Era
davvero quello che Daphne avrebbe voluto? Davvero avrebbe voluto vedere
la sua
sorellina farsi del male in un modo tanto brutale, addirittura mutilarsi? No, certo che no.
Mi alzai
di scatto dalla sedia e iniziai a camminare nervosamente avanti e
indietro per
la stanza, tenendomi la testa tra le mani, come per cercare di
sorreggere tutte
le mie angosce e tutta la mia paura.
Pesavano...
eccome se pesavano. Il cuore batteva a mille, iniziai ad avere il
fiatone; i
nervi stavano crollando uno dopo l’altro e, con loro, la mia
sanità mentale. Scoppiai
a piangere istericamente: tutto intorno a me sembrava ruotare
vorticosamente
causandomi le vertigini, tanto che allungai le mani verso il vuoto per
trovare
il muro, per poi accasciarmi a terra stringendomi nelle braccia, come
per
proteggermi da un nemico invisibile.
Faragonda
non disse nulla e si limitò a guardare, stropicciando
nervosamente la manica
della sua giacca. In quel momento ero pura frustrazione, doveva
lasciarmi
cucinare nel mio brodo e prendere una decisione. Già, una
scelta... ma avevo
davvero una scelta, alla fine? Potevo davvero mollare tutto come se
niente
fosse e andarmene via?
L'idea mi
fece a dir poco schifo e ribrezzo. Ero già un'assassina,
sarei diventata anche codarda,
traditrice, inetta. Rinunciai alla possibilità di scegliere
nel momento in cui
vidi la vita spirare via dagli occhi di mia sorella, non c'erano via di
uscita... o meglio, non le volevo trovare.
Se inizi a
camminare per vie oscure difficilmente torni indietro, puoi solo andare
avanti.
Realizzato ciò in un turbinio di pensieri densi come pece,
ingoiai uno dei
rospi più grandi della mia esistenza e sbattei i pugni a
terra, voltando gli
occhi cremisi al soffitto e bestemmiando contro gli dei. Digrignai i
denti e feci
quel che dovevo fare. Dovevo.
«Sa
cosa?
D’accordo! Sono già un mostro, preside. Le mie
mani sono ancora lorde del
sangue del mio sangue, non mi tirerò indietro. Se questo
è il mio destino, se
questa è la via che ho scelto, allora diventerò
il peggior abominio che questo
Universo abbia mai visto».
Il volto
di Faragonda si contrasse in una sfumatura di doloroso rimpianto:
vedeva la
follia nei miei occhi, vedeva l'obbligo e la vergogna. Dopotutto, non
era già
quella una forma di corruzione? La mia purezza magica era davvero
così
importante?
Mentre la
preside contattava la Griffin, i miei pensieri galoppavano senza senso,
violenti e terribili. Ero una fata e, in quanto fata, ero
identificabile, ero
qualcuno di definito. Avevo deciso di diventare qualcosa che era fuori
da ogni
schema, non avrei trovato mai in nessun libro che cosa
sarei diventata.
Indugiai
in quel pensiero delirante per qualche minuto, poi ebbi un'epifania che
mi scaldò
il cuore, come una panacea: era poi così terribile essere un
nessuno? Essere un
qualcosa. Una senza nome. Non era forse quello che desideravo di
più?
Era meglio
non avere nome piuttosto che essere chiamata 'assassina'. 'Nessuno' era
una
nomea migliore di mostro e, per conquistarmi quel titolo, dovevo
uccidere
nuovamente, come quando due negazioni diventano un'affermazione.
Mi venne
una risatina esasperata, quasi eccitata da questa mia nuova prospettiva
di vita:
morire e mettere la parola fine a quell'inferno, oppure far tornare in
vita
Daphne e perdere per sempre la mia identità, diventando
polvere.
Non potevo
chiedere di meglio. Al nulla non si può dare aggettivo, il
mio peccato sarebbe
sparito per sempre insieme a tutto il resto.
Ero ancora
immersa nel mio delirio quando Faragonda si alzò
faticosamente dalla sedia,
come se il suo corpo si rifiutasse di compiere i suoi ordini;
indossò il suo
soprabito scuro e, nel silenzio più totale, ci avviammo
verso Torrenuvola. Non
fiatò mai durante il tragitto, aveva paura perfino di
guardarmi, di consigliarmi,
di fare qualunque cosa.
Come un
virus contagioso, il rimorso aveva catturato anche lei. D'altronde era
stata
tutta una sua idea, mi stava letteralmente spianando la strada verso il
mio
destino. Un nero, oscuro destino.
Mentre
camminavamo respirai a pieni polmoni i profumi e l'aria pura dei
boschi, godendo
del canto degli animali. Non avevo la minima idea di cosa mi sarebbe
successo,
forse non sarei più stata in grado di farlo. Un pensiero
ricorrente mi si
piazzò in mente, malvagio, non mi mollò mai
nemmeno per un secondo: "Magari
ci muoio qui... magari ci muoio".
Torrenuvola
ci apparve imponente e cupa, come al solito; al contrario di Alfea, la
scuola
per streghe si sviluppa in verticale con alte torri e una marea di
scale da
salire e scendere: sfido che le allieve siano sempre così
infastidite.
Arrivate
davanti il portone, per la prima volta, la preside mi parlò
con voce flebile,
quasi impercettibile: «Bloom, mi dispiace così
tanto, sono così... ti prego, se
non te la senti non lo devi fare per forza».
Arricciai
il labbro inferiore, misi le mani sui fianchi e guardai in aria,
abbozzando un
sorriso sarcastico, di chi il buonsenso lo ha seppellito nella
più profonda
delle tombe, e risi sommessamente.
«Non
posso
più dire di no, Faragonda. Non posso più
nascondere quello che ho fatto: i miei
occhi bruciano, parlano. Cosa direbbero tutti, come mi chiamerebbero?
Bloom la
codarda? No, non se ne parla, andiamo».
La preside
abbassò lo sguardo ferita e aprì le porte della
scuola. La folle ilarità che mi
pervadeva sparì subito quando mi accorsi che le allieve ci
fissavano con
disprezzo: le fate e le streghe non si erano mai amate, è
così dall'alba dei
tempi, ma quelle ci squadravano letteralmente guardandoci dall'alto
verso il
basso, parlottavano, ridevano e insultavano.
"Magari
ci muoio qui, magari ci muoio... ci muoio..."
Provai una
certa nausea, un istinto animalesco che non mi era mai appartenuto:
volevo far
del male. Volevo dare alle fiamme tutto e tutti, indistintamente. Non
è un modo
di dire né una similitudine, io volevo ucciderle sul serio.
Sentivo una voglia
irrefrenabile e spaventosa di farle fuori a sangue freddo,
così, su due piedi.
Mi diedi un pizzicotto per tornare alla realtà e iniziai a
sudare freddo.
"Bloom,
che diavolo stai facendo? Ora vuoi prendertela con delle ragazzine? Ma
sei
fuori?" pensai parlando con me stessa. Volevo rimproverarmi, fermare in
qualche modo la mia follia, ma un solo pensiero avevo in testa: "Sono
streghe. Mi hanno fatto questo. Devono morire tutte".
Faragonda
si accorse della mia crisi psicologica, tanto che mi strinse il braccio
e mi
accarezzò lentamente, ripetendomi a voce bassa la stessa
frase: «Sei una fata,
Bloom. Mantieni la calma. Sei ancora una fata... lo sarai
sempre».
Cercai di
adattare il mio respiro al ritmo delle carezze della preside,
concentrando la
mente in quell'operazione e allontanando i cattivi pensieri quel tanto
che bastava
per farmi calmare, nonostante intorno a noi ci fosse solo
ostilità.
Dopo
minuti interminabili di scale, arrivammo finalmente nell'ufficio della
Griffin,
lugubre come sempre: le pareti scure incutevano un certo timore,
così come i
dipinti dei presidi precedenti; i vecchi mobili in legno, poi, non
contribuivano
a rendere l’atmosfera più serena.
Ci accolse
con un sorriso tirato e nervoso, non si azzardò nemmeno a
sfiorarmi. Ci accomodammo
e le raccontai tutto quello che avevo fatto e quello che avevo
intenzione di
fare, chiedendo se era davvero possibile. Faragonda era praticamente
diventata
una statua vivente, a momenti non la sentivo nemmeno respirare.
La preside
di Torrenuvola rimase molti minuti in silenzio, persa completamente nei
suoi
pensieri, poi si massaggiò le tempie e cominciò a
parlare.
«Quello
che mi chiedi è possibile, ma... completamente fuori da ogni
etica. È follia
pura» disse grave, senza staccare lo sguardo dalla scrivania,
poi continuò:
«Ma, ahimè, non mi vengono in mente altri modi
validi per rintracciare le Trix,
non penso ci siano altre soluzioni. Questo immagino già lo
sai».
Mi agitai
sulla sedia, spazientita.
«Esattamente,
cosa mi accadrebbe?»
Indugiò
qualche secondo, stava pesando attentamente le parole.
«Mi
sono
occupata personalmente dei pazienti affetti da questo problema: si
trattava di
streghe contaminate dalla magia bianca, ma anche fate contaminate da
quella
oscura, stregoni, maghi. È un evento molto raro, accade solo
quando un essere
magico è debilitato eccessivamente del suo potere e viene a
contatto con una
forte fonte magica opposta alla sua per tempi prolungati. In teoria non
dovrei
fornirti queste informazioni, sono strettamente riservate, sai. Non ho
molta
scelta, vero? Non dopo tutto quello che hai fatto per arrivare qui, per
tua
sorella e per tutti noi. Se non le fermiamo, le Trix ci
distruggeranno».
Stavo
iniziando a capire dove voleva andare a parare: credo di non aver mai
provato
tanta paura in vita mia.
«Questi
soggetti li chiamiamo Orphan, poiché hanno perso la natura
del loro potere
natio. Cosa succede a queste persone? Beh... semplicemente, diventano
folli:
possedere quella porzione estranea di magia nel loro corpo li porta
alla pazzia
più totale. Prima di perdere completamente la ragione, molti
di loro dicono di
sentirsi come ricoperti di fango, oppure di insetti, si agitano in
continuazione cercando di togliersi di dosso cose che non ci sono.
Alcuni
dicono di sentire delle voci che intimano loro di fare o farsi del
male, altri
semplicemente smettono di muoversi e rimangono impietriti per tutta la
vita...
una breve vita, sono costretta a dire. Tra chi si suicida e chi muore a
causa
del conflitto energetico che si viene a creare nel loro corpo, chi
sopravvive a
lungo si conta sulle dita di una mano. Bloom... è una
condanna a morte».
Lungo il
collo iniziai a sentire una sorta di formicolio che si irradiava fin
sotto il cervelletto,
tutti i tendini erano tesi come corde di violino. Mi morsi il labbro
fino a
farlo sanguinare, mi portai le mani sulla testa e iniziai a stringerle
furiosamente,
tirando tutti i capelli. Faragonda si allontanò da me
d'istinto, la Griffin
tremò e io digrignai i denti emettendo versi di
disperazione.
Tutto mi
remava contro, la sorte mi era avversa in ogni modo possibile: la mia
maledetta
missione voleva in cambio il mio corpo e la mia mente, e io non ce la
facevo
più. Esplosi. Urlai, ruggendo come un demone.
«È
colpa
vostra…è solo colpa vostra! Di tutte voi
maledette streghe! Dovevate
distruggere quelle tre quando ne avevate l’occasione, voi
sapevate chi erano!
Daphne è morta per causa vostra! Io diventerò un abominio per colpa vostra!»
L'aria
divenne di fuoco e irrespirabile, i mobili si incendiarono e io avrei
fatto una
strage se non avessi visto la Griffin piangere come una bambina
inginocchiata
davanti a me. Sbattevo i pugni sul duro legno della scrivania ma, in
qualche
modo, riuscii a fermarmi.
«Mi
dispiace,
Bloom... è colpa mia, lo so bene, era compito mio...
perdonami per tutto quello
che sei costretta a fare, è un rimpianto che mi
perseguiterà per sempre... non
ho mai smesso di punirmi per questo...»
Mi
inginocchiai davanti a lei, la afferrai per il collo della giacca e la
fissai
con occhi scarlatti di furia e fuoco, luccicanti come due gocce di
sangue.
«Questa
sarà la punizione per il tuo
peccato!
Tu vivrai con l'anima macchiata per sempre, colpevole della morte di
chi mi era
caro e colpevole del mio sacrificio! Ora, preside Griffin, fai quello
per cui
sono venuta qui, prima che la follia mi porti via troppo in fretta.
Rendi il
nostro peccato ancora più nero».
La strega
non smise mai di tremare dal terrore: le mie parole era così
macabre e oscure.
Tra il fumo e la cenere del legno bruciato ella si alzò,
cercando rifugio negli
occhi della sua più cara amica e compagna di tante
battaglie, ma non trovò
niente: solo paura e colpevolezza per i propri errori.
«Io...
va
bene... fammi pensare un momento».
Annuii,
andai alla finestra per guardare il panorama e la lasciai lavorare in
pace.
Dopo alcuni minuti, elaborò un piano.
«A-allora...
ecco, il primo punto è questo: nel momento in cui entrerai
in contatto con la
magia nera, non dovrai opporre neanche la più misera
resistenza. Hai un potere
sconfinato, come non ne ho mai visti in vita mia, basta il
più piccolo ostacolo
per respingere l'oscurità» disse mentre la fissavo
silenziosa, poi continuò: «Detto
questo, secondo la mia esperienza e secondo quanto mi avete riferito
sulla
portata del tuo potere, credo che, per corrompere anche solo un quarto
la tua
Fiamma del Drago, dovremmo usare la magia oscura di tutte le allieve di
Torrenuvola alla massima potenza. Non so se sarà
sufficiente, devo dire.
Ovviamente, più la Fiamma verrà corrotta,
più avrai possibilità di percepire le
Trix. Altro non posso fare, perdonami».
«Quindi
è
questo che mi offri, Griffin? Fiamme marce, follia e nessuna garanzia
che
funzioni? Mi sta bene. Magari diventerò così
pazza e fuori di testa da
uccidervi tutti senza il minimo rimorso, non mi dispiacerebbe
così tanto».
La preside
di Torrenuvola sembrava sul punto di svenire, era perfettamente
consapevole che
avrei potuto farlo davvero.
«Orphan...
diventerò una Orphan... mi piace, bel nome. D'altronde, sono
stata orfana per
gran parte della mia vita».
Girai i
tacchi e sbattei la porta, lasciando dietro di me due anime distrutte.
A quel
punto, non me ne fregava assolutamente niente di nessuno, il mio
spirito era
rotto, niente aveva più senso.
Mi
incamminai verso uno dei balconi esterni per prendere una boccata
d'aria, sentii
la voce della Griffin echeggiare in tutta la scuola; spiegava in modo
tranquillo ma deciso cosa avrebbero dovuto fare tutti, dai professori
alle
allieve, come se non fosse successo nulla.
Ci misero
davvero poco tempo a preparare tutto. La scuola era diventata deserta:
si
sistemarono tutti nel cortile esterno dietro l’edificio in
modo ordinato,
sedendosi a gambe conserte sull'erba. Osservando i preparativi
dall'alto, notai
che le ragazze formarono una serie di cerchi intorno ad un ipotetico
centro,
rimasto vuoto. Sicuramente era il mio posto d'onore in quello show
dell'orrore.
All'interno
dello spazio libero, quattro professori si sistemarono ai quattro
angoli dello
stesso con dei grossi libri in mano, formulando incantesimi che
permisero la
genesi di rune oscure sotto i loro piedi. Ecco, quelle non mi piacevano
proprio.
La Griffin e Faragonda raggiunsero il gruppo: la preside di Alfea
rimase in
disparte fuori dal cerchio, mentre quella di Torrenuvola si fece largo
verso il
suo centro, facendomi cenno di venire.
"Ci
siamo. Ci siamo proprio" dissi a me stessa sospirando forte, ma i
cattivi pensieri
non volevano lasciarmi. "Magari ci muoio... magari".
Ogni passo
verso il cortile era un passo verso il patibolo. Non vedevo speranza
alla fine
del tunnel, solo una tetra morte, una ghigliottina in attesa del mio
collo. Per
gli dei, avevo così tanta paura: del buio, del vuoto, del
silenzio eterno.
Raggiunsi
la strega all'interno dello spazio vuoto tra i quattro professori che
avevano
evocato le rune, tremando come una foglia.
«Ci
siamo,
Bloom» disse la Griffin deglutendo, «ascoltami e
fai esattamente quello che ti dico,
o non funzionerà. Chiaro?»
Annuii,
rassegnata alla falce che attendeva solo di mietere la mia vita.
«Tutti
i
presenti convoglieranno in me il loro potere oscuro: fungerò
da catalizzatore e
riverserò tutta questa magia nera su di te. Per nessuna
ragione, non opporre nessuna
resistenza. Abbassa
le tue difese magiche più che puoi, permettici di far
breccia nella Fiamma del
Drago».
Rivolsi lo
sguardo verso Faragonda: forse cercavo conforto, o coraggio, non lo so
nemmeno
io. Avevo la sensazione di annegare.
«A
che
servono le rune?» chiesi con voce fredda. La strega
sospirò.
«Dobbiamo
tutelarci, Bloom. Se tu perdessi il controllo, se dovesse andare tutto
storto,
tu...»
«Vi
spazzerei via tutti. Chiaro. Quelle rune mi bloccheranno».
«Quando
sei pronta, coraggiosa ragazza».
Risi
amara.
«Non
coraggiosa, strega. Folle».
La Griffin
appoggiò la mano sul mio cuore e tutti iniziarono a
convogliare la magia nera
in lei. Provai una sensazione strana: non era doloroso, era come se
qualcosa di
appiccicaticcio mi stesse ricoprendo da capo a piedi, un fastidio che
cresceva
di secondo in secondo portandomi a desiderare fortemente di ribellarmi.
Effettivamente, una patina scura mi stava divorando.
«No,
Bloom! Resisti! Forza, voi là dietro, aumentate!
Prosciugatevi se necessario!»
I volti
delle ragazze erano un quadro di smorfie causate dalla fatica immane
che stava
chiedendo la loro preside. Ebbi una visione spirituale di
ciò che stava
succedendo all'interno del mio corpo: vedevo una mano nera che cercava
in tutti
i modi di afferrare la mia Fiamma del Drago, fallendo miseramente. Il
fuoco era
troppo alto, troppo imponente.
"Devo
far qualcosa..." mi dissi digrignando i denti dal fastidio, dovevo
almeno
provarci.
Usai la
mia volontà come arma: ordinai letteralmente alle mie fiamme
di quietarsi, di piegarsi
alla mia autorità. Il calore si fece meno intenso, la mano
oscura riuscì ad
avvicinarsi, e… strozzò nel suo palmo la mia
Fiamma del Drago.
A quel
punto, mi sentivo come sprofondare nelle sabbie mobili: percepii i
polmoni
affogare in quella melma nera, era terrificante. Stavo cadendo preda
della
paura quando, finalmente, tutto si fermò. Senza nemmeno
aspettare qualche
secondo per riprendere fiato, la Griffin arretrò velocemente
da me, mentre i
quattro professori alzarono l'attenzione al massimo, pronti a scattare
in ogni
momento.
«Via!
Indietro, andate via!»
Non capii
bene cosa stesse succedendo: la strega stava allontanando tutti di gran
fretta
nonostante io mi sentissi alquanto bene. Mi osservai le mani, attesi
qualche
attimo in allerta, ma non successe niente.
"Strano...
che non abbia funzionato?"
Iniziai a
sentire la bocca pastosa e gli occhi gonfi, come se mi fossi appena
svegliata
da un lungo sonno. Mi toccai le labbra, e… sulle mie dita
c'era la melma nera
che mi aveva inghiottita prima. Presa dal panico, mi toccai anche gli
occhi.
Stessa cosa. Stavo letteralmente vomitando magia oscura.
Scoppiai a
piangere disperata, le lacrime sembravano petrolio. Poi, iniziarono i
formicolii sulla pelle, come quando si addormenta un arto, dal petto si
propagavano
per tutto il corpo come piccole onde d'urto: iniziarono a darmi
fastidio, prima
poco, poi sempre di più.
Cominciai
a grattarmi: mi tolsi la felpa rimanendo in maglia a maniche corte, ma
non
bastò. Iniziai a sentirmi sporca, come... sì,
come ricoperta di fango. Sentivo
il sudiciume, percepii il solletico di quelle che sembravano zampe di
insetti,
mi strofinai fino a scorticare la pelle.
La vista
divenne annebbiata e la testa pulsava, facendomi vedere cose che non
c'erano e
sentire voci sconosciute; mi presi furiosamente la testa fra le mani
strappando
qualche ciuffo di capelli, agitandomi di scatto in varie direzioni,
come per
liberarmi dalla presa di qualcosa di invisibile.
Sentii una
furia sconfinata, un odio becero e insensato, tanto, tantissimo odio.
Iniziai a
bramare il sangue dei miei nemici, desideravo sentire i cuori di tutti
i
presenti stroncarsi nella stretta della mia mano, esattamente come
avevo fatto
con Daphne.
«Streghe...
streghe maledette... io... io vi ucciderò tutte».