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Autore: Mary P_Stark    11/12/2015    1 recensioni
Lithar mac Lir, gemella di Rohnyn, porta con sé da millenni un misterioso segreto, di cui solo Muath e poche altre persone sono al corrente. Complice la sua innata irruenza, scopre finalmente parte di alcune tessere del puzzle di cui è composta la sua esistenza, ma questo la porta a fuggire dall'unica casa - e famiglia - che lei abbia mai avuto. Lontana dai fratelli tanto amati, Lithar cercherà di venire a patti con ciò che ha scoperto e, complice l'aiuto di Rey Doherty - Guardiano di un Santuario di mannari - aprirà le porte ai suoi ricordi e alla sua genia. Poiché vi è molto da scoprire, in lei, oltre alla sua discendenza fomoriana e di creatura millenaria, e solo assieme a Rey, Lithar potrà scoprire chi realmente è. - 4^ PARTE DELLA SERIE 'SAGA DEI FOMORIANI' - Riferimenti alla storia nei racconti precedenti
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga dei Fomoriani'
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11.
 
 
 
 
La pelle di delfino drappeggiata sulle spalle mentre, all’orizzonte, le nubi temporalesche stavano gonfiandosi pericolose, mi volsi a guardare Rey con un sorriso.

Lui replicò al mio e, nel contempo, si massaggiò l’orecchio destro.

Risi di quel gesto e Rey, sbuffando, bofonchiò: “Ti darò retta, la prossima volta che mi consiglierai di non dire qualcosa a Ronan. Sa essere davvero dispotico.”

“Quando conoscerai Sheridan, capirai perché vanno così d’accordo. Con le loro due teste unite, potresti demolire l’Irlanda intera” ghignai, allungandomi per dargli un bacetto.

Rammentavo ancora benissimo la telefonata della sera precedente… e l’inevitabile finale.

Ronan non solo aveva gridato come un’aquila, come avevo predetto, ma aveva insultato Rey per non avermi legata a un pilastro.

Più Rey aveva tentato di blandirlo, maggiori erano stati gli strepiti di mio fratello.

Alla fine, era dovuta intervenire Sheridan per sedare il marito, e solo a suon di minacce più o meno velate.

Rey aveva fissato dapprima il telefono, e poi me, prima di chiedermi se quei due fossero sempre così chiassosi.

Io mi ero limitata a scrollare le spalle e, con un laconico ‘ciao, ragazzi’, avevo riagganciato mentre ancora loro si urlavano contro l’un l’altra.

Sfiorandomi il viso con un dito, quasi volendo imprimersi il contorno del mio volto nella mente, Rey mormorò: “Ammetto che mi fanno quasi paura. Ma dimostrano anche di volerti un bene dell’anima.”

“Già. Se passi sopra alle urla, le minacce e le manie omicide di Sheridan, sono una coppia adorabile” ironizzai, lanciando un’occhiata dietro di me.

Il mare mi aspettava.

“Non impiegherò molto a tornare, promesso. Ma, se dovessi temere per me, chiama Rohnyn. Lui saprà come mettersi in contatto con gli altri miei fratelli” gli rammentai, poggiando la mia mano sulla sua, perché premesse sulla guancia.

Come avevo fatto a resistere tanti millenni senza il suo tocco, senza la sua solida presenza? Come?

“Spero proprio di non averne bisogno, credimi, specialmente dopo la nostra ultima telefonata. Comunque, aspetterò un giorno e una notte, poi lo chiamerò” mi promise, ritirando suo malgrado la mano.

Presi un gran respiro, annuendo sia a lui che a me stessa e, nel volgermi nuovamente verso l’oceano, mossi i primi passi verso l’acqua agitata.

“La tempesta ti creerà qualche problema?” mi domandò premuroso, seguendomi sulla battigia.

“No. Nuoto perfettamente con qualsiasi tempo.” Poi, sorridendogli a mezzo, aggiunsi: “Quando giunsi qui sulla terraferma, fu in una notte di tempesta.”

“Spero solo non sia un presagio infausto” brontolò Rey, prima di scuotere il capo, stamparsi in faccia il suo consueto sorriso tranquillo e strizzarmi l’occhio, complice.

Stava facendo davvero di tutto per non farmi preoccupare, e di questo lo ringraziai mentalmente.

Anche se non correvo reali rischi, nel rientrare a Mag Mell, non potevo non pensare a ciò che era successo a Rohnyn.

Non avevo davvero idea di come Muath e Tethra avrebbero preso il mio ritorno, né se mi avrebbero fatto entrare a palazzo, per la verità.

Mi avevano bandita? Chissà.

A ogni buon conto, meritavo di parlare con Bress, colui che aveva dato il via a tutta questa follia.

In un modo o nell’altro, lo avrei visto.

Infilai perciò i piedi nell’acqua, bagnando immediatamente gli scarponcini di pelle e l’orlo dei jeans, ma non vi badai.

Poco per volta, l’acqua lambì sempre di più il mio corpo, trasmettendomi la sua temperatura ben poco gradevole, così come l’energia dei flutti marini.

Avrei trovato correnti molto potenti, sott’acqua, ma la cosa non mi turbava.

Sapevo nuotare meglio di qualsiasi delfino, ed ero tra le migliori nuotatrici, tra i fomoriani.

Nessun problema, quindi.

I miei pensieri erano puntati su altro, non sul maltempo.

Mi immersi completamente, lasciandomi avvolgere dalla pelle di delfino e, dopo aver mutato, spuntai dall’acqua nella mia seconda forma.

Rey era ancora là, fermo sulla spiaggia deserta, gli occhi illuminati dalla sorpresa puntati su di me.

Sollevò una mano per salutarmi, rise un po’ nervosamente e, infine, gridò a gran voce, mettendo le mani a coppa perché la sua voce giungesse nonostante il vento.

“Ti amo, ricordalo!”

Balzai fuori dall’acqua, in risposta alla sua ammissione e, subito dopo, mi inabissai.

Il viaggio era lungo, anche per un fomoriano, perciò non attesi oltre e mi diressi verso Mag Mell senza ulteriori indugi.

Per tutto il tempo, immersa in quel liquido a me famigliare e che, per tanti millenni, era stata la mia seconda casa, pensai solo a Rey.

Ai suoi sorrisi, alle sue battute di spirito, a come si prodigasse per gli altri e mai per se stesso, a come avesse messo tutto se stesso nella fattoria e nel Santuario.

Nessun uomo, più di lui, avrebbe meritato il mio amore, ma era argomento da non affrontarsi, con i miei genitori adottivi.

Non avrebbero compreso, e il mio scopo, in fondo, era un altro.

Trovare le ultime risposte alle mie domande.

Da quel momento in poi, sarei stata libera, privata delle ombre che, per tanti millenni, mi avevano seguita senza che io ne fossi consapevole.

Quando infine raggiunsi la barriera di Mag Mell, mutai forma e, con un balzo, mi ritrovai su una delle strade laterali che conducevano a palazzo.

Lì, ripiegai la pelle di delfino e, drappeggiatala su un braccio, mi diressi a grandi passi verso quella che, per quattro millenni, era stata la mia casa.

Il mio abbigliamento, così come i miei capelli rilasciati selvaggiamente sulle spalle, attirarono più di uno sguardo.

Molti mi riconobbero e, forse, si chiesero che fine avessi fatto in tutto quel tempo, e perché indossassi abiti umani.

Degnai tutti loro solo di un’occhiata distratta.

Che pensassero quello che volevano. Non era più un mio problema soddisfare i dettami della Corte.

Macinando passi su passi con andatura militaresca, quella che mi si addiceva maggiormente, raggiunsi infine il cortile esterno di palazzo, e lì mi bloccai.

Una delle guardie, vedendomi e riconoscendomi, sobbalzò di sorpresa prima di raggiungermi di corsa.

Un breve inchino, dopodiché il soldato mi disse: “Bentornata, Altezza! Siamo stati tutti grandemente in ansia per voi. E’ bello scoprire che state bene.”

Accennai un sorriso – dopotutto, non mi avrebbero sbattuto fuori a calci – e dichiarai: “Sono rattristata di aver causato un simile scompiglio ma, come vedi, sto bene e sono in salute. Ti prego di dirlo a tutti, Nishtar. Avvisa gli uomini che non mi è successo niente.”

Con un cenno di assenso, lui si defilò per lasciarmi passare e, nell’entrare a palazzo, mi abbandonai a un sospiro di puro sollievo.

Nel giro di un’ora al massimo, tutti avrebbero saputo che ero tornata – con abiti umani – e, da lì in poi, sarebbe successo di tutto.

La Corte avrebbe chiacchierato, i soldati ancor di più e, nel giro di mezza giornata, tutta Mag Mell avrebbe saputo.

Come prima cosa, in ogni caso, mi diressi verso gli appartamenti di Stheta e, dopo aver bussato, mi ritrovai a fissare una sorridente Ciara.

“Ho avvertito il tuo tocco mentale fin da quando hai passato la barriera!” esalò la donna, abbracciandomi con forza. “E’ così bello rivederti, Lithar!”

Sorrisi, lasciandomi abbracciare e abbracciandola a mia volta.

Mi era mancata, nonostante tutto, e sentire Ciara accanto a me fu un toccasana per le mie ansie.

“Stheta non ti ha detto, dunque?” mormorai, quando mi scostai da lei.

Ciara allora annuì, rise sommessamente e ammise: “Lo dimentico tutte le volte. Sì, mi ha detto che ti chiami Litha mac Elathain, in realtà.”

“Tu potrai sempre chiamarmi come vuoi” la rassicurai, prima di sbirciare all’interno dei loro appartamenti.

“Se cerchi Stheta, si trova da Tethra. Non so di cosa volesse parlargli, ma è uscito stamattina presto, e non è ancora tornato” mi spiegò Ciara, uscendo dall’appartamento assieme a me. “Ti accompagno. Non voglio che ti aggiri per il palazzo tutta da sola.”

“Meno male che non sono l’unica ad avere delle remore a star tranquilla” ironizzai, piazzandomi al suo fianco.

Ciara afferrò il suo corto spadino da cerimonia, che allacciò alla cintura di filigrana che portava in vita, e celiò: “Con questi abiti e i capelli al vento come una selvaggia, potresti far venire un infarto a qualcuno. Meglio partire prevenute, visti i precedenti.”

Assentii e, di comune accordo, ci recammo da Rachel e Krilash per ulteriore supporto morale … e tattico.

Rachel mi abbracciò con calore e non si stupì minimamente dei miei abiti, decisamente più abituata degli altri alla vista di jeans e camiciole di cotone.

Krilash, invece, mi guardò con estrema preoccupazione e mi domandò: “Non sarebbe il caso di passare dai tuoi appartamenti per un cambio d’abito? Così, sfidi parecchio la sorte.”

“Non mi interessa molto quello che pensano, Krilash, credimi” replicai senza alcuna acredine. “Sono qui per vedere una persona e, con o senza il loro consenso, la vedrò. Dopodiché, tornerò sulla terraferma, perciò non c’è bisogno che io mi cambi. Non sono qui per restare.”

“E chi avrebbe così tanto ascendente su di te, da farti abbandonare la terraferma e il tuo umano anche per un così breve periodo?” mi domandò mio fratello, con tono ironico. “Non penso tu sia venuta a trovare noi.”

“E’ colui che fece uccidere i miei veri genitori” dichiarai lapidaria, azzittendo di fatto qualsiasi altra domanda.

Avrebbero saputo tutto a tempo debito, ma non lì, non in un anonimo corridoio di palazzo.
 
***

Quando venni annunciata dal paggio di Tethra, impettito di fronte al suo studio di palazzo, si udirono dei passi concitati e, un attimo dopo, mi ritrovai tra le braccia di Stheta.

Krilash, Rachel e Ciara entrarono silenziosi nella stanza mentre mio fratello maggiore, sempre tenendomi accanto a sé, mi sorrise sollevato, esalando: “Avevo ricevuto rassicurazioni, però… beh, vederti è sicuramente meglio.”

“E’ bello essere visti, come vederti, Stheta” lo rassicurai, scostandomi da lui un attimo dopo per lanciare un’occhiata a Tethra.

Imponente nei suoi quasi tre metri di altezza, svettava su tutti i presenti per stazza e fierezza, ma io non mi lasciai intimidire.

Era in piedi, semi nascosto dalla scrivania marmorea, e mi stava scrutando con un’alternanza di emozioni che non seppi comprendere.

Avanzai sui tappeti che ricoprivano il pavimento di marmo e, con un leggero cenno del capo, mormorai: “Vostra Maestà. Lieta che mi abbiate concesso di entrare.”

“Lasciateci soli” ordinò a tutti i presenti, con tono lapidario e freddo.

“Con tutto il rispetto, padre, resteremo. Abbiamo alle spalle fin troppi precedenti, per poterci fidare” replicò serafico Stheta, appoggiandosi a una delle poltrone.

Lo sguardo che Tethra gli lanciò avrebbe potuto uccidere, se lui avesse avuto un simile potere, ma Stheta non vi badò in alcun modo.

Krilash fece graziosamente accomodare su un divano moglie e cognata poi, con aria altrettanto pacifica, si affiancò al fratello e ghignò.

Entrambi si trovavano dietro di me, come a volermi coprire le spalle in vista di un attacco a sorpresa.

Tethra non apprezzò neppure un po’ quel comportamento, ma lasciò perdere tutto e, al paggio, ordinò di andare a cercare Muath.

Questi si fiondò fuori alla velocità del fulmine e a quel punto, accomodandosi alla sua scrivania, colui che era stato mio padre per quattromila anni, parlò.

“Hai avuto una bella faccia tosta, a presentarti qui conciata in questo modo.”

“Non credo dobbiate curarvi di cosa indosso, sire, quanto piuttosto di offrirmi una spiegazione in merito alla mia nascita.”

“Mesi fa, ti rifiutasti di ascoltare, e scappasti come una vile senza nerbo. Non ti abbiamo mai insegnato a piangerti addosso!” replicò Tethra, aggrottando la fronte.

Percepii, senza bisogno di volgermi, la rabbia proveniente dai miei fratelli, ma non mi opposi al loro giusto riflesso.

Che Tethra capisse quanto, il suo dire, angustiava non solo me, ma anche i suoi veri figli.

“Ero giustamente sconvolta, sire, ma ora so, so di chiamarmi Litha mac Elathain, famiglia che voi avete tolto da qualsiasi albero genealogico perché io, o chiunque altro, notasse la mia rihall. So che il generale Bress altri non è che il fratello del mio vero padre, Oghma mac Elathain. So che fu lui a ordire il piano per farvi assassinare la mia famiglia.”

Tethra aggrottò la fronte nell’udire quei nomi, quei fatti lontani nel tempo, ma non mi chiese come fossi giunta a una simile scoperta.

Tornò a levarsi in piedi, le mani dietro la schiena, e raggiunse una delle finestre che davano sul cortile interno.

Il suo sguardo torvo era in tutto simile alla tempesta che mi ero lasciata alle spalle, giungendo lì.

“Hai scoperto la chiave per schiudere i glifi?” mi domandò alla fine, sorprendendomi un poco.

Lui mi guardò da sopra una spalla, accennando un sorriso canzonatorio, e aggiunse: “Tua madre, prima di spirare, ci  disse che, ogni mille anni circa, un ricordo sarebbe riaffiorato attraverso un glifo sulla tua pelle e che, per farti dono delle tue memorie, avremmo dovuto trovare un tuo discendente nelle terre appartenute ai mac Elathain su suolo irlandese. Naturalmente, come saprai, non ne esistono. O almeno, così pensavo fino a ora.”

“Colui che mi ha aiutata appartiene alla mia gente, anche se per discendenza assai lontana” gli spiegai, annuendo serafica.

“Ebbene? Cosa vuoi da noi? Vendetta? Un pegno per onorare la tua vera famiglia? Rivuoi le terre dei tuoi veri genitori?”

Il suo tono rasentò così tanto l’ironia che fremetti, stringendo i pugni per l’ira.

“Non vi importa proprio nulla di aver levato la mano sui miei genitori?!”

“Era la guerra, Litha e, anche se siamo stati attirati in casa di tuo padre con l’inganno, se lo avessi incontrato sul campo di battaglia, lo avrei combattuto onorevolmente, se lui mi avesse sfidato mettendosi contro la sua stessa gente.

Sospirò, si passò una mano sul volto – per una volta – stanco, e aggiunse: “Non vado fiero dell’inganno a cui ci ha sottoposto Bress, ma questo non cambia le cose. Se Oghma si fosse schierato con i Tuatha per amore di sua moglie, io lo avrei ucciso.”

La porta dello studio si aprì di getto, prima che io potessi parlare – urlare qualsiasi cosa – e, sulla soglia, Muath mi fissò con occhi che sprizzavano scintille.

Si avvicinò livida, scansando a forza sia Krilash che Stheta e, levata una mano verso di me, ringhiò: “Scellerata che non sei altro!”

Calò la mano per colpirmi ma io la intercettai, deviandola e, con agilità, mi allontanai da lei replicando: “Ma che accoglienza calorosa, Vostra Maestà!”

Lei mi fissò ai limiti della furia, ma nei suoi occhi scorsi anche qualcosa che mai, in Muath, avrei pensato di vedere.

Lacrime.

Mi raddrizzai ben lontana da lei, fissandola senza astio, ma neppure amorevolmente e, lapidaria, domandai: “Non pretendete senza dare, mia regina?”

“Ti ho dato la vita!” sbraitò allora lei, sferzando l’aria con le braccia.

“Mi avete dato in pegno una menzogna, pur se vi concedo che non avete calato su di me la mannaia. Solo su mia madre.

Colei che avevo considerato madre per quattromila anni impallidì, divenne furia un attimo dopo e, rabbiosa, fece per replicare al mio attacco.

“Muath, ora basta!” le ordinò Tethra, ricevendo però, per diretta conseguenza, un insulto da parte della moglie.

“Sono quattromila anni che mi prendo cura di lei e, al minimo accenno di un problema, mi abbandona!” protestò con rabbia la regina, comportandosi alla stregua di una bambina.

Rimasi immobile e silenziosa, mentre Tethra tentava di giungere a più miti consigli con la moglie.

“Era tua cura dirle la verità, invece hai sempre tentennato, sempre procrastinato a data da destinarsi. Quattromila anni sono tanti, da portare sulle spalle senza sapere. Ti avevo pur detto di non tenerla con te, di consegnarla a una famiglia di Tuatha, dove sarebbe cresciuta con la sua gente, i suoi ricordi, gli usi e i costumi della sua gente, ma tu no, non mi hai dato retta!”

Quelle parole mi sorpresero, riportando alla mente una frase che, mesi addietro, aveva lasciato nel dubbio sia me che i miei fratelli.

Tu compisti la tua scelta, a suo tempo, ora io ho compiuto la mia.

Tethra si era rivolto alla moglie con parole di fuoco, quando Rachel e Fay erano state accettate come eredi dei mac Cumhaill.

Ora sapevo perché. Solo Muath mi aveva voluta lì; non fu una scelta presa di comune accordo.

Tethra aveva pensato fosse più giusto e corretto lasciarmi ai Tuatha, dove i miei genitori avevano vissuto fino a quel momento.

Dove io avevo vissuto fino a quel momento.

Muath, però, si era ribellata a quella scelta, concedendomi il passaggio verso il mare con la sua pelle di delfino.

“Non è una scusa sufficiente per andarsene! Ma ora non commetterà più lo stesso errore” sbottò Muath, tornando a rivolgersi a me.

Parimenti, Stheta e Krilash snudarono le spade, ponendosi dinanzi a me per difendermi dalle mire della loro madre.

“Non vi permetteremo di fare a lei ciò che faceste a Rohnyn!” si infuriò Stheta, nominando colui che, di fronte a Tethra, era vietato nominare.

“Non osare fare il suo nome!” sbraitò suo padre, infuriandosi per diretta conseguenza.

“Litha non rimarrà qui, se non vuole!” aggiunse Krilash, non meno furente del padre.

Ciara e Rachel si levarono leste, giungendo al mio fianco ma io, non volendo scatenare una guerra con la mia sola presenza, urlai a gran voce: “ORA BASTA! Non sono qui per litigare, né per rimanere. Voglio solo ciò che mi spetta. La vita dell’uomo che, per primo, tramò contro di me!”

“Come sai di Bress?” esalò Muath, impallidendo di colpo, la furia ormai del tutto scemata dal suo volto.

“Mi sono impadronita dei miei ricordi, e ora so che non fu del tutto colpa vostra, ciò che avvenne. Non vi chiederò perdono per essermene andata, e neppure vi riterrò direttamente responsabili. Sono tornata solo per un motivo. Per la vita di Bress.”

“Deve scontare una condanna ad eternam. Non ti lascerò ucciderlo. Sarebbe troppo facile, per lui” replicò gelido Tethra, fissandomi con occhi carichi di risentimento.

Era chiaro come, a distanza di millenni, il tradimento gli pesasse ancora. Nessuno poteva ingannare il grande Tethra mac Lir.

“Ho comunque diritto di vederlo. Di capire” ribattei, fermamente convinta di avere, dalla mia, tutte le ragioni del mondo.

“Andandotene da qui, hai perso ogni tuo diritto” mi rabberciò Muath, avanzando ancora di un passo. “Te l’avrei concesso, se fossi rimasta, se ci avessi ascoltato. Ma hai preferito fuggire, comportandoti come una sciocca sentimentale. Non ti abbiamo addestrata per essere questo.”

La mia vera famiglia si chiuse attorno a me, simile a un guscio protettivo e, con un sorriso mesto, sentenziai: “Negatemi questa ultima richiesta, e non mi rivedrete mai più.

Le mie parole parvero andare a segno, ma nulla uscì dalla bocca di Muath. Né da quella di Tethra che, sospirando, tornò alla sua scrivania, intrecciando le mani sul ripiano di marmo.

Fu così che me ne andai. Uscii di gran carriera dall’ufficio di colui che, per quattromila anni, avevo chiamato padre, senza dire una parola.

Stheta e gli altri mi seguirono per sicurezza ma, quando ci ritrovammo tutti nel corridoio, la voce di Muath giunse rabbiosa alle nostre spalle.

Mi volsi, guardandola con livore, e lei rise sarcastica.

“Vattene pure, torna dall’uomo impuro che ha segnato le tue carni. Ma sappi una cosa. Non potrai mai averlo!”

Aggrottai la fronte, replicando gelida: “Brucerò la pelle di delfino, esattamente come fece Rohnyn. Bandirò l’immortalità dalle mie carni, e sarò come lui.”

Non volli sapere come avesse capito che, dietro al mio comportamento, c’era un uomo.

Dopotutto, Muath era una potente sensitiva, perciò non faceva specie che avesse compreso, almeno in parte, la verità.

Lei rise ancora più forte, irridendomi con lo sguardo e, con il gelo nella voce, dichiarò livida: “Rinunciare alla livrea non cambierà nulla, nel tuo caso. Hai anche puro sangue Tuatha, nelle vene, non solo sangue fomoriano. E l’immortalità dei tuoi antenati non può essere cancellata.”

Impallidii a quelle parole, ma non volli cedere di un millimetro sui miei intenti, o dimostrarle quanto, le sue parole, mi avessero raggelata.

“Tornerò ugualmente da lui” replicai pacata, raddrizzando le spalle che, impercettibili, erano crollate in avanti a quella notizia.

Muath allora si mosse verso di me di un passo, storse la bocca e ringhiò feroce: “Dovresti dargli tutto il tuo sangue, per renderlo come te. Ma varrebbe davvero la pena, donare l’immortalità a un mortale, Litha? E tu sopravvivresti, a un simile scambio?”

Non le risposi e, volgendole le spalle, proseguii lungo il corridoio, seguita a ruota da Stheta e gli altri.

Muath non si diede per vinta e, sempre più furiosa, urlò stentorea: “Niamh permise a Oisin di rimanere qui per trecento anni, grazie al suo sangue! Ma neppure lei ebbe il coraggio di andare fino in fondo, di donarglielo completamente, e alla fine lo perse! E Niamh era la donna più coraggiosa che io avessi mai conosciuto! Puoi dire lo stesso, tu, che sei fuggita da me?!”

Non mi volsi, mi rifiutai di mostrarle quanto, il suo livore e la sua rabbia egoista, mi avessero fatto male e, con passo sicuro, mi allontanai da lei.

I miei fratelli e le mie cognate mi seguirono, unendo al mio silenzio il loro.

Quando fummo a distanza di sicurezza per non essere più uditi, Krilash si rivolse a me con tono rassicurante.

“Vedremo di convincerli noi, Litha. Te lo devono.”

“Krilash ha ragione. Ci parleremo noi” aggiunse Rachel, prendendomi sottobraccio per poi sorridermi.

Replicai al suo sorriso con uno molto meno fiducioso e Ciara, sul mio lato libero, la imitò, aggiungendo: “Non sei sola, e tutti noi ti aiuteremo in questa battaglia.”

“Quanto alle sue ultime parole, non vi badare. Era irritata e furiosa, e sai benissimo che farebbe qualsiasi cosa, pur di ferire chi le fa perdere le staffe” soggiunse da ultimo Stheta, sorridendomi benevolo.

Assentii, ma non me la sentii di cancellare dalla mente quel monito.

Avrebbe avuto senso, dopotutto.

Io non ero come loro.

Non del tutto, almeno, e questo avrebbe potuto creare delle difficoltà.

Inoltre, se anche mi fossi arrischiata a donare tutto il mio sangue a Rey, che ne sarebbe stato di me?

Sarei morta, lasciando lui solo per l’eternità. Letteralmente.

“Che tu sia maledetta, Muath” ringhiai, adombrandomi in viso.







Note: Se pensavate che le sorprese fossero finite, vi sbagliate. Grazie - o a causa - della sua doppia natura - Litha avrà veramente l'impossibilità di perdere la sua lunga vita come, tempo addietro, aveva potuto scegliere di fare Rohnyn, o Muath lo ha detto solo per rabbia e risentimento?
E Bress rimarrà per sempre il suo sogno incompiuto, o lascerà perdere, in favore di qualcosa di più importante?
Non vi lascerò nel dubbio per molto ma, per ora, vi ringrazio di essere giunte fino a qui con me.
  
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