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Autore: Nymeria90    22/11/2015    2 recensioni
La mia storia è una sorta di autobiografia di Hawke con qualche appunto di Varric.
L'intenzione è di ripercorrere tutta la sua vita: dal suo primo ricordo fino agli eventi di DA Inquisition.
" [...] Hawke tiene a te tanto quanto tu tieni a lei. Non ti ha dimenticato. Ma so che le parole non ti convinceranno, non le mie, almeno. Credo sia arrivato il momento che tu riceva la tua eredità.
Hawke me l’affidò prima che partisse per la fortezza dei Custodi Grigi, nel lontano Nord.[...] Mi ha affidato quest’oggetto perché io te lo consegnassi, cito testualmente “al momento opportuno”. Quel momento, secondo la mia modesta opinione, è arrivato. [...] L'eredità di cui parlo è il suo diario."
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hawke, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Hawke
 
Il segreto di Bethany non restò tale per molto tempo. Per una maga non istruita è difficile, se non impossibile, nascondere i propri poteri.
In quell’occasione mi comportai come la sciocca ragazzina che ero.
Non svelai il suo segreto a nostro padre ma non feci nulla per aiutarla in quei pochi, ma difficili, giorni. Mi comportai come se nulla fosse cambiato, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi. Ero nel torto e, peggio ancora, sapevo di esserlo.
Non m’interessava: ero arrabbiata con una bambina di undici anni perché le biasimavo una mancanza di coraggio che era identica alla mia.
Nelle parole di Bethany avevo sentito quello che volevo sentire.
Non misi mai in discussione le conclusioni cui ero giunta, ovvero che mia madre e i miei fratelli complottassero alle mie spalle, per il semplice fatto che volevo che fosse vero.
È imbarazzante ammetterlo, ma se non lo facessi sarei ancora quella ragazzina che usava le debolezze degli altri per giustificare le proprie.
Io avevo mentito, ingannando mio padre e tradendo la sua fiducia, avevo messo deliberatamente in pericolo la mia famiglia coi miei esperimenti con la magia del sangue e non avevo avuto il coraggio di confessare le mie colpe.
Così volevo credere che la loro presunta malvagità avesse il potere di annullare la mia.
Se loro mi avevano ingannato, allora le mie malefatte avevano una giustificazione.
Vedevo gli sforzi, immani, che Bethany compiva per nascondere la sua magia al resto della famiglia e mi compiacevo all’idea che accadesse proprio a lei: la dolce, adorabile, onesta Bethany che mentiva e ingannava esattamente come avevo fatto io.
“Non è migliore di me”, pensavo nella mia meschina gelosia e nel frattempo aspettavo con trepidazione il momento in cui tutti i nodi fossero venuti al pettine.
La mia attenzione era puntata tutta su mia madre: la aspettavo al varco.
Quando la sua devota figlioletta si fosse mostrata per quello che era, una maga, che cos’avrebbe fatto?
In cuor mio speravo ne fosse disgustata. Non perché volevo che Beth soffrisse o che la nostra famiglia si distruggesse, ero troppo egoista per comprendere le implicazioni di quel mio desiderio inespresso.
Volevo la prova che mia madre fosse una stronza, una razzista: volevo che rinnegasse Bethany e la sua magia e io sarei stata lì, col dito puntato contro la sua debolezza, svergognandola davanti a nostro padre.
E allora tutte le mie cattiverie sarebbero state giustificate e io avrei potuto dire “Te l’avevo detto, papà: mio odia, non me l’ero solo immaginata. Quando ero così cattiva con lei, avevo ragione.”
Volevo la prova che fosse lei la rovina della famiglia, non io.
Con grande vergogna devo confessare che desideravo il suo posto.
Bramavo la devozione adorante dei gemelli e l’amore incondizionato di mio padre.
Nel mio piccolo regno Leandra era La rivale e io mi auguravo che scomparisse, perché ero migliore di lei e tutti dovevano riconoscerlo.
Così lasciai mia sorella in balia di forze che non era in grado di dominare e, di nuovo, misi in pericolo la mia famiglia. Fortunatamente mio padre scoprì i talenti di Beth prima che lo facessero i templari o che un demone s’impossessasse di lei.
Ricordo le sue lacrime e quelle di Beth. Ricordo il modo in cui l’abbracciò dicendole che si sarebbe preso cura di lei, che non avrebbe più dovuto passare quello che aveva passato, che non sarebbe più stata sola.
Fu in quel momento che cominciai a rendermi conto di ciò che avevo fatto: Bethany era venuta da me e io le avevo voltato le spalle. Mi aveva chiesto aiuto e glielo avevo negato.
Scacciai scacciare quella verità fastidiosa, che mi feriva.
Mentre loro si abbracciavano, osservavo i non maghi della mia famiglia e pensavo: “Ora Carver le dirà che è un mostro e la mamma indietreggerà inorridita: avrò la mia vittoria. Sarà la dimostrazione che ho sempre avuto ragione.”
Ma Leandra era una madre migliore di quanto meritassi e Carver, mi duole ammetterlo, si dimostrò più maturo di quanto io potessi anche solo sperare di essere.
Il mio fratellino fece una smorfia, appoggiò una grande mano sulla spalla di Beth e la rassicurò dicendole che nulla sarebbe cambiato.
- Se sono riuscito a gestire due sorelle, potrò gestire anche due maghe.- borbottò a metà tra il serio e lo scherzoso.
La reazione di Carver fece vacillare le mie certezze, quella di mia madre diede loro il colpo di grazia.
All’inizio parve sul punto di scoppiare in lacrime, poi si riebbe e piegò le labbra nel sorriso più dolce che avessi mai visto. Si portò una mano al cuore e attirò Beth a sé, stringendola forte e sussurrandole all’orecchio che era la sua bambina ed era fiera del suo coraggio.
Mi sentii sprofondare: il problema non era la magia, non era mia madre, non era Carver. Il problema ero solo io.
Io con il mio egoismo, le mie debolezze, le mie paranoie.
Io che mi credevo così superiore agli altri e invece ero piccola e misera.
Cercavo di screditare gli altri per non ammettere che il solo ostacolo tra me e loro era la mia vanità.
La magia era il mio alibi: il lasciapassare per fare e dire tutto quello che volevo, senza riguardi per nessuno tranne che per me stessa.
Avevo attribuito alla magia l’unico potere che non aveva: quello di definirmi come persona.
Avevo abbandonato Beth non perché mi sentivo discriminata per via dei miei poteri magici, quella era una patetica scusa, ma perché ero una piccola, insignificante creatura piena d’invidia.
La magia era il paravento dietro cui mi nascondevo, era la giustificazione a tutto ciò che non andava nella mia vita: ero sola perché ero una maga; litigavo con Carver perché ero una maga; offendevo mia madre perché ero una maga; mentivo a mio padre perché ero una maga … scoprire la verità fu un pugno nello stomaco.
Non era la magia a rendermi diversa da Bethany.
Mia madre e Carver preferivano trascorrere il loro tempo con Beth piuttosto che con me perché lei era dolce e gentile mentre io ero arrogante e vanesia.
Era il mio carattere ad allontanarli, non i miei talenti sovrannaturali.
Capirlo fu difficile, accettarlo ancora di più: sono fiera di me, per aver avuto il coraggio di affrontare la realtà, senza negarla o nascondermi.
Fu il mio rito di passaggio: quel giorno gettai via l’orgoglio come avrei fatto con un mantello di lana nel giorno più caldo dell’estate. Smisi di essere una bambina e diventai grande.
Non feci scenate. Non piansi. Non abbracciai tutti. Non era da me.
Mi limitai ad andare da Beth; le sfiorai la mano e le sorrisi, sussurrando un “ mi dispiace” che udì solo lei. Sapevo che mi avrebbe perdonata.
Lo faceva sempre.
 
Varric
 
E lo facevamo anche noi. Hawke è sempre stata una persona difficile, lunatica, e, se anche si è addolcito, il suo carattere non è cambiato nel corso degli anni. C’è molto della Campionessa che ho conosciuto nella ragazzina che lei stessa ha così efficacemente descritto.
Le sue prese di posizione a favore dei maghi, spesso assolutamente folli, sovente mi hanno lasciato perplesso: prendeva tutto sul personale, come se criticare un eretico significasse criticare lei. Più di una volta mi sono chiesto chi fosse il più esaltato tra lei e Anders. Ma il biondino aveva almeno l’alibi di uno spirito della Giustizia dentro di sé. Non che questo lo giustifichi. Nulla potrà mai giustificarlo.
Ma Hawke … lei è diversa: crede ciecamente in tutto quello che fa e si convince, anche negando l’evidenza, di essere nel giusto. Finché non ci sbatte contro. Come con Anders.
Ognuno di noi ha avuto dei buoni motivi per odiarla. In suo nome abbiamo compiuto azioni che ci ripugnavano. Eppure siamo sempre rimasti al suo fianco, non l’abbiamo mai abbandonata anche se a volte molti di noi avrebbero voluto farlo. Perché?
Perché sapeva come chiederci scusa.
Un filosofo esprimerebbe questo concetto molto meglio di quanto sto facendo io. Ma io non sono un filosofo: sono solo un nano che racconta delle storie.
  
Hawke
 
E così eravamo diventati tre eretici. Io, Bethany e papà trascorrevamo molto tempo insieme, ad esercitarci con la magia.
Papà era un maestro paziente: adoravo quelle giornate passate noi tre insieme. La mia padronanza della magia era ottima, se non perfetta; secondo papà il mio dono era straorinario: ero in grado di compiere facilmente incantesimi che mettevano in difficoltà la maggior parte dei maghi adulti.
Mi domando cos’avrebbe detto vedendo ciò che era in grado di compiere la misteriosa e selvaggia maestra che, qualche anno prima, mi aveva insegnato i segreti della magia del sangue.
Probabilmente ne sarebbe stato inorridito. O forse no. Papà condannava la magia del sangue, esattamente come la condanno io oggi, ma questo non significa che non l’avesse mai praticata. Invecchiando mi accorgo di diventare sempre più simile a lui e mi domando se in gioventù non abbia compiuto i miei stessi errori. È un pensiero rassicurante, che tranquillizza la mia coscienza: guardando l’uomo meraviglioso che è diventato non posso che essere fiera di assomigliarli, anche solo in parte.
Malcom Hawke è la persona migliore che io abbia mai conosciuto e non lo dico perché era mio padre: lui amava questo mondo, sinceramente, senza retorica, e desiderava vederlo in pace. Ringrazio il destino per avergli risparmiato l’orrore di questa guerra. Non avrebbe sopportato di vedere ciò che i maghi e i templari stanno facendo a questa nostra bella terra.
Lui amava la vita e amava noi.
Aveva un umorismo sottile, tagliente ma mai offensivo: sapeva come farci ridere anche nei momenti più disperati e non prendeva mai nulla troppo sul serio. Diceva che era troppo impegnato a godersi le meraviglie del mondo per preoccuparsi delle sciocchezze degli uomini.
Non aveva solo qualità, è ovvio: era un casinista, mamma diceva che si perdeva in un bicchier d’acqua. La verità è che si distraeva facilmente: faceva mille progetti e non ne portava mai a termine uno. Il suo pressapochismo faceva imbestialire tutti, tranne me. Tra di noi c’era una sintonia perfetta, ci capivamo anche solo con uno sguardo: non lo dico per presunzione o per sminuire il suo legame coi miei fratelli, la mia è una semplice constatazione. Eravamo simili in tutto, anche nel nostro approccio alla magia di cui comprendevamo la pericolosità senza esserne spaventati. La rispettavamo, come lo scalatore rispetta la montagna: sapevamo che un giorno avrebbe potuto ucciderci e questo rendeva la nostra avventura ancora più affascinante.
Per Bethany, invece, era tutto molto più difficile: finché è stata in vita era terrorizzata dalla magia. Col senno di poi sono costretta ad ammettere che, per lei, il Circolo sarebbe stato la cosa migliore.
Bethany odiava vivere nella menzogna: mentire alle amiche, ai vicini di casa, alle sacerdotesse … a me veniva naturale, per lei era una tortura.
Il senso di colpa ha condizionato tutta la sua vita e nessuno di noi era in grado di aiutarla, di certo non io.
Eppure, nonostante tutto, quel periodo fu quello di maggiore complicità tra noi due e ho uno splendido ricordo di quei momenti passati insieme. È stato traumatico scoprire, dopo la morte di nostro padre, che invece lei li odiava.
Odiava quei momenti in cui eravamo solo maghi.
Inevitabilmente più si avvicinava a me e alla magia, più si allontanava da Carver.
Per la prima volta c’era qualcosa a dividerli. Automaticamente a Carver venne precluso un aspetto importante della vita di Beth. È difficile per me descrivere il loro rapporto: erano diversi come il giorno e la notte ma senza l’uno non poteva esistere l’altro. Si dice che l’uomo nasca incompleto, alla perenne ricerca della sua metà perfetta: Craver e Beth non dovettero cercare a lungo la loro metà anzi, non dovettero cercarla affatto. Pensavo che nulla avrebbe mai potuto separarli. Come tante altre volte mi sbagliavo. Il loro allontanamento fu impercettibile, ma inesorabile.
E così, inevitabilmente, Carver incominciò a diventare me.
Al pari dei demoni che le incarnano gelosia e invidia, che io avevo sconfitto, trovarono un’altra vittima da avvelenare.
Tutto ciò che era stato suo divenne mio e la nostra rivalità, prima appena accennata, esplose con tutta la sua devastante potenza.
Iniziammo a farci la guerra, una guerra non dichiarata ma sanguinosa che ci ha lasciato molte ferite, senza mai cessare realmente.
Forse un giorno riusciremo a perdonarci per tutto il male che ci siamo fatti, tuttavia quel giorno non è oggi.
Non fraintendetemi: morirei per mio fratello, ma non chiedetemi di vivere con lui.
 
Varric
 
Forse era destino che si concludesse nel modo in cui si è conclusa. La loro rivalità è stata consacrata dalle loro scelte: maga e templare.
La lotta fratricida è sintomo della corruzione di questo mondo: io e Bartrand, Fenris e sua sorella … sembra che il tradimento dei fratelli sia destinato a perseguitarci.
È facile puntare il dito contro una delle due parti e schierarsi per essa, eppure sembra non esserci risposta alla fatidica domanda: chi è stato il primo a tradire?
Che cosa trasforma l’affetto in rivalità, la rivalità in odio e l’odio in tradimento?
Di chi è la colpa?
Forse non esiste una colpa. Forse esistono solo occasioni mancate e tempo sprecato … ah, ma di chi stai parlando, nano? Carver non è Bartrand e Hawke non è te. Quando è giunto il momento di combattersi, la maga e il templare hanno deposto le armi. Tu puoi dire lo stesso?
 
 
 
 
 



Nota
 
Mi scuso per l’imperdonabile ritardo. Vorrei avere una scusa valida per giustificarmi: purtroppo non si è trattato di un rapimento alieno ma di una banale, quanto totale, mancanza di ispirazione. Spero di essermi rimessa in carreggiata e mi scuso per l’improvvisa assenza. Grazie per la pazienza, a presto!
  
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