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Autore: Duncneyforever    23/11/2015    3 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Passano i secondi. Lui non sembra intenzionato a spiegarmi più di quanto abbia già detto, così che io debba essere costretta a cavargliele di bocca, le parole. 

- Cosa intendete dire con questo? - Lo incito, titubante, ripetendomi di esser stanca, di aver mal interpretato. 

- Non mi dire... Miller non ti ha detto nulla? - Mi domanda, mostrando uno strano sorriso. 

A questo punto, posso dire non di aver capito nulla. 

- Herr Schneider, cosa avrei dovuto dirle? - Dalla perplessità di Fried, deduco che nemmeno lui sappia a cosa alluda il colonnello. 

- La tua sistemazione, ragazzina. Dove pensi di alloggiare? - 

Dovunque. Accetterei di dormire nel piccolo letto ad una piazza di Fried, se lui fosse d'accordo.
​Non credo possa essere un problema, non mi vedrà nessun altro. 

- Da lui - lo indico, corrucciando il viso. 

- Non recheresti alcun disturbo, Sara. Divido la stanza con un altro soldato... Siamo amici e non si lamenterà per la tua presenza. - 

- Partirai presto per la Francia, Soldat. Non pensi all'italiana? - 

Italiana, ragazzina, tesoro, paperella, bimba. Sara è un nome tanto brutto? Troppo " ebraico " forse? 
Serro i denti, stringo i pugni ma altro non posso fare. 
Non davanti a tutti, perlomeno. 

- Ja Herr, aber... / Sì signore, ma... - 

​- Mi occuperò personalmente di lei - asserisce il rosso, squadrandomi da capo a piedi. 

No... no, Fried non lo permetterà mai! 
Non voglio che qualcuno badi a me, specialmente lui. Non sono più una bambina, so badare a me stessa, ormai. Poi ho paura, paura di cosa potrebbe succedermi se al colonnello venisse un colpo di testa e volesse farmi del male, paura di poter sparire così, all’improvviso, senza nemmeno aver salutato Friederick. Ho bisogno di lui; è per questo che ho deciso di seguirlo... 

- Cosa?! - Esclama il tedesco, scandalizzato quanto me. 

- Warum? Gibt es Probleme, Jung?/ Perché? Ci sono problemi, ragazzo? - Chiosa con leggera stizza, l'ufficiale. 

Ti supplico, di qualcosa biondino. Aiutami. 

- Nein, kein Problem. - Singhiozzo, asciugandomi la lacrima che frettolosamente era corsa giù. Fried agita il capo, ripetendo " perdonami, perdonami " con voce rassegnata. Deve voltarsi dall’altra parte e coprirsi gli occhi con la mano perché non lo si sorprenda a piangere. 

- Friederick! - Mi tuffo tra le sue braccia, pregandolo di intervenire, di opporsi al suo volere. Ma presto comprendo che il suo unico modo per rivedermi sia proprio consegnarmi a lui. Se si fosse ribellato, ne avrebbe pagate care le conseguenze e il suo attaccamento a me lo avrebbe ucciso. 

- Non ho tutto il giorno. - Mi richiama il rosso, sbuffando, come se lo avessi messo io in questa situazione.

Mostro, psicopatico e pure bipolare. 

Sono costretta a congedarmi da Fried, prima di seguire il nazista. La sua auto è parcheggiata poco lontano, nera come la sua divisa. Vedo sparire la sagoma del mio amico, con mio sommo dolore, tremando nel dover salire in macchina. 

Osservo la figura ombrosa al mio fianco, cercando di capirne i pensieri, ma non vi è alcuna emozione negli occhi bluastri, nè particolari increspature sulle labbra, come fosse un manichino. 

- Siamo arrivati. - Al comparire di una struttura solitaria in mezzo alla desolazione della campagna, le sue labbra si piegano, come il metallo dell'insegna affissa sui cancelli di Auschwitz I. Raccapricciante la sua figura, percossa da un brivido di eccitazione nell’accarezzarsi la croce di ferro, simbolo del suo potere. Deglutisco, pregando che la maschera che indossa sia solo apparenza e che ci sia qualcos’altro in lui, oltre a cieco fanatismo. Ma si rendono conto in ciò in cui si stanno trasformando? O sono, a loro volta, vittime di un disegno più grande e perverso? Non è possibile che prima della guerra le persone fossero capaci di esibire sorrisi così feroci... Sembrano i mostri dai quali le madri mettono i guardia i propri figli prima di farli addormentare. 

Alla vista della villa di sua proprietà, mi attanaglia il disgusto: il giardino curato, le guardie alle porte, osservo tutto con orrore. Schneider uccide per vocazione, viene retribuito e, con il ricavato, ne fa ciò che vuole. Dietro a questo sfarzo, vi è un crimine orribile. La bellezza di questa casa, tuttavia, non può che lasciarmi stupita. Non può aver guadagnato così tanto denaro in così poco tempo; se prima sospettavo che provenisse da una famiglia di media estrazione, ora mi sono ricreduta. Seguo il tedesco all'interno e, questo, riesce ad ammaliarmi ancor più dell'esterno: le pareti sono di un rosso acceso, le stanze paiono essere molte, illuminate da porte finestrate, all’avanguardia per il tempo; il soggiorno, sulla destra, è molto ampio e, dallo spazio aperto che funge da ingresso, dipartono due rampe di scale. 

Sono a bocca aperta. 

- Accogliente, non trovi? - Domanda, dopo avermi vista contemplare estasiata casa sua. 

- Lo ammetto, avete buon gusto. - Non potrei rispondere in altro modo, del resto. 

- Ti faccio vedere dove dormirai, moretta. - L’ennesimo nomignolo. Comincia a darmi ai nervi il suo atteggiamento e questo non è che l’inizio della nostra " convivenza ". 

Faccio scattare la testa verso di lui, irritata;

- il mio nome non vi piace? Perché è così che vorrei essere chiamata. -

- Sarebbe un ordine? - Chiosa, sarcasticamente, non riuscendo a trattenere una risata. 

- Una richiesta, per il momento. - 

- Lo terrò a mente. - Mi sottovaluta fin troppo, Herr Schneider. Come può anche solo pensare che io ci creda?

Mi conduce al piano di sopra ma io, nervosa com’ero, mi ero limitata a seguirlo come una pecora, senza neanche accorgermene. 

Passiamo accanto a molte stanze, perché non si ferma? 

- Credo di aver visto una camera da letto. - Faccio presente, senza ottenere risposta. 

Cosa vuole fare? 

Vi sono due porte opposte, a fine corridoio. Il rosso apre quella di destra: la stanza appare di media grandezza, vintage ma incredibilmente bella; vi sono bei mobili in mogano, un letto a baldacchino, una scrivania e due finestre contornate da tende barocche.

- E quello? - Il magnifico dipinto appeso al muro sembra, in tutto e per tutto, un Renoir. Io, personalmente, amo l'arte e, tenendo conto del periodo storico, mi viene il dubbio che sia autentico e non una semplice copia. 

- Un regalo. - Ribatte, impassibile. 

- C'è scritto... Weizstein. - Sospiro, avvicinandomi e scrutando con attenzione il nome inciso sulla cornice. - Dove lo avete trafugato? A Parigi? - 

- Non ti sfugge nulla. - Inclina il capo d'un lato, sorridendomi. - Comunque sia, tra un'ora precisa vedi di farti trovare all'ingresso. In caso di necessità, mi trovi nella stanza accanto. - Continua, dirigendosi meccanicamente verso la porta.

Io mi adagio sul materasso, lasciando che la stanchezza prevalga su tutti i pensieri che ho per la testa. 

Troppe, decisamente troppe cose che sono capitate oggi e, come se non bastasse, mi ritrovo persino a pochi metri dal colonnello. 

Le cose potrebbero andare peggio? 

A quanto pare, sì. 

 

 

  
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