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Autore: SabrinaSala    04/11/2015    11 recensioni
"...Sdraiato supino sul letto, un braccio dietro la nuca e l’altro appoggiato sul ventre piatto, pantaloni e calzari ancora indosso, Johannes accolse così, sfacciatamente seducente, le prime, impertinenti luci dell’alba. «Proteggere una donna, salvaguardare la sua persona, è il compito più difficile e più importante al quale un uomo possa essere chiamato. Ne sarai all’altezza?»"
***
Sacro Romano Impero Germanico. Città di Rosenburg. Anno Domini 1365
Quando Johannes, altero e affascinante capitano delle guardie cittadine, riceve l’incarico di proteggere Madonna Lena, pupilla del Vescovo di Rosenburg, solo Justus, l’amico di sempre, può trovare le parole per chetare il suo animo inquieto.
Pedine inconsapevoli di un gioco iniziato quando ancora erano in tenera età, Justus, Johannes e Lena si troveranno loro malgrado coinvolti in un ordito di peccati e di colpe… Sarà sufficiente lo stretto legame con il Vescovo-conte, reggente della città, loro padrino e benefattore, a salvare le loro anime?
***
"Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam" ("Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia") – dal Salmo 51
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo, Inquisizione
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Parte II


Capitolo 13 – Risveglio
 
Strali di nebbia… Un profumo dolciastro che impasta la gola, penetra i polmoni, soffocante e subdolo... Le urla, il clangore delle spade… Poi, un secco e frenetico bussare.
Johannes si svegliò di soprassalto, riemergendo dall’abbraccio lattiginoso di una nebbia infausta, ricacciando indietro quello sgradevole sapore.
Nudo. Su quel letto che stentava a riconoscere. Chiome castane ad accarezzare le membra indolenzite e il calore fragile di una presenza addormentata al suo fianco. Lena!
La nuova raffica di colpi, contro la porta chiusa dall’interno, lo riportò bruscamente  alla realtà. Al peccato. Al tradimento. All’amore che si era consumato tra le mura consacrate del monastero, in quell’umida notte di pioggia…
Svelto, afferrò le brache e le indossò. Abbandonò il giaciglio e il corpo nudo fu ghermito dall’aria fresca del primo mattino.
«Aprite» sibilò una voce a metà tra il perentorio e il sussurro che non stentò a riconoscere. L’unica che gli avrebbe dato sollievo in quel momento: Justus!
Si accostò al pannello di legno ruvido. Poi lanciò un’occhiata alle piccole finestre che si affacciavano sul cortile ancora deserto. Aveva smesso di piovere. Albeggiava. E Justus era solo.
Sfilò il chiavistello. Socchiuse il battente quel tanto che bastò ad intercettare lo sguardo severo del monaco e proteggere Lena e la sua seducente nudità.
Immobile, il volto pallido, Justus sembrava una maschera di cera dall’espressione indignata, carica di una collera che l’amico non gli riconosceva e si sentì colpevole. Si vergognò di se stesso, degli impulsi primitivi che lo avevano riportato a Rosenburg e infilato prepotentemente nel letto di quella giovane donna fino ad allora incontaminata.
«Indossa questi e vattene da qui! », lo investì bruscamente il chierico, il cuore in tumulto, incapace di scacciare le immagini e i suoni che si rincorrevano nella sua mente annebbiata alla vista del corpo seminudo di Johannes.
Trafitto dai suoi occhi turchesi, il giovane accettò senza ribattere e senza fare domande.  Afferrò il saio che gli veniva porto, accostò la porta e terminò rapidamente di rivestirsi, raccogliendo da terra il fagotto dei propri abiti.
Quando sollevò lo sguardo dal pavimento, incrociò quello sorpreso e allarmato di Maddalena Aicardo, finalmente sveglia. Irresistibile nella sua nudità.  
Johannes avvertì un fremito scuoterlo interamente e il desiderio impossessarsi ancora di lui e del suo giovane corpo che scopriva improvvisamente non ancora sazio di baci e carezze.  Reprimendo un gemito, si piegò su di lei, le catturò le labbra.  Le afferrò il volto, con entrambe le mani, lasciando cadere la tonaca sul letto tiepido, irretito dal sensuale richiamo di quella strega dagli occhi nocciola.  
«Sbrigati! » sollecitò la voce dalla soglia.
E Lena riconobbe Justus e il suo carico di ansia mista ad una rabbia sorda, trattenuta a stento. Avvampò, all’idea che il chierico sapesse. Le labbra di Johannes lasciarono le sue e lei comprese istintivamente la necessità e l’urgenza di quel brusco distacco.
In silenzio, osservò il proprio amante indossare l’abito talare e le sue labbra rivolgerle uno stentato sorriso  contaminato dalla preoccupazione. Ma i suoi occhi, i suoi straordinari occhi grigi, non le erano mai sembrati tanto fermi e decisi. Privi di una qualsiasi ombra di dubbio o di rimpianto.
Inspirò, poi lasciò che l’aria scivolasse piano tra le labbra dischiuse, consapevole della propria follia.  Ma non avrebbe rinnegato nemmeno un ansito di quella notte. Comunque fossero andate le cose.
Incapace di accostarsi a lei senza desiderare di fermarsi, Johannes decise di congedarsi con un semplice cenno del capo.
Qualunque parola sarebbe stata inutile. Troppo poco. E comunque troppo. Bisognava solo andarsene e farlo in fretta.
 
***
 
Il passo svelto, il cappuccio calato sul capo, le mani nascoste nelle ampie maniche del saio, Justus e Johannes si lasciarono alle spalle l’edificio della foresteria. A testa bassa, attenti a non destare la curiosità dei monaci più mattinieri, fratelli tra i fratelli, percorsero in silenzio i lunghi corridoi immersi nella penombra rosea del mattino.
Quale protetto del vescovo, Justus godeva nel monastero come in città di una totale libertà di movimento e di azione, seppure nel rispetto della “regola” che aveva scelto di abbracciare e questo gli diede la certezza di un colpevole vantaggio sulla comunità che stava vivendo il proprio sonnolento risveglio.
Il chierico precedeva Johannes, imponendogli il ritmo e il rispetto del silenzio che macerava tra loro.
L’imbarazzo era palpabile. Johannes se ne rendeva conto. Concreto come l’umidità che trasudava dalle pietre e penetrava le ossa. Greve come il lamentoso salmodiare dei primi cantori del mattino.
«Fino a che punto hai intenzione di ignorarmi?» si lamentò approfittando di una svolta  e affiancando finalmente il giovane monaco, protendendosi verso di lui.
Per tutta risposta, Justus lo trapassò con uno sguardo che non ammetteva repliche né interpretazioni.
Johannes represse un istintivo moto di stizza e tacque.
Tacque, rispettando ancora una volta il suo silenzio.
Fino alle scuderie.
Qui, si liberò della tonaca e approfittando dell’atmosfera ovattata delle stalle, tra gli sbuffi caldi dei cavalli a riposo e il sapore aspro del fieno, decise che era arrivato il momento di parlare.
Avvicinandosi a Shatten, rivolse uno sguardo interrogativo al chierico intento a controllare sella e finimenti.
«Justus…»  esordì.
L’altro serrò inaspettatamente la mascella e Johannes allungò una mano per sfiorarne la spalla e tentare di aprirsi un varco nell’ostinato muro di silenzio dietro il quale l’amico si era trincerato.
Justus lo scansò.
«Vattene» disse, senza sollevare lo sguardo da terra. Certo che se lo avesse fatto, in quel preciso momento, non avrebbe saputo giustificare le ombre che lo attraversavano.
Incurante di quell’intimazione, ma soprattutto inconsapevole dei demoni che si prendevano beffe dell’amico, Johannes mosse un passo avanti, nella sua direzione.
«Ho bisogno di parlarti» disse.
Le belle labbra di Justus presero, allora, una piega amara e vagamente cinica.
«Potevi pensarci prima…» rispose, socchiudendo gli occhi turchesi, e tuttavia senza guardarlo, come se il pagliericcio sparpagliato sul pavimento della stalla fosse più interessante del volto adombrato dell’amico.  «Ci sarebbero state molte cose da dire. Prima» precisò. «Ma hai deciso di agire. Di fare di testa tua. Come sempre, del resto. Senza riflettere» lo accusò, sollevando lo sguardo e guardandolo improvvisamente negli occhi.
Johannes trasalì. Spiazzato.
Un rimprovero. Uno dei tanti.  Ci era abituato.
Ma quella mattina, quel rimprovero, quelle parole e soprattutto quegli occhi turchesi, offuscati da un sentimento indecifrabile, forse rancore, lo ferirono come non avevano mai fatto prima.
«Non era questo il modo, Johannes… »
Gli occhi di Justus tornarono a lambire il pavimento e il suo tono, fino ad allora alterato, si fece più  sommesso. Quasi un sussurro.
Johannes serrò la mascella, si irrigidì e furono le sue labbra, allora, a piegarsi in un sorriso sprezzante.
«Dimmi, chierico… » ringhiò.  «Esiste davvero un modo giusto e uno sbagliato di prendere e dare amore?» lo sfidò.
Amore!
Justus riportò repentinamente lo sguardo in quello torvo dell’armigero. Ma non fece in tempo a cogliere il significato profondo di quelle parole, ché Johannes continuò:
«L’ho desiderata e l’ho respinta» disse, passando il dorso di una mano sul muso caldo di Shatten, gli occhi rivolti all’animale e alla sua morbida criniera ondulata. «Ma non c’è stata punizione o penitenza che me l’abbia tolta dalla mente… Lo capisci questo?» rise afferrando e stringendo le briglie con una mano. Poi si rilassò. Lasciò cadere i finimenti. Socchiuse le palpebre e accentuò il sorriso, passandosi il palmo della una mano sulla mascella. «Non poteva essere sua… » decretò. «Non lei… ».
Ammutolì. Gli occhi ancora rivolti lontano da quelli turchesi di Justus che ora lo fissavano inquieti. Desiderosi di sapere.
«Ho espiato le mie colpe, Justus» disse rompendo improvvisamente il silenzio. «Su quel campo di battaglia, ho salvato la sua vita e mi sono ripreso la mia» ringhiò. «Mi sono preso lei…» affermò addolcendo improvvisamente il tono della voce. E altrettanto improvvisamente, come aveva rotto il silenzio, intercettò lo sguardo del chierico «Niente che lei non volesse» chiarì, prima che un imbarazzato silenzio si frapponesse ancora tra loro.
I due giovani uomini sostennero tacitamente i rispettivi sguardi così come le rispettive posizioni. Testardamente.
«L’hai compromessa… » mormorò Justus, con voce tremula. «Te ne rendi conto?» lo incalzò, severo.
Se anche poteva credere alle parole e ai sentimenti dell’amico, il chierico non poteva evitare di metterlo di fronte a una realtà che sarebbe stata presto pericolosa per entrambi. Per lui, l’altero capitano della Guardia cittadina e per lei, la pupilla del vescovo, promessa sposa a un giovane blasonato, un ottimo partito.
«No» fu la risposta. «Non se diventasse mia moglie»
Justus non riuscì a definire e a dare un nome alla sensazione che provò in quel preciso momento. Sollievo e rispetto? Timore? Invidia o forsanche gelosia?
«Parlerò con il vescovo» continuò Johannes, imperterrito. «Si è dimostrato generoso con me. Capirà e non mi negherà il suo appoggio»
Justus dissimulò un fremito leggero che lo percorse dalla testa ai piedi. Inspirò profondamente, nel tentativo di acquietare lo spirito.
«E quali argomenti porterai a sostegno della tua richiesta? » domandò infine, sarcastico. «Cosa gli dirai? » continuò «Che vi siete scoperti innamorati, inaspettatamente? » avvertì un’ombra passare nello sguardo di Johannes. «Che avete tradito la sua fiducia, lasciandovi travolgere dalla passione tra le mura del monastero, in una notte di pioggia? » Deglutì e si umettò le labbra secche. «Stai molto attento alle parole che userai, Johannes… » concluse.
Johannes distolse lo sguardo. Afferrò le redini e condusse lentamente il cavallo fuori dalle scuderie. Montò in sella. Poi tornò con lo sguardo sull’amico.
«Va’ da lei» lo pregò, cercando ancora una volta i suoi occhi e indirizzando poi Shatten verso la porta del monastero che avevano varcato solo qualche ora prima.  
Justus annuì, stanco. La notte insonne cominciava a pesare.
Evitò di trattenerlo. Evitò di fargli domande. Erano tante le risposte che avrebbe voluto avere e sentire. Ma non era quello il momento. Spossato dalle emozioni e dai sentimenti confusi e negativi provati in quelle ultime ore decise di ritirarsi e pregare, non prima di aver assolto, per l’ennesima volta, ai suoi doveri di fratello e di amico.
 
***
 
Johannes inspirò avidamente l’odore di casa. La luce che filtrava attraverso i battenti socchiusi della stanza, al secondo piano della costruzione militare, rivelò ai suoi occhi insaziabili profili e sagome familiari.  Solo, con il peso di una colpa che stentava ora a non definire la più dolce delle gioie, sedeva sul bordo del letto. il volto affondato tra le mani. I pensieri tornavano sempre a lei, Maddalena Aicardo. Si alzò e lentamente iniziò a spogliarsi, assaporando ad ogni movimento l’odore di lei. Di quella giovane donna capace di strappargli gemiti e involontari sorrisi. Quell’odore lo avvolgeva,  lo rivestiva come un’eccitante carezza. Lo sentiva addosso, sulla pelle, sulle vesti. Impossibile non avvertirne l’aroma dolciastro. E inaspettatamente si chiese se anche per lei fosse lo stesso. Se nella stanza, sul quel letto, su quello splendido corpo fosse rimasta traccia del suo odore, la sua fragranza maschia e aspra. Avvertì il sangue scorrergli più veloce nelle vene, i polsi dolere. Desiderio! Pensò.
Si schiarì istintivamente la gola. Ricacciò indietro un ruggito, un gorgoglio animalesco. Nessuno avrebbe dovuto sospettare… tantomeno il vescovo o Erasmus.
Afferrò un panno pulito e lo immerse decisamente nell’acqua calda del bacile che lambì, avida, la sua mano. Lo strizzò con forza, percependo rivoli d’acqua tiepida percorrere e perdersi nella parte interna dell’avanbraccio. Lo passò energicamente sulle braccia, detergendo muscoli e tendini. Lo passò sul petto, sul ventre piatto, sui fianchi e la schiena… godendo di quella ruvida carezza  fino a piegare inaspettatamente le labbra in una smorfia di dolore. Allentò la pressione e passò delicatamente sulla ferita ancora fresca della quale, per un attimo, si era dimenticato o voluto dimenticare.
 
Sfiorò con le dita la pelle lesionata, subito sotto la spalla destra, e con la mente tornò all’alba di qualche settimana prima, al giovane marchese e alla sua espressione esterrefatta di fronte al nemico e all’agguato che gli era stato teso.
Ricordò il rumore, i suoni, il sapore ferroso del sangue… Le urla concitate degli ufficiali e quel manipolo di soldati votati alla morte. Sentì la carne lacerarsi di nuovo, sotto la spalla, e la sua stessa voce ordinare a Edelbert di muoversi, di seguirlo, di restare al suo fianco, mentre la mano destra irrorata di sangue afferrava le redini del cavallo, riottoso, e lo trascinava lontano.  Ordini dettati con rabbia e determinazione. Il tentativo di riscuotere dal torpore un uomo debole, altrimenti destinato a soccombere.
E vide la sua gratitudine. Gratitudine e ammirazione fondersi in quegli occhi celesti, troppo acquosi per essere gradevoli. Una gratitudine inaspettata,  la redenzione. L’espiazione di tutte le colpe. Dimenticate, mondate. Era libero.
Un paio di giorni più tardi, il marchese aveva scritto la lettera in risposta alle richieste di Lena e lo aveva congedato, esprimendo il desiderio che fosse lui stesso a consegnare la missiva non appena si fosse rimesso in forze…
Johannes appoggiò le mani al bacile. Osservò il pelo dell’acqua ormai tiepida poi vi affondò il volto fino alle tempie. Sulle labbra una piega amara, quasi sarcastica.
 
***
 
Konstantin Winkel ripiegò accuratamente la lettera che teneva in mano. Si sollevò dallo scranno, fece un cenno a Erasmus perché rimanesse alla sua postazione e si portò alla finestra che dava sulla cattedrale.
«Il giovane Edelbert è rimasto molto colpito dal tuo coraggio» commentò, rivolto a Johannes, ora in piedi alle sue spalle. «Tanto, da chiedermi di rinunciare a te»  proseguì lentamente.
Johannes, che per la prima volta veniva messo al corrente del contenuto di quella seconda missiva, sollevò le sopracciglia. «Desidera averti ancora al suo fianco» riprese il vescovo «Al suo servizio, per la precisione… » concluse restando immobile, le mani serrate dietro la schiena eretta, gli occhi immersi nell’orizzonte sereno di quella mattina di fine estate. Riflettendo su parole che gli avrebbero semplicemente strappato un sorriso di mera soddisfazione, in un altro momento.
«Concedetemi la mano di madonna Lena, eminenza» ribadì il capitano «e disponete di me come meglio credete».
Erasmus, seduto alla scrivania ingombra di carte, si afferrò all’abito talare, mordendosi istintivamente il labbro inferiore, indignato per l’insolenza del capitano, irritato dall’espressione serafica del vescovo che, ancora, non tradiva la benché minima reazione.   
Konstantin Winkel, infatti,  aveva ascoltato attentamente il suo pupillo esporre la propria richiesta e chiedere la sua intercessione.
Non aveva risposto. Preferendo leggere, prima di esprimersi, quel che il marchese aveva voluto comunicargli in quella manciata di righe che altro non era se non un elogio a Johannes e al suo ardore.
« La determinazione non ti ha mai fatto difetto» commentò finalmente, stringendo la morsa delle mani dietro la schiena e voltando il capo quel tanto che bastava a scorgere l’armigero con la coda dell’occhio.
Johannes non si scompose.
«La nostra Lena è al corrente delle tue intenzioni?» domandò Konstantin con tono pacato, riportando lo sguardo oltre la finestra.
«No» rispose Johannes. E in effetti non mentiva. Non aveva più visto Maddalena Aicardo dalle prime luci dell’alba, quando l’urgenza della fuga lo aveva sottratto al più dolce dei risvegli.
«E cosa ti garantisce che ricambierà il tuo… entusiasmo? » s’informò ancora il vescovo.
Johannes inspirò profondamente, leggendo in quella nota di sarcasmo una risposta positiva alla propria richiesta.
«Sarò il più devoto dei mariti» disse, chinando leggermente il capo. «Ve lo garantisco».
Konstantin sorrise.
«Non nutro alcun dubbio, in merito alla sincerità dei tuoi propositi…» commentò. « Le tue qualità non sono messe in discussione», concluse voltandosi finalmente e cercando i suoi occhi, carichi di una fierezza senza paragone. Aveva sempre ammirato le virtù di quel ragazzo, fin da quando era solo un bambino. Una creatura sfortunata che aveva inaspettatamente trovato, in lui, il suo benefattore.
«Concedimi qualche giorno per ragionare e sistemare le cose» disse carezzandolo con uno sguardo indecifrabile. «Fino ad allora, non far parola di questa conversazione con nessuno… » pregò. «La questione è molto delicata. Ma credo che tu lo capisca» concluse.
Johannes annuì, cercò la mano dell’uomo e sfiorò con le labbra l’anello episcopale.
Il vescovo tornò a sedersi.
«Il marchese preannuncia il suo imminente ritorno a Rosenburg…» riprese, massaggiandosi il mento. «E’ quindi necessario che ti allontani dalla città»
Johannes represse a stento un sussulto.
«Porterai mie notizie a un caro amico, nei territori a nord della contea… » continuò Konstantin Winkel, ignorando volutamente la sua espressione contrita. «Erasmus ti consegnerà la mia lettera, e tutto quanto ti sarà necessario per il viaggio, questa sera stessa», allacciò le dita sotto al mento «Per quando sarai di ritorno, tutto sarà sistemato» decretò, dichiarando chiusa la conversazione.  
Il capitano inspirò profondamente. Si prostrò in un cenno di commiato e lasciò la stanza senza aggiungere una parola.
Kostantin Winkel fissò la porta a lungo, trincerandosi dietro un silenzio inespugnabile. Alle sue spalle, Erasmus fremeva di una rabbia sorda e repressa, intenzionato a scaricare l’intera frustrazione su Hanna, pedina inutile, colpevole ai suoi occhi di non essere stata in grado di soddisfare le sue richieste. Detestava l’arroganza di Johannes e la sua maledetta perfezione capace di confonderlo lasciandolo inerme e sciocco al suo cospetto.
«Vescovo Winkel…» mormorò cercando conforto nell’ecclesiastico.
Per tutta risposta, l’uomo sollevò la mano destra, imponendogli il silenzio.
«Fa’ quello che ho detto» disse perentorio «Johannes deve lasciare la città»  continuò senza voltarsi. «Riguardo a Maddalena Aicardo, non è il caso che resti al monastero un giorno di più» ordinò, osservando poi un attimo di silenzio.
Facendo leva sui braccioli, lasciò nuovamente lo scranno e tornò alla finestra.
«E’ arrivato il momento di chiamare il bastardo boemo» sibilò senza aggiungere altro o degnare il segretario di una qualche, ulteriore spiegazione. Considerando quindi chiuso l’argomento.  
Erasmus, gli occhi fissi su quell’imponente figura ecclesiastica, sussultò. Poi, un sorriso affiorò sulle sue labbra sottili, mitigando in parte la collera che  Johannes aveva fatto montare. 


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Omaggino! 
A dire il vero, quest'immagine, la prima che ritrae i protagonisti di questa storia in stile "manga", è nata a seguito del capitolo precedente. Alcuni di voi l'hanno già vista pubblicata in altra sede... La riporto anche qui, per completezza, e spero che vi piaccia! In fondo, se avete voglia di leggerlo, il solito (ma questa volte più "pesante") angolino dell'autrice... 


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IL CONFESSIONALE (ovvero, l'angolo dell'autrice):
Eccoci finalmente a noi, con l'inizio di questa seconda parte che riprende i fili interrotti dalla passione che ha caratterizzato il capitolo precedente... Cosa dire a discolpa di questo mio ritardo? La verità, come suggerirebbe Justus. E quindi eccola:  era necessario un mio coinvolgimento emotivo, perché potessi scrivere questo capitolo. Avevo la necessità di calarmi nuovamente in quel del "Medioevo" e di "sentire" fortemente i personaggi e il loro modo di essere, uno dopo l'altro... Gli impegni serrati di queste ultime settimane, purtroppo, me lo hanno impedito. E fino a quando la “magia” non si è compiuta, non ho potuto scrivere ed esprimermi al meglio. Era necessario che fossi lì, con Johannes e poi con Justus, che ne avvertissi i pensieri, le emozioni. lo struggersi e il lacerarsi  dell’anima. Esagerata, direte voi... E in effetti a volte mi sento in "odor di neuro". Poi incrocio lo sguardo con Johannes e capisco che per me è proprio così! Deliri a parte, credo che alcune delle vostre domande abbiano trovato risposta nelle elucubrazione del "giorno dopo"... non esattamente il più classico, forse, non quello che Lena si sarebbe forse aspettata... E voi? Cosa vi sareste aspettati da questo capitolo? E dai personaggi tutti?

Attendo, come sempre ansiosa, il vostro graditissimo riscontro e le vostre domande! 

A presto,
Sabrina  



 
   
 
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