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Autore: guiky80    07/11/2015    10 recensioni
La piccola Sanae Nakazawa alle prese con i primi batticuori.
‘Quindi se uno ti chiama per nome è perché gli piaci?’
Questa domanda ronzava in testa alla piccola Sanae Nakazawa, otto anni, maschiaccio, sempre pronta a far rissa, un leader nato.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo nato dopo aver riflettuto su una recensione ricevuta alla one – shot 'Che strazio questi cognomi'.
Questo Capitolo viene dedicato, pertanto, a Setsuka76.
I ringarziamenti, come sempre, vanno alla mia mitica Beta Sanae77 che, nonostante il periodo un po' così, ha betato lo stesso.
Grazie Sorella, un bacio grande!



Lui era stato educato così.
'Le persone ti devono portare rispetto.
Tu sei un Wakabayashi e quando ti parla, la gente sa con chi ha a che fare.'
Questo gli diceva suo padre fin da quando era piccolo.
Le persone si chiamano per cognome, per rispetto, se sono più grandi di te; per mantenere le distanze se sono 'inferiori' a te.
Il ragazzino era uscito di corsa sistemandosi il cappellino in testa, raggiungendo il resto della sua squadra, la Shutetsu, vicino al parco. Successivamente tutti si erano diretti al campo comunale a tormentare quelle mezze calzette della Nankatsu.
Da bordo campo Genzo aveva osservato quello che doveva essere un allenamento, in realtà quei ragazzi somigliavano più a un branco di pecore al pascolo.
Lasciato cadere il pallone a terra lo aveva calciato, non troppo forte a dire il vero.
La palla era arrivata a centro campo, colpendo alla schiena il Capitano di quella specie di squadra.
Tutti i ragazzini in campo si erano voltati verso gli avversari e subito Ishizaki si era messo a sbraitare contro Genzo.
Era uno scemo patentato, ma era l'unico ad avere fegato abbastanza da dargli addosso.
No, in realtà non era l'unico, infatti da sinistra era arrivato l'urlo di Anego, quella specie di 'maschio mancato' che seguiva sempre la Nankatsu.
Genzo si era voltato appena verso di lei e aveva sfoderato un sorrisetto stronzo, mentre la ragazzina avanzava a passo di carica.
“Wakabayashi, perché non siete al vostro campo? Lasciateci in pace!”
Lui la guardava: gambe divaricate, mani sui fianchi, tutta protesa verso di lui, sguardo accigliato e bocca imbronciata. C'era voluta tutta la sua calma, per non scoppiarle a ridere in faccia.
Alla fine quella ragazzina non era male, aveva più fegato di tutti quelli che erano in campo, in quel momento, messi insieme.
Lei e Ishizaki erano gli unici a discutere con lui e con tutta la Shutetsu.
“Ragazzina, piantala di starnazzare! Torna a casa a fare la calzetta va!”
Era diventata paonazza e ancora Genzo si era trattenuto, rivolgendosi poi a Ishizaki.
“Porta via questa specie di squadra, forza! Qui, ci sono giocatori che devono allenarsi sul serio!”
La discussione con il Capitano della Nankatsu era durata poco e come sempre l'aveva spuntata lui.
Quella sera, steso sul suo letto, Genzo ripensava alla scalmanata ragazzina che gli teneva testa, o almeno ci provava.
Si conoscevano da parecchio, lei era più piccola di lui di qualche anno appena, ma molto, molto più bassa fisicamente.
Lui era il Capitano della Shutetsu, squadra campione in carica.
Lui era un Wakabayashi. La sua famiglia, praticamente, comandava tutto a Nankatsu.
Quindi, vedere quei due ragazzini, ma soprattutto lei, tenergli testa era divertente. Da adulta non l'avrebbe più fatto, quando avesse capito come girava il loro mondo, ossia tutto intorno ai Wakabayashi, la ragazzina avrebbe finito di rompere.
Con un sorrisetto si era addormentato.
Il giorno dopo era domenica e lui come al solito stava correndo nel parco. Testa bassa, cuffie nelle orecchie, musica a palla a riempirgli i pensieri.
Si era fermato alla fontanella a bere e l'aveva vista. Ci aveva messo un po' a riconoscerla in realtà.
Era con i genitori e il fratellino, stavano passeggiando, si vedeva palesemente che era a disagio. La madre le aveva sussurrato qualcosa, ma lei aveva scosso la testa mettendo un broncio adorabile.
Genzo si era stupito da solo di quel pensiero 'broncio adorabile' aveva davvero pensato questa di Anego?
Eppure vederla lì, con quell'abito bianco al ginocchio, con dei piccoli fiorellini rosa, le scarpette rosa, i capelli pettinati ordinatamente, tutta carina mentre seguiva la famiglia, aveva fatto capire a Genzo che il 'maschio mancato', di maschio non aveva davvero nulla.
Lui era abituato alla sua divisa scolastica, non proprio femminile, alla fascetta tra i capelli, alle urla, invece ora sembrava diversa, un'altra.
Però quello sguardo scuro, quelle labbra imbronciate, l'avevano fatto sorridere.
Aveva ripreso la sua strada tenendosi alla larga, non voleva farsi vedere.
Il tempo era trascorso veloce, come sempre quando si allenava la mattina presto, aveva svoltato quell'angolo ancora correndo. Aveva fame, era ora di colazione, ma aveva sbattuto contro qualcosa, o meglio qualcuno.
Quando aveva abbassato gli occhi aveva visto proprio lei, Anego a terra, con il suo abitino bianco: cosa faceva ancora al parco?
Tutto era stato veloce, Genzo non si era nemmeno reso conto di aver fatto quella mossa... aveva allungato la mano e aveva stretto quella di lei, tirandola in piedi di peso e poi aveva detto quella frase, che aveva stupito lei, ma soprattutto lui che l'aveva pronunciata:
“Mi dispiace, Sanae.”
Lei l'aveva guardato sbarrando gli occhi, ma aveva risposto:
“Non preoccuparti… Genzo.”
Si erano fissati mezzo secondo, poi lui si era allontanato.
Arrivato a casa, dopo la doccia e la colazione, si era seduto sul dondolo con il suo cane che gli girava intorno, e aveva ripensato a quella frase 'Non preoccuparti... Genzo' il suo nome, detto da lei, aveva un suono particolare, bello, strano... non sapeva definirlo.
Quella ragazzina... non sapeva cosa pensare di lei.
Era la tifosa numero uno della Nankatsu, solo questo, eppure quel giorno, aveva visto una ragazzina educata, bella, dolce. Aveva visto come aveva sorriso al fratellino, come aveva sistemato la gonna nonostante si vedesse che era a disagio vestita così: peccato, perché era proprio carina.
Aveva sorriso tra sé, certi pensieri non erano da lui.
Era il Capitano della squadra di calcio più famosa del momento, aveva innumerevoli ragazzine che bramavano un suo saluto, un suo cenno, qualunque cosa purché arrivasse da lui. 
Il Capitano invece era stoico e non voleva distrazioni, eppure quella ragazzina... era diversa.
Non era una di quelle che bramava le sue attenzioni, non era una di quelle pronte a tutto per lui.
Lei litigava con un Wakabayashi per il campo, difendeva la squadra e quello in cui credeva.
Lei non aveva paura di lui.
Quella era la realtà.
Genzo Wakabayashi a quella ragazza non faceva effetto.
Lei meritava il suo rispetto.
Lei non piegava la testa davanti a lui solo perché aveva un nome altisonante, o solo perché era il più bravo nel suo ruolo.
Qualche giorno dopo lui e la sua squadra erano tornati a dar noia alla Nankatsu.
Era in porta mentre i suoi compagni discutevano con Ishizaki, poi aveva sentito la sua voce, era arrivata, solo allora Genzo aveva deciso di avvicinarsi. La squadra si era aperta per farlo passare e subito aveva attaccato briga con Ryo.
“Ishizaki, rassegnati e porta via questo branco di rammolliti!”
La squadra gli aveva dato man forte, aveva notato che, invece, dall'altra parte i ragazzini erano indietreggiati al suo arrivo, tutti, tranne Ishizaki e lei.
Aveva quasi pena per il Capitano della Nankatsu, che restava sempre solo davanti a lui, poi aveva spostato lo sguardo sulla ragazzina, quegli occhi nocciola erano rimasti fissi nei suoi, ma non aveva parlato. Genzo aveva sorriso e si era allontanato, quasi deluso dal fatto che lei non avesse detto nulla.
Solo la voce di Ishizaki si era fastidiosamente insinuata nei suoi pensieri: “Il campo serve a noi!”
Quella sera Genzo aveva faticato a prendere sonno: perché lei non si era ribellata? Stava diventando anche lei una di quelle rammollite che da bordo campo incitano i ragazzi, senza capire nulla di quello che accade realmente nella partita?
No, non era possibile, non lei. Doveva essere successo qualcosa, doveva esserci stato qualcosa che l'aveva turbata, ma cosa? Poi un flash, forse il loro incontro, il fatto di essersi chiamati per nome... chissà forse era per quello...
Tre giorni dopo, non si era presentato agli allenamenti, quel giorno aveva altro da fare. Voleva capire che cavolo fosse successo a Sanae.
Già, ormai da un po' lei si era insinuata nei suoi pensieri come Sanae, non Anego, non 'maschio mancato', solo Sanae e lui rivoleva la ragazza battagliera che gli teneva testa, di quella rammollita non sapeva che farne.
La Nankatsu si allenava, o almeno tentava di farlo, lui aveva scosso la testa, poi si era guardato in giro ed eccola lì, seduta a bordo campo, come sempre, ma pensierosa, ancora.
La sua ombra l'aveva fatta sussultare e quando lui era stato certo di esser stato riconosciuto aveva parlato.
“Tentano ancora di allenarsi? Pensano davvero che serva a qualcosa?”
Aveva sorriso in modo molto strafottente e lei non aveva retto, finalmente lui aveva ottenuto una reazione.
Si era alzata e con uno sguardo battagliero aveva sbottato:
“Piantala di sfotterci! Si stanno impegnando al massimo!”
Ora Genzo era davvero soddisfatto, eccola la ragazza che a lui piaceva, si era stupito da solo di quel pensiero, ma era così: Sanae a lui piaceva, e anche tanto, ma non la voleva rammollita, la voleva così, battagliera e pronta a tutto per la sua squadra.
Aveva sorriso, un bel sorriso allegro, tutto per lei, che infatti era arrossita.
Si era avvicinato e aveva sussurrato: “Finalmente, pensavo avessi perso il tuo piglio battagliero quando l’altro giorno non mi hai detto nulla. Ti preferisco così, anche se tifi per la squadra sbagliata. Mi piaci molto di più così... Sanae.”
Si era voltato, voleva andarsene, ormai aveva ottenuto ciò che cercava, ma lei, rossa come un peperone l'aveva seguito ponendo quella domanda:
“Perché mi chiami per nome?”
Lui aveva infilato le mani in tasca:
“Perché no?”
Lei sembrava impacciata, e lui si stava divertendo un mondo:
“Beh io so che… insomma… chiami per nome solo chi…”
Lui aveva sorriso indeciso se essere stronzetto fino in fondo o no, aveva deciso di essere onesto, per la prima volta:
"Si chiama per nome solo un amico stretto e chi ci piace giusto?”
Sanae aveva la testa bassa, proprio non riusciva a guardarlo e lui si era intenerito di più, quindi aveva parlato ancora, con tono più basso e suadente:
“Beh noi non siamo certo amici stretti… quindi… è facile la conclusione.”
Poi quel gesto spontaneo, quel bacio che le aveva regalato sulla guancia, facendola diventare bordeaux; lui non era arrossito, ma il suo cuore aveva comunque accelerato i battiti e quasi per paura che lei lo sentisse aveva deciso di andarsene: “Ciao, Sanae.”
Due passi dopo aveva sentito un sussurro, che aveva fatto arrossire anche lui stavolta: “Ciao, Genzo…”
Qualche giorno dopo, mentre si allenava con Mikami, qualcuno lo aveva sfidato.
Quel pallone lanciato dal belvedere da un ragazzino, gli era arrivato dritto in mano.
Inconcepibile per lui non accettare quella sfida.
Quella maledetta sfida che aveva perso.
Quel ragazzino, quel Tsubasa Ozora, lo aveva ridicolizzato davanti ai suoi compagni di squadra e davanti a lei.
Genzo aveva giurato vendetta.
Gli allenamenti si erano fatti serrati, in vista della partita che si sarebbe disputata di lì a breve.
In seguito aveva trovato un amico, lui e Tsubasa si erano sfidati per tutta la partita, ma alla fine aveva scoperto che era un avversario temibile e a cui portare rispetto.
Per tutta la partita però, Sanae, aveva tifato per lui, per Tsubasa, aveva cucito una bandiera più alta di lei con la scritta 'Combatti Tsubasa', aveva rivolto a lui occhiate dolci e sorrisi aperti, e il cuore di Genzo si era chiuso.
Poi la nascita di un'unica squadra e infine la sua partenza per la Germania per diventare forte e famoso, per migliorare sempre di più e ce l'aveva fatta, lui era stato bravo.
Il suo cuore, però, era rimasto chiuso, fino a quel ritiro della nazionale.
Quando era arrivato, a bordo campo c'era lei, più bella, molto più bella, molto più femminile, molto più donna.
Quella stessa sera si era ritrovato sotto il portico dell'albergo con Izawa a scambiare due parole, poi il suo compagno se ne era andato ed era arrivata lei.
Si era seduta in silenzio accanto a lui. Genzo non sapeva come fare con lei, non sapeva che dire, in realtà dopo quel bacio sulla guancia di anni prima, loro si erano parlati veramente poco.
Era stata lei a rompere il silenzio, lei a chiedere notizie della Germania e a ricordare aneddoti divertenti per farlo ridere, finché non era giunta l'ora di ritirarsi, finché lui le aveva sussurrato: “Buonanotte Sanae” dandole un piccolo bacio sulla guancia, e quel gesto, semplice, innocente aveva risvegliato entrambi.
Il cuore di Genzo aveva ripreso a battere forte come quel pomeriggio lontano, e Sanae l'aveva trattenuto per un braccio, quasi si fosse ricordata anche lei all'improvviso di quel giorno.
Quando lui aveva visto quegli occhi nocciola fissarlo non aveva resistito e il bacio, quello vero, era stato immediato e spontaneo.
 
 
*** Quindici anni dopo ***
 
 
Genzo sospira, seduto nel suo letto ad Amburgo, si guarda intorno e sospira di nuovo.
Lei sta per tornare, lui lo sa, ha appena ricevuto un suo messaggio che diceva 'Sto tornando, che stress di riunione!'
Sorride, non vede l'ora di averla tra le braccia.
Guarda il cuscino accanto, sopra è posata una scatolina blu di velluto.
Chissà se la vedrà subito?
Quando sente la porta d'ingresso scattare, lui si dirige verso il bagno della camera e resta lì ad attendere, vuole godersi la scena da lontano, vuole vedere la sua espressione quando penserà di non essere vista.
Eccola, entra nella stanza e già sta parlando, tipico suo.
Lui sorride, ma non si muove, sente solo quello che lei dice, mentre toglie la giacca e inizia a slacciare la camicia:
“Ti rendi conto? Due ore di riunione per dire quello che poteva essere detto in dieci min-”
Finalmente si accorge di essere sola, guarda il letto accigliata, poi focalizza la scatolina.
Curiosità e sorpresa passano sul suo viso mentre si avvicina, la prende, la apre, una mano sale a coprire la bocca, si siede di botto, gli occhi si spalancano, mentre lei sibila: “Oh mio Dio! Genzo...”
Poi si alza, e con lei la sua voce: “Genzo! Dove sei?”
Lui spunta dalla porta, con il suo sorriso sghembo, si appoggia allo stipite, incrocia le braccia sul petto e le caviglie una sull'altra, indossa solo i pantaloni della tuta dell'Amburgo un po' calati in vita ed è a petto nudo: sa di essere irresistibile per lei così, infatti lei arrossisce subito.
Lui esclama: “La tua risposta è sì?”
Lei deglutisce. “Non so la domanda?”
“Ah no?”
“No”
Lui sorride e inclina la testa:
“Non avresti voglia di cambiare il tuo cognome in Wakabayashi?”
Lei chiude gli occhi, poi li punta nei suoi:
“È da quanto sono caduta al parco che aspetto...”
Lui alza un sopracciglio:
“Addirittura?”
“Sì.”
Sorride, la sua Sanae sorride e lui è finalmente felice.
Il suo cuore ora è spalancato, per lei, solo per lei che continua comunque a tenergli testa.
L'unica donna che può mandarlo al diavolo senza conseguenze.
L'unica che merita il rispetto totale che lui le riserva.
L'unica che lui ama incondizionatamente.
L'unica con cui vuole passare la vita.
Il suo 'maschio mancato' presto sarà Sanae Wakabayashi e lui non vede l'ora.
   
 
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