I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Dieci
Vendette
Femminili
Il
giorno che Mei si rimise e decise di tornare a scuola , io mi svegliai strana. Rimasi per un po’ seduta sul
letto a guardarmi in torno. Era la prima volta che non mi svegliavo di soprassalto
disturbata da un incubo. Se avevo fatto un brutto sogno non me lo ricordavo. Sorrisi
agli angeli poi mi accesi una sigaretta ed impossessandomi del portacenere mi
avviai verso la cucina strisciando i piedi. Giunta davanti alla porta del
tinello, mi fermai a pensare, come se un particolare avesse colpito la mia
attenzione, ma non me ne fossi accorta. Tornai indietro in retromarcia e mi
fermai a guardare la porta chiusa della stanza di Mei,
rimasi lì basita per qualche secondo. Mancava qualche cosa, ma non
intercettai subito cosa. Aggrottai le sopracciglia e aprii la bocca quando mi
accorsi che mancava la catenella da cesso. Sbuffai e imprecai al nulla mentre
tornavo in camera mia a vestirmi. Uscii mentre mia madre diceva qualche cosa a
proposito delle frittelle che mi aveva preparato per colazione. “Non ho
fame” sbottai, e uscii schiudendomi la porta alle spalle.
Mei arrivò come al
solito in anticipo, sapeva l’orario delle lezioni a memoria, per cui non
ebbe bisogno di consultare l’orario per sapere che avrebbe avuto
educazione fisica.
Si sedette pesantemente sul bordo
dell’aiuola che ospitava una grossa agave, che con il freddo incalzante
sembrava soffrire. Mei si sentiva un po’
così prima delle lezioni in palestra.
Forse sarebbe stato anche discreto come
giocatore di basket se non avesse avuto paura della palla, e
dell’allenatore, che ad ogni palla persa gli dava della femminuccia.
Deglutì e si mise a ripetere i primi
dieci articoli della Costituzione, per non pensare alle due ore che lo
attendevano.
Gli passarono davanti un paio di ragazze che
erano in classe con lui e che non lo degnarono di uno sguardo. Un ragazzo
basso, con gli occhiali , decisamente sciatto, gli
fece un cenno con la testa al quale Mei rispose in
modo altrettanto discreto.
Al suono della campanella si alzò e si
avviò pesantemente verso la palestra strisciando i piedi. Non voleva
andarci! Non voleva proprio! Si fermò un attimo davanti al vetro
fumé della porta facendo una smorfia. Un nugolo di ragazzi gli
passò accanto e un tizio prestante e biondo gli tirò una
spallata, senza curarsi di chiedere scusa, e Mei
andò a sbattere contro lo stipite con un tonfo e un timido
“Ahi”.
Quando tutti furono passati, sbuffando e
sgomitando, Mei riprese l’equilibrio e si
massaggiò la guancia che aveva sbattuto. A quel punto sì che se
ne sarebbe voluto tornare a casa, ma come sempre capitava, si costrinse ad
entrare.
I ragazzi non badarono a lui quando
silenziosamente compunto entrò nello spogliatoio e appoggiò lo
zaino in un angolino libero. Si vestì nella generale confusione, mentre
un tizio pieno di lentiggini saltava addosso ad un altro facendo finta di
picchiarlo.
Volarono scarpe e libri, e Mei
si fece piccolo per non farsi notare, mentre la maggior parte dei ragazzi
uscivano dallo spogliatoio. Si sentiva troppo alto dentro a quei pantaloncini
troppo corti, che gli lasciavano le gambe magre scoperte dal ginocchio in
giù. Sistemò le ultime cose, piegando la camicia sopra i
pantaloni in ordine. Non badò a chi era rimasto con lui nello stanzino
finché non sentì un dito picchiettargli sulla spalla.
“Pavesi?” chiesero tranquillamente
alle sue spalle. Mei si voltò e qualche cosa
che non identificò subito lo colpì al mento e lo fece cadere
seduto sulla panca sgualcendo i vestiti e rovesciando il deodorante.
Alzò lo sguardo e vide Pallotti, il ragazzone alto e biondo che aveva una tresca
con Nikka, sorridergli con un ghigno strano e puntargli contro il dito indice.
“Pavesi…” esclamò
avvicinando il viso a Mei che si massaggiava il mento
guardandolo con gli occhi di chi non ci ha creduto nemmeno un secondo a quel
sorrisetto. “Federico?”chiese sarcastico.
“Mei”
corresse lui incerto, non era abituato a farsi chiamare col nome di battesimo,
e non gli piaceva. Pallotti fece una smorfia come se si fosse ricordato
perché era andato a cercarlo “Che soprannome idiota…”
sputò schifato e improvvisamente gli diede un altro pugno in faccia
facendolo cadere per terra.
Mei avrebbe voluto urlare
per il male che sentii al naso. Se lo coprì con le mani, non riuscendo a
pensare ad altro che al dolore, si chiese se fosse rotto. Sentì il
sangue che gli colava sulla bocca. Ci mise un po’ prima di tornare a
guardare in faccia il ragazzone biondo, che a quel punto lo guardava con aria
truce, accompagnato dai suoi due amici imponenti quanto lui. Tutti e tre
insieme coprivano quasi completamente la luce proveniente dalla finestra. Mei respirò piano, col cuore che batteva
all’impazzata nel petto, sperò che da fuori non di
sentisse quel tonfo sordo che batteva dentro la sua cassa toracica.
“Cosa vuoi da me?” biascicò
col fiatone tenendosi seduto appoggiando le mani per terra.
“Tu vai a letto con la mia
ragazza?”urlò, e più che una domanda era quasi
un’affermazione. “Eh?” soffiò fuori Mei quasi impercettibilmente. “Chi è la tua
ragazza?” ansimò mentre Pallotti gli
assestava un calcio al ginocchio che non riuscì ad evitare.
“Nikka, tu ti fai Nikka, eh? Maledetto schifoso” ringhiò tra i denti, mentre Mei si rannicchiava per attutire il colpo che gli
arrivò sul gomito.
Si alzò faticosamente, non lo avevano
mai toccato nemmeno con un dito. Era abituato a vedere gli atti di bullismo
negli spogliatoi, ma a lui non si era mai interessato nessuno. Non aveva mai
dato fastidio a nessuno, e invece adesso…
“io non ho fatto niente con
Nikka…” disse senza fiato più sconvolto che impaurito,
mentre il bacio con Nikka gli pesava bruciante sulla coscienza. Non ebbe il
tempo di dirsi che non era colpa sua, perché il ragazzo biondo davanti a
lui gli assestò un calcio alla gamba e lo fece
cadere di nuovo per terra sul pavimento lurido dello spogliatoio.
Mei si rannicchiò
ancora come se fosse un riccio. Decisamente arreso. Pallotti
lo guardò con disprezzo e gli assestò un altro calcio sul naso.
“Ma che razza di uomo sei? Non mi diverto nemmeno a picchiarti” sputò girando i
tacchi e andando in palestra seguito dai suoi amici.
Mei rimase li
stringendosi nelle spalle e sperando di poter sparire. Appoggiò la testa
alle piastrelle lerce e deglutì piano mentre tirava su col naso , le braccia abbandonate in avanti, come se fossero state
morte. Lasciò che le gambe si rilassassero e si distendessero, mentre si
chiedeva perché era così. Perché non aveva reagito.
Perché non aveva reagito almeno un pochino di più? Perché
si era fatto picchiare come un maledetto fantoccio?
Perché era un fantoccio… nelle
mani di Nikka, come aveva detto lei dal di fuori della
vasca. Doveva fare qualche cosa. Non poteva farsi trovare ancora lì
disteso a sguazzare nel suo sangue quando sarebbero tornati tutti dalla lezione
di educazione fisica. Ma poi non si mosse.
Più tardi la porta
dell’infermeria – se così si poteva chiamare uno sgabuzzino
con due cerotti in croce- si spalancò con un botto e l’uscio
andò irreparabilmente a sbattere contro la parete. Fu così che
Rachele Pavesi e la sua orda di evidentissimi capelli blu ,
fecero la loro entrata in scena, seguiti da uno scricciolo coi capelli castano
rossicci e l’aria corrucciata.
Rachele piegò la testa da una parte
mentre squadrava il fratello che se ne stava seduto a testa bassa sul lettino
improvvisato dell’infermeria. “Che è successo?”
domandò brusca senza tanti giri di parole. Mei
strinse un attimo i muscoli della mascella in modo impercettibile, solo Rachele
se ne accorse, ma non diede segni di averci fatto caso.
“Ti sei fatto male?” chiese
stridula da dietro Nikka, più preoccupata che non si fosse rovinato, invece che fatto male in
sé per sé.
Mei fece una smorfia poi
cercò di nascondere il viso contro la spalla. “Il naso non
è rotto” pigolò sommessamente il bidello facendo una
carezza al braccio di Mei, guardandolo come se fosse
un cagnolino. Era buffo come a molti desse la stessa impressione. Mei ritrasse il braccio che il bidello gli aveva toccato,
come se si fosse scottato.
Nikka gli si avvicinò e gli
passò dolcemente una mano sulla guancia, studiando il livido violaceo
che gli passava dal naso fin sotto gli occhi, come un nastro scuro. Sul momento
Mei si fece tonnare, sentendosi quasi consolato,
finché non si ricordò il motivo per il quale era finito in
infermeria. E allora distolse lo sguardo anche da lei nascondendo il viso e non
facendosi toccare. Nikka ritrasse la mano stupita, sgranando gli occhi.
“Che cavolo è successo?”
chiese di nuovo Rachele esigendo una risposta. “Ho sbattuto contro la
porta…” sussurrò Mei, lanciando
un’occhiata a entrambe, con il viso contratto, per poi abbassare
nuovamente la testa. Ovviamente nessuna delle due ci credette
nemmeno per un istante, e sua sorella schioccò uno sguardo veloce ed
eloquente al bidello, prima di ritornare a dare attenzione al fratello.
“Pallotti gli
ha tirato un pugno” pigolò il bidello sputando fuori tutto
d’un fiato.
Rachele si voltò verso di lui,
reclinò la testa, increspò le labbra e alzò le
sopracciglia. Poi annuì come per dire sarcasticamente “Ma va là! Divertente!”
Mei gli schioccò
un’occhiata intrisa di risentimento, e il bidello alzò le mani in
aria in segno di resa. Ma d’altronde , le due
donne facevano molta più paura di lui, anche se il ragazzo gli aveva
gentilmente chiesto di essere discreto.
Mei saltò
giù dal lettino cigolante e senza guardare nessuno raccattò da
terra il suo zaino dal pavimento e uscì dallo stanzino che puzzava di
disinfettante, a testa bassa sbattendo la spalla contro lo stipite.
Le due ragazze si voltarono a guardarlo mentre
spariva in corridoio. “Mei”
cinguettò soave Nikka seguendolo con lo spolverino beige che svolazzava
ad ogni suo movimento.
Rachele rimase ferma immobile per qualche
secondo fissando il muro coperto dalle piastrelle e dal calendario Pirelli del
bidello, prima di scoccargli un sorriso e dirigersi a passo lento verso la
soglia.
Guardò Mei
allontanarsi a passo di marcia per il corridoio, tenendosi una mano sulla
faccia, per non far vedere che il naso era viola,rincorso
da una piccola e saltellante Nikka.
Dall’altra parte del corridoio, invece,
Joyce dava mostra di sé dando poderosi calci e spallate alla macchinetta
automatica delle bibite. Fece un sorrisetto, e per un attimo pensò di
andare a denunciarlo dal preside. Era una cosa che la faceva divertire da matti
mettere nei guai Joyce. Ma poi ci pensò su, e decise che forse
quell’appariscente impellicciato le sarebbe potuto
servire per altre faccende.
Nikka nel frattempo aveva raggiunto Mei che non ne voleva sapere di fermarsi ad ascoltarla,
anche se lei continuava a tirarlo per la manica e chiamarlo.
“Mei, MEI,
santo cielo, perché Pallotti ti ha
picchiato?” chiese con voce sempre più stridula, mentre aveva
quasi cominciato a correre, per stare dietro al ragazzo, che del canto suo
aveva le gambe decisamente più lunghe di lei.
“Dovresti saperlo, tornatene dal tuo Pallotti, se ci tieni tanto a saperlo!” sbottò
Mei quando ormai erano arrivati all’atrio
adiacente al giardino.
“Ma cosa
vorresti dire con questo? cosa cavolo c’entro io
adesso!” strillò lei alterata strattonandolo ancora per la manica,
tanto che anche Mai si impalò. Non rispose subito, ma rimase a guardarla
con quella che poteva essere solo rabbia, increspando le labbra, come per non
farsi uscire parole di troppo.
“Pallotti…”
cominciò sputandolo fuori come veleno, mentre Nikka ricambiava lo
sguardo dal basso. “E’ geloso di te… perché pare che
io vada a letto con Nikka Santini…” continuò stringendo i
denti. Lei stava per dire qualche cosa, ma Mei non glielo permise “Quindi , dopo quella stupida
prova del frac, il bagno nei ghiaccioli, dovrei anche farmi picchiare dai tuoi
fidanzati gelosi?” chiese adirato, e per la seconda volta non la fece
rispondere “io non ci sto, torna pure dal tuo Pallotti,
io me ne torno nei miei venti metri quadrati, dove si sta decisamente molto meglio”
concluse serio girando i tacchi e andando via.
“Mei”
piagnucolò Nikka rimanendo ferma sulla soglia. La sua opera d’arte
che le voltava le spalle e non ne voleva più sapere di vederla.
Boccheggiò.
Mei camminò a
passo di marcia, senza rallentare fino a casa, non era nemmeno la terza ora , ma non gliene fregava nulla. Si sentiva un idiota, non
aveva reagito, si era fatto picchiare come un cretino. Per colpa di chi?
Per colpa di una pazza, da cui si faceva fare
angherie di ogni genere! Era stupido stupido
stupido… e la vita faceva schifo da quando
aveva conosciuto Nikka. Doveva rimanersene barricato in casa fin da subito,
perché diavolo aveva dato retta a sua madre?
Perché dava sempre retta a tutti…
come uno stupido bambolotto.
Era
finita l’ultima ora, quando vidi Nikka dirigersi nella mia direzione
quasi correndo, e fermarsi trafelata davanti a me, decisamente parecchi
centimetri più in basso.
“Pavesi”
sentenziò senza fiato. Annuii facendo segno che l’ascoltavo.
“Ho mollato Pallotti, dicendogli che è
un orribile buzzurro, che io non sono di sua proprietà e che vado a
letto con chi voglio… e che non mi rivedrà nemmeno col
binocolo!” concluse orgogliosa del suo operato.
Ghignai divertita.
“Io
ho fatto di meglio” dichiarai. Nikka dondolò la testa da una parte
e sgranò gli occhi. Feci cenno con la testa ,
verso il cancello della scuola.
Inutile
dire che rimase a bocca aperta quando si rese conto che Pallotti
se ne stava in mutande legato al cancello, circondato da un nugolo di turisti
giapponesi, che lo fotografavano.
“Co- come hai fatto?” boccheggiò incredula.
Alzai le spalle divertita “Ho delegato Joyce”
Ciao a tutti, scusatemi se ci ho
messo un sacco ad aggiornare, ma ho avuto un sacco di problemi!Spero che il
capitolo non sia malissimo. Se leggendo trovate qualche cosa che non vi
convince vi prego di dirmelo, vedrò di rimediare! Il capitolo scorso
appena avrò tempo lo sistemerò, perché il dialogo nella
vasca proprio non mi piace!
Grazie a tutti quelli che hanno
commentato e che hanno messo la storia tra i preferiti… al momento non
riesco a ringraziarvi personalmente perché sono reduce
dall’influenza e ho bisogno di dormire, comunque come sempre grazie a
tutto di cuore!!! La prossima storia che verrà
aggiornata sarà Stupid Cupid
Ciao a tutti e al prossimo
capitolo
Aki_Penn