosse stata probabilmente una delle cose più imbarazzanti che avessi dovuto affrontare durante quella prima parte di vita, fui dispiaciuta quando Juan sopraggiunse. Non riuscii a comprendere appieno il perché; avrei dovuto essere felice che quella tortura forsse terminata. 
Per timore di essere osservata, iniziai a portare i piatti dal tavolo al lavabo, e intanto sentii mia madre dire a Juan di non far fare troppo tardi ai due più piccoli e di riportarli direttamente alla Cancelleria. Alla Cancelleria veramente ci sarei dovuta tornare anch'io, per la notte, sebbene quella prospettiva non mi facesse fare propriamente i salti di gioia.
- Lucrezia, saluta - sentii intimarmi mia madre.
Mi voltai e stampai due baci sulle guance di Cesare. - Sorridi, che non è morto nessuno - gli sussurrai, poi mi resi conto che effettivamente qualcuno era morto, e quel qualcuno rispondeva al nome di Pedro Luis. Mi morsi il labbro, ma lui non parve farci caso, né a quel gesto né alle mie parole.
Si limitò ad annuire, poi si infilò il cappuccio nero sul capo. A quel punto avrei dovuto salutare Alessandro; e mi sentii di colpo imbarazzata. Sospettavo fosse lui la causa del mio imbarazzo generale, durante quella cena, dopotutto, al silenzio ombroso di Cesare ero più che abituata.
Ero molto indecisa sul come salutarlo, poi, per una volta, decisi di lasciare a lui l'onere. Dopotutto, io mi ero già sbilanciata quella mattina abbracciandolo. Ma sbilanciata per cosa, mi chiesi? Alessandro era un amico di famiglia, che conoscevo dall'infanzia, tutto qui.
- Buonanotte, Lucrezia - mi disse, poi mi baciò sulla guancia. 
- Spero che la cena sia stata di tuo gradimento - gli urlai dietro.
- Per "cena" intendi il pasto o la compagnia? - mi domandò mentre si infilava a sua volta il cappuccio. Per fortuna Juan abbaiò loro di muoversi; non avrei trovato il coraggio di rispondergli, timorosa com'ero che la compagnia gli fosse dispiaciuta, e come dargli torto? Quella cena era stata un mortorio.
Mentre la porta si chiudeva, mi preparai per tornare alla Cancelleria. Il marito di mia madre, Carlo Canale, mi avrebbe dato uno strappo con la sua malridotta carrozza fino al palazzo.

ALESSANDRO
Quella sera fu ricordata in seguito in tutta Roma, o perlomeno, in tutte le sue taverne. Quella fu la sera in cui Cesare Borgia tagliò letteralmente il terzo dito della mano di Marcantonio, rampollo della casa dei Colonna, nemici giurati dei Borgia.
Non chiedetemi come avvenne. Io ero lì fisicamente, ma non lentamente. Volevo solo tornare alla Cancelleria. La coscienza dentro me mi rimordeva; avrei dovuto preoccuparmi di quello che stava succedendo. Il taglio del dito avrebbe avuto conseguenze politiche anche gravi, poteva forse persino compromettere qualcosa, e io pensavo ad andarmene.
Se non altro, il gesto di Cesare ci diede l'impulso di andarcene. Insieme a noi, oltre a Juan, c'era anche Giovanni de' Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e compagno di università mio e di Cesare, appena fatto cardinale. Non riuscii a capire l'utilità della sua presenza. Non avevo voglia di chiacchierare, e nemmeno di bere, stranamente, volevo solo farmi un bagno e riprendere in mano i miei libri di diritto. La notte era uno dei momenti migliori per leggere e studiare. Purtroppo, sospettavo che ci avrebbe attesi una sonora lavata di capo del vicecancelliere.
La lavata di capo ci fu, in effetti, ma non fu tanto terribile quanto l'avevo prospettata. Il cardinale ci limitò a ripeterci cose che già sapevamo, vale a dire che questo era un periodo di grande importanza per noi, per Roma, e per il mondo, che dovevamo essere pronti e tenere con noi le armi "anche quando andavamo a messa". Forse la ramanzina se la sarebbe beccata Cesare il mattino seguente.
Io non augurai la buonanotte a nessuno, filai nella camera che mi era stata assegnata, mi feci ill bagno e dopodiché mi addormentai sui miei amati testi di diritto.

LUCREZIA
Il mattino seguente iniziò già male.
Mi ero raffreddata, la gola mi bruciava e il naso era chiuso. Nulla di grave, per fortuna, era una semplice infreddatura che mi era già venuta altre volte. A colazione, lo comunicai alla domestica che mi diede una tisana al miele. Dovetti sorbirmi il "discorsetto" di Giulia Farnese, la concubina di mio zio, sul fatto che ero una sgradevole, stupida ragazzina che non aveva nemmeno la testa per mettersi uno scialle intorno alle spalle quando uscivo la sera. In pratica, mi ero meritata il raffreddore.
Mi consolai pensando che probabilmente anche Cesare si stava sorbendo un discorsetto, da nostro zio, e riflettei che era molto peggio essere rimproverati dall'unico parente che ci era rimasto che da una concubina la cui volgarità sprizzava da tutti i pori.
- Mio fratello è già sveglio? - chiese poi ad Adriana, la cugina di nostro zio, che era la mia tutrice ufficiale. Aveva cresciuto tutti noi Borgia, e io non la sopportavo. Era falsa e cinica, mi detestava e spesso era in combutta con Giulia contro di me, naturalmente. Quasi non vedevo l'ora di sposarmi, così non l'avrei rivista mai più.
- Fratello? - chiesi a Giulia, dimenticando il mio consueto proposito di non rivolgerle mai la parola, mentre intingevo il biscotto d'avena nel latte di mucca.
- Sei davvero una stupida - ripeté lei. - Come se non lo sapessi, che mio fratello è il migliore amico del tuo.
Quasi il biscotto mi andò di traverso. Alessandro era il fratello di Giulia, ma certo! Era buffo, ma non ci avevo mai pensato. Questo mi demoralizzò parecchio. Lei non mi sopportava, e... E cosa? Certo che mi frullavano strani pensieri nella mente, ultimamente. Alessandro era un mio amico, tutto qui. E Giulia non era la sua tutrice.
Intanto le risposi come al solito a tono: - Come è possibile che tuo fratello sia così dolce e affettuoso e tu sia una simile arpia?
- Suppongo che sia perché lei è quella che ha trascorso più tempo con nostra madre - disse una voce ben nota alle mie spalle.
Sarei voluta sprofondare. Avrei desiderato che la terra aprisse una voragine e mi inghiottisse. Certo che ero proprio fortunata, ultimamente. Insomma, quante possibilità c'erano che tra tutti quelli che abitavano e lavoravano alla Cancelleria sarebbe entrato proprio Alessandro Farnese, e proprio nell'istante in cui facevo un complimento a lui denigrando la sorella?
   
 
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