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Autore: aki_penn    05/03/2009    4 recensioni
Si è sempre parlato di gente "sfigata" che vuole diventare bella ricca e famosa, ma a nessuno è mai interessato se qualcuno sta bene nel suo bozzolo da nerd con una catenella da gabinetto attaccata alla porta? Beh, mio fratello stava bene così. E finchè se ne è stato nel suo piccolo paradiso di 20 metri quadrati nessuno ha mai avuto da ridire (a parte mia madre ovviamente), ma poi è arrivata quella tipa , ed è cambiato tutto, a partire dalla catenella del wc,e a finire col cercare di farlo diventare una specie di latin lover! E io sapevo che avrebbe portato guai, io lo sapevo, ma figurati se qualcuno mi ascolta mai in questa famiglia!
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I miei venti metri quadrati' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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I miei venti metri quadrati

Capitolo Dieci

Vendette Femminili

 

 

 

 

 

 

Il giorno che Mei si rimise e decise di tornare a scuola , io mi svegliai strana. Rimasi per un po’ seduta sul letto a guardarmi in torno. Era la prima volta che non mi svegliavo di soprassalto disturbata da un incubo. Se avevo fatto un brutto sogno non me lo ricordavo. Sorrisi agli angeli poi mi accesi una sigaretta ed impossessandomi del portacenere mi avviai verso la cucina strisciando i piedi. Giunta davanti alla porta del tinello, mi fermai a pensare, come se un particolare avesse colpito la mia attenzione, ma non me ne fossi accorta. Tornai indietro in retromarcia e mi fermai a guardare la porta chiusa della stanza di Mei, rimasi lì basita per qualche secondo. Mancava qualche cosa, ma non intercettai subito cosa. Aggrottai le sopracciglia e aprii la bocca quando mi accorsi che mancava la catenella da cesso. Sbuffai e imprecai al nulla mentre tornavo in camera mia a vestirmi. Uscii mentre mia madre diceva qualche cosa a proposito delle frittelle che mi aveva preparato per colazione. “Non ho fame” sbottai, e uscii schiudendomi la porta alle spalle.

 

 

Mei arrivò come al solito in anticipo, sapeva l’orario delle lezioni a memoria, per cui non ebbe bisogno di consultare l’orario per sapere che avrebbe avuto educazione fisica.

Si sedette pesantemente sul bordo dell’aiuola che ospitava una grossa agave, che con il freddo incalzante sembrava soffrire. Mei si sentiva un po’ così prima delle lezioni in palestra.

Forse sarebbe stato anche discreto come giocatore di basket se non avesse avuto paura della palla, e dell’allenatore, che ad ogni palla persa gli dava della femminuccia.

Deglutì e si mise a ripetere i primi dieci articoli della Costituzione, per non pensare alle due ore che lo attendevano.

Gli passarono davanti un paio di ragazze che erano in classe con lui e che non lo degnarono di uno sguardo. Un ragazzo basso, con gli occhiali , decisamente sciatto, gli fece un cenno con la testa al quale Mei rispose in modo altrettanto discreto.

Al suono della campanella si alzò e si avviò pesantemente verso la palestra strisciando i piedi. Non voleva andarci! Non voleva proprio! Si fermò un attimo davanti al vetro fumé della porta facendo una smorfia. Un nugolo di ragazzi gli passò accanto e un tizio prestante e biondo gli tirò una spallata, senza curarsi di chiedere scusa, e Mei andò a sbattere contro lo stipite con un tonfo e un timido “Ahi”.

Quando tutti furono passati, sbuffando e sgomitando, Mei riprese l’equilibrio e si massaggiò la guancia che aveva sbattuto. A quel punto sì che se ne sarebbe voluto tornare a casa, ma come sempre capitava, si costrinse ad entrare.

I ragazzi non badarono a lui quando silenziosamente compunto entrò nello spogliatoio e appoggiò lo zaino in un angolino libero. Si vestì nella generale confusione, mentre un tizio pieno di lentiggini saltava addosso ad un altro facendo finta di picchiarlo.

Volarono scarpe e libri, e Mei si fece piccolo per non farsi notare, mentre la maggior parte dei ragazzi uscivano dallo spogliatoio. Si sentiva troppo alto dentro a quei pantaloncini troppo corti, che gli lasciavano le gambe magre scoperte dal ginocchio in giù. Sistemò le ultime cose, piegando la camicia sopra i pantaloni in ordine. Non badò a chi era rimasto con lui nello stanzino finché non sentì un dito picchiettargli sulla spalla.

“Pavesi?” chiesero tranquillamente alle sue spalle. Mei si voltò e qualche cosa che non identificò subito lo colpì al mento e lo fece cadere seduto sulla panca sgualcendo i vestiti e rovesciando il deodorante.

Alzò lo sguardo e vide Pallotti, il ragazzone alto e biondo che aveva una tresca con Nikka, sorridergli con un ghigno strano e puntargli contro il dito indice.

“Pavesi…” esclamò avvicinando il viso a Mei che si massaggiava il mento guardandolo con gli occhi di chi non ci ha creduto nemmeno un secondo a quel sorrisetto. “Federico?”chiese sarcastico.

Mei” corresse lui incerto, non era abituato a farsi chiamare col nome di battesimo, e non gli piaceva.  Pallotti fece una smorfia come se si fosse ricordato perché era andato a cercarlo “Che soprannome idiota…” sputò schifato e improvvisamente gli diede un altro pugno in faccia facendolo cadere per terra.

Mei avrebbe voluto urlare per il male che sentii al naso. Se lo coprì con le mani, non riuscendo a pensare ad altro che al dolore, si chiese se fosse rotto. Sentì il sangue che gli colava sulla bocca. Ci mise un po’ prima di tornare a guardare in faccia il ragazzone biondo, che a quel punto lo guardava con aria truce, accompagnato dai suoi due amici imponenti quanto lui. Tutti e tre insieme coprivano quasi completamente la luce proveniente dalla finestra. Mei respirò piano, col cuore che batteva all’impazzata nel petto, sperò che da fuori non di sentisse quel tonfo sordo che batteva dentro la sua cassa toracica.

“Cosa vuoi da me?” biascicò col fiatone tenendosi seduto appoggiando le mani per terra.

“Tu vai a letto con la mia ragazza?”urlò, e più che una domanda era quasi un’affermazione. “Eh?” soffiò fuori Mei quasi impercettibilmente. “Chi è la tua ragazza?” ansimò mentre Pallotti gli assestava un calcio al ginocchio che non riuscì ad evitare.

“Nikka, tu ti fai Nikka, eh? Maledetto schifoso” ringhiò tra i denti, mentre Mei si rannicchiava per attutire il colpo che gli arrivò sul gomito.

Si alzò faticosamente, non lo avevano mai toccato nemmeno con un dito. Era abituato a vedere gli atti di bullismo negli spogliatoi, ma a lui non si era mai interessato nessuno. Non aveva mai dato fastidio a nessuno, e invece adesso…

“io non ho fatto niente con Nikka…” disse senza fiato più sconvolto che impaurito, mentre il bacio con Nikka gli pesava bruciante sulla coscienza. Non ebbe il tempo di dirsi che non era colpa sua, perché il ragazzo biondo davanti a lui gli assestò un calcio alla gamba e lo fece cadere di nuovo per terra sul pavimento lurido dello spogliatoio.

Mei si rannicchiò ancora come se fosse un riccio. Decisamente arreso. Pallotti lo guardò con disprezzo e gli assestò un altro calcio sul naso.

“Ma che razza di uomo sei? Non mi diverto nemmeno a picchiarti” sputò girando i tacchi e andando in palestra seguito dai suoi amici.

Mei rimase li stringendosi nelle spalle e sperando di poter sparire. Appoggiò la testa alle piastrelle lerce e deglutì piano mentre tirava su col naso , le braccia abbandonate in avanti, come se fossero state morte. Lasciò che le gambe si rilassassero e si distendessero, mentre si chiedeva perché era così. Perché non aveva reagito. Perché non aveva reagito almeno un pochino di più? Perché si era fatto picchiare come un maledetto fantoccio?

Perché era un fantoccio… nelle mani di Nikka, come aveva detto lei dal di fuori della vasca. Doveva fare qualche cosa. Non poteva farsi trovare ancora lì disteso a sguazzare nel suo sangue quando sarebbero tornati tutti dalla lezione di educazione fisica. Ma poi non si mosse.

Più tardi la porta dell’infermeria – se così si poteva chiamare uno sgabuzzino con due cerotti in croce- si spalancò con un botto e l’uscio andò irreparabilmente a sbattere contro la parete. Fu così che Rachele Pavesi e la sua orda di evidentissimi capelli blu , fecero la loro entrata in scena, seguiti da uno scricciolo coi capelli castano rossicci e l’aria corrucciata.

Rachele piegò la testa da una parte mentre squadrava il fratello che se ne stava seduto a testa bassa sul lettino improvvisato dell’infermeria. “Che è successo?” domandò brusca senza tanti giri di parole. Mei strinse un attimo i muscoli della mascella in modo impercettibile, solo Rachele se ne accorse, ma non diede segni di averci fatto caso.

“Ti sei fatto male?” chiese stridula da dietro Nikka, più preoccupata che non si fosse rovinato, invece che fatto male in sé per sé.

Mei fece una smorfia poi cercò di nascondere il viso contro la spalla. “Il naso non è rotto” pigolò sommessamente il bidello facendo una carezza al braccio di Mei, guardandolo come se fosse un cagnolino. Era buffo come a molti desse la stessa impressione. Mei ritrasse il braccio che il bidello gli aveva toccato, come se si fosse scottato.

Nikka gli si avvicinò e gli passò dolcemente una mano sulla guancia, studiando il livido violaceo che gli passava dal naso fin sotto gli occhi,  come un nastro scuro. Sul momento Mei si fece tonnare, sentendosi quasi consolato, finché non si ricordò il motivo per il quale era finito in infermeria. E allora distolse lo sguardo anche da lei nascondendo il viso e non facendosi toccare. Nikka ritrasse la mano stupita, sgranando gli occhi.

“Che cavolo è successo?” chiese di nuovo Rachele esigendo una risposta. “Ho sbattuto contro la porta…” sussurrò Mei, lanciando un’occhiata a entrambe, con il viso contratto, per poi abbassare nuovamente la testa. Ovviamente nessuna delle due ci credette nemmeno per un istante, e sua sorella schioccò uno sguardo veloce ed eloquente al bidello, prima di ritornare a dare attenzione al fratello.

Pallotti gli ha tirato un pugno” pigolò il bidello sputando fuori tutto d’un fiato.

Rachele si voltò verso di lui, reclinò la testa, increspò le labbra e alzò le sopracciglia. Poi annuì come per dire sarcasticamente  “Ma va là! Divertente!”  

Mei gli schioccò un’occhiata intrisa di risentimento, e il bidello alzò le mani in aria in segno di resa. Ma d’altronde , le due donne facevano molta più paura di lui, anche se il ragazzo gli aveva gentilmente chiesto di essere discreto.

Mei saltò giù dal lettino cigolante e senza guardare nessuno raccattò da terra il suo zaino dal pavimento e uscì dallo stanzino che puzzava di disinfettante, a testa bassa sbattendo la spalla contro lo stipite.

Le due ragazze si voltarono a guardarlo mentre spariva in corridoio. “Mei” cinguettò soave Nikka seguendolo con lo spolverino beige che svolazzava ad ogni suo movimento.

Rachele rimase ferma immobile per qualche secondo fissando il muro coperto dalle piastrelle e dal calendario Pirelli del bidello, prima di scoccargli un sorriso e dirigersi a passo lento verso la soglia. 

Guardò Mei allontanarsi a passo di marcia per il corridoio, tenendosi una mano sulla faccia, per non far vedere che il naso era viola,rincorso da una piccola e saltellante Nikka.

Dall’altra parte del corridoio, invece, Joyce dava mostra di sé dando poderosi calci e spallate alla macchinetta automatica delle bibite. Fece un sorrisetto, e per un attimo pensò di andare a denunciarlo dal preside. Era una cosa che la faceva divertire da matti mettere nei guai Joyce. Ma poi ci pensò su, e decise che forse quell’appariscente impellicciato le sarebbe potuto servire per altre faccende.

Nikka nel frattempo aveva raggiunto Mei che non ne voleva sapere di fermarsi ad ascoltarla, anche se lei continuava a tirarlo per la manica e chiamarlo.

Mei, MEI, santo cielo, perché Pallotti ti ha picchiato?” chiese con voce sempre più stridula, mentre aveva quasi cominciato a correre, per stare dietro al ragazzo, che del canto suo aveva le gambe decisamente più lunghe di lei.

“Dovresti saperlo, tornatene dal tuo Pallotti, se ci tieni tanto a saperlo!” sbottò Mei quando ormai erano arrivati all’atrio adiacente al giardino.

“Ma cosa vorresti dire con questo? cosa cavolo c’entro io adesso!” strillò lei alterata strattonandolo ancora per la manica, tanto che anche Mai si impalò. Non rispose subito, ma rimase a guardarla con quella che poteva essere solo rabbia, increspando le labbra, come per non farsi uscire parole di troppo.

Pallotti…” cominciò sputandolo fuori come veleno, mentre Nikka ricambiava lo sguardo dal basso. “E’ geloso di te… perché pare che io vada a letto con Nikka Santini…” continuò stringendo i denti. Lei stava per dire qualche cosa, ma Mei non glielo permise “Quindi , dopo quella stupida prova del frac, il bagno nei ghiaccioli, dovrei anche farmi picchiare dai tuoi fidanzati gelosi?” chiese adirato, e per la seconda volta non la fece rispondere “io non ci sto, torna pure dal tuo Pallotti, io me ne torno nei miei venti metri quadrati, dove si sta decisamente molto meglio” concluse serio girando i tacchi e andando via.

Mei” piagnucolò Nikka rimanendo ferma sulla soglia. La sua opera d’arte che le voltava le spalle e non ne voleva più sapere di vederla. Boccheggiò.

Mei camminò a passo di marcia, senza rallentare fino a casa, non era nemmeno la terza ora , ma non gliene fregava nulla. Si sentiva un idiota, non aveva reagito, si era fatto picchiare come un cretino. Per colpa di chi?

Per colpa di una pazza, da cui si faceva fare angherie di ogni genere! Era stupido stupido stupido… e la vita faceva schifo da quando aveva conosciuto Nikka. Doveva rimanersene barricato in casa fin da subito, perché diavolo aveva dato retta a sua madre?

Perché dava sempre retta a tutti… come uno stupido bambolotto.

 

Era finita l’ultima ora, quando vidi Nikka dirigersi nella mia direzione quasi correndo, e fermarsi trafelata davanti a me, decisamente parecchi centimetri più in basso.

“Pavesi” sentenziò senza fiato. Annuii facendo segno che l’ascoltavo. “Ho mollato Pallotti, dicendogli che è un orribile buzzurro, che io non sono di sua proprietà e che vado a letto con chi voglio… e che non mi rivedrà nemmeno col binocolo!” concluse orgogliosa del suo operato. Ghignai divertita.

“Io ho fatto di meglio” dichiarai. Nikka dondolò la testa da una parte e sgranò gli occhi. Feci cenno con la testa , verso il cancello della scuola.

Inutile dire che rimase a bocca aperta quando si rese conto che Pallotti se ne stava in mutande legato al cancello, circondato da un nugolo di turisti giapponesi, che lo fotografavano.

Co- come hai fatto?” boccheggiò incredula. Alzai le spalle divertita “Ho delegato Joyce

 

 

Ciao a tutti, scusatemi se ci ho messo un sacco ad aggiornare, ma ho avuto un sacco di problemi!Spero che il capitolo non sia malissimo. Se leggendo trovate qualche cosa che non vi convince vi prego di dirmelo, vedrò di rimediare! Il capitolo scorso appena avrò tempo lo sistemerò, perché il dialogo nella vasca proprio non mi piace!

Grazie a tutti quelli che hanno commentato e che hanno messo la storia tra i preferiti… al momento non riesco a ringraziarvi personalmente perché sono reduce dall’influenza e ho bisogno di dormire, comunque come sempre grazie a tutto di cuore!!! La prossima storia che verrà aggiornata sarà Stupid Cupid

Ciao a tutti e al prossimo capitolo

Aki_Penn

 

 

 

   
 
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