Serie TV > Da Vinci's Demons
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Autore: _armida    26/10/2015    2 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo XX: La Moneta

"Leo! Leo!", urlò Elettra facendo irruzione della bottega dell'artista. La ragazza era euforica e sprizzava energia da tutti i pori. Al vedere l'ambiente ancora scuro, corse ad aprire le imposte, permettendo così alla tiepida luce dell'alba di entrare.
Un Nico ancora assonnato si alzò pigramente dal proprio giaciglio, stropicciandosi gli occhi. La guardò mentre saliva le scale. Portava sotto braccio un grosso volume rilegato in pelle nera.
"Leonardo", chiamò una volta arrivata in cima. 
"Saranno le sei di mattina, sono andato a dormire si e no un'ora fa!", mugugnò Zoroastro con le chiappe al vento, nascondendosi la testa sotto al cuscino. Il casino fatto dall'amica poco fa lo aveva evidentemente svegliato.
Elettra guardò divertita la scena che aveva davanti agli occhi: sul letto matrimoniale dell'artista vi erano Zo, completamente nudo che dormiva (ci provava, almeno) a pancia in giù e senza neanche un lenzuolo addosso e poi, dall'altro lato, un ammasso informe di coperte. Da Vinci doveva trovarsi lì sotto, ad occhio e croce. Dovevano aver bevuto parecchio al Cane Abbaiante, la sera precedente. Non era la prima volta che quei due, completamente ubriachi, finivano a letto insieme. Capitava spesso in realtà. 
La ragazza sbuffò spazientita: quello che doveva dire a Leonardo era importantissimo; non aveva neanche un minuto da perdere! Sentire Zoroastro russare, poi, la fece irritare ancora di più. Senza pensarci due volte prese saldamente il pesante libro tra le mani e lo tirò sul sedere del poveretto. 
L'urlo che Zo lanciò e i suoi successivi gesti, Elettra non se li sarebbe mai scordati: lo vide spostarsi di colpo in avanti, andando a sbattere la testa contro la testiera del letto.
Si mise a ridere, imitata nel frattempo da Leonardo che, ridestatosi dal suo letargo, aveva fatto la  sua comparsa da sotto lo spesso strato di coperte.
Anche Nico, che nel mentre era arrivato al piano superiore, alla vista dell'amico che, con una mano si massaggiava la testa e con l'altra il fondoschiena, dove aveva fatto la sua comparsa un grosso rettangolo rosso, si mise a ridere. Risero talmente tanto che avevano tutti e tre le lacrime agli occhi.
"Divertente, davvero divertente", disse Zo sarcastico, "E al povero Zoroastro e al fatto che non potrà sedersi comodamente su una sedia per i prossimi giorni perchè avrà il culo in fiamme chi ci pensa?". Sul sedere aveva stampata la sagoma del libro che Elettra si era portata appresso.
La ragazza si ricordò improvvisamente il motivo per cui era lì. "Leo, devo farti vedere una cosa". 
Nico e Zoroastro la guardarono preoccupati: aveva quell'espressione da pazza tipica di quando le veniva qualche folle idea. Leonardo invece, contagiato dall'euforia della bionda, era impaziente di sentire le novità. Ormai non ci faceva più caso all'espressione da pazza dell'amica, in fondo, era la stessa che faceva anche lui in momenti come quello. La vide sfilarsi il suo ciondolo a forma di cuore e sistemarselo sul palmo della mano. Fece scattare il meccanismo per aprirlo e poi pronunciò una semplice parola in latino: "Lux", luce.
L'intera stanza fu illuminata da una luce blu quasi accecante.
"Porca puttana!", fu il commento di Zo. Dalla sorpresa fece un balzo indietro, inciampò nei propri vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento e cadde con il sedere a terra. Quella non era proprio la sua giornata...
Elettra chiuse la mano a pugno, facendo così sparire quella luce. Sorrise soddisfatta di sè stessa, quando vide le facce degli altri: Nico la osservava con gli occhi fuori dalle orbite e aveva un'espressione terrorizzata; Leonardo, invece, era ammutolito di fronte ad un tale artificio. Aprì la bocca per dire qualcosa ma fu interrotto dallo sbattere della porta della bottega e da un romore di passi.
"Leonardo!". Era la voce del Verrocchio. E sembrava parecchio preoccupato.
"Siamo di sopra", rispose.
Andrea arrivò al piano superiore ansimante e in camicia da notte. Teneva in mano un compasso da disegno. Si guardò in giro, come se cercasse qualcosa. "Cosa è successo qui dentro?", chiese. Vista la strana luce aveva pensato che il suo miglior allievo si fosse dato nuovamente al testare fuochi d'artificio all'interno della propria bottega.
"Niente di chè", rispose Zoroastro con finta non curanza, "Solo Elettra che ha deciso di farsi condannare per stregoneria... ma per il resto è tutto nella norma"
Il Verrocchio guardò allarmato la sua allieva. "Che cosa?!"
"Zoroastro esagera sempre", si difese lei.
"Che cos'era quella luce?". Andrea, tuttavia, non era certo di voler sentire la risposta.
Elettra ripetè i gesti che aveva fatto poco prima ma, questa volta, fece in modo che il bagliore fosse meno intenso. Si era resa conto di aver esagerato un pochino, prima.
Il suo maestro la guardò con il terrore negli occhi. Leonardo, invece, ne era sempre più affascinato. "Bambina mia, cosa hai fatto?". Il pensiero che lei e Leonardo si cacciassero in qualche grosso lo destava spesso la notte. Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto.
"Non è fantastico?", disse lei con un sorriso a trentadue denti. Nè Elettra nè Da Vinci capivano la preoccupazione degli altri tre.
"Come ci riesci?". Leonardo era impaziente di scoprirlo.
"E' tutto qui", rispose l'amica porgendogli il grosso volume nero. Era lo stesso che avevano sfogliato il giorno del banchetto, nella biblioteca della casa della ragazza.
Leonardo lo prese fra le mani, cominciando a far girare le pagine, nel tentativo di capirci qualcosa, ma era scritto in arabo, lingua di cui l'artista non sapeva assolutamente niente. "Hai ripreso la ricerca del Libro delle Lamine", constatò felice.
"Il Turco è venuto a trovarmi stanotte". Elettra gli raccontò della biblioteca, di quello che era riuscita a ricordare dell'agguato e del fatto che Lucrezia e sua madre fossero ancora vive, almeno secondo Al-Rahim. Mentre parlava, gli occhi le divennero lucidi dalla commozione.
"Hai passato tutta la notte sui libri?". Zoroastro odiava leggere.
"Ehm... più o meno". Ovviamente dal suo reso conto sulla nottata aveva tralasciato la parte riguardante l'ospite che era andata a trovarla in soffitta.
"Ora dimmi cosa hai scoperto leggendo quel libro". Leonardo voleva sapere a tutti i costi cosa c'era scritto. Il non saper leggere l'arabo lo irritava; un giorno o l'altro se lo sarebbe fatto assolutamente insegnare.
Elettra gli sorrise, prendendo tempo. Le piaceva tenere sulle spine la gente. "Non crederai mai a quello che ho scoperto".
"Vai immediatamente al punto". Leonardo cominciava davvero a spazientirsi.
"C'è molto più di quello che riesci a vedere, sotto la superfice"
Da Vinci alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se il Turco le avesse fatto un lavaggio del cervello, visto che parlava come lui.
La ragazza rise, capendo esattamente quello che l'amico stava pensando in quel momento. "Il ciondolo fu costruito subito dopo la distruzione della biblioteca d'Alessandria del 642"
Leonardo non si scompose. Questo lo aveva già intuito. Quello che gli interessava maggiormente era il perchè.
"E' stata usata la tecnologia del Libro delle Lamine, per costruirlo", continuò lei.
Ecco spiegato il come si illuminava.
"Perchè fu costuito?"
Elettra sorrise. Si aspettava questa domanda. "Perchè qualcuno era riuscito ad eludere gli altri sistemi a protezione del libro". Puntò il suo sguardo sulla chiave che pendeva dal collo di Leonardo.
"Le chiavi?"
"Esatto. Sono molto più antiche di quanto pensavamo"
"Aspetta", le disse Leonardo. Cominciava a capire. "Vorresti dirmi che esiste una terza chiave?"
Elettra annuì con vigore. "Il ciondolo a forma di cuore è la terza chiave"
Nella bottega calò il silenzio.
 
***

"Sulla mia moneta sono rappresentate solo due chiavi", disse Leonardo. Era il primo che osava proferire parola, da quando si erano sistemati intorno al tavolo da lavoro al piano inferiore.
Elettra osservò pensierosa la tazza con la tisana ancora fumante che teneva tra le mani. "La mia moneta era differente dalla tua e, sinceramente, non l'ho neanche osservata bene. Mi sono limitata a raccoglierla e metterla nel blocco da disegno"
"Beh, che aspetti? Tirala fuori e controlla". Per Zo era tutto molto semplice.
"Lo farei, se avessi ancora la moneta con me". La ragazza sospirò. "Riario me l'ha presa, quel giorno alle rovine"
"Fattela ridare"
"Come se fosse semplice", disse Elettra. "Cosa faccio? Vado da lui e gli dico 'Salve Conte, non è che potreste ridarmi la moneta dei Figli di Mitra che mi avete preso? Sapete, io e Da Vinci abbiamo scoperto alcune cose e quella ci serve'. Così va bene?". Il tono della sua voce era molto sarcastico.
"Falli gli occhi dolci"
"E se invece ti intrufoli nei suoi appartamente mentre non c'è?", propose Leonardo.
"Vuoi proprio che muoia giovane", commentò Zoroastro sotto gli occhi allibiti del Verrocchio.
"Senz'altro sempre meglio del tuo piano", ribattè Elettra. Non avrebbe mai fatto gli occhi dolci a Girolamo solo per farsi ridare una stupida moneta. Il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.
"Io ho sentito già abbastanza!", disse Andrea, alzandosi dalla propria sedia sconvolto.
"Non preoccupatevi, maestro. Non mi accadrà niente", provò a tranquillizzarlo Elettra.
"E poi  ci saremo anche io e Nico", aggiunse festoso Leonardo.
Questo lo preoccupò ancora di più. Il Verrocchio sospirò ed uscì dalla bottega di Da Vinci scuotendo la testa. Quei due gli avrebbero fatto venire un infarto, un giorno o l'altro.

***

Qualche ora più tardi, a Palazzo della Signoria...

Leonardo ridacchiò osservando Elettra imprecare dopo aver tentato di infilare nella serratura l'ennesima chiave sbagliata. 
"Avremmo fatto molto prima a forzare la serratura, come avevo proposto io", disse la ragazza seccata. No, quel genio di Da Vinci, invece, si era impuntato come un mulo sul fatto di utilizzare le chiavi giuste. E così Elettra si era dovuta intrufolare furtivamente nelle stanza dove la servitù teneva tutte le chiavi. Peccato che quella in questione non c'era perchè qualche servo si era dimenticato di rimetterla al suo posto. E così aveva dovuto prendere il mazzettone completo di tutte dall'alloggio di Fabrizio, con il rischio di farsi scoprire. E ora si trovava lì a cercare quale fosse quella giusta.
Tirò un sospiro di sollievo quando finalmente, alla chiave numero ventitrè, la serratura scattò.
"Vedi che ce la potevi fare", le fece notare ironico Leonardo.
La ragazza gli tirò un'occhiataccia, poi abbassò la maniglia ed entrò.

Elettra si guardò intorno, chiedendosi dove si potesse trovare la moneta. Il Conte era a pranzo dai Pazzi (tanto per cambiare) e non sarebbe tornato prima di qualche ora, ma desiderva comunque fare il più in fretta possibile.     Si disinteressò completamente dell'ampio ingresso e del salotto e si diresse verso la camera da letto; quello era il luogo secondo lei più probabile.
Cominciò a frugare qua e là nei vari cassetti e comò. Si stupì parecchio, nel constatare quanto fosse grosso l'interno dell'armadio: nascosta tra i vestiti una persona ci sarebbe stata comodamente; era grande quasi quanto quello di casa sua.

Nico, dal corridoio adiacente a quello dove si trovavano gli appartamenti di Riario, si guardava in giro nervoso. Era passato almeno un quarto d'ora da quando Elettra era entrata a cercare la moneta; quei quindici minuti a lui sembravano un'eternità. E aveva il timore di essere scoperti da un momento all'altro. 
Sussultò quando sentì dei passi rimbombare sul pavimento marmoreo. Venivano verso di lui.
Il Conte Riario comparve alla sua vista. Appunto! Elettra gli aveva ripetuto fino alla nausea di stare tranquillo, che Riario non sarebbe tornato prima di qualche ora.
Solo in quel momento Nico si ricordò che non sapeva fischiare (il fischio era il segnale d'allarme). "Salve, Conte Riario", disse con un tono di voce esageratamente  alto, per farsi sentire dai suoi compagni. La sua voce tremava leggermente. Dopo quello che Riario gli aveva fatto aveva un certo timore nei suoi confronti.
Il Conte lo scrutò a fondo: aveva fiutato un certo odore di bruciato. Il fischio che sentì proveniente dal corridoio adiacente, fece aumentare la sua convinzione. "Il giovane Nico", constatò con un sorriso affilato.
Nico provò a sorridere nervoso. Nel mentre pensava ad un modo per prendere tempo.

Elettra aveva sentito i fischi di Leonardo. Era il segnale che qualcosa era andato storto. Tentò di restare calma. Orami c'era vicina. Ne era certa.
Aprì in fretta i tre casseti del comodino ma non trovò niente che la convincesse. Sconsolata, decise di abbandonare l'impresa.
Stava per richiudersi la porta della camera da letto alle spalle, quando le venne in mente che qualcosa che non tornava in quel comodino in effetti c'era. Corse indietro.
Aprì nuovamente il primo cassetto e poi lo richiuse. Esattamente come aveva pensato: dall'esterno il cassetto sembrava molto più profondo di quanto in realtà non fosse.
Sorrise tra sè e sè.

Nico non ce la fece a bloccare Riario e così si limitò a seguirlo fino alla porta dei suoi appartamenti dove vi era Leonardo.
Il Conte guardò pensieroso i due: era chiaro come il sole che stavano tramando qualcosa.  Fece per avvicinarsi alla porta, con l'intento di entrare nei suoi appartamenti, ma l'artista gli si parò davanti.
"Non potete entrare, Conte"
"E perchè mai, di grazia?", chiese infastidito.
"Emh...", Leonardo doveva inventarsi una scusa. E alla svelta. "La porta è rotta... uno dei servi l'ha rotta andandoci addosso con il carrello delle pulizie". Non era la scusa migliore del mondo, ma era sempre meglio di niente.
Riario lo osservò sempre più scettico: sapeva riconoscere una menzogna, quando la sentiva. "E voi cosa ci fate qui?"
"Sono l'ingegnere militare di Lorenzo, ho io il compito di rimettere tutto a posto", disse Leonardo con un sorriso strafottente. "Tornate più tardi, magari tra un'oretta o due"
"Vi conviene farmi passare, artista", sibilò Riario. Il tono della sua voce era tutt'altro che amichevole.

Elettra svuotò completamente il cassetto e poi, utilizzando la punta del suo piccolo pugnale per le emergenze, fece leva in modo da alzare il falso fondo. Sotto di esso ci trovò parecchie missive recanti il simbolo papale; se avesse avuto tempo si sarebbe senz'altro fermata a leggerle ma, i continui richiami di Leonardo le fecero ricordare che (forse) era il caso di muoversi. Frugò un po' tra di esse, fino a quando non sentì tra le dite un piccolo quadernino rilegato in pelle. Il suo blocco da disegno. 

"Si può sapere cosa succede qui?". Era la voce del Magnifico. Alle sue spalle arrivò anche Giuliano. Li aveva sentiti e aveva deciso di intervenire; sentire parlare il proprio ingegnere militare con quella serpe non era  un buon segno. L'ultima volta che era successo Da Vinci aveva preso quel conte a cannonate!
"Il vostro artista mi impedisce l'accesso ai miei appartamenti", disse Riario sempre più irritato.
Lo sguardo di Lorenzo passò dal volto di sfinge del Conte Riario, a quello di Da Vinci. Non era uno sguardo amichevole, il suo. "Potrei sapere perchè non permettete al nostro ospite di rientrare nei propri alloggi?". La vena sul suo collo aveva preso leggermente a pulsare.
"Non avete chiamato voi l'artista per riparare un'ipotetica porta rotta?". L'espressione del Conte ora appariva quasi divertita; sempre restando nei limiti della sua apatia, ovviamente.
"No, assolutamente", rispose il Magnifico. Che diamine stava tramando quel pazzo di Da Vinci? Se voleva causare un incidente diplomatico -l'ennesimo- con Roma, quella era la mossa giusta.
Giuliano, nel frattempo guardava la scena pensieroso; all'artista non piaceva molto gironzolare per il palazzo, specialmente nell'ala dedicata ad eventuali ospiti. Se proprio doveva andare in qualche zona lontana dalle stanze affidategli per eseguire il ritratto della Donati, si faceva accompagnare da Elettra...A proposito, lei dove si trovava? 
Il giovane de Medici osservò con crescente proccupazione la porta chiusa. Aveva capito dove l'amica si trovava... "Ho avvisato io Da Vinci", disse in modo frettoloso. Non era molto bravo a mentire. "Sai com'è. I servi e le loro gare di velocità con i carrelle delle pulizie...", sussurrò al fratello che nel mentre lo guardava con fare indagatorio. Aveva capito che Giuliano stava tendando di coprire Da Vinci; gli sfuggiva solo il perchè.
"Ma ora è tutto sistemato", ribattè Lorenzo con un finto sorriso stampato in volto. Fece segno a Riario che poteva entrare e zittì Giuliano e Leonardo che tentavano inutilmente di prendere tempo.
Mentre il Conte scompariva oltre la soglia, chiudendosi la porta alle spalle i due si guardavano allarmati. Nico invece era diventato pallido come un cadavere.

Elettra osservò soddisfatta il piccolo libretto che teneva fra le mani; se lo ricodava però meno sgualcito di così. Lo sfogliò velocemente, fino a quando giunse alla pagina contenente la moneta. La prese e se la mise nella tasca laterale della gonna.
Sobbalzò quando, al posto delle voci di Girolamo e Leonardo, sentì quella di Lorenzo. Si capiva fin da lì, che il Magnifico si stava infuriando. 
Rimise velocemente a posto il doppio fondo e il contenuto del cassetto.
Stava per uscire dalla camera da letto quando la maniglia della porta d'entrata si abbassò.
Cercando di non farsi prendere dal panico, cercò un nascondiglio adatto.

Il Conte Riario entrò sospettoso nei propri alloggi. La prima cosa strana che notò fu la porta della camera da letto: aperta. Lui non lasciava mai quella porta aperta. Qualcuno era di certo entrato a frugare.
Uno dei complici di Da Vinci, senz'altro.
Escludendo l'artista stesso e il giovane Nico, restavo solo il moro. Ed Elettra. Già, poteva anche essere stata lei. Le guardie svizzere incaricate di tenerla d'occhio gli avevano rifertito di quanto tempo passasse in compagnia di Da Vinci.
Cosa stavano cercando? Doveva essere qualcosa di davvero importante, per rischiare così tanto la pelle. Gli venne in mente del blocco da disegno che sfogliava quasi ogni sera. E della moneta dei Figli di Mitra. 
Aveva capito di cosa si trattava. 
Entrò con passo sicuro in camera da letto. I tacchetti degli stivali ticchettavano rumorosamente sul pavimento di parquè. Il ritmo era regolare e il rumore voluto.
Non intendeva stanarla dal suo nascondiglio che, tra l'altro, era quasi certo fosse l'armadio, ma intimorirla. Farle prendere uno spavento tale dal dissuaderla dal ripetere l'impresa una seconda volta. 

Elettra, raggomitolata sul fondo dell'armidio, sentì i passi di Girolamo farsi sempre più vicini. Poi i cassetti del comodino vennero aperti e successivamente le lenzuola del letto vennero alzate per controllare che l'intruso non si nascondesse sotto.
La ragazza trattenne il respiro e cercò di restare calma. Mancava solo un posto da controllare: l'armadio. Se necessario, le sarebbe toccato usare il piano B. Sapeva l'effetto che il suo corpo faceva su Girolamo e, quello, unito ad una buona scusa, magari l'avrebbero salvata. 
'Puttana'. Alla sua vocina interiore piaceva ricordarle quale fascia di persone agisse in quel modo.  
L'anta si aprì di alcuni centimetri, facendo filtrare all'interno una sottile lama di luce. Il cuore di Elettra mancò più di un battito. Poi, quando ormai credeva che fosse finita, sentì Girolamo cambiare direzione e dirigersi verso il bagno. La porta si chiuse rumorosamente alle spalle del Conte.
La ragazza restò per un po' in ascolto poi, non sentendo più altri rumori, si fece forza ed uscì silenziosa.

Il Conte Riario sorrise tra sè e sè. Dalla porta del bagno leggermente socchiusa aveva potuto vedere Elettra uscire dall'armadio e dirigersi in fretta verso l'uscita. Sarebbe presto andato a farle visita...

Elettra, una volta aver svoltato nel corridoio adiacente, si lasciò scivolare a terra contro il muro. Prese un lungo respiro e sospirò. Chiuse gli occhi nel tentativo di rilassarsi e di far tornare il cuore ad un numero di pulsazioni normale.
" 'Il Conte non tornerà a palazzo prima di qualche ora, non corro nessun pericolo' ", la canzonò Da Vinci, ripetendo le stesse parole  che aveva usato lei.
La ragazza aprì lentamente gli occhi: in piedi vi erano, oltre all'artista, Giuliano e Nico. A differenza di Da Vinci, che aveva il suo solito sorriso strafottente stampato in volto, gli altri due avevano l'aria parecchio preoccupata.
"Fanculo Leonardo", gli rispose lei porgendogli la preziosa moneta.
 
***

Seduti comodamente intorno alla scrivania dello studio di Elettra, il piccolo gruppo studiava attentamente la moneta.
"Qui tra le due chiavi c'è inciso anche il tuo ciondolo a forma di cuore", disse Leonardo, allontanando la lente di ingrandimento dal proprio viso. "Esattamente come pensavo"
"Esattamente come pensavamo", lo corresse Elettra, prendendo dalle mani dell'artista lente e moneta.
"E tu hai rischiato la pelle per quella?!". Giuliano era esterefatto dalla stupidità che alcune volte la sua migliore amica dimostrava. L'aveva detto lui che frequentare quel folle di Da Vinci faceva male...
La ragazza posò la moneta sulla liscia superfice della scrivania in legno di rovere finemente intagliata. Sembrava offesa dalle parole del giovane de Medici. Si limitò a fare spallucce e si mise a giocherellare con lo spicciolo. Gli diede un colpetto, facendolo roteare velocemente; la luce del sole, che filtrava dalle finestre, colpì la monetina, inondando la stanza di riflessi dorati. Elettra notò gli altre tre osservarne il moto rotatorio con sguardo vuoto. Mise una mano su di essa, fermandola. "Tutto bene?", chiese stranita.
Nessuna risposta. 
"Hei! Mi sentite?". Schioccò le dita, cercando di attirare l'attenzione su di sè.
Leonardo sbattè più volte le palpebre, confuso. "Cos'è successo?". Si portò le mani alle tempie, massaggiandosele. 
Elettra lo guardò pensierosa. Le era passata un'idea per la testa, circa quello che era appena accaduto. Era troppo folle come idea, persino per lei. Ma dai Figli di Mitra bisognava aspettarsi di tutto, ormai.
"Nico osserva attentamente la moneta", disse con un rassicurante sorriso. "Leo, Giuliano, voi invece chiudete gli occhi".
"Che vuoi fare?", le chiese Giuliano, preoccupato. In cambio ottenne solo un ampio sorriso. Niente di buono.
Elettra vide lo sguardo di Nico farsi lentamente vacuo, man a mano che la moneta girava. "Bene", commentò dopo un po', "Ora, Nico, vai nell'armadietto e prendi la bottigia di Chianti e portala qui"
Il giovane si alzò dalla propria sedia e, senza battere ciglio, fece come gli avevano ordinato. 
"Adesso bevi"
Se prima Elettra avesse potuto avere qualche dubbio sull'effettivo funzionamento della moneta, vedere Nico (assolutamente astemio) portarsi alla bocca il vino, glielo aveva completamente dissipato.
Alla terza generosa sorsata dell'amico, decise di schioccare le dita. Nico, tornato in sè, si mise a tossire violentemente. "Cosa mi è successo?". Gli veniva da vomitare e la testa aveva cominciato a girare. Per non parlare del saporaccio che aveva in bocca...
"Elettra ti ha ipnotizzato con la sua moneta", commentò euforico Leonardo. Wow, i Figli di Mitra non facevano altro che sorprenderlo. 

***

Oramai era quasi il tramonto ma, nonostante fossero passate parecchie ore, il quartetto era ancora molto preso dalla questione riguardante i Figli di Mitra. Anche Giuliano sembrava molto interesseto alla questione. Elettra aveva tirato fuori da alcuni cassetti qualche diarietto di sua madre e il pesante volume rilegato in pelle nera scritto in arabo. Ognuno si dava da fare leggendo e comunicando agli altri ciò che aveva scoperto.
"Certo che tua madre non lesinava sui particolari!", disse ridacchiando Giuliano.
"Che particolari?", chiese Elettra curiosa. Se era qualcosa di divertente era giusto condividerlo.
"Vuoi davvero saperlo?", ribattè il giovane de Medici con un finto tono malizioso.
Aveva capito che particolari. "No, non voglio saperlo. Certe cose sui miei genitori non voglio saperle"
"Che peccato", disse divertito l'altro, "Pensa che la prima notte di nozze..."
"Non mi interessa, Giuliano!", lo interruppe lei, dandogli un'amichevole gomitata nelle costole.
Risero tutti e quattro.
L'entusiasmo collettivo fu presto smorzato da un bussare insistente alla porta.
"Nico, andresti a vedere chi è?"
 L'altro si alzò dalla poltrona con il passo ancora traballante per via del vino. Gli scappò un songhiozzo mentre andava alla porta. Abbassò la maniglia impacciato e mise il naso oltre la soglia. "Merda!", urlò prima di chiudere nuovamente la porta di scatto. 
Elettra rise. Non le era mai capitato di sentirlo imprecare. Pensava che certe parole non facessero parte del suo vocabolario di Nico. "Chi era alla porta?", chiese divertita.
"Il...il Conte Riario", balbettò il giovane.
Si guardarono tutti allarmati. 
"Nascondete tutto mentre io prendo tempo", disse lei prontamente. Sul suo volto comparve un'espressione innocente, coronata da due occhi in stile cerbiatto.
Elettra aprì la porta solo di alcune spanne, lo spazio necessario per uscire. Riuscì a stento a trattenere una risatina, quando vide il volto di Girolamo: la sua faccia contrariata aveva un chè di buffo. "Salve, Girolamo. Posso sapere come vi porta da queste parti?", chiese lei con un tono di pura innocenza.
Lui sorrise scuotendo leggermente la testa. "Sapete perchè sono qui"
La ragazza si morse il labbro inferiore, fingendo di pensare al motivo. "Non ne ho idea"
Riario la scostò dalla porta in modo non molto delicato ed entrò nello studio. Elettra lo seguì, preoccupata che il tempo concesso agli amici fosse stato troppo poco.
"Salve, Conte". Leonardo era seduto sulla poltrona di Elettra, con i piedi sulla scrivania e quel suo solito sorriso strafottente stampato in faccia; Giuliano invece giocherellava con il residuo di Chianti nel suo bicchiere e Nico fece notare la sua presenza con un sonoro singhiozzo. Il suo volto, dall'imbarazzo, divenne più rosso delle vesti di Lorenzo.
"Desidero parlare in privato con la signorina Becchi", disse Riario serio in volto. Era un chiaro invito ad andarsene da lì.
Giuliano osservò allarmato Elettra e con lo sguardo le chiese se ce la faceva, a resta lì sola con il Conte. Lei annuì impercettibilmente. "Se tra un'ora non vi dò mie notizie, cominciate a preoccuparvi", gli sussurrò ad un orecchio mentre usciva. 
Quando la porta si chiuse alle sue spalle, la ragazza cercò di restare calma e di mantenere quella finta espressione innocente. 
"Finitela con questa farsa", disse Riario. Il tono della sua voce era freddo e distaccato, come non lo era mai stato con lei.
"Che farsa?"
"Vi ho vista, mentre uscivate dal mio armadio"
Elettra sentì un brivido freddo lungo la schiena. Ormai era davvero inutile continuare a fingere. Sospirò sconfortata. "La prossima volta vedrò di essere più brava, allora", disse con quel suo solito tono impertinente. Vide la mano di Girolamo alzarsi di scatto e chiuse gli occhi, pronta a ricevere il colpo. Sussultò, quando, al posto dello schiaffo, ricevette una carezza. Sentì la sua mano calda poggiarsi delicatamente sulla sua guancia e il pollice sfiorarle appena il labbro inferiore. Aprì gli occhi timorosa, incontrando subito i suoi.
"Io non posso farvi del male. Ve l'ho già detto, non riesco a farvi del male", sussurrò Girolamo. C'era del rimorso nella sua voce.
Lei lo guardò con aria ancora confusa.
"Dovete prestare più cautela, mia diletta. Non potete correre tutti questi rischi". Il suo viso pericolosamente vicino a quello di Elettra.
Lei non disse nulla limitandosi a sorridergli. Era carino, quanto lui si preoccupasse della sua sicurezza. La ragazza chiuse gli occhi e poggiò delicatamente le sue labbra su quelle del Conte. 
Un attimo, e lo sentì allontanarsi da lei. 
Quando Elettra riaprì gli occhi, Girolamo stava uscendo dallo studio.


Nda
Se siete riuscita ad arrivare fino in fondo, vi faccio i miei complimenti. Questo capitolo mi è leggermente sfuggito di mano ( e non era neanche previsto). Il prossimo sarà più corto, lo prometto (almeno lo spero). ;)


   
 
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