Improvvisamente,
tutto diventò molto confuso. Non mi rendevo minimamente
conto di ciò che avevo
intorno, delle urla, delle risate isteriche, niente di niente.
Eravamo
solo io e Daphne, lì, in un paesaggio cremisi. I miei occhi
non si staccavano
da lei, dal suo volto immobile, dalla ferita mortale che le avevo
inferto, dal
sangue che mi lordava le mani, tanto, tantissimo sangue.
Rimasi
pietrificata in quello stato per alcuni attimi di infinito, perfino i
miei
pensieri erano congelati nella mia mente, come se fossi diventata
incapace di
avere libero arbitrio su di essi. Infine, come un fiume che riprende a
scorrere
nel suo letto, qualcosa nel mio stato catatonico si mosse: un passo
incerto
dopo l'altro, iniziai a indietreggiare tremante, come se quella davanti
a me
fosse un animale feroce e non mia sorella. Avevo la sensazione di
vivere le
riprese di una pellicola.
Finalmente
tornai completamente lucida, e… urlai. Urlai e urlai e
urlai, senza sosta,
sempre più forte, fino a farmi male la gola, fissando il
sangue, fissando le
mie mani, fissando il suo corpo, piangendo come non avevo mai pianto
prima.
Rivolsi la mia disperazione al cielo, pregai che qualche
divinità sentisse le
mie grida e mi restituisse Daphne, ma ottenni solo silenzio. Continuai
a
dilaniarmi i polmoni, finché diventò tutto buio.
Mi hanno
raccontato che, dopo essere svenuta, le Trix si avventarono su Daphne
come
avvoltoi, prelevarono la sua Fiamma del Drago e sparirono tra grosse
risate,
così, come erano apparse. Non ho nessuna memoria di
ciò che accadde dopo.
Non mi
hanno spiegato nei dettagli questa parte, ma posso comunque immaginare:
Thoren
che stringe sua moglie a sé, i miei genitori in lacrime, lo
sconcerto generale.
Ripresi conoscenza in camera mia: le tende erano completamente tirate
in modo
tale da non far passare luce, c'era un gran silenzio intorno a me.
Non avevo
la minima idea di quanto tempo fosse passato, tantomeno se quel che
avevo vissuto
era stato solo un sogno. I miei pensieri si mescolavano ai ricordi,
creando
solo caos. Era davvero successo? Era reale tutto quel dolore? Mi
accorsi che
non riuscivo a muovere nemmeno un muscolo. Non ero legata, mi trovavo
solo
sotto le coperte, eppure era come se il mio corpo si rifiutasse di
muoversi.
Come biasimarlo, perfino le mie cellule non potevano tollerare l'orrore
del mio
peccato.
Ero
sveglia ma, allo stesso tempo, non lo ero; fissavo un angolino vuoto
della mia
stanza, lo fissai per tante di quelle ore che potevo identificare ogni
piccola
crepa o poro del muro. Non sentivo nient'altro: c'era solo quella
parete
chiusa.
Percepivo
che, ogni tanto, qualcuno veniva da me e parlava, ma le parole
diventavano
ronzii alle mie orecchie: non mi rendevo conto nemmeno dei giorni che
passavano.
Detto questo, di quel periodo ricordo ben poco: il terribile silenzio
che
regnava sovrano in tutto il castello, i rari pasti che mangiavo solo
per puro
capriccio del mio corpo che, comunque, non voleva soccombere a
sé stesso,
qualche parola detta e niente di più.
Alla fine,
sempre e comunque, il mio sguardo tornava a quell'angolino che tanto mi
faceva
sentire protetta, che mi impediva di pensare a mia sorella, come una
prigione
di pensieri. La mia mente diventò completamente vuota di
qualsivoglia cosa.
Ricordo
vagamente un momento in cui dei dottori mi fecero visita, parlavano di
stress
post-traumatico.
Ricordo un
giorno di pioggia; mia madre non osava toccarmi per paura che reagissi
male, mi
disse che nel pomeriggio ci sarebbero stati i funerali di Daphne.
Ricordo il
rombo di un tuono che scosse i vetri delle finestre, con Thoren vicino
che mi
sussurrava 'non è colpa tua'.
Poi... poi
tutto sparisce. Mi hanno raccontato che vennero tutti a trovarmi: le
ragazze,
Sky, i presidi, ma io non ho memoria di nessuno di loro.
E
così, il
giorno iniziò a mischiarsi alla notte, le settimane
passavano scivolandomi
addosso come acqua fresca, il tempo aveva perso di significato; l'unica
cosa
che mi importava era l'angolino che manteneva la mente vuota e che mi
teneva
prigioniera, il mio nuovo migliore amico.
Andò
avanti così, finché un giorno non
bastò più. I ricordi riaffluirono piano piano
come una carezza gentile, i pensieri ricominciarono a prendere forma e
a
scorrere: finalmente mi svegliai dal mio letargo come una rinascita,
una di
quelle oscure. Rimasi ancora qualche minuto immobile a fissare il mio
compagno
di veglia, poi mi tornarono alla mente le ultime parole di Daphne:
‘Quelle lì, le
devi sconfiggere’.
Dovevo...
sì, dovevo. I miei muscoli erano intorpiditi e atrofizzati
dalla mia lunga
immobilità, tanto che impiegai molto tempo per alzarmi in
piedi. Non ero più
abituata a guardare le cose da quella prospettiva: per un momento, ebbi
l'impressione di muovere di nuovo i primi passi e, forse, non era una
sensazione sbagliata.
Stava
iniziando una nuova vita per me, in qualunque modo si voglia vedere la
storia.
Aprii le tende e il sole mi accecò; mi coprii gli occhi
ormai adattati al buio,
poi sentii l'aria fin troppo fresca accarezzarmi la pelle, insieme al
calore
smorto dei raggi solari.
Guardai
per un po' fuori nel cortile: il luogo dello scontro era stato rimesso
a nuovo.
Qualcosa dentro di me scattò furiosamente: non volevo, non
dovevano coprire
quel che era successo. Io non dovevo dimenticare, nessuno doveva osare
di
farlo.
Strinsi i
pugni sulla balaustra e digrignai i denti: avevo fatto una promessa
tinta di
rosso, avrei reso il favore alle Trix con lo stesso sangue che loro mi
avevano
costretta a versare. Ma da dove iniziare? Non sapevo nemmeno che giorno
o mese
era, figuriamoci pianificare una vendetta così, su due
piedi.
Mi sedetti
pesantemente sul letto e iniziai a riflettere come avrebbe fatto
Daphne. Sicuramente
avrei agito da sola, senza nessuno: avevo deciso di intraprendere una
strada
oscura e piena di odio, dove avrei fatto carte false pur di riuscire
nel mio
intento, non dovevo assolutamente coinvolgerli.
Eravamo
solo io e il mio peccato, non c'era spazio per nessun'altro. Mi resi
conto che
ero carente di informazioni, dovevo essere aggiornata su tutto quello
che era
successo. Era ora di farmi vedere, mio malgrado. Mi vestii, e il mio
occhio
cadde sullo specchio: avevo il viso scavato e pallido, ero dimagrita
tantissimo.
"Se
devo affrontare una follia simile, prima devo rimettermi in forma".
Facevo
davvero fatica a camminare. La servitù del castello mi
fissava come se io fossi
stata un fantasma: avevano ragione, per carità, ma mi diede
davvero molto
fastidio, potevano almeno far finta di niente. Tra un barcollo e
l'altro
arrivai nella sala del trono, dove un Oritel e una Marion profondamente
addolorati sgranarono gli occhi alla vista di quella che, una volta,
era la
loro secondogenita.
«Oh,
santo
cielo... Bloom, tesoro mio...»
La regina
quasi corse verso di me in un mare di lacrime. Fece per abbracciarmi,
ma si
bloccò di colpo quando indietreggiai da lei: non ero
assolutamente pronta per quel
genere di cose. Mia madre non ci diede peso, era troppo felice di
vedermi in
piedi per pensare ad altro. Mio padre, nonostante provasse a darsi un
contegno,
non poté che sfogare anch’egli la sua frustrazione.
«Figlia
mia, temevo di aver perduto anche te...»
Pranzammo
insieme in un silenzio imbarazzante. Mi sforzai di mangiare tutto quel
che riuscivo
a tenere nello stomaco, poi, una volta finito, iniziai a indagare.
«Quanto
tempo è passato?» chiesi andando subito al dunque.
Girarci intorno sarebbe
stato doloroso e basta.
«Amore...
non te lo ricordi? Sono passati quattro mesi, ormai...»
Quattro
mesi passati a fissare l'angolino della mia stanza e non sentirli
minimamente
addosso, ero davvero grave.
«Ah»
fu
tutto ciò che riuscii a dire.
«I
presidi
e le ragazze sono tornati alle loro scuole, non ricordi nemmeno
questo?» disse
papà con delicatezza.
Scossi la
testa, infastidita da quelle domande inutili che cercavano di rimandare
l’inevitabile.
«Voglio
sapere. Le Trix... voglio sapere tutto quello che avete
scoperto».
«Bloom,
non sei obbligata a-» sussurrò mia madre, ma la
bloccai subito.
«Ditemelo!»
urlai sbattendo violentemente i pugni sul tavolo.
Lei
sobbalzò
sulla sedia, pietrificata nel suo dolore. Mi pentii subito di aver
sbottato in
quel modo, ma io avevo sete di sapere. La mamma non riuscì
più a spiccicare
parola, così parlò mio padre.
«Ok
tesoro,
se è quel che desideri» disse abbassando lo
sguardo, poi si schiarì la voce e
continuò: «In questi quattro mesi, le streghe sono
completamente sparite dalla
circolazione. La Griffin e il suo gruppo di ricerca non percepiscono
più il
loro potere, probabilmente sono nascoste in qualche luogo proibito che
scherma
il loro potere. A Torrenuvola hanno studiato attentamente le vicende
che hanno
portato a… a-a quel giorno: sono quasi certi che, l'assenza
del tempo nel Limbo
dove erano rinchiuse, abbia del tutto spazzato via ogni potere da loro
acquisito, tornando allo stadio originale dei primi anni in cui le
avete combattute.
È come se il Limbo avesse 'assorbito' il tempo delle Trix
facendole regredire,
ma in modo analogo e contrario, esso ha accelerato invece la crescita
del
potere maligno delle streghe antenate, portando Icy, Darcy e Stormy a
quel che
abbiamo visto. È tutto quello che sappiamo, bambina
mia».
Rimasi un
po' sulle mie a riflettere e a metabolizzare il tutto, poi feci la
richiesta
che tanto temevo ma che doveva essere fatta.
«Voglio...
voglio vedere Daphne».
I miei
genitori si guardarono con dolore, ma non dissero nulla: si alzarono
dalle loro
sedie e mi fecero strada in un lungo percorso fatto di silenzio e
rammarico,
come se fosse un mio personalissimo rito funebre. Mi portarono nelle
cripte del
castello, dove i sovrani di Domino dormono per l'eternità.
La trovai
lì, in una teca di cristallo, bellissima come se fosse
ancora viva. Avevano
risanato le ferite per preparare la salma e le avevano messo un vestito
lungo e
meraviglioso, verde come uno smeraldo. Era adagiata su di un letto di
fiori.
Quest'ultimi
dovevano sicuramente essere una scelta di Flora, mentre il gusto
raffinato
dell'abito apparteneva di certo a Stella. Quasi mi venne da sorridere
nell'ammirare
tutta quella magnificenza che mi accarezzava gli occhi.
I miei mi
lasciarono sola, così mi avvicinai al corpo inanimato di mia
sorella e la
fissai per ore, seduta a terra. Non dissi nulla, non pregai e non
versai una
lacrima, stavo iniziando perfino a sentirmi in colpa.
In cuor
mio, però, sapevo che non era quello che Daphne avrebbe
voluto. Mi ha salvata
di nuovo per donarmi un futuro, non per vedermi disperare come uno
spirito
errante.
Ferma in
questa mia convinzione, decisi il prossimo passo da fare: la biblioteca
di
Domino è tra le più grandi dell'Universo Magico,
certo non come quella di
Solaria, ma per fare ricerche sulla Fiamma del Drago non c'era opzione
migliore.
Come in
ogni biblioteca di prestigio che si rispetti, c'è anche la
sezione proibita.
Non importava quanto oscuro e terribile fosse stato, volevo trovare un
sistema
per riportare indietro Daphne. Dovevo almeno provarci.
Passarono
tre ore di insuccessi: avevo completamente ribaltato ogni cosa in
quell'ala,
c'erano volumi dappertutto, un caos terribile. Mi aggiravo tra gli
scaffali
come un demone famelico.
«Maledizione!
Non è possibile! Con tutti gli incantesimi raccapriccianti
che esistono, non
c'è nulla! Un qualcosa del tipo 'fai un cerchio di sangue,
tagliati un braccio,
dì queste parole magiche al contrario e riporta in vita i
morti'. Niente!»
Sbraitai
così per una buona mezz'ora, finché non inciampai
in una pila di libri che
avevo scaraventato per terra nella mia furiosa ricerca, cadendo
rovinosamente.
Mentre mi rialzavo imprecando in modo abbastanza colorito, notai un
luccichio
sotto il cumulo che avevo appena abbattuto, sembrò chiamarmi
a sé con fare
ipnotico. Era molto vecchio e coperto di polvere, ci soffiai sopra e
notai che
la copertina era rivestita di un pregiato velluto rosso fissato ai
bordi con
rifiniture dorate.
«La
stirpe
del Drago: abilità e incantesimi per livelli avanzati. Uh,
figo. Sarei dovuta
venire qui prima».
Iniziai a
sfogliarlo mentre ero ancora seduta sul freddo pavimento. Era pieno di
tecniche
e abilità sviluppate da chi, prima di me, aveva posseduto la
Fiamma del Drago.
Era una lettura che mi stava appassionando da matti, finché
il mio occhio cadde
su un titolo particolare. Il mio cuore iniziò ad accelerare
i battiti, il
respiro si fece così pesante da rendermi difficile anche
parlare.
«Per
gli
dei, non posso crederci…»
A quel
punto, non mi interessava più come sarebbe andata a finire
tutta quella storia:
il mio terribile peccato mi avrebbe tormentato tutta la vita, tanto
valeva
farlo diventare ancora più grande.
Avrei
portato le Trix all'inferno, con o senza di me.