Ahem…
Ecco…
Allora…
Alla fine ci siamo arrivate… per lo meno, quasi…
Dopo tanto tempo, eccoci giunte al fatidico momento…
Prima, una piccola premessa:
Spero che sappiate pazientare ancora un capitolo… avrei
voluto finire con il 55 ma avrei dovuto tagliare dei pezzi e per, non
affrettare troppo, ho preferito “spanderlo” su due
cap.
Il 56 è già quasi finito, quindi
posterò Lunedì nel primo
pomeriggio.
Mi raccomando, non odiatemi, vi prego! Sapete, sono mesi che
volevo arrivare a questo punto e, mentre scrivevo, mi tremavano un
po’ le dita
e sentivo lo stomaco agitarsi per l’emozione!!!
Annuncio poi che, a storia terminata, aggiungerò un paio di
capitoli che raccontano il finale nella sua prima versione. (vi
assicuro, è
estremamente cruento quel finale… molto più di
questo. Quando avrete letto
questo cap, vi chiederete come sia possibile.)
Io pensavo di scrivere cose tristi (per lo meno dato il
finale) ma un autore che ammiro moltissimo e che è
infinitamente,
assolutamente, indicibilmente più autorevole di me, davanti
a cui mi prostro umilmente,
a cui guardo dal basso delle mie ff… (sto parlando del
grandissimo Kahled
Hosseini) è molto più drammatico e devastante di
me quindi questo mi consola un
po’. Evidentemente non sono l’unica inguaribile
pessimista!
Vi prego di aver fede. Non preoccupatevi, nel prossimo cap
spiegherò cosa sta succedendo e tutto tornerà al
suo posto.
Abbiate fiducia in me. In fondo, sono un’accanita
sostenitrice della coppia Edward/Bella!
Allora, a Lunedì… spero vi piaccia e non vi
sconvolga troppo
questo cap 55.
Un bacio e a presto, Erika.
PS: doppio POV!!! Bella, Edward, e di nuovo Bella!!!Bella’s POV
< Mamma, ho fame. >
< Sì… adesso ti preparo la merenda.
>
< Quando torna papà? >
< Presto. È andato un attimo dal nonno. >
< E quando torna il nonno? >
< Fra poco. >
< Fra poco quanto? >
< Appena i suoi amici dottori avranno finito di
fare a Mel e Alec la visita. >
< E quanto ci mettono? >
< Poco. Ma se continui a pensarci, ti sembrerà
tantissimo tempo. >
< Mamma… >
< Sì? > le dissi esasperata. Era proprio vero
che i bambini non fanno altro che fare domande.
Scuotendo leggermente il capo, si mise seduta e mi
disse: < Mi sento triste. > Poi mi prese la mano e si
nascose tra le mie
braccia. < Mi piace il tuo profumo. > La strinsi forte a
me e le
sussurrai: < Non devi essere triste. Sai che io e il
papà abbiamo deciso di
mandarti all’asilo. Vedrai, ti piacerà. Conoscerai
molti bambini
simpaticissimi. E ti farai tanti amici. > Vidi che si stava
spaventando.
< No, non fare così. Non devi preoccuparti. Non ti
lasceremo lì. Ci sarà
sempre qualcuno di noi vicino a te. E poi, ci starai pochissimo. Poche
ore al giorno.
Vedrai, ti piacerà. E poi, potrai invitare qui i tuoi
amichetti. >
< Ma loro vorranno venire qui? > Mi inginocchiai
davanti a lei e le carezzai la guancia.
< Ma certo tesoro, perché non dovrebbero? >
Lei,
imitando suo padre, si strinse nelle spalle ed evitò il mio
sguardo. Fece un
lungo sospiro e poi sussurrò: < Io non sono come
loro. Quando andiamo al
parco, a Gibson, mi stanno lontano. Mi guardano… >
< Oh, Liz, ma è normale. È
perché non ti conoscono.
Ma se siete in classe assieme, sono sicura che tutti vorranno essere
tuoi
amici. >
< Ma sarò comunque diversa. >
Mi si gelò il sangue. Non riuscivo a capire cosa
stesse cercando di dirmi. Non volevo che si sentisse
un’emarginata. < E
perché saresti diversa dagli altri bambini? >
Rimase in silenzio per alcuni secondi, mordendosi il
labbro inferiore. Con le mani giocava nervosa con il suo vestitino
bianco come
il mio. Le carezzai le guance e lei mi guardò di sottecchi.
< non te lo posso dire. > < E perché
no? A me
puoi dire tutto, lo sai… io sono la tua mamma. Alla mamma e
al papà bisogna
sempre dire tutto. Noi ti amiamo. >
< Ma è un segreto. Mio e del papà.
>
La mano mi rimase sospesa a mezz’aria.
Come si permetteva Edward di farmi una cosa del
genere? Dopo un primo istante di rabbia ed egoismo (in quei momenti
sentivo una
sorta di senso di possessione nei confronti di Liz e dei Gemelli. Quasi
appartenessero più a me che non al padre) mi calmai. Forse,
era una cosa
insignificante. Magari Liz se ne vergognava… magari Edward
l’aveva scoperta
fare qualcosa che non doveva e lei gli aveva chiesto di non dire
niente… o
magari, semplicemente, era una stupidata, a cui Edward aveva dato
importanza, ma
per fare felice nostra figlia magari…
Forse, vedendo quanto io e la bimba fossimo legate,
unite nel nostro piccolo universo privato in cui ci si capiva con un
solo
sguardo e non servivano nemmeno parole, aveva voluto creare un clima di
complicità
fra lui e nostra figlia. Voleva solo sentirsi più unito a
lei? Mente, con la
mano ancora alzata come per carezzarle il volto, rimanevo immobile, Liz
prese
la mia mano tra le sue e la strinse.
< O mamma, lo sapevo che dovevo stare zitta. Adesso
sei arrabbiata. Papà me lo aveva detto… >
< Io non sono arrabbiata. Come puoi anche solo
pensarlo? Cosa, ti aveva detto il papà, tesoro? >
Mi abbracciò e poi mi confessò: <
Papà non vuole
che ti preoccupi. Ma io non voglio stare con gli altri bambini
perché, quando
sono al parco, tutti mi stanno lontani. E quando ci parlo, loro non mi
capiscono. Loro non sentono le cose come le sento io. Non le vedono
come le
vedo io. Mi guardano male quando cerco di spiegare… >
< Oh, Liz, non devi fare così. Tu sei speciale. Ma
non è una cosa brutta, anzi. Tu sei preziosa. E vedrai,
anche gli altri bambini
capiranno quanto sei speciale. Devi lasciare loro il tempo di
conoscerti… e
poi, ma questo non dirlo a papà, al massimo fa finta di
essere come loro.
Quando sei a casa con noi, sii te stessa. Ma magari con gli altri
bambini, non
far vedere quanto sei in gamba. Non mostrare loro quanto sei forte,
veloce ed
agile. Vedrai che non si accorgeranno di niente. >
< Sicura? > < Ma certo. La mamma, lo sai, ti
vuole bene. Non farebbe mai qualcosa che possa farti sentire male.
fidati di
me. >
Mi abbracciò forte e mi disse: < Io mi fido di te.
E ti voglio tanto bene. > < Anche io… >
Mi alzai in piedi e le arruffai gentilmente i capelli.
Liz mi sorrise, raggiante. Mi voltai e la sentii tossire. < Ti
preparo una
tisana calda… e tiro anche fuori la torta. Va bene? >
< Sì! Ah, mamma! Sta suonando il telefonino! >
Mentre parlava, la suoneria si faceva più squillante. Andai
velocemente verso
il mobiletto e presi il telefono.
< Pronto? > < Pronto amore, come va? >
< Bene, Sei già arrivato? > < No, sono
ancora in auto. C’è un po’ di
traffico qui in città. Tutto a posto a casa? >
Sbuffai. < Edward, sei uscito di casa 25 minuti fa…
non è cambiata molto la situazione. >
Era teso. Mi nascondeva qualcosa. Ero certa però che
non si trattasse dei bambini. In quel caso mi avrebbe portata con lui.
Più
probabilmente non gli andava a genio il sapermi sola a casa con Liz.
Fortuna
che Alice e Jasper stavano tornando dalla caccia… <
Beh, senti, adesso devo lasciarti…
ti chiamo dopo, va bene? > < Certo. Lascio il telefono
sul tavolo… >
< Bella… > < Sì? >
< Ti amo. > < Anche io. > <
Salutami Liz. > < Certo. > Prima di riattaccare,
mi ripeté due volte
quanto mi amasse, facendomi arrossire.
Liz, che nel frattempo era andata a giocare in sala,
mi urlò: < Mammi, ti faccio un disegno! >
< Va bene. Ti porto la merenda quando è pronta.
>
< Va bene! > e poi accese lo stereo.
Rachmaninoff. Lo adorava ed Edward le aveva già insegnato a
suonare qualcosa di
questo compositore. Il tutto in presenza dei gemelli. Anche loro
adoravano la
musica e, ascoltandola, si tranquillizzavano...
Sorrisi a pensare come Liz si divertisse con il
pianoforte del padre. Edward, per il compleanno, voleva comprargliene
uno e
tutti, specialmente Rose, erano d’accordo.
Andai al frigorifero e presi la torta, poggiandola sul
piano della cucina. Misi l’acqua a bollire e preparai la
tazza di Liz. Miele,
una bustina di melissa. Presi una pera e una mela. Con delicatezza le
sbucciai
e le tagliai a pezzetti. Per me, preparai una tazza di the. Era
piacevole fare
merenda insieme. Di solito ci mettevamo in salotto e ascoltavamo Edward
suonare
per noi. Ovviamente, appena mi sedevo, uno dei due piccoli cominciava a
piangere ed io ero costretta ad andare ad accudirlo. Sorrisi al
pensiero che
oggi io e Liz avremmo trascorso un po’ di tempo sole, come
quando era dentro di
me. Nonostante questo però, sentii la mancanza degli altri
miei due bambini… stare sola con loro tre era sempre bello.
speciale.
Chissà se, quando fossi diventata
vampiro, mi avrebbero vista in modo
diverso? Io ed Edward eravamo riusciti a metterci d’accordo.
Io e lui saremmo
partiti per una vacanza di una settimana. Una sorta di viaggio di nozze
al
termine del quale Edward mi avrebbe trasformata. Bisognava aspettare
che i
bimbi fossero un po’ più grandi. Il desiderio che
fossero felici aveva vinto la
mia ritrosia nei confronti dello scorrere del tempo. Separarsi da me
così
presto sarebbe stato per loro troppo doloroso. Quando i gemelli
avessero
compiuto due anni e mezzo, saremmo partiti. Per un anno, forse di
più, non
avrei più potuto vederli e questo mi spezzava il cuore. Era
una separazione
necessaria.
Assorta in questi pensieri, mentre disponevo sul
vassoio le tazze e i piattini, sentii la voce di Edward
chiamarmi…
Edward’s POV
Chiusi
il telefonino e sospirai. Bella pareva
non essersi accorta di nulla. Mi era parsa serena come al solito.
Composi
immediatamente il numero di Esme. < Il numero chiamato non
è al momento
raggiu… > Chiusi la chiamata e telefonai a Carlisle.
< Ancora niente?
>
< Niente. Ti sto
aspettando… non posso lasciare i bambini soli. Sono
irrequieti. I miei colleghi
ed io siamo stati nella camera dei guardiani. Le telecamere mostrano
Esme che
esce. Sembra normale. Da quello che abbiamo visto fin’ora,
non è proprio
tornata in ospedale. Non riesco proprio a capire dove possa essere!
Sono così
preoccupato. >
< Sto arrivando. Ormai
sono qui… vedo già l’ospedale. >
< Comincia a fare un giro,
magari cogli la sua scia, o la sentii… > La sua voce
quasi tremava.
< Va bene. Non preoccuparti.
>
Parcheggiai. Scesi. Presi un
gran sospiro. In quel momento il mio cellulare suonò. Lo
afferrai all’istante e
risposi. < Alice? >
< Edward, sono quasi
arrivata. Jasper ha proseguito in auto… sarà a
casa fra un’ora al massimo. >
< Hai visto qualcosa? >
< Esme sta vagando per la
città. Sembra andare a caso… per fortuna che
è nuvoloso… sembra confusa.
Continua a guardarsi attorno. Non ha senso. Non ha senso! >
< Alice, calmati. Io ora
vado a dare un’occhiata in giro. Tu vai
all’ospedale. Carlisle ti sta aspettando.
> < Cosa credi che l’abbia spinta ad andarsene?
> < Non lo so.
Magari ha visto qualcosa che l’ha turbata… non
preoccuparti. La troveremo. Te
lo prometto. > < Sì. Ci vediamo da Carlsile.
> < Va bene. > La
telefonata si concluse così… Prima di uscire
dall’abitacolo, mi presi il capo
tra le mani. Mi concentrai. Non sentivo la voce di Esme, tra le
centinaia, le
migliaia che affollavano la mia testa. “devo rifarmi il
trucco” “Dobbiamo
comprare le patate” “guarda che culo quella.
Potessi…” “Sono in ritardo, questa
volta mi licenziano” “Cosa regalo ad Anne? Oggi
è il suo compleanno.” “devo
essere dal dentista fra tre ore.”
“mazzate quant’è carino sto
tipo sulla volvo. Quasi quasi gli chiedo se
ha bisogno di aiuto. Sarà certamente un
modello…” < Basta! Basta! >
Gridai appoggiato allo schienale. Respirai a fondo e mi inserii nel
flusso di
persone ignare persino della mia stessa natura. Altrimenti, non
avrebbero
nemmeno osato passarmi accanto.
Il cellulare vibrò. Lo presi
e notai che mi era arrivato un messaggio. “Esme, la persona
chiamata è ora
disponibile.” Mi affrettai a chiamarla ma era occupata. Poco
dopo mi telefonò
Carlisle.
< Edward, mi ha appena
chiamato > < Ho visto che ha acceso il telefono.
Cos’è successo? >
< Vieni in ospedale che ti spiego. Alice la sta raggiungendo.
> < Va
bene. Sono praticamente davanti all’ospedale. Eccomi. A che
piano sei? >
< Pediatria. Quinto piano, corridoio F, allergologia. >
< Va bene. Ci vediamo
davanti alle scale. > < Ok. Arrivo. Prendo i bambini.
>
Varcai le porte dell’ospedale
nel momento stesso in cui chiusi la telefonata.
Bella’s POV
Rimasi immobile ma la voce non tornò. Mi resi conto
che era solo autosuggestione.
Sentii la porta di ingresso aprirsi e chiudersi.
Gridai: < Liz, torna in casa. Hai la tosse. Prendi freddo.
>
< Un attimo mamma! Voglio prendere una cosa. Torno
subito! >
Mi lavai le mani e presi il vassoio.
“ Bella,
Bella, sbrigati. ” Evidentemente, mi
mancava Edward, dato che continuavo a sentirne la voce. Decisi di
chiamarlo non
appena avessi dato a Liz la merenda. Presi il vassoio e mossi i primi
passi
verso la sala quando la voce tornò, furiosa e terrorizzata.
“
Bella.
La
bambina. Bella! Bella! Prendi la bambina e scappa! Prendi Liz e scappa! ”
Rimasi
interdetta un secondo. Voltai lentamente lo
sguardo dal vassoio alla finestra alla mia destra.
Vidi Liz camminare tranquillamente nel giardinetto
davanti al portico. C’era qualcosa di strano, che mi bloccava
il respiro. Il
sangue pulsava furioso nelle mie vene.
Lentamente, andai in sala e poi, da lì,
all’ingresso.
Con una mano abbassai la maniglia e poi uscii nella fresca aria di
marzo.
Feci tre passi e poi mi immobilizzai. I miei occhi
incontrarono quelli di Liz che, sorpresa, mi fissava confusa.
Non ebbi nemmeno la forza di urlare. Niente. Vuoto,
buio, terrore…
Il vassoio mi sfuggì dalle mani. Scivolò e cadde
sul
pavimento del portico.
Un rumore acuto. Argento che sbatte per terra. Un
tintinnare grazioso. Porcellana che si fracassa e frammenti che
schizzano
ovunque. Mi ricordò lo specchio di Volterra nel momento in
cui lo frantumai.
L’acqua delle tisane si era rovesciata ai miei piedi,
formando una pozza da cui
si spandevano lentamente dei rivoli lunghi e sottili…
Mi portai le mani alla bocca quasi a bloccare l’urlo
sordo che non riuscivo ad emettere.
Avanzai come in stato di trance. Caddi sulle
ginocchia. Caddi e pezzettini di porcellana, affilati e taglienti, si
conficcarono nelle mie ginocchia
facendomi sanguinare. Quasi non mi accorsi del male. il vento mi
scompigliava i
capelli, sferzandomi il viso. Protesi un braccio verso mia figlia e poi
sussurrai:
< Ti prego. Ti prego! Lasciala andare. Ti prego.
Lei non ti ha fatto niente. >
Liz mi guardò confusa tra le braccia dell’algida e
splendida estranea che le carezzava il viso. Aveva issato Liz sul
fianco e le stingeva la vita con un braccio.
Le lacrime mi solcavano le guance ma non potevo fare
niente per fermarle. La voce, nella mia testa, mi gridava: “Bella, alzati! Scappa. Scappa!
Prendi Liz e scappa! ” ma io sapevo
che sarebbe stato impossibile.
Ero bloccata dal terrore. E poi, quanto lontano sarei riuscita ad
andare,
ammesso anche che fossi riuscita a prendere Liz? No, no… non
ero una stupida. Sapevo
che sarebbe arrivato quel momento. Avevo chiesto troppo e la vita mi
aveva dato
anche di più. Era giunto il tempo in cui erano venuti a
chiedermi il conto. Ma
non Liz… tutto ma non Elizabeth…
Cercando
di farmi forza, mi rimisi in piedi e,
tremando, mossi appena due passi prima che la ragazza dalla pelle
bianca e dura
come marmo sfiorasse il collo della mia bimba.
< Lasciala… ti supplico! >
< Mamma. > sussurrò Liz confusa, sporgendosi
verso di me, tendendo le sue manine al vento.
La donna le carezzò la gola e prese tra le dita il
ciondolo di diamante che Liz portava al collo.
< Ma che bel cuoricino, tesoro. Chi te lo ha
regalato? >
Liz le rispose incerta: < Il mio papà. >
< Sai, è molto bello. Il tuo papà deve
volerti
molto bene. >
< Sì. Ce lo ha anche la mamma. E poi, papà
ne tiene
anche un altro. E poi ha un orologio, perché ad Alec non
può regalare un cuore.
È un maschio. >
La confusione sfiorò il volto pacato della giovane
donna che si ricompose subito.
< E tu vuoi bene al tuo papà? >
< Sì. Tantissimo. >
< Ma dimmi, ne vuoi di più alla mamma o al
papà?
> Liz restò in silenzio per un po’ poi
disse: < A nessuno dei due. Io
voglio bene uguale a mamma e papà. >
< Comunque, è proprio un bel cuoricino…
>
Cercai, mi sforzai di parlare… < Jane, ti prego,
lasciala andare. >
Jane mi guardò sprezzante. Si chinò a sussurrare
qualcosa ad Elizabeth con il sorriso sulle labbra. Mia figlia
impallidì e cercò
di ritrarsi. Jane strinse le dita sul cuoricino che Liz teneva al collo
e,
esercitando una piccola pressione, chiuse il pugno.
Una pioggerellina argentata le sfuggi dalle sue dita
serrate.
Liz cominciò a piangere forte e Jane aprì la
mano. Le
carezzò la guancia e le disse di smettere. Liz si
divincolava, cercando di
scendere. Non smise di gridare.
Senza che potessi fare niente, improvvisamente, le
diede un ceffone in pieno viso col il palmo sulla guancia destra e con
il dorso
della mano sulla guancia sinistra.
Ci fu silenzio per appena pochi attimi. Liz cominciò
poi a singhiozzare in silenzio, portandosi le manine alle guance. Il
segno
della mano di Jane stava già prendendoforma sulla sua pelle
candida.
< Ecco. Se vuoi, sei una brava bimba. > Liz non
era mai stata sfiorata nemmeno come un dito. Non sapeva che il dolore
non
arriva solo se ci si fa male… non sapeva che il male poteva
arrivare anche
dagli altri. Era shockata. Mi fissava terrorizzata.
Dentro di me ritrovai quella forza che già una volta
scovai in me, quando ruppi lo specchio a Volterra. La forza di una
madre che
vede la sua creatura in pericolo.
Corsi. Corsi.
Corsi più veloce che
potevo. Jane non si mosse neanche
di un millimetro. Quando le fui vicina, lei mi rivolse un sorriso
innocente.
Disse: < Questa bambina, assomiglia molto al padre…
ma ha preso molto anche
da te. > E in quel momento mi resi conto con gioia che,
nonostante la mia
debolezza, la proteggevo. Le avevo trasmesso la capacità di
resistere agli
attacchi di Jane. Proprio come la sua mente era segreta per Edward, il
suo
corpo era immune a Jane. Ero ormai a poco più di un metro da
Jane quando lei
afferrò Liz per il collo e, con un gesto secco del braccio,
la scaraventò
lontano.
Mia figlia volò per una decina di metri prima che il
suo corpo andasse a sbattere contro un alberò.
Sentii il suono di uno scrocchio
insopportabile. Un osso che si rompeva...
Liz sbattè con violenza, emise un urlo breve, di dolore e,
senza piangere, si accasciò a terra, carponi. Si
rannicchiò su se stessa e
cominciò a singhiozzare. Sentivo che mi chiamava. Un istante
dopo, mentre
ancora urlavo < NO! >, Jane si spostò talmente
velocemente che neanche la
vidi.
Schizzò alla mia destra. Una macchia sfocata. Non vi badai,
sconvolta
com’ero da quello che avevo visto. Non capii nemmeno come fu
possibile ma la
mia testa sbattè contro la terra. Il cielo venne coperto da
un volto
sorridente, di bambina.
< Allora, come sono stati questi tuoi ultimi… 4
anni? Tu e tuo marito… e tua figlia? Sicuramente, migliori
dei miei. Mi hai
tolto tutto. Schifosissima stronza. Sgualdrina che non sei altro. Mi
hai tolto
tutto! Tutto! >
E in quel momento sentii qualcosa colpirmi. Un calcio
fortissimo mi raggiunse lo stomaco.
Il ventre mi sembrava squarciarsi. Lo stomaco
mi si rivoltò e ringraziai di non avere niente da rimettere.
Mi accorsi di
avere gli occhi chiusi. Nella mia mente sconvolta apparve
l'immagine di James...
Jane mi afferrò per i capelli e mi costrinse a mettermi
in ginocchio. Mi accorsi che, a casa, il telefono squillava. La vampira
si
chinò sorridente su di me e mi sussurrò:
< Non preoccuparti, quando saranno
qui, sarà già tutto finito. È un
peccato. Speravo di potermi prendere un minimo
della mia giustizia… evidentemente, dovrò fare in
fretta. Ritieniti fortunata.
> e in quel momento mi arrivarono due schiaffi in piena faccia.
Sentivo il
sapore del sangue e il labbro rotto pulsava. Poi altri calci. Era come
se
venissi picchiata da una statua di marmo. Ogni colpo mi mozzava il
respiro. “Bella.
Bella! Resisti! Combatti! Resisti!”
Sentivo il sangue scorrermi copioso sul volto, sulle
braccia. Socchiusi a fatica gli occhi e vidi i suoi farsi neri.
Improvvisamente, Liz afferrò la gamba di Jane. Aveva un
rivolo di sangue che le
scendeva dal naso. < Lasciala! Lascia andare la mamma! Lasciala!
> <
vattene, mocciosa. >
< Lascia andare la mia mamma! >
Mi misi sui gomiti e, sentendo delle fitte
nel tentativo di fare un respiro profondo, le gridai:
< Liz, vattene!
Vattene subito da qui! Vattene! > L’idea che Jane
l’avrebbe lasciata andare
mi diede un briciolo di speranza. Le aveva detto
“vattene”… forse, se fossi
riuscita a tenerla occupata con me abbastanza, Liz sarebbe riuscita a
scappare senza che lei l'inseguisse...
Edward aveva detto che Jaz e Alice stavano arrivando… se li
avesse incontrati
(e confidai nel fatto che Alice avrebbe visto mia figlia correre nel
bosco) la
mia bambina sarebbe stata salva. Le
gridai ancora: < Scappa! Scappa Liz! >
Mi arrivò un altro calcio. Liz non se ne voleva
andare. Si inginocchiò al mio fianco, piangente. La sentii
stendersi su di me,
come a proteggermi. Jane la prese per un braccio e la
scrollò con forza: <
Vuoi crepare anche tu? Eh? Eh? Eh? Basta dirlo. A me non importa.
> e poi la
scagliò alla sua destra. Liz piangeva. Jane, lo sguardo di
ghiaccio, mi sibilò:
< Scusami un secondo. Vado a rispondere al telefono. Non ce la
faccio più a
sentirlo squillare… >
Si allontanò da noi. Sebbene fossi distrutta,
sanguinante, praticamente impossibilitata a muovermi, mi alzai in
piedi.
Liz si
aggrappò a me. Inghiottii sangue e le dissi: < Liz,
presto, corri. Corri il
più lontano che puoi. > Sentimmo Jane rispondere al
telefono. Ci salutò con
la mano, da dietro il vetro della finestra. Io non potevo sentire cosa
dicesse
ma Liz sì. Impallidì ulteriormente e mi
afferrò la mano. < Mamma! Mamma,
vieni. Dobbiamo andarcene. Vieni mamma! >
Mi trascinai per alcuni metri. Mi
girava la testa, mi
sentivo fatta a pezzi. Jane aveva fatto attenzione a non colpirmi in
punti
vitali ma mi sentivo così male da non riuscire quasi a
respirare. Sapevo cosa
voleva. Che morissi lentamente, davanti a lei. Voleva godersi lo
spettacolo. Mi
costrinsi a camminare. Avrei voluto correre ma a malapena mi reggevo in
piedi.
Riuscii ad arrivare al limitare del boschetto. Imboccammo il sentiero.
Due
metri dopo caddi carponi. Liz cercava di trascinarmi. Piangeva
disperata. <
Mamma! Mamma! No mamma, no! Ti prego! >
< Liz, ascoltami. Vai. Scappa. Alice sta arrivando.
Mi aiuterà lei. Ma tu ora devi correre più veloce
che puoi. Non ti devi
guardare mai indietro. Qualunque cosa tu senta. Hai capito? >
< No mamma! No! Non posso! >
< Liz… > sentivo ormai le forze abbandonarmi.
Mi
sforzai di sussurrarle: < Liz, ascoltami. Se tu vai, la zia
Alice potrà
aiutarmi. Se resti qui, dovrà prendersi cura di
te… il papà sta già venendo a
prenderti. Vagli incontro… > non sapevo cosa le
stessi dicendo. Vedevo solo
le sue lacrime… Sapevo che Alice l’avrebbe
vista… l’avrebbero trovata. Sarebbe
stata salva, con i suoi fratellini.
< Dai un bacio a papà e a Mel ed Alec. Dì
loro che
li amo tantissimo, proprio come amo te. >
< No mamma! Non mi lasciare. >
< Non ti lascio… ma tu ora vai. > “ Ti prego Bella, sforzati. Alzati
e scappa anche tu!”
Sentii
il suo respiro bloccarsi fra i denti. Qualcuno
stava calpestando le foglie dietro di me. Jane camminava lentamente.
Liz cadde
all’indietro. Era terrorizzata. Arretrò di alcuni
metri poggiandosi sui polsi
poi si girò e cominciò a correre. Corse, corse
come il vento lontano da me.
La mia mano tesa verso di lei si chiuse su delle
foglie secche mentre Jane cominciò a stuzzicare il mio
braccio piegato in una
posizione innaturale. Per non urlare mi morsi le guance e le labbra.
Altro
sangue cominciò ad inumidirmi la bocca… Gli occhi
serrati…
Nella mia mente Edward continuava
a gridare: “Resisti, Bella, non lasciarmi,ti
prego, combatti!”
Edward…
Edward… Oh, Edward...