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Autore: Sinnheim    12/12/2015    2 recensioni
Versione 2.0, modificata ed arricchita.
Primo volume della serie "A Dance of Light and Shadow".
Seguendo il consiglio della preside Faragonda, una Bloom adulta e segnata dagli eventi, decide di scrivere un diario sui fatti accaduti cinque anni prima, una tragedia che l'ha cambiata per sempre. La Bloom allegra e spensierata di una volta ormai non c'è più ma, attraverso la scrittura, riuscirà a trovare un po' di pace.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bloom, Daphne
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Dance of Light and Shadow'
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CAPITOLO 7: FIAMME SPORCHE

 

 

 

Era davvero quello che Daphne avrebbe voluto? Davvero avrebbe voluto vedere la sua sorellina farsi del male in un modo tanto brutale, addirittura mutilarsi? No, certo che no.

Mi alzai di scatto dalla sedia e iniziai a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, tenendomi la testa tra le mani, come per cercare di sorreggere tutte le mie angosce e tutta la mia paura.

Pesavano... eccome se pesavano. Il cuore batteva a mille, iniziai ad avere il fiatone; i nervi stavano crollando uno dopo l’altro e, con loro, la mia sanità mentale. Scoppiai a piangere istericamente: tutto intorno a me sembrava ruotare vorticosamente causandomi le vertigini, tanto che allungai le mani verso il vuoto per trovare il muro, per poi accasciarmi a terra stringendomi nelle braccia, come per proteggermi da un nemico invisibile.

Faragonda non disse nulla e si limitò a guardare, stropicciando nervosamente la manica della sua giacca. In quel momento ero pura frustrazione, doveva lasciarmi cucinare nel mio brodo e prendere una decisione. Già, una scelta... ma avevo davvero una scelta, alla fine? Potevo davvero mollare tutto come se niente fosse e andarmene via?

L'idea mi fece a dir poco schifo e ribrezzo. Ero già un'assassina, sarei diventata anche codarda, traditrice, inetta. Rinunciai alla possibilità di scegliere nel momento in cui vidi la vita spirare via dagli occhi di mia sorella, non c'erano via di uscita... o meglio, non le volevo trovare.

Se inizi a camminare per vie oscure difficilmente torni indietro, puoi solo andare avanti. Realizzato ciò in un turbinio di pensieri densi come pece, ingoiai uno dei rospi più grandi della mia esistenza e sbattei i pugni a terra, voltando gli occhi cremisi al soffitto e bestemmiando contro gli dei. Digrignai i denti e feci quel che dovevo fare. Dovevo.

«Sa cosa? D’accordo! Sono già un mostro, preside. Le mie mani sono ancora lorde del sangue del mio sangue, non mi tirerò indietro. Se questo è il mio destino, se questa è la via che ho scelto, allora diventerò il peggior abominio che questo Universo abbia mai visto».

Il volto di Faragonda si contrasse in una sfumatura di doloroso rimpianto: vedeva la follia nei miei occhi, vedeva l'obbligo e la vergogna. Dopotutto, non era già quella una forma di corruzione? La mia purezza magica era davvero così importante?

Mentre la preside contattava la Griffin, i miei pensieri galoppavano senza senso, violenti e terribili. Ero una fata e, in quanto fata, ero identificabile, ero qualcuno di definito. Avevo deciso di diventare qualcosa che era fuori da ogni schema, non avrei trovato mai in nessun libro che cosa sarei diventata.

Indugiai in quel pensiero delirante per qualche minuto, poi ebbi un'epifania che mi scaldò il cuore, come una panacea: era poi così terribile essere un nessuno? Essere un qualcosa. Una senza nome. Non era forse quello che desideravo di più?

Era meglio non avere nome piuttosto che essere chiamata 'assassina'. 'Nessuno' era una nomea migliore di mostro e, per conquistarmi quel titolo, dovevo uccidere nuovamente, come quando due negazioni diventano un'affermazione.

Mi venne una risatina esasperata, quasi eccitata da questa mia nuova prospettiva di vita: morire e mettere la parola fine a quell'inferno, oppure far tornare in vita Daphne e perdere per sempre la mia identità, diventando polvere.

Non potevo chiedere di meglio. Al nulla non si può dare aggettivo, il mio peccato sarebbe sparito per sempre insieme a tutto il resto.

Ero ancora immersa nel mio delirio quando Faragonda si alzò faticosamente dalla sedia, come se il suo corpo si rifiutasse di compiere i suoi ordini; indossò il suo soprabito scuro e, nel silenzio più totale, ci avviammo verso Torrenuvola. Non fiatò mai durante il tragitto, aveva paura perfino di guardarmi, di consigliarmi, di fare qualunque cosa.

Come un virus contagioso, il rimorso aveva catturato anche lei. D'altronde era stata tutta una sua idea, mi stava letteralmente spianando la strada verso il mio destino. Un nero, oscuro destino.

Mentre camminavamo respirai a pieni polmoni i profumi e l'aria pura dei boschi, godendo del canto degli animali. Non avevo la minima idea di cosa mi sarebbe successo, forse non sarei più stata in grado di farlo. Un pensiero ricorrente mi si piazzò in mente, malvagio, non mi mollò mai nemmeno per un secondo: "Magari ci muoio qui... magari ci muoio".

Torrenuvola ci apparve imponente e cupa, come al solito; al contrario di Alfea, la scuola per streghe si sviluppa in verticale con alte torri e una marea di scale da salire e scendere: sfido che le allieve siano sempre così infastidite.

Arrivate davanti il portone, per la prima volta, la preside mi parlò con voce flebile, quasi impercettibile: «Bloom, mi dispiace così tanto, sono così... ti prego, se non te la senti non lo devi fare per forza».

Arricciai il labbro inferiore, misi le mani sui fianchi e guardai in aria, abbozzando un sorriso sarcastico, di chi il buonsenso lo ha seppellito nella più profonda delle tombe, e risi sommessamente.

«Non posso più dire di no, Faragonda. Non posso più nascondere quello che ho fatto: i miei occhi bruciano, parlano. Cosa direbbero tutti, come mi chiamerebbero? Bloom la codarda? No, non se ne parla, andiamo».

La preside abbassò lo sguardo ferita e aprì le porte della scuola. La folle ilarità che mi pervadeva sparì subito quando mi accorsi che le allieve ci fissavano con disprezzo: le fate e le streghe non si erano mai amate, è così dall'alba dei tempi, ma quelle ci squadravano letteralmente guardandoci dall'alto verso il basso, parlottavano, ridevano e insultavano.

"Magari ci muoio qui, magari ci muoio... ci muoio..."

Provai una certa nausea, un istinto animalesco che non mi era mai appartenuto: volevo far del male. Volevo dare alle fiamme tutto e tutti, indistintamente. Non è un modo di dire né una similitudine, io volevo ucciderle sul serio. Sentivo una voglia irrefrenabile e spaventosa di farle fuori a sangue freddo, così, su due piedi. Mi diedi un pizzicotto per tornare alla realtà e iniziai a sudare freddo.

"Bloom, che diavolo stai facendo? Ora vuoi prendertela con delle ragazzine? Ma sei fuori?" pensai parlando con me stessa. Volevo rimproverarmi, fermare in qualche modo la mia follia, ma un solo pensiero avevo in testa: "Sono streghe. Mi hanno fatto questo. Devono morire tutte".

Faragonda si accorse della mia crisi psicologica, tanto che mi strinse il braccio e mi accarezzò lentamente, ripetendomi a voce bassa la stessa frase: «Sei una fata, Bloom. Mantieni la calma. Sei ancora una fata... lo sarai sempre».

Cercai di adattare il mio respiro al ritmo delle carezze della preside, concentrando la mente in quell'operazione e allontanando i cattivi pensieri quel tanto che bastava per farmi calmare, nonostante intorno a noi ci fosse solo ostilità.

Dopo minuti interminabili di scale, arrivammo finalmente nell'ufficio della Griffin, lugubre come sempre: le pareti scure incutevano un certo timore, così come i dipinti dei presidi precedenti; i vecchi mobili in legno, poi, non contribuivano a rendere l’atmosfera più serena.

Ci accolse con un sorriso tirato e nervoso, non si azzardò nemmeno a sfiorarmi. Ci accomodammo e le raccontai tutto quello che avevo fatto e quello che avevo intenzione di fare, chiedendo se era davvero possibile. Faragonda era praticamente diventata una statua vivente, a momenti non la sentivo nemmeno respirare.

La preside di Torrenuvola rimase molti minuti in silenzio, persa completamente nei suoi pensieri, poi si massaggiò le tempie e cominciò a parlare.

«Quello che mi chiedi è possibile, ma... completamente fuori da ogni etica. È follia pura» disse grave, senza staccare lo sguardo dalla scrivania, poi continuò: «Ma, ahimè, non mi vengono in mente altri modi validi per rintracciare le Trix, non penso ci siano altre soluzioni. Questo immagino già lo sai».

Mi agitai sulla sedia, spazientita.

«Esattamente, cosa mi accadrebbe?»

Indugiò qualche secondo, stava pesando attentamente le parole.

«Mi sono occupata personalmente dei pazienti affetti da questo problema: si trattava di streghe contaminate dalla magia bianca, ma anche fate contaminate da quella oscura, stregoni, maghi. È un evento molto raro, accade solo quando un essere magico è debilitato eccessivamente del suo potere e viene a contatto con una forte fonte magica opposta alla sua per tempi prolungati. In teoria non dovrei fornirti queste informazioni, sono strettamente riservate, sai. Non ho molta scelta, vero? Non dopo tutto quello che hai fatto per arrivare qui, per tua sorella e per tutti noi. Se non le fermiamo, le Trix ci distruggeranno».

Stavo iniziando a capire dove voleva andare a parare: credo di non aver mai provato tanta paura in vita mia.

«Questi soggetti li chiamiamo Orphan, poiché hanno perso la natura del loro potere natio. Cosa succede a queste persone? Beh... semplicemente, diventano folli: possedere quella porzione estranea di magia nel loro corpo li porta alla pazzia più totale. Prima di perdere completamente la ragione, molti di loro dicono di sentirsi come ricoperti di fango, oppure di insetti, si agitano in continuazione cercando di togliersi di dosso cose che non ci sono. Alcuni dicono di sentire delle voci che intimano loro di fare o farsi del male, altri semplicemente smettono di muoversi e rimangono impietriti per tutta la vita... una breve vita, sono costretta a dire. Tra chi si suicida e chi muore a causa del conflitto energetico che si viene a creare nel loro corpo, chi sopravvive a lungo si conta sulle dita di una mano. Bloom... è una condanna a morte».

Lungo il collo iniziai a sentire una sorta di formicolio che si irradiava fin sotto il cervelletto, tutti i tendini erano tesi come corde di violino. Mi morsi il labbro fino a farlo sanguinare, mi portai le mani sulla testa e iniziai a stringerle furiosamente, tirando tutti i capelli. Faragonda si allontanò da me d'istinto, la Griffin tremò e io digrignai i denti emettendo versi di disperazione.

Tutto mi remava contro, la sorte mi era avversa in ogni modo possibile: la mia maledetta missione voleva in cambio il mio corpo e la mia mente, e io non ce la facevo più. Esplosi. Urlai, ruggendo come un demone.

«È colpa vostra…è solo colpa vostra! Di tutte voi maledette streghe! Dovevate distruggere quelle tre quando ne avevate l’occasione, voi sapevate chi erano! Daphne è morta per causa vostra! Io diventerò un abominio per colpa vostra!»

L'aria divenne di fuoco e irrespirabile, i mobili si incendiarono e io avrei fatto una strage se non avessi visto la Griffin piangere come una bambina inginocchiata davanti a me. Sbattevo i pugni sul duro legno della scrivania ma, in qualche modo, riuscii a fermarmi.

«Mi dispiace, Bloom... è colpa mia, lo so bene, era compito mio... perdonami per tutto quello che sei costretta a fare, è un rimpianto che mi perseguiterà per sempre... non ho mai smesso di punirmi per questo...»

Mi inginocchiai davanti a lei, la afferrai per il collo della giacca e la fissai con occhi scarlatti di furia e fuoco, luccicanti come due gocce di sangue.

«Questa sarà la punizione per il tuo peccato! Tu vivrai con l'anima macchiata per sempre, colpevole della morte di chi mi era caro e colpevole del mio sacrificio! Ora, preside Griffin, fai quello per cui sono venuta qui, prima che la follia mi porti via troppo in fretta. Rendi il nostro peccato ancora più nero».

La strega non smise mai di tremare dal terrore: le mie parole era così macabre e oscure. Tra il fumo e la cenere del legno bruciato ella si alzò, cercando rifugio negli occhi della sua più cara amica e compagna di tante battaglie, ma non trovò niente: solo paura e colpevolezza per i propri errori.

«Io... va bene... fammi pensare un momento».

Annuii, andai alla finestra per guardare il panorama e la lasciai lavorare in pace. Dopo alcuni minuti, elaborò un piano.

«A-allora... ecco, il primo punto è questo: nel momento in cui entrerai in contatto con la magia nera, non dovrai opporre neanche la più misera resistenza. Hai un potere sconfinato, come non ne ho mai visti in vita mia, basta il più piccolo ostacolo per respingere l'oscurità» disse mentre la fissavo silenziosa, poi continuò: «Detto questo, secondo la mia esperienza e secondo quanto mi avete riferito sulla portata del tuo potere, credo che, per corrompere anche solo un quarto la tua Fiamma del Drago, dovremmo usare la magia oscura di tutte le allieve di Torrenuvola alla massima potenza. Non so se sarà sufficiente, devo dire. Ovviamente, più la Fiamma verrà corrotta, più avrai possibilità di percepire le Trix. Altro non posso fare, perdonami».

«Quindi è questo che mi offri, Griffin? Fiamme marce, follia e nessuna garanzia che funzioni? Mi sta bene. Magari diventerò così pazza e fuori di testa da uccidervi tutti senza il minimo rimorso, non mi dispiacerebbe così tanto».

La preside di Torrenuvola sembrava sul punto di svenire, era perfettamente consapevole che avrei potuto farlo davvero.

«Orphan... diventerò una Orphan... mi piace, bel nome. D'altronde, sono stata orfana per gran parte della mia vita».

Girai i tacchi e sbattei la porta, lasciando dietro di me due anime distrutte. A quel punto, non me ne fregava assolutamente niente di nessuno, il mio spirito era rotto, niente aveva più senso.

Mi incamminai verso uno dei balconi esterni per prendere una boccata d'aria, sentii la voce della Griffin echeggiare in tutta la scuola; spiegava in modo tranquillo ma deciso cosa avrebbero dovuto fare tutti, dai professori alle allieve, come se non fosse successo nulla.

Ci misero davvero poco tempo a preparare tutto. La scuola era diventata deserta: si sistemarono tutti nel cortile esterno dietro l’edificio in modo ordinato, sedendosi a gambe conserte sull'erba. Osservando i preparativi dall'alto, notai che le ragazze formarono una serie di cerchi intorno ad un ipotetico centro, rimasto vuoto. Sicuramente era il mio posto d'onore in quello show dell'orrore.

All'interno dello spazio libero, quattro professori si sistemarono ai quattro angoli dello stesso con dei grossi libri in mano, formulando incantesimi che permisero la genesi di rune oscure sotto i loro piedi. Ecco, quelle non mi piacevano proprio. La Griffin e Faragonda raggiunsero il gruppo: la preside di Alfea rimase in disparte fuori dal cerchio, mentre quella di Torrenuvola si fece largo verso il suo centro, facendomi cenno di venire.

"Ci siamo. Ci siamo proprio" dissi a me stessa sospirando forte, ma i cattivi pensieri non volevano lasciarmi. "Magari ci muoio... magari".

Ogni passo verso il cortile era un passo verso il patibolo. Non vedevo speranza alla fine del tunnel, solo una tetra morte, una ghigliottina in attesa del mio collo. Per gli dei, avevo così tanta paura: del buio, del vuoto, del silenzio eterno.

Raggiunsi la strega all'interno dello spazio vuoto tra i quattro professori che avevano evocato le rune, tremando come una foglia.

«Ci siamo, Bloom» disse la Griffin deglutendo, «ascoltami e fai esattamente quello che ti dico, o non funzionerà. Chiaro?»

Annuii, rassegnata alla falce che attendeva solo di mietere la mia vita.

«Tutti i presenti convoglieranno in me il loro potere oscuro: fungerò da catalizzatore e riverserò tutta questa magia nera su di te. Per nessuna ragione, non opporre nessuna resistenza. Abbassa le tue difese magiche più che puoi, permettici di far breccia nella Fiamma del Drago».

Rivolsi lo sguardo verso Faragonda: forse cercavo conforto, o coraggio, non lo so nemmeno io. Avevo la sensazione di annegare.

«A che servono le rune?» chiesi con voce fredda. La strega sospirò.

«Dobbiamo tutelarci, Bloom. Se tu perdessi il controllo, se dovesse andare tutto storto, tu...»

«Vi spazzerei via tutti. Chiaro. Quelle rune mi bloccheranno».

«Quando sei pronta, coraggiosa ragazza».

Risi amara.

«Non coraggiosa, strega. Folle».

La Griffin appoggiò la mano sul mio cuore e tutti iniziarono a convogliare la magia nera in lei. Provai una sensazione strana: non era doloroso, era come se qualcosa di appiccicaticcio mi stesse ricoprendo da capo a piedi, un fastidio che cresceva di secondo in secondo portandomi a desiderare fortemente di ribellarmi. Effettivamente, una patina scura mi stava divorando.

«No, Bloom! Resisti! Forza, voi là dietro, aumentate! Prosciugatevi se necessario!»

I volti delle ragazze erano un quadro di smorfie causate dalla fatica immane che stava chiedendo la loro preside. Ebbi una visione spirituale di ciò che stava succedendo all'interno del mio corpo: vedevo una mano nera che cercava in tutti i modi di afferrare la mia Fiamma del Drago, fallendo miseramente. Il fuoco era troppo alto, troppo imponente.

"Devo far qualcosa..." mi dissi digrignando i denti dal fastidio, dovevo almeno provarci.

Usai la mia volontà come arma: ordinai letteralmente alle mie fiamme di quietarsi, di piegarsi alla mia autorità. Il calore si fece meno intenso, la mano oscura riuscì ad avvicinarsi, e… strozzò nel suo palmo la mia Fiamma del Drago.

A quel punto, mi sentivo come sprofondare nelle sabbie mobili: percepii i polmoni affogare in quella melma nera, era terrificante. Stavo cadendo preda della paura quando, finalmente, tutto si fermò. Senza nemmeno aspettare qualche secondo per riprendere fiato, la Griffin arretrò velocemente da me, mentre i quattro professori alzarono l'attenzione al massimo, pronti a scattare in ogni momento.

«Via! Indietro, andate via!»

Non capii bene cosa stesse succedendo: la strega stava allontanando tutti di gran fretta nonostante io mi sentissi alquanto bene. Mi osservai le mani, attesi qualche attimo in allerta, ma non successe niente.

"Strano... che non abbia funzionato?"

Iniziai a sentire la bocca pastosa e gli occhi gonfi, come se mi fossi appena svegliata da un lungo sonno. Mi toccai le labbra, e… sulle mie dita c'era la melma nera che mi aveva inghiottita prima. Presa dal panico, mi toccai anche gli occhi. Stessa cosa. Stavo letteralmente vomitando magia oscura.

Scoppiai a piangere disperata, le lacrime sembravano petrolio. Poi, iniziarono i formicolii sulla pelle, come quando si addormenta un arto, dal petto si propagavano per tutto il corpo come piccole onde d'urto: iniziarono a darmi fastidio, prima poco, poi sempre di più.

Cominciai a grattarmi: mi tolsi la felpa rimanendo in maglia a maniche corte, ma non bastò. Iniziai a sentirmi sporca, come... sì, come ricoperta di fango. Sentivo il sudiciume, percepii il solletico di quelle che sembravano zampe di insetti, mi strofinai fino a scorticare la pelle.

La vista divenne annebbiata e la testa pulsava, facendomi vedere cose che non c'erano e sentire voci sconosciute; mi presi furiosamente la testa fra le mani strappando qualche ciuffo di capelli, agitandomi di scatto in varie direzioni, come per liberarmi dalla presa di qualcosa di invisibile.

Sentii una furia sconfinata, un odio becero e insensato, tanto, tantissimo odio. Iniziai a bramare il sangue dei miei nemici, desideravo sentire i cuori di tutti i presenti stroncarsi nella stretta della mia mano, esattamente come avevo fatto con Daphne.

«Streghe... streghe maledette... io... io vi ucciderò tutte».

  
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