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Autore: yllel    25/10/2015    3 recensioni
Raccolta one shot Sherlolly.
Ovvero: idee che proprio non se ne vogliono andare. Spoiler su TAB
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SASSOLINO # 2
 
“Molly!”
La Dottoressa Hooper alzò la testa dal microscopio a cui stava lavorando con uno scatto improvviso, e contemporaneamente si voltò  verso l’entrata del laboratorio da dove il suo nome era stato praticamente urlato.
Sherlock entrò a razzo facendo sbattere le porte contro il muro con forza , dietro di lui John spalancò le braccia d’istinto per evitare che il rimbalzo delle  ante lo colpisse in pieno.
“Che succede?” chiese allarmata la patologa: i tratti del viso e le labbra strette del consulente investigativo rivelavano una pronfonda tensione, ma per tutta risposta ciò che ottenne fu un’altra domanda.
“Dove sei stata?”
Molly si alzò dallo sgabello su cui era seduta e si avvicinò di un passo, uno sguardo confuso sul volto.
“Chiedo scusa?”
Sherlock avanzò  ulteriormente con le mani ficcate nelle tasche del cappotto.
“Dove diavolo sei stata?” chiese di nuovo con la voce alta e in tono aggressivo “Dove eri prima di iniziare il tuo turno quindici minuti fa?”
Istintivamente lei fece un passo indietro, quasi spaventata da quella specie di attacco: rivolse uno sguardo confuso a John, che però si limitò ad alzare le spalle in segno di impotenza.
“Io... io ero qui” rispose piano “Morrison si è ammalato e ho iniziato prima per sostituirlo su un’autopsia. Sherlock, che succede? Perchè sei cosi nerv”
“Dove è il tuo telefono?” l’interruzione arrivò rabbiosa ed ebbe l’effetto di far nascere una forte irritazione in Molly, che si ritrovò a rispondere questa volta con un tono di voce più alto.
“In borsa, santo cielo!” esclamò indicando il tavolo dietro di lei “Mi vuoi spiegare che cos’hai?”
Pe tutta risposta, il consulente investigativo si diresse deciso verso il punto indicato da Molly ed  estrasse il cellulare dalla borsa, lo guardò per un attimo e poi lo puntò con fare accusatorio verso la patologa.
“È in modalità silenziosa. Ed è quasi scarico”
Molly  gli si avvicinò, uno sguardo sempre più irritato sul volto.
“Può darsi, si. Prima di cominciare ho avuto una riunione e ho tolto la suoneria. Devo essermi dimenticata di riattivarla e di controllare la carica, ma mi dici cosa c’è di cosi sbagliato?”
I suoi occhi caddero sul display e si allargarono per lo stupore.
Risultavano una ventina di chiamate e altrettanti messaggi, tutti di Sherlock.
“Mi hai cercata. Mi dispiace, io...” iniziò cominciando a capire, cercando tuttavia di non roteare gli occhi e lasciarsi scappare un sospiro a quella reazione che le sembrava un po’ esagerata.
“Una cosa sola” iniziò però con voce tesa lui “una cosa sola è richiesta, non ci vuole un genio per ricordarsene... la suoneria esiste per un motivo, per essere avvertiti quando si è cercati. Caricare il telefonino è un gesto che qualsiasi idiota può compiere, non capisco quale sia la difficoltà”
“Sherlock...” John aveva evidentemente deciso di intervenire, ma il suo tono che invitava alla ragionevolezza non sortì alcun effetto.
Le mani di Molly si strinsero a pugno per la rabbia, ma si ritrovò incapace di reagire a quella cattiveria e subito dopo Sherlock decise di rincarare la dose.
“Ci si aspetterebbe di meglio da una laureata con un dottorato” urlò di nuovo agitando le braccia “ma a quanto pare questo non mette al sicuro dall’essere degli idioti!”
Molly sobbalzò all’insulto e John decise di farsi sentire  in maniera più energica: si frappose  fra i due e cercò  il contatto visivo con l’amico alzando le mani per invitarlo a calmarsi.
“Sherlock adesso basta!” gli disse con fermezza.
Il consulente investigativo si zittì e rimase a respirare forte per qualche secondo ancora in preda all’agitazione, poi lanciò il telefonino sul tavolo  e con un movimento veloce uscì  dal laboratorio.
Dopo qualche attimo di silenzio John si avvicinò a Molly e le appoggiò con gentilezza una mano sulla spalla.
Lei gli rivolse uno sguardo perso e confuso al limite delle lacrime.
“Mi dispiace, tesoro...” disse gentilmente il Dottore “c’è stata un’altra aggressione a una donna che correva nel parco. E questa volta è stata brutta... la donna è morta. La descrizione parlava di un corpo minuto e capelli castani. Lui...” John fece un respiro profondo “lui ha cominciato a chiamarti subito e non si è calmato neanche quando ha palesemente capito che non eri  tu. Ha visto il corpo ed è rimasto a fissarlo senza dire una parola per un tempo interminabile”
 La patologa si portò una mano alla bocca.
“Avrei potuto essere  io perchè in teoria il mio turno sarebbe dovuto cominciare solo pochi minuti fa” mormorò.
John annuì piano.
“E tu non rispondevi al telefono e non eri a casa. Sherlock è andato nel panico più assoluto... e questo è stato il suo modo di reagire. Non dico che sia giusto ma cerca di capirlo, ok?”
 
***
 
Una persona qualunque avrebbe pensato bene di non ritornare più su di un tetto sul quale aveva affrontato un pericoloso criminale, per poi buttarsi  e fingere un suicidio subito dopo che il suddetto criminale si era sparato.
Ma Sherlock Holmes non era una persona qualunque e Molly Hooper lo sapeva bene.
Dominare Londra con lo sguardo dal tetto del Bart’s aiutava l’uomo a rilassarsi e a concentrarsi e quindi ci andava spesso, restando ore con gli occhi rivolti all’orizzonte.
Dopo aver chiuso con calma la porta che dava sul tetto, Molly si avvicinò piano a Sherlock  consapevole del fatto che lui aveva già colto il suo arrivo, ancora un po’ incerta se questo potesse essergli una cosa gradita  ma determinata comunque a restargli accanto: dopo qualche istante di silenzio e senza il minimo cenno da parte sua gli si avvicinò ulteriormente e lo abbracciò da dietro, circondandogli piano il torace e appoggiandogli  la guancia alla schiena.
Sentì i  muscoli di Sherlock irrigidirsi per un istante e poi rilassarsi impercettibilmente, fino a che le sue mani non arrivarono a coprire le sue e le strinsero forte.
Molly fece un respiro profondo.
“Scusa” mormorò “So che mi raccomandi sempre di tenere il telefono a portata di mano e ben carico, ma questa mattina sono uscita di corsa e mi è sfuggito di mente”.
Sherlock abbassò la testa e di nuovo entrambi rimasero zitti.
“La vittima è stata picchiata dopo essere stata gettata a terra” iniziò infine lui con voce bassa “Trattenuta a forza sul terreno... per qualche motivo ha deviato dal suo solito percorso e il killer la stava aspettando”
Molly rafforzò la sua presa e rimase in attesa delle parole successive.
“Tutto ciò l’ho capito negli ultimi quindici minuti... ho rivisto la scena nella mia mente e ho ricostruito l’aggressione. Ma mentre ero li... mentre guardavo il corpo di quella donna non riuscivo a pensare ad altro che al fatto che potevi essere tu. Alla fine non ti somigliava nemmeno, ma il mio cervello si è rifiutato di andare oltre e ho avvertito questo bisogno di sentirti, questo bisogno di essere  sicuro che tu stessi bene. Ho continuato a chiamarti e richiamarti e non riuscivo a sentire la tua voce”
Il cuore di Molly si strinse di dispiacere al tono basso e spaventato di Sherlock, il quale sembrava incapace di venire a patti con il fatto di essersi fatto condizionare  dalla paura e dall’irrazionalità.
“Amarti a volte è difficile” continuò ancora lui.
La patologa si irrigidì a quelle parole mormorate con una dolorosa consapevolezza, e iniziò provare una sottile paura all’idea che Sherlock volesse rinunciare a loro due per evitare di poter essere in futuro travolto di nuovo dai sentimenti e dalle emozioni.
Finalmente lui si sciolse dall’abbraccio e si voltò: le prese il volto tra le mani e il suo sguardo era talmente profondo e appassionato da colorare i suoi occhi di un blu scuro.
“Ma è la cosa più bella e complicata che mi sia mai capitata e non voglio farne a meno” disse chinandosi su di lei per baciarla.
Molly gli intrecciò le mani nei capelli e si lasciò andare a un sospiro di sollievo quando, finito il bacio, rimasero di nuovo abbracciati, il mento di Sherlock appoggiato sui suoi capelli.
“Non andare più a correre fino a che non lo prenderò”
Nonostante il suo tono di supplica, lei si ritrovò a ad alzare la testa per guardarlo negli occhi e a scuoterla decisa.
“Sherlock, no. Non voglio rinunciare a quello che mi fa stare bene”
Avvertendo una protesta in arrivo, lei alzò una mano e la appoggiò con delicatezza sul suo torace.
“Abbiamo creato apposta il gruppo su Whatsapp... nessuna di noi va mai da sola e ci organizziamo per essere sempre almeno in tre. E sai bene che quando corro il mio telefonino è sempre carico... ci sentiamo sempre con anticipo per essere sicure di fissare orari e percorsi, evidentemente quella povera donna non era in contatto con noi, o non sarebbe successo nulla”
L’espressione di Sherlock si fece attenta.
“Il killer sapeva che sarebbe stata sola...” mormorò.
Molly seguì velocemente il suo ragionamento.
“Quindi ha potuto seguirla e agire indisturbato. Ma come poteva esserne sicuro?”
Un sorriso apparve sul volto del consulente investigativo.
“Non poteva. A meno che qualcuno non gliel’avesse confermato”
“Pensi a un complice?”
“Penso a una complice”
“Che cosa??”
“Rifletti  Molly. Chi meglio di qualcuno che fa parte del vostro gruppo potrebbe aggiornarlo? La vittima ha deviato il suo percorso perchè si sentiva al sicuro... stava correndo con un’altra donna che invece l’ha attirata nella trappola!”
Lei annuì piano.
“Nel gruppo ci sono un sacco di iscritte, non ci conosciamo tutte di persona ma naturalmente ci fidiamo del fatto che siamo tutte donne e quindi a volte capita di correre con delle sconosciute”
Sherlock battè le mani con soddisfazione e sfilò il telefono dalla tasca per azionare una chiamata.
“Lestrade? Dobbiamo fare dei controlli incrociati... si. Sarò da te quanto prima”
Con movimenti agitati si diresse verso le scale per scendere, poi sembrò ripensarci e tornò indietro per baciarla di nuovo  con passione.
“Il caso sarà risolto entro breve!” disse con un sorriso enorme quando si separarono “Io e te insieme possiamo affrontare tutto, Molly Hooper!”
Lei gli sorrise con dolcezza.
“Anche la paura?”
Lui annuì piano.
“Anche la paura”
 
 
 
 
  
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