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Autore: Deneb_Algedi    16/11/2015    11 recensioni
Dopo l'errore nella partita Bayern Monaco-Amburgo, i dirigenti prendono la decisione di mettere Wakabayashi sul mercato.
Come reagirà Genzo alla notizia?
Un viaggio in Spagna, pochi mesi dopo la fine dei Giochi Olimpici, tra incomprensioni di coppia, madri esaurite, gemelli troppo vivaci, emozionanti sfide e nuovi avversari, potrà essere d'aiuto al famoso SGGK?
Da quale squadra ricomincerà la sua carriera?
Genere: Generale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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30 Dicembre 2000


Le ville dei Price avevano tutte una cosa in comune, l’immenso giardino. Genzo, dopo aver cenato, uscì per fare due passi. L’aria inglese era tagliente quanto quella tedesca, ma lui era abituato alle fredde temperature e perciò non risentiva del vento pungente che soffiava, in quella sera di Dicembre.
Il giardino era immerso nel silenzio e nell’oscurità. Amava quel momento della giornata in cui poteva stare da solo a passeggiare.
Molti dei suoi amici non capivano come potesse piacergli la solitudine. Loro vivevano tutti con le loro famiglie, mentre il portiere aveva vissuto sempre da solo.
Per me è una condizione naturale, la solitudine”.
Ripeté nella mente la frase con cui rispose alla domanda posta da Taro.
Ricordava ancora quella domanda. Quanti anni erano passati dai pomeriggi di Fujisawa, spesi a giocare fino allo sfinimento.


Inspirò profondamente avvertendo l’odore dell’erba appena tagliata. Estrasse il cellulare e avviò la chiamata.
Uno squillo, due, tre…
“Wakabayashi!”.
“Ciao Hermann, stavi cenando?”.
“Se stavo mangiando secondo te avrei perso tempo a risponderti?”, ironizzò il tedesco.
“Immagino di no”, rise.
“Ma dove ti trovi, al cimitero? C’è un silenzio tombale”.
“Sono nel giardino della casa dei miei genitori, in Inghilterra”, spiegò.
“Ah, sei andato da loro per le vacanze di Natale. E come va?”.
“Niente di ché. I soliti discorsi. Ciao papà, come stai? Bene, e tu? Anche io. Fine del discorso”, replicò amaro.
“Una chiacchierata molto calorosa”.
“E a te, come va?”.
Kaltz ci mise qualche secondo per rispondere, “Fisicamente sto bene, ma sono psicologicamente un po’ demoralizzato”.
Genzo sapeva bene a cosa alludeva. L’Amburgo era al sesto posto in classifica e difficilmente sarebbe riuscita ad accedere alla Champions League, accontentandosi forse, della Coppa Uefa. Sebbene la sua avventura non si fosse conclusa nel migliore dei modi, un pezzo del suo cuore era rimasto in Germania e vedere la sua squadra in quella posizione faceva male.
“Coraggio, potete ancora farcela. Dopotutto siete solo a metà campionato”.
“Genzo, vogliamo prenderci in giro? Quest’anno sarà una fortuna se ci qualificheremo per la Coppa Uefa”, replicò tristemente,”Lontani sono i tempi delle vittorie ottenute grazie ad un moccioso giapponese”.
Genzo rise, ricordando della sua prima partita con la maglia dell’Amburgo, avvenuta alla giovane età di quindici anni. Da quel giorno in cui rimase imbattuto, nonostante gli attacchi del Bayern e del giovane Kaiser Schneider, il posto di titolare fu suo. I tifosi erano impazziti per quel piccolo prodigio, mentre gli avversari erano sconcertati che quel marmocchio col cappello riuscisse a fermare i tiri dei veterani del calcio, capaci di vincere le più importanti competizioni a livello nazionale e mondiale, ma impotenti di fronte al SGGK.
“Tempi passati”.
“Appunto. Quando non si vince ci si aggrappa ai fasti del passato. Comunque, quest’estate credo che andrò via”, gli confessò.
“Davvero?”, chiese stupito, il portiere.
“Il mio agente ha detto che ci sono squadre di alto livello che sono interessate a me”, disse orgogliosamente, “Però voglio giocare con continuità per attirare l’attenzione di Völler. Voglio sfruttare il prossimo anno per cercare di ottenere un posto in squadra nei Mondiali. Temo che se giocassi per un Club molto più forte, potrei stare in panchina per molte partite. Tu che ne pensi?”.
“Non credo che saresti un panchinaro. Sei uno dei migliori centrocampisti tedeschi”.
“Grazie per il complimento. A proposito di centrocampisti, hai visto quel Michael?”.
“Ero allo stadio”, gli rivelò.
“Ha battuto il tuo amico. Se non sbaglio è stata la sua prima sconfitta a livello professionistico. Come sta Ozora?”.
“Bene. Era un po’ frastornato all’inizio, ma poi ha reagito”.
“E tu, invece? Hai deciso?”.
“Sì”.
“Allora? Francia, Spagna, Italia o Inghilterra?”, chiese roso dalla curiosità.
“Non te lo dico. L’unica cosa che posso svelarti è che giocherò in una nazione europea”, ridacchiò, “Ora devo andare. Ciao, Kaltz”.
“Tutte sono europee. Che razza di risposta è? Dai bastardo! Dimmelo! Pronto! Pronto!”, sbuffò, “Che palle, almeno a me poteva dirlo”.



“Una è andata. Ora, la più importante”. Compose il numero che aveva salvato.
“Wakabayashi, che piacere sentirti!”, lo salutò l’uomo.
“Salve, mister. La chiamavo per informarla che ho preso la mia decisione”.
L’uomo era sulle spine. Per due settimane non avevano fatto altro che criticarlo e la situazione era divenuta insostenibile. “Ti ascolto”.
Genzo rimase in silenzio, gustandosi la suspense che la sua risposta aveva creato.
“Wakabayashi?”, lo implorò l’uomo, ormai raggiunto il limite dell’attesa.
Il ragazzo rispose sorridendo, “Ho deciso di accettare la sua offerta”.
L’allenatore rimase immobile, ringraziando tutti i Santi del Paradiso. Decise, inoltre, che avrebbe ballato dopo aver terminato la chiamata. Tanto non lo avrebbe visto nessuno, dato che era chiuso a chiave nello studio della sua casa. “Grazie, Wakabayashi. Grazie”, disse con la voce rotta dall’emozione.
“Di nulla. Anzi, non vedo l’ora di scendere in campo”.
“E se posso… qual è il motivo per cui hai scelto noi?”.
“La voglia di ripartire affrontando due persone. Natureza e Michael”, spiegò, “Natureza perché non ho avuto il piacere di affrontarlo per vendicarmi. Gli sono bastati due minuti per distruggere la mia imbattibilità. Mi ha segnato da fuori area con troppa facilità ed io non ho ancora digerito quell’umiliazione. E poi Michael”. Strinse con forza il cellulare, “L’unico uomo ad aver battuto Carlos Santana, Natureza, Rivaul e… Tsubasa Ozora. Voglio essere io il portiere che fermerà il giocatore che ha sconfitto il Capitano della nazionale giapponese!”, esclamò con il sangue che ribolliva nelle vene.
“Dunque vuoi regolare alcuni conti e vendicare un amico?”.
“Tsubasa è abbastanza forte da poter sconfiggere chi vuole senza il mio aiuto. No, non lo sto facendo per lui. È una questione personale”. Alzò lo sguardo per osservare le stelle.
“In realtà se avessi dovuto scegliere pensando ad Ozora avrei scelto una squadra rivale, per confrontarmi con lui. Nel periodo in cui mi trasferii in Germania, Karl Heinz Schneider divenne il mio obiettivo. Mi allenavo per diventare l’unico portiere in grado di fermare i suoi tiri. Perché in quel momento era lui il mio più grande rivale. Ma dopo la vicenda con l’Amburgo è come se io fossi rinato. Come se dovessi ricominciare tutto da capo. E ora, il mio più grande rivale, è colui che ha sconfitto Ozora. È una questione di autostima. Se voglio raggiungere il mio sogno, dovrò ricominciare sconfiggendo colui che, in questo momento, è il miglior calciatore del mondo”.
“Sono felice, forse per il Barcellona c’è ancora speranza. Ci vediamo la prossima settimana, Wakabayashi. Ti attendiamo con ansia”, si congedò l’uomo.
“A presto, mister Van Gaal”.


Terminò la chiamata e rimase per qualche minuto ad osservare le stelle. La motivazione che aveva dato a Van Gaal era prettamente sportiva. Riconquistare il titolo di miglior portiere battendo il più forte giocatore al mondo.
Ma non aveva certo dimenticato la chiacchierata di quel sogno.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora scorgere la figura del biondo sovietico che gli consigliava di ripartire dai suoi amici.
Ripartire da un Club in cui avverto lo stesso spirito che aleggia intorno alla nazionale. Lo spirito del divertimento e della spensieratezza”.
E in quel momento, quello spirito, aleggiava sopra la città spagnola, chiamata Barcellona.


Inspirò profondamente. Finalmente, dopo un anno, tornava a giocare in un Club.
“La strada per diventare il portiere di calcio più forte della storia è costellata da ostacoli di grande valore.
Questi ostacoli sono rappresentati dai migliori calciatori del mondo.
Ma non permetterò a nessuno di frapporsi tra me e il mio sogno.
Diventerò il numero uno più forte di sempre.
Un giorno, la mia stella brillerà più intensamente della tua, Lev Jašin!”.
   
 
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