Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: casty    07/12/2015    3 recensioni
Cosa ci fanno Sherlock e John travestiti da Merlin e Arthur al Comicon di Londra? Cercano un serial killer, che domande! Se la dovranno vedere con un gruppo di fanciulle furbe, spietate e ossessionate da una strana passione...
[post stagione 3][rapimento]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«Adesso!»
Sherlock e John balzarono fuori dalla grotta e corsero a zig-zag attraverso la fitta boscaglia. Sapevano che le soldatesse nemiche erano in agguato, ma prima di uscire allo scoperto avevano osservato l'ambiente con attenzione e non c’era nessuno in vista. Non aveva senso aspettare. Lo “zuccherificio” era visibile circa cento metri più avanti. John sentì l’elmetto scivolargli sulla nuca e lo calcò contro la testa con una mano, per non perderlo.
Un sibilo nell’aria, e John vide con la coda dell’occhio una macchia rosso sangue esplodere contro un albero pochi centimetri alla sua destra. «Merda!» esclamò.
Abbassò la schiena per offrire una superficie minore ai colpi dei nemici.
«Aumenta la caoticità della corsa!» gridò Sherlock, da qualche parte dietro di lui.
John si tuffò a lato e rotolò dietro un tronco appena qualche istante prima che un secondo proiettile di vernice lo colpisse: John lo vide rompersi sul terreno, dei piccoli schizzi di rosso gli sporcarono lo stivale. Calcolò rapidamente la traiettoria a ritroso.
Il cecchino è su un albero basso, venti gradi alla mia destra.
John si voltò di scatto e sparò un proiettile alla cieca, nella direzione immaginata.
Si sentì un urlo e una ragazza saltò giù da un albero imprecando, tutta macchiata di giallo.
«Ha!» gridò John trionfante. Non aveva perso il suo istinto da soldato.
«John, giù!» gridò Sherlock. Il corpo di John obbedì all’ordine prima che il cervello lo capisse razionalmente e un proiettile gli sfilò sopra la testa. Si voltò pronto a sparare di nuovo ma ci aveva già pensato Sherlock: seminascosta dalla vegetazione, John intravide una figura sporca di giallo sbattere con rabbia il suo fucile a terra.
Non doveva perdere tempo: scattò di nuovo in direzione della casupola. Una ventina di metri lo separavano dall’obiettivo e John li percorse saltando confusamente a destra e sinistra nella speranza di confondere eventuali altre cecchine nascoste. Ma le cecchine non c’erano (o non spararono) e John entrò nell’edificio salvo e pulito. Sherlock arrivò qualche secondo dopo di lui, sbatté la porta dietro di sé e la serrò col chiavistello.
Si guardarono intorno con circospezione: si trovavano in una grande stanza, quattro pareti di cemento completamente disadorne e parzialmente divorate dalla vegetazione. I muri grezzi erano bizzarramente decorati da lunghe scie di ruggine rossa, formate dal colare dell’umidità sulle armature scoperte del cemento. John si stupì di quanto l’edificio somigliasse a quello dei suoi ricordi di guerra: il nome in codice durante la missione in Afghanistan era stato “lo zuccherificio” (e con questo nome era indicato sulla mappa che le shipper avevano lasciato a lui e Sherlock), ma si trattava in realtà di un covo di terroristi. John, insieme ad alcuni uomini del suo battaglione e al diretto comandante, il maggiore Sholto, aveva partecipato a una missione di recupero ostaggi in Afghanistan, tanti anni prima. Quelle pazze delle shipper avevano deciso, per questa prova, di replicare alcune missioni di guerra di John in versione paintball, con le stesse shipper nella parte dei soldati nemici. Il percorso si sarebbe snodato attraverso tre tappe e alla fine le shipper avevano promesso che avrebbero liberato un nuovo ostaggio: dopo Mike Stamford, Anderson e sua sorella Harry questa volta era il turno di Molly Hooper.
John e Sherlock erano stati riforniti di uniformi identiche in ogni dettaglio a quelle che avevano indossato lui e il maggiore Sholto in Afghanistan. L’uniforme di Sherlock aveva persino una targhetta con ricamato il nome “James Sholto”, un particolare che, secondo le parole di Midonz «Causerà un transfert di sentimenti e ti aiuterà a prendere coscienza del tuo amore.»
Sì, perché secondo quelle psicopatiche Sherlock non era stato il suo primo amore omosessuale. Secondo loro, anni prima. John era stato innamorato del maggiore Sholto.
Ovviamente non era vero niente, e non c’era stato niente, assolutamente niente tra lui e Sholto.
Se escludiamo…
Se escludiamo niente di niente. Non era il caso di rivangare, ora, momenti di debolezza vissuti in uno dei periodi più tragici e sconvolgenti della sua vita.
«Ho bisogno di istruzioni, John.» disse Sherlock guardandosi intorno con preoccupazione. «Pensa e concentrati: c’erano soldati nemici in questo covo? Terroristi? Dobbiamo aspettarci un attacco a sorpresa?»
John scosse la testa. «Come ti ho già spiegato era un covo di terroristi, ma lo trovammo vuoto: avevano già abbandonato il sito quando arrivammo. Ma non fecero in tempo a raderlo al suolo e trovammo documenti e mappe trafugate al piano superiore.»
«Andiamo subito, allora.» disse Sherlock, e si diresse verso il vano scale che si notava sulla parete più lontana dall’ingresso.
Ma John lo prese per una manica e lo fermò: «Aspetta James.» disse sottovoce «Non diamo nulla per scontato. Tieni il fucile pronto e la testa bassa: potrebbero aver deciso di modificare alcuni aspetti della missione e averci teso un agguato.»
Sherlock sembrò riflettere per qualche istante e infine annuì. John non poté trattenere un sorriso di soddisfazione: Sherlock aveva accettato il suo consiglio. La sua esperienza in campo militare faceva di lui, per una volta, la persona più adatta a dirigere il gioco.
Fortunatamente l’edificio era davvero vuoto e questo dava loro modo di prendersi una piccola pausa. Il piano superiore era un’unica ampia stanza, debolmente illuminata dalla luce che filtrava dal fitto bosco attraverso le due piccole finestre e alcuni buchi nel tetto. John si sentiva lo stomaco sottosopra: tutto in quella stanza era come ricordava e riportava alla mente angosciose sensazioni provate tanti anni prima. In un angolo, buttati sul pavimento, cinque materassi polverosi su cui erano ammucchiati disordinatamente dei sacchi a pelo lerci; al centro un vecchio tavolo di legno divorato dalle tarme che sembrava reggersi in piedi per puro miracolo, con un fornello da campeggio appoggiato al centro e quattro sedie sbilenche ai quattro lati; lungo la parete di destra una sorta di libreria d’acciaio con giornali, libri e scatolette di alimenti sugli scaffali; una credenza da cucina con le ante a vetro rotte; una cassettiera di legno massiccio; tre delle quattro pareti erano coperte di mappe e manifesti di propaganda appesi con puntine.
«I documenti interessanti si trovavano…»
«…nelle anta destra bassa della credenza.» finì la frase Sherlock.
John lo guardò incuriosito. Nemmeno lui ricordava, dopo tanti anni, in quale scomparto esatto della credenza si trovassero. «Come…?» iniziò, ma Sherlock lo interruppe anche questa volta.
«Le shipper a volte mostrano segni di sciatteria inaspettati. Le scenografe dopo aver arredato la stanza hanno ricoperto tutto di uno strato piuttosto uniforme di polvere e sporcizia. Ma hanno fatto l’errore di riporre i documenti nella credenza dopo la sporcatura. Guarda.» Sherlock si avvicinò alla credenza, si accucciò e indicò un pomello «Il pomello di destra è più pulito di quello di sinistra, significa che l’hanno maneggiato.»
Così dicendo afferrò il pomello e tirò l’anta, che si stacco dai cardini e gli cadde di mano con un tonfo sonoro.
E a quel suono John ebbe un tuffo al cuore.
Un ricordo che era rimasto sepolto in un angolo nascosto della sua memoria riaffiorò alla sua mente. Era stato James Sholto ad aprire quell’anta, durante la missione, e quando l’aveva staccata dal mobile gli era successa esattamente la stessa cosa: l’anta si era staccata ed era caduta a terra.
Solo che, in una situazione di vera tensione, nel mezzo di una guerra, e nel silenzio totale e inquietante di quel luogo da poco abbandonato, per qualche istante John aveva scambiato quel tonfo secco per il suono di uno sparo e temuto per la vita del suo superiore. Ricordava ancora la disperazione assoluta che aveva provato, anche se solo per pochi istanti, prima di vedere Sholto con il pomello in mano (si era staccato dall’anta) e un’espressione di stupore sul volto. Anche se non era accaduto nulla di grave, John era comunque corso alla finestra per controllare che la situazione fuori fosse sotto controllo: i compagni di battaglione erano ancora appostati lungo il perimetro della casa e controllavano la boscaglia. Uno di loro aveva fatto a John un segnale di rassicurazione e John lo aveva imitato. Poi John e Sholto si erano guardati negli occhi per qualche lunghissimo istante e John era scoppiato a ridere, una risata liberatoria. Anche Sholto aveva riso e John ricordava ancora gli istanti di pura gioia che aveva provato nel vedere gli occhi di ghiaccio del suo compagno luccicare di sollievo.
John chiuse gli occhi e sospirò, senza dire nulla a Sherlock dei suoi turbamenti.
Poi si chinò e osservò l’interno dell’armadio, dove c’erano un proiettore e una VHS con la scritta “classified information” sull’etichetta.
«Ok, questo è interessante, mi aspettavo di trovare documenti cartacei» commentò John.
Sherlock fece un cenno verso il tavolo «Prova a sederti lì sopra, se reggerà il tuo peso dovrebbe reggere anche quello del proiettore.»
John obbedì all’istante e sedette sul tavolo con un saltello, aspettandosi di sfondarlo. Non accadde. Nonostante l’aspetto malandato era piuttosto solido, non scricchiolò né traballò nemmeno un po’. Era possibile che i buchi di tarma fossero solo scenografici.
Sherlock, evidentemente soddisfatto, trasportò il proiettore sul tavolo, puntandolo in direzione dell’unica parete spoglia e priva di finestre. Poi inserì la VHS nell’apposito vano.
«Ok, adesso dobbiamo capire come accenderlo: non credo che questa casa in mezzo al bosco abbia un allacciamento elettrico.» disse John.
«Certo che ce l’ha, devono pur alimentare in qualche modo le microtelecamere che stanno usando per spiare le nostre reazioni.»
John fu colto per un attimo dallo sconforto: da almeno mezz’ora, da quando quel gioco era cominciato, era riuscito a dimenticare le stupide manie di controllo delle shipper. Ma era ovvio che li stessero spiando in qualche modo e si sentì sciocco ad aver dato per scontato che così non fosse. Sherlock srotolò il cavo del proiettore e lo attacco a una presa della luce che si trovava proprio accanto alla credenza.
«Bene. Vediamo di che si tratta.» disse Sherlock, quasi a se stesso.
Presero una sedia e John premette il pulsante di accensione. La luce del proiettore si accese e si sentì il ronzio delle ventole di raffreddamento. Poi John cliccò sul pulsante Play.
Qualche fotogramma nero e le immagini iniziarono a scorrere.
Dal piccolo altoparlante integrato nel proiettore provenivano suoni di schiamazzi, risate e uno scroscio d’acqua costante. Sulla parete immagini di uomini a torso nudo, no, di militari sulla riva di un laghetto in mezzo alle rocce, con una cascata e…
Oh no.
La mano di John corse al pulsante di stop e le immagini lasciarono il posto a un quadrato di luce bianca.
Sherlock si voltò di scatto verso John e sollevò un sopracciglio.
«Ok.» disse John. E prese un respiro. «Ok, no. Usciamo di qui e proseguiamo con la gara di paintball.»
«Suvvia, John, la prima parte della missione è quasi terminata!» disse una voce che proveniva dal soffitto. John riconobbe l’ormai familiare timbro di Midonz.
«Che scherzo è questo?» gridò John infuriato.
«Nessuno scherzo, John, fa parte della missione. Che è una missione alla ricerca del tuo vero io.»
«John…» disse stancamente Sherlock. Ma John sollevò un indice verso di lui per zittirlo.
«Questo video è una sciocchezza e voi lo sapete.» disse John.
«Se è una sciocchezza perché non lo vediamo tutti insieme?» ridacchiò Midonz.
John sapeva di non poter discutere con quella pazza. E sapeva di non potersi rifiutare, doveva pensare alla povera Molly, la cui vita dipendeva dal superamento di quella assurda prova.
John viveva in un incubo di frustrazione. Provò il desiderio di sbattere la testa contro il tavolo.
«Va bene» disse sconsolato «Facciamo ripartire il video. Tanto non è nulla di sconvolgente. Non c’è assolutamente nulla di male in quel video.»
«Nessuno ha mai detto che ci fosse qualcosa di male» precisò Midonz.
John sospirò, lanciò un’occhiata a Sherlock.
«Non preoccuparti John, il contenuto di quel video mi interessa molto meno di quel che pensi»
«Non sono preoccupato» mentì John. Premette il pulsante di accensione e incrociò le braccia davanti al petto.
Le immagini ripartirono da dove si erano fermate. John si cercò con lo sguardo tra i compagni.
Oh, eccomi. Come ero giovane.
Gli uomini ritratti nel video erano lui, alcuni dei suoi compagni di battaglione e il loro comandante James Sholto. Avevano trovato quel luogo paradisiaco in mezzo alle montagne e, visto il caldo asfissiante, deciso di farsi un bagno nudi tutti insieme. Uno dei ragazzi aveva ripreso la scena cameratesca con la sua videocamera e le shipper erano riuscite, per chissà quale misteriosa via, a mettere le mani su quel video.
C’è qualcosa di male in un gruppo di uomini dal fisico prestante che fanno il bagno nudi in un laghetto in mezzo ai monti? Certo che no!
Sullo sfondo alcuni soldati si erano già tuffati in acqua: i loro muscoli bagnati luccicavano al sole; due dei ragazzi stavano litigando allegramente e spingendosi l’un l’altro sott’acqua. Si udivano risate e battute scherzose.
John si passò una mano sul volto.
Cristo, sembra l’incipit di un porno gay.
John e Sholto non erano ancora completamente nudi. In primo piano il maggiore Sholto si stava togliendo le mutande e dava le spalle alla telecamera. I suoi glutei scolpiti si contraevano mentre sollevava una gamba per sfilare il boxer… e proprio in quel momento ci fu un’elaborazione digitale sul video originale: uno zoom su un fermo immagine della scena, a inquadrare solo Sholto con il sedere di fuori e John alla sua destra. Poi si abbassò la luminosità di tutto lo sfondo e John e Sholto ora si stagliavano su uno sfondo quasi completamente nero e si poteva notare che John stava guardando in direzione di Sholto.
«Be’?» sbottò John infastidito. Cosa volevano dimostrare?
Sul fermo immagine apparve una linea rossa tratteggiata con una freccia che collegò gli occhi di John al sedere di Sholto.
«Ma… non…» John guardò Sherlock, poi l’immagine, poi Sherlock «Non è…»
Il video ripartì. «Non gli stavo guardando il sedere, giuro!» protestò John. «Hanno scelto l’unico fermo immagine in cui sembra che… che…»
«John, davvero, non mi interessa. Ora capisco come vi sentite voi persone normali quando siete costrette a vedere i filmini delle vacanze dei vostri amici.» e detto questo ostentò uno sbadiglio.
John guardò di nuovo la proiezione. C’era stato uno stacco nel video e ora sia John che Sholto erano in acqua con gli altri. Il cameraman si trovava sul bordo del lago e uno dei ragazzi si avvicinò a lui.
«Ehi Mark, che hai intenzione di farci con questo video quando torni a casa?» disse il ragazzo in acqua sollevando ripetutamente le sopracciglia con fare ammiccante.
Si sentì Mark, il cameraman, ridere. «A dire il vero pensavo di passare il video a John» disse.
Eh? Cosa?
Mentre tutti i compagni ridevano, l’inquadratura si spostò su John che stava parlando con Sholto sorridendogli in modo amichevole e chiaramente non aveva sentito la battuta pronunciata dal cameraman.
Poi John si accorse di essere inquadrato e rivolse uno sguardo interrogativo alla telecamera. Uno dei compagni si spostò dietro lui e Sholto, alzò le braccia e compose un cuoricino con le dita dietro i due uomini.
Che cooooosa?
Tutti nel video scoppiarono a ridere, John e Sholto si voltarono contemporaneamente verso il compagno burlone, ma quello aveva già abbassato le braccia.
«Cosa stavi facendo Barker?» chiese Sholto.
«Niente, signore!» rispose quello con la faccia più innocente del mondo.
«Nel dubbio, venti flessioni appena torniamo in caserma» disse Sholto con aria bonaria.
Tutti risero.
E mentre Sholto e John si voltavano e davano di nuovo le spalle a Barker, quello mise di nuovo le mani a cuoricino e mimò tanti bacetti nell’aria.
Il video terminò.
Sherlock spense il proiettore.
«Che cavolata!» sbottò John dopo qualche secondo di silenzio. Non aveva mai visto quel video quindi non aveva idea che contenesse delle idiote prese in giro a sfondo gay.
«Non preoccuparti John, non mi sono mai interessati e non inizieranno a interessarmi adesso i tuoi trascorsi sentimentali.»
«Cosa c’entrano i miei trascorsi sentimentali con questo video?» chiese John oltraggiato. «Io… io… io non so cosa si erano messi in testa i miei commilitoni!»
John sbuffò infastidito. A essere sincero con se stesso non era rimasto troppo stupito dal contenuto di quel video: gli era capitato diverse volte di essere preso in giro dai compagni per la sua eccessiva simpatia nei confronti di Sholto.
Sì, è vero, Sholto gli piaceva, come persona. Lo ammirava per la sua intelligenza, per il suo senso di giustizia, per la sua fermezza. Gli voleva bene, non aveva problemi ad ammetterlo. Lo considerava un amico, per quanto un superiore possa essere considerato amico. I suoi commilitoni, però, si erano messi in testa che John fosse perdutamente innamorato di lui, allo stesso modo in cui le shipper si erano messe in testa che fosse, ora, perdutamente innamorato di Sherlock. Ma perché tutti continuavano a pensare che fosse gay? Non che ci fosse nulla di male, a essere gay, ma lui semplicemente non lo era.
No.
Mentre John era rimasto seduto a rimuginare sul suo passato, Sherlock si era messo a curiosare tra gli oggetti esposti sulla libreria. Aveva preso in mano un libro e lo stava sfogliando, sembrava proprio che lo stesse leggendo. Era scritto in persiano. John non aveva idea che Sherlock leggesse l’alfabeto arabo.
«Le scenografe che hanno allestito questa scena sono state davvero accurate. I libri sono tutte edizioni originali locali dei primi anni 2000 o precedenti.»
Adesso doveva anche stare a sentire complimenti alle psicopatiche?
John sbuffò. «Andiamocene, James, non voglio restare in questo posto un secondo di più.»
Sherlock tossicchiò, John lo guardò corrucciando le sopracciglia.
«Be’, che c’è?» chiese John.
Sherlock lo scrutò in silenzio per qualche secondo, poi chiuse il libro di scatto. «Niente. Andiamo.»

La seconda tappa non era molto distante, si trattava della replica di un piccolo magazzino che in Afghanistan era stato usato dai terroristi come deposito armi: John si chiedeva quale “bomba” dal suo passato sarebbe saltata fuori questa volta.
John e Sherlock raggiunsero il magazzino senza grandi difficoltà: poche cecchine sul percorso.
Questa volta le scenografe si erano impegnate decisamente meno: avevano ricreato l’aspetto esterno dell’edificio ma lasciato l’interno vuoto. Sulla parete di fondo avevano appeso un grosso schermo piatto.
Un altro video, che meraviglia!
John cercò di immaginare il contenuto, ma non gli vennero in mente altri video sconvenienti girati dai commilitoni. Cosa poteva essere?
Lo schermo era già acceso e mostrava del rumore bianco. John sentì Sherlock sbuffare mentre si avvicinavano e avvertì una sgradevole sensazione di nausea allo stomaco.
Si fermarono a qualche passo di distanza. John incrociò le braccia.
«Muoviamoci, per favore.» disse John impaziente.
Le shipper obbedirono all’esortazione, il video partì. Era una ripresa da una telecamera di sicurezza, due persone in un locale molto piccolo.
John si passò una mano sulla fronte. Aveva riconosciuto immediatamente l’ambiente ripreso. Era l’interno di un carro armato e quelle due persone erano lui e Sholto.
Ricordava ancora con orrore i tre giorni che aveva trascorso intrappolato in quel maledetto carro armato insieme a Sholto. Il portello era rimasto bloccato e loro erano stati costretti a rimanere lì dentro. La cosa peggiore di quell’incidente era che in realtà non si era trattato di un incidente. Era stato un “geniale” scherzo dei compagni che erano stupidamente determinati a far sbocciare l’amore tra John e il suo superiore e avevano ben pensato di agire da cupidi mettendoli in una situazione di convivenza forzata. John aveva scoperto solo diverso tempo dopo, su confessione di un ex commilitone, la vera natura di quell’incidente e sospettava che Sholto non l’avesse mai scoperta (c’era il serio rischio di finire in prigione, per una bravata simile).
Che ironia. La situazione che stava vivendo con Sherlock era del tutto analoga. E ora scopriva che esistevano anche dei video di sorveglianza di quei momenti nel carro armato, esattamente come i video che le shipper stavano girando di lui e Sherlock durante quella prigionia.
Il video era muto, ma le shipper avevano fatto un delizioso montaggio con una ballata mielosa come colonna sonora… com’è che si intitolava? The smile on your face let me know that you need me…
La compilation mostrava per lo più immagini manipolate: sguardi tra i due uomini che nella realtà  erano durati pochi istanti venivano prolungati artificialmente con l’uso del ralenty o attimi di contatto casuale (era impossibile non toccarsi in un ambiente così stretto!); ma all’interno del montaggio erano stati inseriti alcuni momenti francamente imbarazzanti. Come quando John aveva rimboccato la coperta a Sholto addormentato sul sedile del passeggero. O quando, per una pura e semplice questione di praticità, si erano rassegnati a dormire appoggiati uno sull’altro: a un certo punto la testa di John appoggiata sulla spalla di Sholto, nell’incoscienza del sonno era scivolata giù sul petto del maggiore. A peggiorare la situazione dopo qualche secondo nella nuova posizione John, chiaramente annebbiato dal sonno (non è possibile che l’abbia fatto consapevolmente!) aveva posato una mano sull’inguine di Sholto.
Erano stati tre giorni di inferno, ma al terzo giorno John aveva avuto modo di vedere il volto umano del freddo Sholto, quando il maggiore aveva iniziato a parlargli con gli occhi lucidi di suo fratello e di quanto ogni tanto, nella solitudine del suo ruolo di comando, sentisse il bisogno di un abbraccio fraterno da qualcuno. La compilation ovviamente mostrava anche quel momento: i due uomini che si parlavano coi visi ravvicinati, l’aria afflitta di Sholto, il sorriso di John e l’abbraccio tra i due uomini.
Fine del video. John e Sherlock si guardarono, l’espressione sul viso di Sherlock non mostrava segni di sorpresa per quello che aveva appena visto.
«Vogliamo andare?» commentò «Spariamo alle shipper e vendichiamoci un po’ di questa tortura.»
John sorrise all’amico.

Circa venti minuti dopo, giunti nella baita in legno destinazione della terza e ultima missione di quell’estenuante percorso di guerra, John non sapeva se sentirsi più stanco, arrabbiato o umiliato.
La battaglia a paintball si era trasformata in una farsa. Le shipper erano chiaramente determinate a farli finire, per dar modo a Sherlock di scoprire ogni singolo particolare dell’immaginaria relazione amorosa tra John e Sholto. John si era reso conto che le cecchine armate di fucile a vernice sbagliavano appositamente mira, e questo aveva tolto anche quel minimo divertimento alla prova.
John si chiese cosa avessero riservato le shipper per il gran finale. Certamente il pezzo migliore, ma non riusciva a indovinare di cosa si potesse trattare.
Non possono aver scoperto…
John scosse la testa.
Non ci pensare, John. È successo tanto tempo fa e nessuno lo sa.
Nessuno.
Nessuno all’infuori di James e me.
«John?»
John si riscosse dai suoi pensieri e si avvicinò a Sherlock, che aveva aperto la scatola che troneggiava sull’unico tavolo all’interno della baita.
Sherlock stava tenendo in mano una fotografia e la stava osservando con le sopracciglia aggrottate.
«Fammi indovinare: è un fotomontaggio.» disse Sherlock.
John sbiancò. I pensieri su quel giorno di tanti anni prima ritornarono prepotentemente a galla, come un pallone che era stato spinto con forza sott'acqua.
Ma non poteva essere. Non poteva trattarsi di quell'episodio. Non era semplicemente possibile. Cosa diamine stava guardando Sherlock? In due passi fu davanti a lui e gli strappò la foto dalla mano.
John guardò la foto e si congelò.
Sentì le ginocchia cedere.
Il più grande segreto della sua vita. Il più grande errore della sua vita. Un atto di cui si era pentito due minuti dopo, no, due secondi dopo, anzi no, nell’istante esatto in cui l’aveva compiuto, nell’istante in cui aveva posato le sue labbra su quelle di Sholto.
Non avrebbe mai creduto possibile che esistesse una foto di quel momento della sua vita.
Sì, John aveva baciato quell’uomo. Una volta. Una singola volta in tutta la sua vita. Era durato pochi secondi, si erano allontanati imbarazzati e deciso che era stato un errore dettato dallo stress, dalla sofferenza, dalla solitudine. E avevano deciso di non provarci più e non parlarne più. E così era stato.
Erano soli, di notte, in missione in una zona desertica.
Evidentemente l’esercito li stava controllando da un satellite e le shipper in qualche modo erano venute in possesso delle immagini. Il contesto delle foto non era chiaro, i due uomini riempivano quasi interamente la fotografia. Ma sembrava proprio una foto satellitare.
«Sì, è un fotomontaggio.» disse infine a Sherlock sforzandosi di sembrare tranquillo. Sentiva la gola secca.
«Non è un fotomontaggio» si intromise Midonz dall’altoparlante.
«Deve esserlo, perché questo fatto non è mai accaduto.» disse John stirando le labbra in un sorriso.
«Non sarà accaduto ma ne esistono parecchie testimonianze» commentò Sherlock osservando altre foto.
John ne afferrò un’altra.
«Ok, da questa angolazione» John si schiarì la gola. Dannata gola secca «Da questa angolazione sembra che lo stia baciando, in realtà stiamo solo parlando. Vedi? È solo un effetto di sovrapposizione ottica. E la stessa cosa si può dire di questa, lo sanno tutti che il teleobiettivo schiaccia le prospettive» aggiunse prendendo in mano la prima foto in cui si vedevano John e Sholto con le bocche socchiuse premute una sull’altra e la mano di Sholto a coppa sulla nuca di John. «E questa poi» fece una risatina di scherno prendendo in mano un’altra foto «Io sono di spalle e lo copro completamente, non si vede niente!»
John sentì il bisogno di sedersi, ma si impose di rimanere in piedi. Non voleva mostrare segni di debolezza.
Oh, Cristo.
Gli tremavano le mani.
Sherlock sbuffò. «John, credimi: non mi interessa.»
«Oh, stai un po’ zitto James!» sbottò John tirando un calcio alla gamba del tavolo.
«Aaah, James…» sospirò Midonz dall’altoparlante.
«Prego?» disse John sollevando lo sguardo al soffitto.
Sherlock tossicchio. «Ehm, John, non volevo fartelo notare ma è la quinta volta che mi chiami James.»
«La quint… cosa?» John ripensò a cosa aveva detto pochi secondi prima e si rese conto con orrore di aver appena chiamato Sherlock James. E non era la prima volta che accadeva?
«Questa stupida targhetta!» sbottò strappando dal petto di Sherlock la toppa attaccata col velcro con su scritto “James Sholto”.
Stritolò la toppa in mano con rabbia e puntò i pugni sul tavolo. Le foto erano posate sul ripiano, faccia in su, e John guardò la prima, quella più inequivocabile. Iniziò a vergognarsi di aver negato, che senso aveva negare? Non c’era il minimo dubbio che i due uomini nella foto si stessero baciando.
«Forse sono due sosia» disse infine. La voce gli uscì in una specie di rantolo stentato.
«Forse è il tuo gemello segreto» disse sarcastico Sherlock.
John sbuffò. «Ma chi voglio prendere in giro?» disse. Teneva ancora gli occhi puntati sul tavolo, ma con la visione fuori fuoco, vedeva solo delle macchie indistinte davanti a sé.
Sherlock rimase in silenzio per qualche lungo istante, e così John.
«La verità è che non mi interessa, John. Per me puoi anche essere stato fidanzato dieci anni con il maggiore Sholto. Non mi interessa.»
«Non sono mai stato fidanzato con il maggiore Sholto!» gridò John. Sentì il cuore precipitargli nelle viscere.
«Va bene. Non mi interessa, davvero.»
«Ma certo che non ti interessa!» disse John con stizza. «Te n'è mai fregato qualcosa di me?»
Si morse il labbro. Perché adesso stava facendo l'acido con Sherlock? Stava sfogando su di lui la sua frustrazione.
«John, lo sai che non è vero.» disse lui con semplicità.
John spazzò il tavolo con una mano e buttò quelle stupide foto a terra.
Sherlock riprese a parlare con un tono di voce molto dolce. «Quello che voglio dire, John, è che non mi interessa il tuo passato, mi interessa solo il tuo presente».
John ebbe un tuffo al cuore.
Sta recitando? Sherlock non è il tipo da frasi melense.
Sì, stava recitando, sicuramente.
Devi fingere di innamorarti di me.
John ricordò la frase che Sherlock gli aveva scritto sulla pelle solo due notti prima. Il messaggio segreto. La frase melensa era un appiglio che Sherlock stava offrendo a John per iniziare la messinscena e John l'avrebbe afferrato.
Sipario: la recita poteva avere inizio.
Si voltò lentamente verso di lui e si sforzò di sorridergli in modo tenero.
Si sentì incredibilmente stupido.
Ma ebbe la conferma del fatto che Sherlock stava recitando quando sorprendentemente gli porse la mano.
«Andiamo John» disse.
John ricordava ancora perfettamente le tre volte in cui aveva stretto la mano a Sherlock.
Quando si erano presentati.
Quando si erano detti addio prima della partenza di Sherlock per l’est europa (partenza da cui poi era tornato indietro dopo dieci minuti di volo).
Quando erano scappati dalla polizia ammanettati e si erano presi per mano per evitare di segarsi i polsi con le manette durante la corsa.
Sherlock non gli avrebbe mai concesso la sua mano in quel modo, era evidente che si trattava di una recita.
John la afferrò e si rese conto di aver perso forza nelle dita perché faticò a stringerla.
E quando le loro mani si toccarono ebbe una seconda conferma del fatto che Sherlock stava recitando: anziché prendergli la mano normalmente intrecciò le sue dita a quelle di John in una stretta molto intima.
«Andiamo» disse John.
E mentre si incamminavano mano nella mano, forse di proposito, forse per caso, Midonz si lasciò sfuggire un sospiro che risuonò dagli altoparlanti.

--

Nota sul capitolo: è stato modificato rispetto alla prima pubblicazione. In particolare ho eliminato una piccola sezione dedicata al famigerato Victor Trevor, perché mi sono resa conto che non aggiungeva nulla alla storia e anzi distoglieva l'attenzione da quello che doveva essere il vero protagonista della confessione: il nostro caro John.
Aggiungo questa specificazione per spiegare il motivo dei commenti al capitolo che citano proprio la scena di Trevor. La scenetta comunque non voglio perderla: ho deciso di rielaborarla per scrivere una piccola one-shot che pubblicherò separatamente ;-)
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: casty