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Autore: _browneyes    22/11/2015    3 recensioni
Quando Nevaeh Lynch torna a Sydney, ormai, tutto è diverso. I suoi amici lo sono, tra chi è cresciuto troppo in fretta, chi non ha la minima intenzione di farlo e chi è arrivato al punto di rottura.
Stanno per dividersi, tutti, inequivocabilmente, ma forse non è troppo tardi per recuperare rapporti spezzati o crearne di nuovi, forse non è troppo tardi per dire finalmente cose che sono state nascoste per troppo tempo e emozioni appena scoperte, per creare nuovi ricordi e nuove prospettive. Forse non è troppo tardi per mettersi stipati in due macchine semi distrutte e partire senza una meta, tra le playlist di Ashton e gli strilli contrariati di Daphne.
Forse non è troppo tardi.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo Quattro.
 
Risvegli.
 
 
 
Forse, dormire all’aperto, lì sulla spiaggia, non è stata una grande idea. Quello a cui nessuno di loro aveva pensato, infatti, è la luce del sole che adesso, alle sei e mezzo del mattino li ha svegliati tutti, eccetto Selima, ma lei è un po’ un caso a parte.
Tameka apre piano gli occhi e li strizza forte, per abituarsi alla luce; poi si volta verso Ashton, che le tiene il braccio attorno alle spalle, come ha fatto tutta la notte. Non s’è nemmeno accorto che si è svegliata, tanto è immerso nei suoi pensieri; quei pensieri che non gli hanno fatto chiudere occhio. «Buongiorno» mormora, sporgendosi per lasciargli un bacio delicato sulla guancia.
Lui la guarda e obbliga le sue labbra a tendersi in un sorriso, anche se Tameka lo nota subito, che non è affatto un sorriso spontaneo. Sa che c’è qualcosa che non va, ma non chiede nulla; forse nemmeno le va di saperlo. «Buongiorno a te» mormora lui in risposta, voltando la testa di poco per poterla guardare. E quando incontra gli occhi grigi della ragazza con i propri, i sensi di colpa lo attanagliano. E si odia, Ashton, profondamente. Detesta il fatto che non sia più Tameka la persona che lo tiene sveglio la notte, detesta che non siano le sue labbra quelle di cui brama i baci, detesta il fatto che vorrebbe solo voltarsi e cercare dei capelli viola e raggiungere la ragazza a cui appartengono. E odia tutta questa situazione, ‘chè non è giusto.
Tameka lo ama ancora, o almeno crede, nonostante tutti gli anni che sono passati da quando se lo sono detto per la prima volta, allora perché lui non crede di provare quello stesso sentimento? Cosa è cambiato?
«Ashton, va tutto bene?», Tameka mormora, stranita dalla sua espressione assorta e lui scuote lievemente il capo, facendole cenno che si, sta bene. «Stavo solo pensando, non preoccuparti» aggiunge, quasi a voler rafforzare il suo gesto.
Tameka sospira e annuisce, lui non le dirà cosa lo turba tanto. «E’ successo qualcosa ieri sera mentre dormivo? Ad un certo punto mi è sembrato di sentire urlare Astra».
Ashton deglutisce e si affretta a scuotere la testa, «No, non è successo nulla. Probabilmente l’avrai sognato».
Si alza, prima che lei abbia il tempo di ribattere che no, era troppo reale, non può averlo sognato. «Vado a prendere il caffè al bar, tu vuoi che ti porti qualcosa?»
«Un cappuccino, scuro. Grazie»
Ashton si abbassa e le lascia un bacio leggerissimo sulla fronte, sentendosi troppo in colpa per darglielo sulle labbra, come avrebbe fatto solitamente. Poi si allontana, più veloce che può.
E, intanto, dall’altra parte della spiaggia, Astra Ellis ha assistito a tutta la scena e non saprebbe proprio dire se quella morsa che le stringe lo stomaco è solo per via dei sensi di colpa e della rabbia o se c’è di mezzo anche la gelosia.
 
 
«Michael!»
Al richiamo di Calum, il ragazzo si gira, lasciando cadere gli auricolari. «Io e Frieda stiamo andando al bar, vuoi qualcosa?».
Lui, in risposta, si limita semplicemente a scuotere la testa.
«Sei sicuro?»
«Ho detto che non voglio niente, Calum» sbotta Michael.
«Okay».
Poi gli volta le spalle, Calum e se ne va, raggiungendo Frieda che lo aspetta seduta sulla battigia. Ha i capelli biondi incrostati di salsedine e delle occhiaie profonde, dovute alla notte in bianco, eppure Calum trova che sia bellissima anche così e, davvero, non si capacita del fatto che non se ne sia accorto per tutto questo tempo; l’ha sempre trovata bella, una gran figa a detta di Luke Hemmings, ma bellissima mai. Quanto sbagliava. Frieda lo vede arrivare e gli rivolge un sorriso stanco, felice però, e gli tende la mano sinistra, «Aiutami ad alzarmi, su».
Calum esegue e poi, quando iniziano a camminare in direzione del bar, la mano non gliela lascia, anzi fa combaciare meglio le dita fra loro; Frieda rabbrividisce e ricambia quella stretta.
Alla fine si costringe a parlare, ‘chè di restare così a guardarlo di sottecchi non ha proprio voglia «Michael vuole qualcosa?»
Il moro scuote la testa con un sospiro.
«La cosa non mi stupisce» commenta lei, con un’alzata di spalle.
Calum sospira ancora, «Già».
Frieda si ferma, costringendo così anche lui a fare lo stesso, e lo guarda interrogativa, visto che, si, l’ha notato il cambiamento della sua voce. «Cosa succede, Calum?»
«E’ solo che è frustrante» mormora passandosi una mano fra i capelli. Poi molla la mano di Frieda e si siede di nuovo sulla sabbia ‘chè ha il sentore che quella non sarà certo una discussione breve.
Lei si siede accanto a lui, tanto vicino che sente il suo respiro addosso; le loro ginocchia si toccano, un po’ apposta e un po’ per sbaglio.
«Fa sempre l’incazzato. Anche con me! Ero il suo cazzo di migliore amico, Frieda, e nonostante tutti i tentativi che faccio mi sbatte sempre le porte in faccia».
«Sta male, Calum. So che è una pessima cosa da dire, ma credo che abbia ancora bisogno di tempo».
Il moro abbassa lo sguardo e annuisce piano, «E’ che continuo a pensare al fatto che avremmo potuto salvarlo, tutti noi, io avrei potuto. Eppure nessuno di noi l’ha fatto, l’abbiamo lasciato cadere quando aveva bisogno di noi».
«Lo so, però nessuno aveva capito» mormora Frieda.
Calum strizza gli occhi, cercando forse di non lasciar trapelare troppo emozioni; «Io si, io avevo capito. Però l’ho lasciato fare, perché pensavo che non volesse e che non avesse bisogno di me. Però avevo capito che stava cedendo – sussurra con la voce che un po’ trema – Sono stato un pessimo amico per lui, ho pensato che una birra ogni sabato sera e una sigaretta potessero risolvere i suoi problemi, ma questo risolveva solo i miei».
Frieda gli porta una mano sulla guancia, costringendolo così ad alzare lo sguardo su di lei e fissa gli occhi azzurri in quelli pece di lui, «Calum non potevi sapere cosa gli passasse per la mente, okay? Hai fatto quello che ti è sembrato più giusto».
«Però ho sbagliato».
«Questo non significa che tu sia un pessimo amico, se lo fossi ti saresti già arreso con lui».
Calum deglutisce, «Vorrei solo indietro Michael, quello che conosco da praticamente sempre. Mi manca e mi sento così fottutamente solo, così perso».
Lei annuisce, «Tornerà, vedrai. E nel frattempo, anche se so che non è la stessa cosa, puoi contare su di me. Non voglio che tu ti senta più solo». «Stanotte non mi sono sentito solo con te». Calum cerca di nuovo la sua mano e la stringe; la bionda ricambia la stretta e arrossisce, il cuore a mille.
Poi Frieda prende l’iniziativa, si allunga e lo abbraccia stretto, tanto che quasi sente il suo cuore battere incalzante contro il petto. Calum le stringe la vita e affonda il viso sul suo collo, tra i capelli fini che profumano di mare e di qualcosa che sembra ciliegia. Chiude gli occhi e fa un respiro.
«Grazie, Frieda» mormora.
«Allora, andiamo a prenderci questo caffè?» suggerisce lei, allentando leggermente l’abbraccio e rivolge lo sguardo verso Calum, che scuote la testa; «No, restiamo qui un altro po’. Vuoi?».
Frieda sorride, le guance un po’ rosse e gli occhi cerulei brillanti. Il braccio muscoloso di Calum le cinge le spalle, protettivo e rassicurante, lei lo stringe alla vita, le gambe incrociate sulle sue; poggia la testa sul suo petto e ascolta il battito del suo cuore. Chiude gli occhi e restano così.
 
Per Daphne Campbell la mattina è un concetto semplice: una mezz’oretta di corsa, doccia e poi crema di caffè accompagnata da due biscotti secchi, non uno in più e non uno in meno.
Per lei, la mattina è semplice routine, pianificata nei minimi dettagli, come qualunque altra cosa nella sua vita, che si fonda su una seria di inattaccabili certezze; senza, non potrebbe andare avanti.
«Offro io». Ecco, questa voce e il ragazzo a cui appartiene che le scivolano accanto, non fanno certo parte dei suoi piani e, dunque, non possono che farle piacere.
Daphne nemmeno ci prova a nascondere l’espressione contrariata e sospira, voltandosi alla fine verso il biondissimo Luke Hemmings che è già scivolato sullo sgabello accanto al suo.
«Non c’è bisogno, posso pagare da sola, grazie» replica lei, con una punta d’acidità nella voce. Luke, comunque, non ci fa caso.
Distoglie lo sguardo da lei, per rivolgersi alla ragazza, che probabilmente non avrà più di sedici anni, che sta dietro il bancone ma che fissa l’oceano a pochi metri di distanza, con il chiaro desiderio di essere altrove. Lui non si fa alcuno scrupolo a strapparla dalle sue fantasie.
Si schiarisce la voce per richiamare la sua attenzione e «Mi faresti un caffè, per favore? Vorrei anche un cornetto al cioccolato», sorride con il suo miglior sorriso tentatore; sa che ha già fatto colpo, glielo legge negli occhi prima che lei si giri a preparargli il caffè.
La ragazza non si fa aspettare e, rapida, gli piazza davanti quanto richiesto; lui le sorride ancora e tira fuori il portafogli, «Pago anche la sua colazione». E prima che Daphne possa ribattere, Luke ha già tirato fuori le banconote e le passa alla barista con un sorrisetto, «Il resto è la mancia, tesoro». Calca sull’ultima parola e schiaccia un occhiolino nella direzione della ragazza, che avvampa immediatamente.
Daphne alza gli occhi al cielo, «Quanto sei deficiente».
«E’ anche per questo che mi adori, Campbell» ride Luke, scompigliandole i capelli color cannella.
Lei sbuffa, «Sei insopportabile» sentenzia tirandogli uno schiaffetto sul braccio; lui ride ancora.
«Sarà meglio che raggiunga Nevaeh, così stabiliamo la nostra prossima tappa. Tu non sentire troppo la mia mancanza, nel frattempo».
Poi se ne va, lasciando la sua colazione intatta sul bancone, senza nemmeno avere il tempo di ascoltare la risposta acida che Daphne ha già pronta sulla punta della lingua.
«Che coglione» borbotta a mezza voce, tra sé e sé.
«Ma no, è simpatico», la contraddice la voce sottile e vagamente divertita della rossa che sta dietro il bancone.
Daphne scuote la testa, «No, fidati. È un coglione». Finisce in un sorso la sua crema di caffè.
«Coglione o no, il tuo ragazzo è un figo, lasciamelo dire» asserisce la rossa, prendendo la sua tazza ormai vuota.
Lei quasi si soffoca con la saliva, poi si mette a ridere, quasi presa da un attacco di ridarella, «Hemmings? Il mio ragazzo? Il cielo ce ne scampi». La ragazza arrossisce, «Perdonami, è solo che mi sembrava steste insieme»
Daphne la guarda aggrottando le sopracciglia e sospira, cercando di calmare la ridarella e i nervi. Questa giornata, per lei, non è certo iniziata secondo i suoi piani e, probabilmente, non migliorerà andando avanti.    
 
Selima viene svegliata dalla suoneria del cellulare di Nevaeh, quando il sole è ormai già alto; a lei, non da fastidio dormire con la luce. È una di quelle persone che dormirebbe ovunque, con luce o rumore, senza troppi problemi.
Sbadiglia rumorosamente e si stiracchia, osservando Nevaeh che parla concitata al telefono. Sorride, come sempre, e Selima ancora non capisce come faccia ad essere sempre così allegra; lei non ci riesce proprio. Quando l’altra chiude la telefonata e ripone accuratamente il suo nuovo Iphone nella tasca dei pantaloncini di jeans, si gira a guardarla e le regala uno dei suoi sorrisi smaglianti, «Ma buongiorno, dormigliona».
Selima strizza gli occhi e alza il busto, mettendosi seduta a gambe incrociate sulla sabbia che, con suo grande disappunto, le si è comunque insinuata nei capelli, nonostante avesse fatto di tutto per impedirlo. Pazienza.
«Che ore sono?» biascica, ancora assonnata.
«Quasi le undici».
Selima soffoca un grugnito di disappunto, calcandosi poi addosso i suoi immancabili Ray-Ban a goccia. Per i suoi standard, è ancora troppo presto per svegliarsi in un giorno di vacanza.
Nevaeh si alza e urla a pieni polmoni, finché tutti decidono di porre fine a quello strazio e le raggiungono lì. Lei sorride soddisfatta.
«Una chiamata sarebbe bastata» sbotta Michael; Nevaeh alza le spalle, «Così è stato più divertente». Lui alza gli occhi al cielo e alza il volume della musica che sta ascoltando, sforzandosi di coprire le loro voci. E il suo intento riesce finché Nevaeh non gli schiocca le dita davanti gli occhi, richiamando la sua attenzione.
Lui lascia cadere un auricolare e la guarda in cagnesco, «Che vuoi?». Il tono è tagliente, ma lei non si scompone.
Attende che tutti le prestino attenzione, quindi si schiarisce la voce, «Una mia amica ha una villa a Manly Beach e ci ha invitato. Possiamo stare quanto vogliamo e ci saranno anche dei suoi amici. Ho pensato che potesse essere divertente».
Michael alza le spalle e borbotta: «Tanto farete comunque quello che volete, quindi la mia opinione non serve a un cazzo». Si rinfila nell’orecchio l’auricolare che aveva lasciato cadere per ascoltare quello che Nevaeh aveva da dire loro e alza il volume al massimo su  Fallen angels dei Black Veil Brides.
Mentre gli altri si lasciano andare a cenni d’assenso, Daphne arriccia leggermente il naso in una smorfia evidentemente contrariata, «Veramente neanche Manly rientra nelle tappe che avevo previsto. E che significa che potremo starci quanto vogliamo? Perderemo tantissimo tempo per fare tutto i resto», si lamenta mentre raccoglie i capelli in una coda che le ricade ordinata sulla schiena abbronzata, lasciata abbondantemente scoperta dal top giallo che ha addosso.
Alzano tutti gli occhi, ma decidono di non farci troppo caso, sono abituati. Tranne Luke che, ovviamente, non riesce mai a stare zitto, «Perché non puoi mai rilassarti un attimo? Cazzo, è estate. Capisco che sei una maniaca del controllo ma calmati una volta tanto».
Gli occhi dorati di lei lampeggiano mentre lo guarda.
«Ora lo picchia» commenta Ashton divertito dalla sua espressione.
«Benissimo, facciamo alla maniera di Hemmings, andiamo allo sbando completamente. Poi vedremo chi aveva ragione».
«Daph, tesoro, dai calmati, non è successo nulla», azzarda Nevaeh, rivolgendole il suo miglior sorriso, cercando invano di calmare l’ira dell’amica.
«Sono calmissima!» strepita l’altra, indicando poi le automobili «E filate tutti in macchina che partiamo per questa dannata Manly. Adesso!».
E sarà un po’ per il suo tono, un po’ per l’espressione ma nessuno, nemmeno Michael, osa lamentarsi.
 
 
 
Writer’s wall.
Ebbene si, sono ancora viva.
Volevo davvero scusarmi per non aver postato per un sacco di tempo, ma sono stati davvero dei mesi difficili, sono successe un sacco di cose e non ho avuto tempo e neanche voglia di dedicarmi alla scrittura. Però adesso eccomi qui, pronta a tornare ad aggiornare con regolarità (una volta la settimana, si spera).
Vi ringrazio moltissimo se vi siete fermate a leggere questo capitolo, mi farebbe veramente piacere se mi faceste sapere cosa ne pensate. Grazie anche se avete inserito la storia fra le preferite, seguite o ricordate, mi fa davvero felice.
Alla prossima, un bacio,
-Mars
 
 
 
 
 
 
 
  
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