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Autore: Fragolina84    31/10/2015    1 recensioni
Sequel di "Makani"
La nebbia ti fa sembrare strane e aliene anche cose che conosci benissimo. Inoltre, ti confonde, ti stordisce. Così come confonderà Nicole che, ad un certo punto, si renderà conto di essere persa nella nebbia, smarrita.
Ma, e questo è certo, sotto la nebbia c’è sempre il sole che prima o poi scalderà l’aria e la farà salire, cosicché Nicole tornerà a vedere con chiarezza ciò che la nebbia nascondeva.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Steve McGarrett
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei Five-0'
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L'obiettivo di Nicole è già nel mirino,
ma la donna dovrà fare i conti con qualcosa di nuovo.
Di certo, questo non sarà un lavoro come gli altri.
Buona lettura!

 


Nei due giorni successivi, Nicole passò ogni istante con Rafael. La sua compagnia era piacevole e si stupì di com’era facile perdere il senso del tempo quando era con lui.
Insieme, visitarono tutti i monumenti più famosi di Bogotà con Rafael che le fece da guida, mostrandole tutto l’orgoglio che provava per la sua terra. Nicole stava ben attenta a tutto quanto li circondava, rendendosi conto di come le guardie del corpo dell’uomo gli ronzassero continuamente intorno. In quei giorni non aveva bisogno di mandare messaggi a Steve, ma avrebbe faticato a trovarne il modo per staccarsi dalla loro ingombrante presenza.
Venerdì notte, dieci minuti dopo che era tornata nella sua stanza, il suo cellulare trillò per l’arrivo di un’e-mail. Quando il programma di decrittazione l’ebbe decifrato, Nicole lesse il messaggio di Steve con incredulità crescente.
Da ciò che sento, mi pare di capire che la tua vacanza in Colombia stia procedendo alla grande. Le tue risate si odono distintamente fin qua anche senza passare per il tuo cellulare.
Non era difficile leggere una vena polemica in quelle poche righe. Quando aveva accettato quella missione, sapeva che il rischio era proprio quello: Steve non era fondamentalmente una persona gelosa, non marcava il territorio intorno a lei per evitare che qualcuno le si avvicinasse, ma un conto era che qualcuno facesse un apprezzamento su di lei, ben altra cosa era mandare la sua donna a sedurre uno sconosciuto che sicuramente stava pensando ad un modo per portarla a letto.
Ciò che la fece davvero arrabbiare era il fatto che Steve non si fidasse di lei. È vero, non si stava sforzando per flirtare perché Rafael era un bell’uomo ed era piacevole stare con lui, ma ciò non significava che provasse qualcosa.
Velocemente scrisse la sua risposta e la inviò dopo averla criptata. Per chiunque sarebbe sembrata un’innocua mail di lavoro, ma Steve avrebbe letto tutta la sua indignazione in quella semplice stringa di caratteri: la gelosia non ti si addice per nulla.
Il sabato mattina fece colazione con Rafael, sulla terrazza della sua suite. Quella sera avrebbero partecipato all’asta di beneficienza e lui ancora non aveva parlato di portarla a Isla Niebla. Cominciò a sorgerle il dubbio che, terminato l’evento, Rafael avesse qualche altro impegno che l’avrebbe tenuto lontano dal suo rifugio. Se si fosse verificata quell’evenienza, non avrebbe potuto farci nulla e avrebbero dovuto pensare a qualche altra possibilità per liberare Elliot.
Mentre sbucciava un mango, un cameriere si avvicinò e le porse una scatola con un enorme fiocco rosso sopra. Lei alzò gli occhi, incontrando lo sguardo sornione di Rafael.
«Immagino di dover ringraziare te» disse, prendendo la scatola e ringraziando il cameriere che si dileguò con un sorriso.
«Prima aprilo. Non è detto che sia di tuo gradimento».
La scatola conteneva un abito bianco senza spalline, con l’arricciatura sul seno. Il tessuto era liscio al tatto, forse chiffon o magari seta. La donna si alzò in piedi e lo trasse fuori dalla scatola, tenendolo davanti a sé per osservarlo meglio: era semplice ma bellissimo, con una fusciacca nera morbidamente legata in vita.
«Magari lo vorrai indossare stasera».
«Non posso accettare» disse lei, riponendolo nella scatola.
«Insisto».
«Rafael, io…» cominciò, ma con un movimento fluido lui si alzò in piedi e l’avvicinò, prendendole le mani.
«Ti prego, accetta il mio regalo e permettimi di accompagnarti alla festa».
Era vicino, troppo vicino. E quando si umettò le labbra, lei capì cos’aveva intenzione di fare. Tentò di distogliere lo sguardo dai suoi ipnotici occhi neri, ma lui non glielo permise, posandole la mano sulla guancia e girandole il viso verso il proprio.
Era alto, anche più di Steve, e si chinò verso di lei. Posò le labbra sulle sue con una dolcezza che non si sarebbe aspettata da un uomo come lui. Ma non poteva permettersi di stare a fare calcoli. Spinse il corpo in avanti, schiacciandosi contro di lui, sentendo la durezza dei suoi muscoli anche attraverso i vestiti.
Gli cinse la vita con le braccia, scivolando sulla camicia di lino e aprendo le labbra per invitarlo a entrare. La mano di lui salì fin sulla nuca, afferrandole una ciocca di capelli e tirandole leggermente indietro il capo, aggredendo la sua bocca con una fame che per un momento la spaventò: temeva che non sarebbe riuscita a fermarlo, se avesse preteso di più.
Ma si sbagliava. Rafael staccò le labbra dalle sue con delicatezza, aprendo gli occhi e fissando le profondità ametista dei suoi.
«Scusami». Non si era aspettata che lo facesse: le sembrava un uomo che raramente chiedeva scusa. Forse il suo profilo doveva essere rivisto. «È che sei così bella» mormorò, accarezzandole il viso.
La donna sorrise, ma non abbassò lo sguardo nonostante il turbamento che le provocava quell’inattesa intimità.
«Posso sperare di poterti accompagnare all’asta?»
Nicole annuì e il sorriso che gli illuminò i tratti lo rese ancor più affascinante. Si chinò per baciarla ancora, ma un discreto tossicchiare lo fermò.
«Cosa c’è, Iago?» disse, senza alzare la testa.
A Nicole non sfuggì il tono di quella risposta: Rafael era arrabbiato per essere stato interrotto. In un solo istante, era passato dalla tenerezza alla rabbia che gli faceva fiammeggiare gli occhi.
«Signore, c’è una telefonata per lei. È urgente» mormorò Iago.
Rafael si raddrizzò. «Ti prego di scusarmi un momento» sussurrò e sparì nella stanza a fianco. Nicole non sentì ciò che diceva, ma udì il suo mormorio irritato. Avrebbe dato tutto per sapere con chi era al telefono. Se Iago si era arrischiato ad interrompere il suo boss, doveva essere estremamente urgente. Doveva trovare il modo di nascondere una cimice nel cellulare di Rafael.
Lo sentì muoversi e poi parlò di nuovo. Sembrava che non fosse più al telefono. Poi sentì il proprio nome e capì che stava rimproverando Iago per l’interruzione. Il tono era teso e tirato e nonostante la conversazione fosse attutita dalla porta chiusa, lei poteva intuire la rabbia a malapena trattenuta.
Aprì la finestra scorrevole e uscì sulla veranda, aspettando che lui la raggiungesse. Poi uscirono. Gironzolarono per Bogotà come una coppia tanto che a un certo punto, Rafael la prese per mano, intrecciando le dita alle sue. Nicole non rifiutò il contatto.
Pranzarono da Matiz, il miglior ristorante della città. Ogni piatto era una variopinta tavolozza di colori, perfetto in ogni dettaglio. Cominciava a capire come mai Machado fosse così spesso in compagnia di donne bellissime: per lui ogni porta era spalancata, ed era facile restare conquistate da ciò che offriva.
Rientrarono in albergo nel primo pomeriggio.
«Mi sono permesso di farti un altro regalo, mia cara» disse, sfiorandole la schiena con la mano.
«Stai cercando di conquistarmi, Rafael?» chiese lei, civettuola.
«Avresti qualcosa in contrario?» fu la sua replica.
Nicole non rispose, limitandosi a sorridere. Una giovane li raggiunse, tendendole la mano.
«Mi chiamo Riya e sarò a sua disposizione per le prossime ore».
La donna le strinse la mano, voltando la testa verso Rafael, chiedendogli spiegazioni.
«Sei già bellissima, ma Riya si occuperà di renderti perfetta».
Nicole passò le successive tre ore tra scrub, massaggi, manicure e parrucchiera. Poi Riya l’accompagnò in uno stanzino dove l’abito che le aveva regalato Rafael e le scarpe erano stati preparati per lei.
Si vestì e si guardò allo specchio. Senza falsa modestia poteva dire che Riya aveva raggiunto lo scopo: era perfetta, come richiesto da Rafael. L’abito scivolava morbido sul suo corpo, lasciandole scoperte le gambe, la cui forma era sottolineata dai tacchi alti.
«Il signor Machado ha chiesto se può aspettarlo al bar. La raggiungerà subito» la informò Riya e Nicole le strinse la mano.
«Grazie di tutto, Riya» mormorò.
La ragazza sorrise: «Le auguro buona serata, signorina Anamoa».
Nicole raggiunse il bar e ordinò un cocktail analcolico. La serata sarebbe stata lunga e sapeva che avrebbe avuto bisogno di tutta la lucidità possibile.
Il barista le preparò il drink e ne aveva preso appena un sorso quando Rafael entrò nella sala. Indossava un elegante abito bianco dal taglio classico e un po’ retrò, con scarpe bianche, giacchetto con bottoni in madreperla, gilet bianco chiuso sopra una camicia nera ed un fazzoletto di seta bianca arrotolato al collo. Senza che potesse farci nulla, la donna sentì una stretta allo stomaco.
Lui la raggiunse e le porse la mano. L’aiutò a scendere dallo sgabello su cui si era accomodata e la fece piroettare. Lei rise, finché lui la bloccò circondandole la vita con un braccio. L’attirò a sé e la baciò. Il cuore traditore accelerò il battito mentre la bocca di Rafael si muoveva sulla sua e resistette a malapena alla tentazione di cingergli la nuca con le mani per attirarlo più vicino.
Le era già capitato in passato di dover sedurre qualcuno ma mai per un tempo così lungo e mai qualcuno così affascinante. Era troppo semplice lasciarsi andare con lui e con un sussulto colpevole ripensò all’e-mail che le aveva inviato Steve. Stava mantenendo la cosa sul piano professionale o la situazione le stava sfuggendo di mano?
Rafael dovette avvertire ciò che le passava per la testa perché si scostò, scrutandole il viso con espressione perplessa.
«Qualcosa non va?»
«È solo che stiamo andando così di fretta» mormorò.
«Hai ragione. Sei così bella che è difficile resistere» replicò, sfiorandole la guancia con le labbra. «Non mi sto comportando da gentiluomo».
Si scostò e le porse il braccio. Nicole vi si aggrappò e uscirono dalla sala. L’asta di beneficienza si sarebbe tenuta nel grande salone dell’hotel e quando lo raggiunsero, Nicole aveva recuperato un po’ di compostezza.
Era tutto addobbato con palloncini bianchi e neri, che riportavano il logo dell’associazione. C’era già parecchia gente che gironzolava per i tavoli, salutando amici e conoscenti. Nicole rimase al braccio del suo cavaliere e la calca si aprì per lasciarli passare.
Le persone che incontravano salutavano Rafael con rispetto, sorridendo garbatamente a lei ma senza rivolgerle la parola. Presero posto al tavolo che era stato loro riservato, con due guardie del corpo che rimasero in piedi nei pressi delle loro sedie. Altri tre bodyguard stazionavano poco distante, scandagliando la sala con occhiate laser.
«Sono proprio necessarie queste precauzioni?» domandò, chinandosi verso di lui.
«Se ti innervosiscono, posso farli allontanare».
Lei fece cenno di no con il capo. La loro attenzione fu attratta sul piccolo palco dove alcuni ospiti si avvicendarono. Nicole prese un piccolo taccuino dalla pochette e si dedicò a prendere appunti: doveva mantenere la propria copertura di giornalista. L’associazione si occupava di bambini malati di cuore, raccogliendo fondi per la ricerca in quel settore.
Sul palco sfilarono alcuni giovani che avevano risolto i propri problemi di salute proprio grazie ad “Amigos del Corazón” e che volevano lasciare la loro testimonianza. Poi cominciò l’asta e gli ospiti, tra cui Nicole riconobbe diversi VIP, pagarono prezzi esageratamente alti per premi a volte anche banali. Ma era bello vedere quelle persone gareggiare in generosità: magari lo facevano soltanto per apparire, ma l’importante era il fine ultimo.
Alla fine della serata avevano raccolto quasi due milioni di dollari e gli organizzatori erano pienamente soddisfatti.
Rafael la invitò a ballare e mentre la teneva stretta, abbassò lo sguardo su di lei.
«C’è qualcosa che devo chiederti».
Il tono le fece rizzare le orecchie. Attenta che questi sono guai, pensò.
«Dimmi pure».
«Stanotte devo partire» disse.
Non dovette fingere disappunto. Si era aspettata altro, tipo che lui l’avesse in qualche modo smascherata, e invece le stava comunicando che entro poche ore si sarebbe allontanato. La strada per la liberazione di Elliot si complicava.
Abbassò gli occhi ma non prima che lui li avesse visti scintillare. «Mi dispiace» mormorò.
«Anche a me» replicò. «Per questo volevo chiederti se ti va di venire con me».
Nicole riportò gli occhi nei suoi. «Con te?» chiese, con il giusto grado di incredulità e di desiderio.
«C’è un’isola, al largo della costa colombiana» spiegò. «Si chiama Isla Niebla e appartiene alla mia famiglia da un paio di generazioni».
«Cioè… tu possiedi un’isola?»
Lui sorrise. «La mia famiglia è sempre stata benestante, diciamo».
Nicole strabuzzò gli occhi. «No, la mia famiglia era benestante e infatti mi ha spedita a studiare a New York senza borsa di studio».
Rafael ridacchiò. «Stai evitando di rispondermi, Kalea».
Lei finse di pensarci su, ma dentro di sé esultava perché aveva ottenuto ciò che desiderava. «In fondo, ho ancora una settimana di vacanza».
«È un sì?»
Lei sorrise e annuì. Lesse nei suoi occhi che voleva baciarla e si scostò un poco. «Non qui, signor Machado» sussurrò. Sicuramente l’avevano già fotografata quella sera e sicuramente Steve non sarebbe stato contento di ciò che avrebbe visto: poteva almeno evitargli di vederla mentre baciava il loro obiettivo.
Da quel momento in poi, tutto accadde a velocità folle. Terminato il ricevimento, Machado le disse di prepararsi per la partenza. Appena fu sola, comunicò la notizia a Steve. Nonostante l’ora impossibile, lui rispose subito: hai fino a martedì mattina, ore 02.00. Poi ti tiro fuori di lì.
Soltanto mezz’ora dopo, qualcuno bussò alla sua porta. Era Iago, venuto a prenderle la valigia e lo seguì al piano terra, dove l’uomo l’avvisò che Machado aveva saldato il suo conto dell’albergo e la stava aspettando in macchina. La condusse fuori, aprendole la portiera di una lussuosa limousine nera.
Rafael era già a bordo e l’accolse con un sorriso, respingendo ogni protesta per il fatto che le aveva pagato il soggiorno. Raggiunsero l’aeroporto, dove un Learjet attendeva sulla pista. Nicole non era mai salita a bordo di un aereo privato e provò stordimento per tutto il lusso che la circondava. Il volo fu breve e atterrarono all’aeroporto di Buenaventura che erano da poco passate le cinque del mattino.
Una seconda limousine li stava aspettando e partì subito, depositandoli al porto. Salirono su un enorme yacht che mollò gli ormeggi non appena lei e Rafael furono a bordo.
«Scusami, so che ti ho strapazzata. I fiori andrebbero trattati con più delicatezza» mormorò, baciandole la mano. «Purtroppo domattina ho un incontro con alcune persone e devo essere a Isla Niebla il più presto possibile».
La donna si ritirò un attimo nel bagno – che era più grande di quello di casa sua! – e si rinfrescò un po’ il trucco, fermandosi un momento per ragionare su quanto stava succedendo.
Erano le cinque e mezza di domenica mattina. Sapeva che Isla Niebla distava circa undici miglia dalla costa colombiana quindi, stimando in una ventina di nodi la velocità cui quell’enorme yacht fendeva le onde, sarebbero arrivati entro poco più di mezz’ora.
Nicole aveva assoluto bisogno di riposare, ma Rafael aveva accennato ad un incontro con alcune persone e doveva assolutamente vedere di chi si trattava. Poteva essere che fosse qualcuno dei suoi contatti nella malavita, quindi qualsiasi informazione avesse raccolto, sarebbe stata utile per acciuffarlo o, se le cose si fossero messe al peggio, per ricattarlo affinché rilasciasse Elliot.
Ma la sua priorità era muoversi sull’isola e pianificare l’attacco dei Seals, possibilmente cercando di capire se Elliot era tenuto prigioniero lì e dove. Il tutto senza farsi scoprire, tenendolo contemporaneamente lontano dal suo letto.
Un gioco da ragazzi, non c’è che dire, disse a se stessa, prima di tornare in cabina.
Quaranta minuti più tardi, stavano attraccando al molo sul lato settentrionale della piccola isoletta. Scesero dallo yacht che rimase a dondolare placidamente sulle acque e Rafael l’accompagnò nella casa padronale.
Dire che era enorme non rendeva appieno le dimensioni di quella dimora. Era smisuratamente più grande della villa dei suoi genitori che le era sempre sembrata un mezzo castello. L’arredamento doveva essere stato curato da un interior designer perché ogni cosa trasudava gusto e raffinatezza. E Nicole non finse, mentre si guardava intorno a bocca aperta.
Rafael sorrise, spingendola davanti a sé: «Immagino che vorrai riposare. Ti mostro la tua stanza».
Le aprì una porta, facendosi da parte per lasciarla entrare. Pareti, pavimento e soffitto erano interamente ricoperti di legno che regalava un’atmosfera calda e accogliente. Su due lati si aprivano grandi finestre che mostravano lo splendido panorama dell’oceano, così simile a quello delle Hawaii in cui lei era nata. Le luci erano accese e il ventilatore sul soffitto girava pigramente, muovendo appena l’aria.
La donna si addentrò nella stanza, sedendosi sul soffice letto che troneggiava nel mezzo.
«Non dici nulla?» domandò Rafael. «Non ti piace? Ci sono altre stanze, se vuoi».
«È perfetta» rispose lei. «E la tua stanza qual è?»
Metteva in chiaro che non voleva dormire con lui. Sapeva già che quella non la stanza che usava lui. Era chiaramente una stanza degli ospiti, impersonale come una camera d’albergo. Lui sorrise e la invitò a seguirlo. Quando furono in corridoio, aprì la porta di fronte e Nicole, che pensava che la stanza che le aveva assegnato fosse il massimo, dovette ricredersi.
La stanza di Rafael era l’esatto opposto. Niente legno, ma piastrelle color crema sul pavimento e muri dipinti di azzurro. Le luci erano della stessa tonalità e illuminavano il grande letto in ferro battuto che occupava il centro della stanza, tra quattro colonne in muratura. Ma ciò che sconvolgeva era che quella stanza dava direttamente su una piscina. L’acqua era azzurrata dalle luci e nell’angolo più lontano gorgogliava una piccola cascata.
Quella casa era un sogno e Nicole non osava immaginare quali altri meraviglie ci fossero nelle altre stanze. Non lo sentì mentre le si avvicinava. «Voglio vederti in quella piscina» sussurrò. Lei non seppe cosa rispondere, ma prima che il suo cervello fuori fase le suggerisse qualcosa di mediamente intelligente da dire, Rafael la prese per mano e la condusse di nuovo nella sua stanza.
«Io sarò impegnato, quindi non voglio vederti prima di pranzo. Riposati e rilassati» disse, e le sfiorò la guancia con le labbra. «Se hai bisogno di qualcosa, chiedi di Maria».
Quando la lasciò, Nicole s’infilò subito sotto la doccia. Mentre usciva, con un asciugamano umido avvolto attorno alla testa e indossando un accappatoio morbido come una carezza, udì l’inconfondibile battito di un elicottero in avvicinamento. Indossò gli occhiali da sole e uscì sul patio con noncuranza, fingendo di guardare verso l’oceano. Vide il velivolo arrivare dal continente e scomparire dietro la casa dove atterrò e si zittì.
Doveva trattarsi degli ospiti di Rafael e lei doveva assolutamente saperne di più. Aprì la valigia ed estrasse il suo computer. Appena si fu avviato, scansionò la propria stanza, notando un segnale video in uscita. Doveva esserci una microcamera nascosta da qualche parte e il suo programma la segnalò nell’angolo opposto della stanza.
Sbuffando irritata, prese il laptop e sedette sul divano, rendendo lo schermo invisibile a chiunque la stesse osservando. Tenne accanto a sé il taccuino su cui aveva preso appunti la sera prima, fingendo di lavorare al suo articolo, mentre in realtà le sue dita volavano sui tasti cercando di inserirsi nel sistema a circuito chiuso della villa.
Ovviamente ci riuscì e cercò ciò che le interessava fra le immagini rimandate dalle telecamere che aveva notato appena entrata in casa. Finalmente vide Rafael che stringeva la mano ad un uomo di colore.
Erano in una specie di sala riunioni e non erano soli. C’erano altri cinque uomini, due di colore, un orientale e due bianchi. Nonostante non ci fosse audio, ognuno di loro trasudava potere, la stessa aura che aleggiava attorno a Rafael.
Nicole riuscì a catturare un primo piano di ciascuno e lanciò una ricerca sui propri database. Ciò che ne uscì la colpì, ma non si era aspettata di meno.
L’uomo a cui Rafael aveva stretto la mano era Mothusi Kejan, e poteva definirsi un signore della guerra che infuriava in Mozambico. Non era difficile, conoscendo i loschi traffici di Machado, capire perché si trovava lì. Gli altri due uomini di colore non diedero riscontro, ma le immagini che era riuscita a raccogliere non erano particolarmente nitide quindi poteva essere che il programma di riconoscimento non fosse riuscito ad avere sufficienti punti di riferimento.
Il tizio con gli occhi a mandorla era Kim Chul-Moo, personaggio di spicco della malavita coreana. Gli altri due erano trafficanti d’armi sudamericani.
Davvero una bellissima compagnia, pensò dentro di sé, soffocando uno sbadiglio. Le ore di sonno perdute cominciavano a farsi sentire, ma non era la prima volta che non riusciva a dormire per un bel po’ di ore e aveva solo bisogno di caffè.
Grazie ad un programma che aveva lanciato stava registrando tutto ciò che succedeva tra Rafael e i suoi ospiti. Non c’era l’audio, ma a Honolulu avevano personale specializzato nella lettura delle labbra che avrebbe ricavato preziose informazioni da quel video. Chiuse il laptop (che continuò discretamente a registrare senza andare in standby) e si alzò.
I capelli erano ancora umidi quindi li lasciò sciolti, indossò un paio di pantaloncini e una maglietta e uscì. Aveva visto dalle immagini rubate alle telecamere di sorveglianza dov’era la cucina, ma finse di cercarla finché entrò in un salotto immenso. Di fronte a lei c’era una parete curva completamente in vetro che dava su una spiaggia di sabbia bianchissima. L’arredamento era di lusso senza essere ostentativo: pavimento color crema lucido da specchiarsi, divano in pelle chiara che avrebbe agevolmente accolto un reggimento e un tavolo che sarebbe servita la bicicletta per andare da un capo all’altro.
«Salve». Una voce dietro di lei la fece voltare. Era una ragazza che a prima vista non doveva avere più di venticinque anni, i capelli castani ordinatamente raccolti in una crocchia. Portava un vestito nero con sopra un grembiule bianco con la pettorina che la qualificava come una domestica. «Mi chiamo Maria, lei immagino sia la signorina Anamoa» disse con cortesia.
«Mi chiami Kalea, la prego».
«Il signor Machado mi ha detto che starà con noi qualche giorno. Se ha bisogno di qualunque cosa, sono a sua completa disposizione».
Tanto ossequio la metteva un po’ in imbarazzo, ma era evidente che Maria aveva ricevuto ordini precisi e di certo a Rafael piaceva essere trattato in quel modo, quindi lei non l’avrebbe messa in difficoltà.
«Gradirei una tazza di caffè, se non le do disturbo».
Maria sorrise. «Gliela porto subito, signorina» disse, e sparì.
Tornò pochi minuti più tardi con caffè, latte, zucchero, miele, dolcificante e qualche biscottino, il tutto vezzosamente disposto su un vassoio. «Non sapevo quali fossero le sue preferenze» mormorò, quasi in tono di scusa.
«Beh, direi che di sicuro così ci ha preso» rispose Nicole ridendo.
La domestica posò il vassoio sul tavolino di fronte al divano e si raddrizzò. «Se non ha bisogno di altro, io torno alle mie faccende».
Aveva pensato di riuscire ad instaurare una qualche conversazione per capire un po’ come funzionava su quell’isola e se la donna avesse visto movimenti strani nei giorni precedenti, ma capì che non ne avrebbe ricavato nulla quindi la congedò.
La dose di caffeina fece immediatamente effetto, scacciando di dosso parte della stanchezza. Posò la tazza sul vassoio e gironzolò per casa ammirando l’arredamento e i quadri. Aveva assunto l’espressione di chi è esterrefatto di fronte a tanto lusso, ma in realtà era ben attenta a cosa le accadeva intorno e a dove stava andando, avvicinandosi alla saletta dove Rafael aveva accolto i suoi. Ma non andò lontano. Non appena arrivò nelle vicinanze, una delle guardie del corpo di Rafael, un omone che superava i due metri d’altezza, le bloccò il passo.
«Mi dispiace, signorina Anamoa. Il signor Machado non può ricevere visite in questo momento e lei non può stare in quest’area».
«Oh, mi scusi» mormorò Nicole, girando sui tacchi senza discutere oltre.
Va bene, non riesco a sapere cosa succede lì dentro, ma posso sempre farmi un giretto sull’isola. Tornò nella propria stanza, indossò un completo da jogging, mise il cellulare nella fascia da braccio e uscì dalla portafinestra.
Il sole era ormai alto e picchiava forte, ma lei era abituata a quello delle Hawaii, quindi non era un problema. Non c’era nessuno in vista e, nonostante indossasse un auricolare, la musica era spenta in modo che potesse accorgersi se qualcuno la seguiva e la stava osservando.
Si fermò sulla veranda dedicandosi ad alcuni esercizi di riscaldamento per sciogliere i muscoli, ma in realtà si stava orientando in base alla posizione del sole, ricordando le immagini satellitari che aveva scaricato e che mostravano il bunker sotterraneo a poca distanza dalla casa.
Poi partì di corsa sulla sabbia chiara, posizionandosi sulla battigia in modo da avere un appoggio un po’ più solido. Erano arrivati lì con tre guardie del corpo: una era l’omone che l’aveva bloccata prima. Un altro era un tipo biondo e massiccio quasi quanto il primo, e in quel momento stazionava all’ingresso. L’ultimo era un tizio con i capelli neri tagliati molto corti e gli occhi di un verde prodigioso che sembrava giovanissimo. In quel momento non era in vista.
Il suo occhio attento ai dettagli individuò un sentiero che s’inoltrava nella boscaglia e lo imboccò. La grande villa non era in vista, coperta dalle palme, e ben presto intravide davanti a sé un tratto diboscato. Al centro dello spiazzo di cemento stazionava l’elicottero nero che aveva trasportato gli ospiti di Rafael.
Un uomo in camicia bianca stava appoggiato alla fusoliera, fumando una sigaretta, mentre chiacchierava con il bodyguard con gli occhi verdi. A meno che sull’isola ci fosse qualcun altro che non aveva visto, erano tutti impegnati attorno alla casa e all’eliporto.
Bene, pensò, questo mi dà una certa libertà di manovra.
Il sottobosco, con quell’umidità, era rigoglioso e non aveva timore di pestare foglie secche che avrebbero rivelato la sua posizione, ma rallentò comunque il passo e deviò verso sud, addentrandosi ancor di più fra la vegetazione. Ad un certo punto incrociò un sentiero battuto che tagliava quello meno tracciato che stava percorrendo.
Prese a seguirlo, restando in mezzo alla macchia, continuando a tendere l’orecchio ad un eventuale inseguitore. Il terreno si innalzò bruscamente e Nicole si mosse lungo il bordo di quella collina finché si fermò e si accucciò fra gli alberi. Aveva trovato l’ingresso del bunker che dava su un piccolo spiazzo che era stato liberato dagli arbusti ma era coperto dagli alberi, in modo che fosse invisibile dall’alto.
Nicole rilevò la posizione con il GPS, annotando le coordinate per mandarle a Steve. Non c’era nessuno in giro ma, mentre stava per avvicinarsi ad esaminare la struttura un po’ più da vicino, udì delle voci e si acquattò di nuovo.
«Sei sicuro?»
«Sì, ti dico. L’ho vista venire da questa parte».
Il biondo e Mister Occhi Verdi sbucarono sul sentiero davanti al bunker, guardandosi intorno. Nicole indossava un completo arancione, non il massimo per mimetizzarsi, ma era ben decisa a non farsi trovare perciò cominciò ad indietreggiare lentamente.
Si muoveva furtiva e riuscì a non far rumore e, anche grazie al fitto fogliame di quella giungla, poté allontanarsi senza essere vista. Tornò nel punto in cui aveva abbandonato il sentiero e lo riprese, affrettandosi a riguadagnare il tempo perduto nella sua esplorazione. Sbucò sulla spiaggia sul lato nord, notando come fosse più stretta di quella dall’altra parte, dov’era stata costruita la villa.
Si fermò a riprendere fiato, valutando come quella striscia stretta di sabbia fosse sia un vantaggio che uno svantaggio per i Seal: il tratto in cui sarebbero stati allo scoperto era veramente esiguo e lo sbarco sarebbe avvenuto abbastanza vicino al bunker dove presumevano fosse tenuto prigioniero Elliot, ma per recuperare lei avrebbero dovuto attraversare tutta l’isola, che almeno non era così ampia.
Riprese a correre, stavolta seguendo il bagnasciuga e fermandosi di quando in quando per fotografare qualcosa, una pianta o un animale che avessero attirato la sua attenzione. Fece il giro dell’isola, un vero paradiso quasi incontaminato, se si eccettuavano il bunker in mezzo alla giungla e l’enorme villa sul lato nord.
Era quasi in vista della dimora quando udì il sibilo dei rotori dell’elicottero e, poco dopo, lo vide innalzarsi sopra gli alberi, restare librato per qualche istante, e poi partire in direzione della terraferma.
Ci vollero altri cinque minuti di corsa per arrivare alla casa. Rafael si era cambiato: indossava un paio di pantaloncini da bagno e la stava aspettando sulla veranda della sua stanza. Il suo corpo era sodo e muscoloso, piacevole da guardare. La pelle, baciata dal sole, risplendeva di salute: era più scura di quella di Nicole, ma sembrava setosa quanto la sua. Era evidente che Rafael ci teneva al proprio aspetto, come testimoniava il tronco accuratamente depilato con un’unica striscia di peli scuri che dall’ombelico scendeva a perdersi sotto i boxer.
Nicole salì i gradini della veranda e si fermò accanto a lui, ansimando per riprendere fiato.
«Non ti avevo detto di riposare?» la rimproverò Rafael, mentre lei slacciava il velcro che teneva il cellulare assicurato al suo braccio e lo posava sul tavolino.
«Avevo bisogno di sgranchirmi un po’ le gambe. E ora ho bisogno di una doccia» disse, muovendosi per oltrepassare la soglia ed entrare nella stanza. Ma la mano di Rafael scattò e si chiuse sul suo braccio. C’era forza in quella stretta, molta più di quanta lei ne avesse mai avvertita nei loro precedenti contatti.
«Non così in fretta» mormorò, mentre lo sguardo gli si accendeva di malizia. Prima che potesse replicare, lui sorrise come un ragazzaccio e si chinò per prenderla in braccio. Lei strillò per la sorpresa e gli colpì le spalle con i pugni per farsi mettere giù, ma Rafael mantenne la presa. Saltò i gradini della veranda, atterrando agilmente sulla sabbia e corse verso il mare, finché si tuffò con lei.
Andarono sotto entrambi e riemersero subito. Le mani di Rafael le strinsero la vita, attirandola verso di sé, mentre Nicole cercava di togliersi acqua e capelli dagli occhi.
Il corpo di Rafael premette contro il suo e lui cercò subito la sua bocca. La baciò, e stavolta le sue labbra furono subito roventi. Le prese il labbro inferiore con i denti, tirandolo leggermente; poi lo lasciò andare, accarezzandole la bocca con la lingua, con lenta sensualità.
Le mani di Nicole si mossero senza che lei avesse dato un impulso cosciente, intrecciandosi ai capelli di lui e trattenendogli la testa perché continuasse a baciarla. Nemmeno quelle di Rafael comunque rimasero ferme, salendo sulla schiena, percorrendole la colonna vertebrale in una pigra carezza.
Abbandonò la sua bocca, aggredendole il collo, percorrendo la pelle salata con le labbra. Nicole rovesciò indietro la testa per facilitargli il compito, gemendo come un gattino. Ma quando Rafael l’attirò verso di sé e sentì che era eccitato, tornò in sé con un sussulto. Dio del cielo, che cosa stava facendo? Si stava comportando come una puttanella e l’aveva assolutamente incoraggiato invece di respingerlo. Era contenta che il cellulare fosse rimasto sulla veranda, altrimenti Steve avrebbe sentito con chiarezza i suoi gemiti e difficilmente sarebbe riuscito a non precipitarsi lì.
Rafael si accorse del suo turbamento e interruppe il bacio.
«Qualcosa non va, tesoro?» domandò, cercando di guardarla negli occhi ma lei, che era arrossita, li teneva bassi. Nicole Knight che arrossiva mentre era sotto copertura? A memoria sua non era mai accaduto, nemmeno la prima volta che con i Five-0 si era impegnata in quel tipo di attività.
Sollevò una mano a coprirsi gli occhi, cercando di prendere tempo. Doveva trovare un modo per venirne fuori, ma il cervello era completamente andato e le pareva di non riuscire più a connettere.
Rafael si scostò un po’. «Ehi, che succede?» chiese con dolcezza.
«Scusami» mormorò lei, ancora senza incrociare il suo sguardo. «È che io…» ma non riuscì a proseguire. Cosa poteva dirgli? Perché quel lavoro in incognito non funzionava come gli altri?
«Va bene, capisco» disse lui e Nicole alzò gli occhi quando avvertì la durezza nel suo tono. Lui si voltò per tornare a riva, ma la donna gli afferrò il braccio.
«Sono uscita venti giorni fa da una storia che andava avanti da quattro anni» improvvisò. Come scusa era abbastanza buona – anche se ci si sarebbe aspettati che, stando così le cose, di fronte alla sua proposta di partire con lui avesse quantomeno tergiversato un po’ – ma, almeno, bastò a fermarlo. «Vorrei lasciarmi andare, Rafael. Davvero lo vorrei» continuò, stringendogli il braccio per dare più enfasi alle sue parole. «Ma i ricordi sono ancora troppo vividi in me e ti chiedo di avere pazienza».
Rafael non le sembrava il tipo d’uomo che poteva pazientare e aspettare una donna, qualunque fosse il suo problema. Tuttavia, la guardò negli occhi e si ammorbidì, sollevando una mano ad accarezzarle la guancia.
«Penso che valga la pena aspettarti» mormorò, cogliendola di nuovo di sorpresa. «Vieni» aggiunse, «andiamo a mangiare qualcosa».
  
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