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Autore: piccolo_uragano_    06/12/2015    2 recensioni
"Ma tu lo avresti mai detto, Ben?"
"Che cosa?"
"Che saremmo finiti con l'amarci sul serio."
Lui sorride, e io, nonostante tutto, non riesco a smettere di stupirmi.
[CROSSOVER GREY'S ANATOMY/ BEN BARNES]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Girasoli nella tempesta – capitolo sette: fino alla fine.

“Papà, mi racconti ancora di quella foto che c’è appesa in salotto?”

“BEN!”
Spalanco gli occhi di colpo. Julie?
“BENJAMIN!”
No, lei dorme accanto a me. La sento respirare.
“BEEENJAMIIIIN!”
Guardo l’ora proiettata sul soffitto: sono le sette e due minuti.
Chi mi chiama dal bagno alle sette e due minuti?!
“BENJAMIN THOMAS BARNES!”
Nicole.
Scenda dal letto e, di corsa, scendo le scale per arrivare in bagno. “Nicole?” dico, bussando alla porta.
“Dannazione, Benjamin casa tua est rumpu!” strilla, aprendo la porta.
“Casa mia sarà anche rotta, ma tua sorella sta dormendo.” Rispondo, sbirciando all’interno del bagno: è pieno di cosmetici, salviette e vestiti.
Je ne me soucie pas!(1) Siamo in ritardo, e tu non hai una presa per la corrente in bagno!!”
Io la guardo, sbigottito. “Certo che no, Nicole: perché dovrei rischiare di morire fulminato?”
A rispondere è una voce alle mie spalle. “Sono degli stupidi inglesi fifoni, Nikki: non hanno prese in bagno, è poco sicuro.”
Mi giro, trovando Julie, con gli occhi ancora socchiusi e un’espressione imbronciata.
“E la prossima volta che mi svegli alle sette strillando, giuro che je vais te chercher une claque!” (2)
“Smettetela di parlare francese, vi prego.” Borbotto. “Non ci capisco nulla, prima del caffè.”
“Vai a bere il caffè, allora: io non parlo inglese bene come la tua donna!” esclama Nicole. Poi si rivolge a sua sorella, parlando di nuovo in francese stretto, e sento Julie rispondere in inglese ‘usa quello che ho in camera io’. Scendo di nuovo le scale e arrivo in cucina, notando un uomo che riconosco subito come Jack che legge il giornale al bancone.
“AH!” esclamo, saltando l’ultimo gradino. “Mi farai morire.”
Lui sorride. “Buongiorno anche a te.”
“Perché siete tutti già svegli?” domando, prendendo la mia tazza e quella di Julie.
“Oggi portiamo le ragazze in giro per la città, no?”
Accendo la macchina del caffè. “Portiamo le ragazze?” chiedo, alzando un sopracciglio. “Fratello, io ti voglio bene, davvero: ma se Julie sapesse che ti piace sua sorella, non …”
“Non mi piace sua sorella, non può: è una ragazzina!”
“Jack, a te piacciono le ragazzine, lo so io e lo sai tu!”
“Non mi piace Nicole: mi piace vederti felice accanto alla tua donna.”  Si giustifica lui.
Io annuisco, mordendomi un labbro. “Se anche solo guardi Nicole, ti taglio le palle.”
Lui mostra un’espressione schifata.
“Jack, tu non sai quanto può essere cattiva Julie se si arrabbia.”

“Tu sei Ben Barnes?”
Mi giro: sarà la terza ragazzina nel raggio di dieci metri che me lo chiede.
“Sì” rispondo, sorridendo. “così pare.”
“Oh!” risponde lei, mentre Julie mi guarda. “Possiamo fare una foto con te?”
Sorrido e le dico di sì: per la terza volta, Julie prende in mano la macchina fotografica e dice ‘sorridete!’ mentre io poso le braccia sulle spalle di queste due adolescenti. Un po’ invidio la spensieratezza con cui girano per Londra; è una cosa che noi abbiamo perduto, come la voglia di amare il prossimo e di fare progetti.
“Lei è la tua fidanzata?” mi domanda una delle due.
“Più o meno si.” Risponde Julie, restituendole la macchina fotografica.
“Abbiamo visto le foto sul giornale.” Si giustifica l’altra.
“Oh” rispondo io “le hanno viste tutti, sembra.”
“Eravate molto belli!” esclama la prima.
Io la ringrazio e lei poi passa lo sguardo da me a Julie. “Ma è vero che vi sposerete?”
Julie sfoggia un’espressione divertita e perplessa. “Che io sappia, no. Ben, tu ne sai niente?”
Io rispondo allo scherzo. “No, non credo di avere in programma nessun matrimonio, non con me all’altare.”
“Sono scomodi, gli altari.” Risponde lei, ridendo. “Voi non credete? E le navate, poi: troppo lunghe, e strette, alcune.”
“Sei stata a molti matrimoni?” domanda la seconda ragazzina.
“Oh, si: ne ho visti parecchi. E posso anche assicurarti che percorrere la navata non è la cosa più bella della cerimonia.”
“Tu hai percorso la navata?”
Il suo sorriso si fa nostalgico. “Sì, dieci anni fa.”
“E ora sei divorziata?”
“Ancora separata e felicemente impegnata con un tale Benjamin: lo conoscete?”
Le due sorridono. “No, non so chi sia!”
Lei sorride. “E tu” mi dice “lo conosci un tale Benjamin?”
Io la guardo perplesso. “Benjamin?” fingo di riflettere. “Mai sentito nominare!”
Julie mi sorride e poi strizza l’occhio alle ragazze. “Buona passeggiata, ragazze.” Dice loro. Poi mi prende la mano e mi fa segno di raggiungere Jack e Nicole, che procedono a grandi passi per Hyde Park.
“Hai detto che ti chiedi che mamma saresti stata, giusto?” dico, mentre ci avviciniamo ai nostri fratelli.
Lei si ferma e mi guarda con gli occhi pieni di rimpianto. “Che cosa c’entra?”
Scuoto la testa. “Credo sia per come hai trattato quelle due ragazzine: tu non lo fai vedere, ma sei … dolce, e premurosa. Quindi, credo che saresti stata una bravissima mamma.” Lascio che abbassi gli occhi. So che l’argomento non le piace. “E la risposta alla tua domanda dell’altro giorno è si: si, ti amerei anche se ti avessi trovata con un bambino di sei anni con i tuoi stessi occhi. Ti amerei comunque, Julie.”
Lei torna a guardarmi. “Davvero?”
“Davvero.” Le rispondo, mentre lei si avvicina a me e mi bacia dolcemente le labbra.
“Sono felice di averti trovato.” Mi sussurra.
“Sono felice che tu sia qui, Julie: sarà un Natale bellissimo.”
Lei sorride, a pochi centimetri dal mio viso. “Bellissimo.” Ripete.
Le bacio il naso e poi guardo Jack, che con espressione divertita ci ha appena scattato una fotografia.

“Questa la appendo.” Mi dice Julie, mentre guarda la fotografia nel telefono di Jack e scende le scale della metro. “A Seattle comprerò una casa solo per appenderla.”
Seattle. Mi blocco.
“Come hai fatto per il lavoro, Julie?” domando, mettendomi le mani in tasca, mentre Jack e Nicole ci seguono.
“In che senso?” domanda lei, perplessa.
“Con che scusa te ne sei andata?”
Lei mi guarda di sfuggita. “Ho preso un’aspettativa.”
“E di quanto?”
Ora Julie mi pianta gli occhi nell’anima. “Ho detto al primario che avevo bisogno di un po’ di tempo.”
“Quanto tempo?” forse non lo voglio nemmeno sapere. Non voglio contare i giorni che mi separano dal perderla di nuovo, ma ho appena deciso di seguire l’istinto.
“Quanta importanza ha, il tempo?”
Conosco quell’espressione. È dubbiosa, ma il suo è un dubbio cattivo. Corruga la fronte e incurva le sopracciglia, mentre gli occhi esprimono tutta la rabbia che lei non sa buttare fuori. La rabbia contro la vita che ci ha fatti trovare e poi ci costringe a separarci.
“Ehi, ma tu sei il principe Caspian!” dice la voce di una bambina accanto a noi.
Julie non si volta a guardarla, tenendomi intrappolato nei suoi occhi. “Ora è solo un uomo che non sa cosa vuole, vero, Benjamin?”
Non aspetta risposta: si volta, scende le scale di corsa e se ne va.
“Lasciala sola.” Mi dice Nicole. “È la cosa migliore quando fa così.”
Io la guardo, e sono quasi sicuro di avere dipinta in volto la stessa espressione disperata che ha lei. “Perché ha cosi tanta rabbia dentro?”
“Perché le hanno sempre sbattuto la porta in faccia, l’hanno sempre abbandonata. E ha paura che lo faccia anche tu.”
“Io la amo, Nicole.”
“Lei forse ogni tanto se lo dimentica.” Rispose Jack. “Sai meglio di me com’è fatta.”
Forse non lo so nemmeno io.
Sento il giubbotto tirare, abbasso lo sguardo e mi chino verso la bambina. “Il principe Caspian non fa sempre la cosa giusta.” Le do un buffetto sul naso. “Se ami qualcuno, principessa, diglielo, diglielo sempre. Okay?”
Lei annuisce e poi la donna che è con lei le fa segno di seguirla, sorridendomi. E io spero soltanto che quella bambina mi dia ascolto.
Scendo le scale di corsa e mi ritrovo nella famosa metro di Londra, affollata e piena di voci e cose inutili. Trovare Julie qui dentro ormai è impossibile. E, conoscendola, ha preso la prima metro per una destinazione sconosciuta e ora chissà dov’è. Lei e la sua rabbia. Lei e il suo rancore. Lei e quei suoi occhi che si portano dentro tutto.
“Ben!”
Nicole mi afferra un braccio e io mi rendo conto che sto tremando di rabbia.
“Perché deve fare così?”
Lei sorride. “Beh, te lo ha detto, no? Perché non ha mai amato come ama te. E questo la spaventa.”
“Pensi che io non abbia paura?”
“Lei ha paura per te, non per lei: non ha mai pensato a cosa fosse meglio per lei. Lo ha fatto una sola volta, e poi si è trasferita dall’altra parte del mondo per non sentirsi egoista.”
“E che farà, se va male anche con me?”
Lei abbassa lo sguardo. “Oh, se dovesse andare male anche con te … penso che non si riprenderebbe mai.”
Nemmeno io, vorrei dirle. Nemmeno io potrò mai riprendermi, se lei se ne andasse. Non tornerei più me stesso. Lei è la parte migliore di me. Lei è tutti i colori del mondo. Uno ad uno, li ha rimessi ai loro posti. Erano dieci anni che vedevo solo in bianco e nero, ma lei, lei ha rimesso al loro posto i colori. E se lei se ne dovesse andare, io ne morirei.
“Quindi deve andare bene.” Sussurro.
“Deve andare bene.” Ripete lei.
Io avvicino le mani alle tempie e mi guardo attorno. La gente passa. Mi guarda. La gente passa. Passa. Se ne va. La gente è di fretta. Le metro passano, seguendo le loro linee colorate. Le metro. Le metro portano in moltissimi posti diversi, e Julie li conosce tutti. Julie conosce tutti.

Ci sono moltissime persone. Tutti guardano il tramonto sul palazzo di Westmister, ma c’è una ragazza con una chioma bionda che rimane ferma, con un caffè in mano nel suo bicchiere di cartone. Si è legata i capelli in una treccia fatta come capita, come fa sempre lei, lasciandola morbida. Ha le braccia posate come se dovesse cadere, e non si accorge che io sono tra le mille persone che le passano accanto.
Lentamente, mi sistemo accanto a lei. Julie mi guarda, e io noto i suoi occhi arrossati e gonfi. Ha pianto di nuovo. “Quanta importanza ha per te il tempo, Benjamin?”
Non lo so, vorrei dirle. Il tempo che passo con lei, è sicuramente molto più importante rispetto a quello che passo senza di lei. Il tempo che passo con lei è aria pura, il tempo che passeremo lontani mi soffocherà.
“Non è importante quanto te, Julie Bernadette.”
Lei piega gli angoli della bocca al suono del suo secondo nome.
“Sei insopportabile, Ben.”
“Ehi!” mi difendo. “Non …”
“Sei insopportabile perche sei entrato nella mia vita e senza chiedere il permesso a nessuno hai sconvolto tutto quanto.”
“Dovrei chiederti scusa? Hai fatto la stessa cosa tu con me!”
“Hai sconvolto la mia vita e non so come tu abbia fatto, giuro, ma l’hai resa migliore.”
Sorrido e le passo un braccio attorno alle spalle, baciandole i capelli e respirando il suo odore come se fosse il mio ossigeno. “Non so dove andremo a finire, Julie. L’importante è finirci insieme.”

“Nicole! Sbrigati, dannazione!”
Mia madre a Natale organizza sempre grandi pranzi, e, quest’anno, come ospiti d’onore abbiamo Julie e Nicole.
“Sto arrivando, sto arrivando!” esclama la ragazza da sopra le scale.
Julie, seduta accanto a me, ha i capelli sciolti e quando li muove riempie tutto del profumo del suo shampoo alla vaniglia. Io ho iniziato a lavorare e sono sfinito, mentre loro passano le giornata a Londra con Jack. Mercoledì, però, la porterò sul set con me: abbiamo una scena all’aperto con una donna e mi piacerebbe davvero averla accanto. Colin Firth non vede l’ora di conoscerla, dice che si vede che la amo davvero.
“Quanto scommetti che non ha chiamato Isabelle e i suoi?” mi sussurra Julie.
“Nemmeno tu li hai chiamati.” Rispondo io, e l’occhiataccia che mi rivolge è una risposta più che convincente.
Nicole, con dei pantaloni bianchi, stretti e un maglione rosso con le renne scende le scale. I capelli, che di solito sono spettinati come quelli di Julie, ora solo lisci e composti. “Hai chiamato Valerie?” domanda Julie.
“No.” risponde lei, senza nascondere il misfatto. “Magari le scrivo dopo.”
Io cerco di smorzare la tensione. “Che hai fatto ai capelli?”
“Ma quale scrivere! Devi video chiamare Isabelle e salutare tutti!”
“Ma sono qui con te, perché dovrei avere bisogno di loro?”
Julie alza gli occhi al cielo. “Perché sono i tuoi genitori, Nicole.”
“E tu sei nata sotto un cavolo?”
Io ho ricevuto l’ordine di non farmi più vedere!” strilla Julie. “Vedi di non fare la mia stessa fine!” Si infila la giacca e scuote la testa. Borbottando qualcosa in francese di vagamente simile a ‘piccola incosciente’, sbatte la porta dietro di sé.

Mia madre mette in tavola il pollo, pronto per essere mangiato.
“Buon Natale, famiglia!” esclama mio padre, che indossa un imbarazzante maglione rosso con delle renne bianche.
“Buon Natale!” rispondiamo noi.
Guardo Julie seduta accanto a me, mentre chiacchiera con Iris e mentre Jack e Nicole si prendono in giro. Mia madre e mio padre ci guardano, con gli occhi pieni d’amore.
Ecco, mi dico, mio padre ha ragione: buon Natale, famiglia.

“Non voglio partire, Ben.”
Julie sta in piedi al centro del salotto.
“Parti, vai, torna a casa.”
“Sei tu la mia casa.”
La sua risposta mi spiazza.
L’ospedale l’ha appena chiamata: l’aspettativa presa scadrà presto. Gli specializzandi hanno bisogno di lei. La casa mobile è ancora da svuotare. È partita senza pensarci, e le sono grato perché lo ha fatto per me.
“Julie, io ti amo, ma è giusto che tu torni a Seattle.”
“Aspetterò, aspetteranno.”
“No.”
“Non mi vuoi qui?”
Mi passo una mano tra i capelli, scuotendo la testa. Come fa a non capire? “Oh, Julie, averti qui è la cosa pi bella del mondo, davvero, tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata, ma ora è giusto che tu vada. Ti raggiungerò quanto prima a Seattle.”
“Non voglio lasciarti di nuovo, Ben.”
“Noi non ci stiamo lasciando, Julie.”

Non voglio lasciare la mano di Julie. È la sola cosa a cui riesco a pensare, in aeroporto.
So che deve tornare a Seattle, so che è giusto così, so che ci rivedremo presto, so che non è un addio. So che mi ama. Ma non voglio lasciarle la mano, non voglio che salga su quel dannatissimo aereo: non voglio che torni a Seattle, per quanto questo le faccia onore. È il suo lavoro, è la sua vita, è giusto così. Noi siamo due universi che si incontrano qualche volta. Noi siamo come due girasoli nella tempesta, l’uno accanto all’altra ma lontani.
Il check in è troppo vicino. Io, per la prima volta, so di avere paura di lasciarla partire.
“Verrò a Seattle presto, te lo prometto.” Le sussurro.
“Sai che non è così.” Mi risponde. “Devi lavorare.”
“Il mio lavoro non è più importante del tuo, Julie.”
“Skype almeno due volte a settimana. Mail una volta al giorno.” Mi ordina. “E pensami, pensami tanto, okay?”
Sento gli occhi pieni di lacrime che non voglio lasciare scendere. Lei si aspetta che io sia forte, si aspetta che io non mi lasci piegare da questa cosa, ma la verità è che la amo talmente tanto che la sola idea che salga su quell’aereo mi ammazza lentamente, come un coltello che lentamente mi lacera il cuore, lo stomaco e il cervello.
“Ti penserò sempre.” le sussurro, a un centimetro dal suo viso. “Ti amerò sempre. siamo due girasoli nella tempesta, okay?”
Lei mi guarda senza capire, poi lascia stare. “Due girasoli nella tempesta.” Risponee, baciandomi. “E ti amerò sempre anche io, Benjamin Thomas Barnes, fino alla fine del mondo.”
La bacio l’ultima volta. “Vai, ti prego, o non sarò in grado di lasciarti andare.”
Mi arrendo alle lacrime che mi bagnano il viso: l’amore ha vinto anche su quelle.
Lei saluta Jack, dietro di me, con un abbraccio fraterno, e poi mi bacia di nuovo. “Fino alla fine, Ben.”
Lentamente, raccoglie la sua valigia e si allontana. La guardo sparire, e rimango a fissare il punto in cui è sparita.
“Ora mi segno che il giorno quindici gennaio hai pianto in pubblico.” Scherza Jack, ma io non lo sento: è lontano, lontano come Julie.
Annuso il suo profumo ancora sul mio cappotto. Fino alla fine del mondo.


(1) non mi interessa!
(2) ti prendo a sberle!
   
 
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